San Paride “by night”
Adorazione Eucaristica
Cattedrale di
Teano, 1° agosto 2009
Meditazioni
di
S. E. REV. MA MONS.
ARTURO AIELLO
Canto: Quanta sete nel mio cuore
Ci
ritroviamo qui, in un’ora insolita, per attingere alla Fonte che è davanti a noi,
perché abbiamo sete. La preghiera nasce da un bisogno, bisogno di pace, bisogno
di armonia, bisogno di perdono, bisogno di luce, siamo qui per questo (Quanta sete nel mio cuore, solo in Dio si
spegnerà). Cerchiamo tante cose, cerchiamo la bellezza e la pienezza in
tante esperienze, ma torniamo sempre insoddisfatti. Sant’Agostino ha messo bene
in evidenza questo tema ne Le Confessioni: Ci
hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te.
Vogliamo riposare sul cuore di Cristo, che crediamo qui presente nel Sacramento
dell’Eucaristia. Confidiamo che Egli è l’acqua viva che può renderci, a nostra
volta, sorgenti per gli altri. Chi crede
in me – dice Gesù nel Vangelo di Giovanni – fiumi d’acqua viva sgorgheranno nel suo cuore. Per questo, con più
fede, ripetiamo la prima strofa.
***
Ciascuno
di noi ripeta nel segreto: Sei Tu, Signore, la mia vita; sei Tu, Signore, la
mia gioia. Vita e gioia: espressioni che ricorrono nel nostro vocabolario
affettivo. Lo diciamo alle persone a cui vogliamo più bene, e questo stesso
vocabolario fa parte della preghiera e della fede: Sei Tu, Signore, la mia
vita, senza di Te non saprei più chi sono; Signore, sei Tu la mia gioia.
Dal Vangelo di Marco (5, 1-20)
Intanto giunsero all'altra riva del mare,
nella regione dei Gerasèni. Come scese dalla barca, gli venne incontro dai
sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. Egli aveva la sua dimora nei
sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, perché più
volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e
infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. Continuamente, notte e
giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto
Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, e urlando a gran voce disse:
«Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in
nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da
quest'uomo!». E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli
rispose, perché siamo in molti». E prese a scongiurarlo con insistenza perché
non lo cacciasse fuori da quella regione. Ora c'era là, sul monte, un numeroso
branco di porci al pascolo. E gli spiriti lo scongiurarono: «Mandaci da quei
porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono
ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano
circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare. I mandriani allora
fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a
vedere che cosa fosse accaduto. Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato
seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed
ebbero paura. Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era
accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di
andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato
indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. Non glielo permise, ma
gli disse: «Và nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha
fatto e la misericordia che ti ha usato». Egli se ne andò e si mise a
proclamare per
Veniamo
a quest’ora di Adorazione un po’ insolita, come un gruppo di facinorosi che
progettano una rivoluzione di notte. Forse dobbiamo tornare a raccoglierci
così, un po’ in ore desuete, inconsuete: lo facciamo in preparazione alla Festa
di San Paride, perché abbiamo bisogno di riaggregarci, di riprendere anche le
fila della nostra storia, lo facciamo davanti a Gesù Eucaristia con questo
brano del Vangelo di Marco molto colorito. Tra i racconti di liberazione dai
demoni, questo dell’indemoniato geraseno costituisce il racconto più
articolato. Ho scelto questo brano, perché San Paride ha sconfitto un drago che
teneva prigioniera Teano,
Come
si presenta il male? Lo sappiamo bene, ma adesso lo desumiamo da questo brano: innanzi
tutto, si manifesta come separazione. Dice il testo che questo indemoniato
aveva la sua dimora nei sepolcri – continuamente,
notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti… - quindi, è un uomo separato
dagli altri, dalla convivenza civile, dilaniato. L’uomo senza gli altri è
perduto, e l’azione del male ci separa, ci mette altrove, non ci fa incontrare:
lo sperimentiamo nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle coppie. Quando
non ci si capisce, quando ci si evita, quando ci allontaniamo l’uno dall’altro
è in azione lo spirito del male. Quindi, prima caratteristica del male: separa. Mentre Dio unisce, mentre lo
Spirito Santo è Spirito di comunione, il male serpeggia e divide le nostre
famiglie, divide i gruppi, divide le persone, divide gli amici, divide gli
sposi, divide le comunità ecclesiali: è il separatore per eccellenza. Seconda
caratteristica: è una forza apparentemente incontenibile. Dice Marco: Nessuno più riusciva a tenerlo legato
neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma
aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a
domarlo. Abbiamo, qui, un male nella sua manifestazione più grande.
Ovviamente, anche i mali crescono. Questo, inizialmente, era un male piccolo,
un male bambino, adesso è un male nel pieno della tempesta. Quando il male si
presenta a noi in questa forma così virulenta, così irruenta, così indomabile,
dobbiamo ammettere che questo male, entrato gradualmente e silenziosamente nel
nostro cuore, è stato lasciato crescere senza limite. Quindi, secondo aspetto
del male: è indomabile. Il male, a
volte, ci appare come una forza che travalica la nostra volontà di bene, ma
quello che è più importante è: Continuamente,
notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Gridava e si percuoteva con pietre. Il male è autolesionista, il male distrugge le persone che gli danno
ospitalità, il male entra chiedendo permesso, e ti butta fuori da casa tua, il
male viene vestito da lupo con la cuffietta della nonna, ma poi ti divora. È
importante questo aspetto del male che porta all’autodistruzione. L’abbiamo
sperimentato in noi, lo sperimentiamo negli altri, lo sperimentiamo nelle
famiglie: quando entra il male, non c’è più pace, le persone finiscono con l’armarsi
le une contro le altre o anche si infliggono delle ferite autoinfelicitandosi.
La scelta del male ti autoinfelicita.
Se tu vuoi essere infelice, all’atto in cui un cancro si attacca al tuo cuore,
tu cominci a farti del male. Uno dei libri di Anselm Grün - uno dei tantissimi
- monaco benedettino che ha conquistato i lettori di tutto il mondo, traducendo
le categorie spirituali in chiave psicologica, è “Non farti del male”. A noi
sembra assurdo che uno si possa far male scientemente, ma è così: quante persone
intorno a noi sono infelici a causa di se stessi!
Dice
l’evangelista che l’indemoniato “si percuoteva con pietre”. Abbiamo un quadro
dell’impero del male, una fenomenologia del male che troviamo in piccolo anche
in noi. Anche nei piccoli cedimenti noi pensiamo di farci del bene, di
autogratificarci, in realtà limitiamo la
nostra libertà e ci facciamo delle ferite. Poi, ci sono altre persone che si
autodistruggono e si portano fino alla morte.
Vi è
lo scontro tra Gesù e questo indemoniato (ovviamente è il demonio che parla in
lui): Visto Gesù da lontano, accorse, gli
si gettò ai piedi, e urlando a gran voce disse: «Che hai tu in comune con me,
Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non
tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da quest'uomo!».
Questo
accade anche nel nostro piccolo quando una persona buona, una persona in pace,
una persona in cammino spirituale, si avvicina ad un’altra che, invece, è in
questa azione di autodistruzione. L’altro - quello nella negatività - sente,
avverte, un disagio terribile. Forse, andando indietro nelle nostre esperienze,
possiamo anche noi ricordare un momento in cui la tranquillità, la beatitudine,
la felicità dell’altro, ci destava un nervoso terribile. Questa è l’azione di
incontro tra il bene e il male, tra persone che stanno salendo di tonalità ed
altri che si stanno lasciando trascinare in una dimensione negativa: quando si
incontrano, quando le rotte si intersecano, colui che è nella negatività
avverte una sorta di rigetto, di disagio nei confronti dell’altro (“Che hai?
Perché stai qui a tormentarmi, Gesù il Nazareno?”). Stasera siamo qui, cari
figli e figlie, per essere liberati, perché anche noi, nel nostro piccolo,
abbiamo bisogno d’essere liberati. La vita cristiana è una liberazione
continua, perché non abbiamo a finire nell’autodistruzione. Probabilmente,
stasera, appena abbiamo cominciato l’Adorazione, qualcuno di voi ha sentito un
nervoso… Ma perché a quest’ora? Potrei
stare altrove… Fa caldo… Starei meglio a fare una passeggiata, a prendere un
gelato con i miei amici… Perché il Vescovo ha fatto aprire
Gesù
gli chiede – non lo chiede all’interessato, all’uomo, ma al demonio che parla
in lui -: «Come ti chiami?». «Mi chiamo
Legione - gli rispose - perché siamo
in molti». Ovviamente, non voglio terrorizzarvi, stasera. Cosa significa
“mi chiamo Legione”? Significa che un male diventa madre di tanti mali, cioè
quando noi cominciamo a cedere in un aspetto - e qui faccio richiamo alla
vostra esperienza -, noi non siamo più solo manchevoli in quell’aspetto ma, a
partire da quella fenditura che si è aperta, a partire da quella lesione,
entrano altri mali e, quindi, diventiamo nervosi, non siamo pazienti, mandiamo
a quel paese le persone: è il male che si estende e chiama altri mali. Questo è
il senso di “mi chiamo Legione”, cioè non sono uno solo, perché il male si
riproduce, come si riproducono le cellule cancerogene, mistero negativo davanti
al quale gli oncologi sono sgominati e meravigliati: come può, una sola cellula
cancerogena, produrne altre mille, un milione? Adesso, non è il caso nostro,
però è importante capire che cedere su un aspetto, venir meno a un
comandamento, non è soltanto una mancanza puntuale, ma diventa, se non stiamo
attenti, l’inizio di un precipitare: Ma
com’è che mi sono trovato in questa situazione? Magari è partito tutto da
un semplice pensiero; il pensiero, poi, è diventato ossessivo, poi è diventato
azione, il male ha generato altri mali, ed ecco che mi trovo accerchiato da una
“legione”. Anche i teanesi, nella leggenda che i Padri ci hanno trasmesso,
vivevano in questa situazione: erano aggravati, distrutti, svenati da questo
drago (è un simbolo), da questa forza di male che teneva in gioco la città, che
chiedeva in sacrificio le energie migliori. San Paride viene a liberare Teano,
viene a liberare quella comunità, come Gesù. E ciascuno di noi, nella misura in
cui è unito a Gesù, dovunque va, genera energie positive - come si dice oggi -
genera pensieri buoni, fa allontanare orizzonti tenebrosi. Non c’è bisogno,
sapete, di fare gli esorcismi. Oggi, molti sono tifosi degli esorcismi, ma non
c’è bisogno, perché la semplice presenza, tanto più, poi, la celebrazione di un
Sacramento, mette in fuga le legioni che si sono annidate in un luogo, in una
casa, in una famiglia, nel cuore di una persona. Ci fermiamo qualche istante in
silenzio, per dire: questo racconto del Vangelo di Marco, dove Gesù agisce,
avviene anche adesso; Gesù è qui, davanti a te, anche se silenzioso, anche se
nascosto sotto i veli che il grano
compose - diceva il canto popolare “Inni e canti” - ma è qui e, quindi, può
liberarmi, può liberarti, può mettere in moto una serie di energie vitali,
mentre, invece, tu stai precipitando da un pensiero angoscioso all’altro. Basta
un attimo, basta entrare in una chiesa, per cominciare a respirare a pieni
polmoni. Lo sanno bene quelli che soffrono di asma, che hanno sentito il
respiro corto: cominciano a respirare normalmente e tutto l’organismo ne riceve
beneficio. Proviamoci.
Antifona:
Dona la pace, Signore,
a chi confida in te!
Dona la pace, Signore,
dona la pace!
La
pace che abbiamo chiesto per noi, per gli altri, è la tranquillità dell’ordine –
dice San Tommaso – cioè è la conseguenza di un rapporto equilibrato, dove ogni
cosa ha il suo posto. Il disordine è assenza di pace, l’ordine è pace.
Un’ultima
parola, prima di ricevere
Qui
c’è una nota molto importante, anche se apparentemente strana, perché chiedono
a Gesù di andarsene, e il motivo è: hanno paura, hanno paura che egli snidi
anche il demonio che è in loro, hanno paura di questo fatto, hanno paura di
questa nudità, hanno paura della libertà nella quale è entrato quest’uomo.
Questa paura è fuori del normale e appartiene ad ogni contatto vero con la vita
spirituale, ad ogni contatto vero con Dio, appartiene ad ogni vero incontro con
Gesù e, quindi, anche noi, stasera, vorremmo che finisse presto questa
preghiera, perché, forse, sentiamo dentro anche un nervoso… (Chiudiamo le porte della cattedrale, in modo
tale da dedicarci subito alle nostre cose, ai nostri commerci!). Chi viene
a portare la pace, porta anche uno squilibrio: porta uno squilibrio nel male
che si era creato, porta uno squilibrio in una situazione dove ormai regnava
una rassegnazione (Sono così, non posso
farci niente! È inutile che mi diate mete più alte: al massimo, posso stare qui
a starnazzare…). Ma, ecco, nel momento in cui qualcuno ti apre una
possibilità nuova, sulle prime, ci credi e vi aderisci con stupore, ma poi
cominci ad avere paura. Noi dobbiamo ammetterlo, stasera: abbiamo paura della
santità, abbiamo paura del bene, abbiamo paura di una vita sana, abbiamo paura
dell’equilibrio. Voi dite: “Ma no! Cosa sta dicendo il Vescovo? Forse a
quest’ora il suo cervello non è connesso bene…”. No, no: sto dicendo una cosa
vera, di cui sono convinto, ma il fatto che ne sia convinto io è del tutto
irrilevante. Sta di fatto che questa cosa è scritta nel Vangelo: Gesù, che ha
operato il prodigio, viene invitato ad andarsene.
-
Vattene! Lasciaci
qui! Lasciaci in pace!
-
Ma come? Io ho
guarito un vostro concittadino…
-
No, no, vattene! Vattene!
È
accaduto anche a San Paride: ecco perché ho scelto questo brano. Seguendo il
racconto che dovreste conoscere bene, all’atto in cui Paride sconfigge il
dragone, restituendo la libertà, la vita piena ai teanesi, non riceve la
cittadinanza onoraria, non riceve una medaglia, non riceve un attestato di
salvatore della patria, ma viene perseguitato. Possibile? Possibile. Coloro che
egli aveva liberato, si organizzano per farlo fuori (come vedete, il Vangelo si
riscrive, si riedita nella vita dei santi). Allora, i sacerdoti presenti non
abbiano paura d’essere perseguitati, quando fanno il bene, quando aprono
orizzonti di santità negli altri: nessuno ti dirà grazie, ma troverai molti
nemici tra quelli che hai beneficato, perché il passaggio dal bene al male o
dall’equilibrio allo squilibrio, crea una sofferenza. I teanesi si erano
abituati al drago, abituati a dargli in pasto le loro figlie, era entrato
nell’ordine delle loro idee, come è entrato, purtroppo, nell’ordine di idee di
molte persone, oggi, che il male… Che ci
possiamo fare! Ma se viene qualcuno e dice “Voi potete essere liberi, voi
potete cambiare!”, sulle prime gli credete, ma poi lo zittite, perché la vita
di prima ci chiama, perché il male compiuto a lungo crea un’assuefazione,
l’assuefazione crea una dipendenza e la dipendenza non si vince facilmente. Ma
qui c’è Gesù – vi lascio con questo pensiero di consolazione - qui c’è Gesù che
sradica il male, dandoci anche la medicina per superare le nostre crisi di
astinenza dal male, perché ci sono anche crisi di astinenza dal male. Vado al
Campo- Scuola (vedo qualcuno - pochissimi - dei 180 presenti al Campo-Scuola:
il Vescovo li ha fatti stancare e stasera sono rimasti a casa a riposarsi) e
torno con entusiasmo, ma poi, dopo qualche giorno, mi viene un nervoso rispetto
a quello che ho sentito, rispetto a questo progetto nuovo che ho fatto, ed è
tanta e tale la sofferenza, che ricado, mi rimetto sul binario di prima e torno
alle mie abitudini.
Gesù,
abbi pazienza con noi, donaci forza per superare una, due, cento crisi
d’astinenza. Noi non ti diciamo “vattene”, e anche quando noi te lo dovessimo
dire, tu resta, perché non è il meglio del nostro cuore che te lo dice, ma il
peccato che vuole continuare ad abitare in noi: vieni, salvaci, donaci pace.
Canto: Adoriamo il Sacramento
Benedizione Eucaristica
Canto: Salve Regina
***
Il testo, tratto
direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.