San Paride “by night”

Concerto-Preghiera

Cattedrale di Teano, 2  agosto 2009

Meditazioni

di

S. E. REV. MA MONS. ARTURO AIELLO

“REGALITÀ”

 

Organo: M° Maria Teresa Roncone

Tromba: M° Vincenzo Riccio, M° Nicola Tartaglia

 

 

M.E.BOSSI  Entrata Pontificale (organo)

 

Nel nome del Padre…

 

Iniziamo questa seconda sera - che è un tentativo di prepararci alla Festa di San Paride - coinvolgendo delle persone, anche lontane, che avrebbero utilizzato altrimenti questa ora, ancora calda, della notte. Vogliamo pregare, questa sera, preparandoci alla Festa del Santo Patrono, con l’ausilio della musica, musica di alto valore. Ho dato un titolo a questa serata – regalità - che mi sembra che non sia legato ad una nostalgia dei tempi andati, di teste coronate, di strascichi, di gioielli, di abiti gonfi, di inchini, di regge, di ori, ma piuttosto è un invito alla vita spirituale. La vita spirituale dei Santi - anche quella di San Paride - ci chiama a questo, a una vita regale, perché ci si scopre alla corte del Re per eccellenza, del Re dei re, che è Dio stesso e, in qualche maniera, partecipiamo della Sua regalità, della Sua luminosità, della Sua solennità. Abbiamo iniziato col brano “Entrata pontificale” per solo organo. Probabilmente la nostra vita va male, e così anche la nostra società, perché abbiamo abbassato il tiro, siamo tutti tremendamente rassegnati, tutti, in qualche maniera, abituati a nuotare nel fango e, invece, i Santi ci richiamano a questa dimensione bella, alta, luminosa della vita, che è espressa in questo termine: regalità. Le trombe d’oro ci richiamano ambienti di corte, le liturgie, il re e il suo seguito. Vogliamo, in qualche maniera, lasciarci coinvolgere da questi suoni, da queste sollecitazioni sonore, per approfondire la nostra dimensione di regalità, la nostra dignità. Lo farò con piccolissime riflessioni.

 

H.PURCELL Trumpet Tune (trombe)

 

G.F.HANDEL Mit Trompeten und Hornern (tromba)

 

Siamo già nella tonalità nella regalità. Questi due brani ci hanno immesso in un’atmosfera che non è estetizzante: non riguarda gli ambienti, non riguarda gli abiti, ma riguarda il cuore, un cuore che si sente amato, scelto, prescelto, che avverte una dignità incomparabile. Molti di voi hanno pensato questo, ascoltando questi brani che, chiaramente, ci trasmettono un messaggio che diventa un incedere solenne, ma questo non riguarda solo alcuni momenti della nostra vita (per alcuni di voi, il giorno del matrimonio: le donne fanno le prove e vivono nell’attesa e nel ricordo del loro ingresso solenne nel giorno del matrimonio), non riguarda alcuni giorni, ma riguarda la vita, cioè questa solidità, questo camminare con dignità, questo senso di altezza - nell’antichità ci si rivolgeva al re con “Sua altezza” - questa dimensione di altezza appartiene alla nostra vita battesimale. La regalità dev’essere chiara, deve evincersi dalla nostra vita, anche quando facciamo le cose più umili, più quotidiane, più nascoste, perché il re non è re soltanto quando è in pubblico, quando deve svolgere le mansioni ufficiali dovute al suo rango. Il re è re anche nelle stanze segrete della reggia: qualsiasi cosa egli pensi, qualsiasi parola dica, qualsiasi azione compia, egli deve farlo con regalità, che è - come vi dicevo - il motivo conduttore della nostra Preghiera.

Qual è il contrario della regalità? La volgarità. E non mi riferisco soltanto a ciò cui pensiamo quando utilizziamo il termine “volgarità” riferito alle parole, al modo di esprimersi. La volgarità, nel suo senso originario, era il modo di vivere il volgo, proprio in opposizione al re. Tutto quello che faceva il re, che pensava il re, che diceva il re, era regale, e tutto quello che pensava, diceva, faceva il volgo era volgare. Quindi, “volgare” è ciò che appartiene al volgo, e il volgo è vulnerabile, il volgo è insignificante. Adesso, non raccogliete queste mie parole con le categorie sociali che, purtroppo, hanno inquinato quello che di buono conteneva questa differenza. Un cristiano non può essere volgare - e, ripeto, non mi riferisco solo alle parole che oggi sono entrambe del discorrere comune – ma, riconoscendo la sua dignità, riconoscendo da Chi è stato salvato, riconoscendo quanto è stato versato per il suo riscatto, cioè il sangue del Figlio di Dio, il cristiano riscopre una sua dimensione di bellezza che deve tenerlo lontano. Il re è lontano dal volgo, dalla volgarità e, quindi, dalla vita insignificante, perché tutto quello che il re fa, ha importanza, è solenne. Ripeto: se ci svestiamo della rilettura sociale e di classi, che queste parole hanno avuto nel vocabolario e nella storia, noi attingiamo, stasera, ad una dimensione spirituale. Per cui la Festa dei Santi, quindi anche la Festa di San Paride, viene a ricordare a ciascuno di noi: Tu sei cristiano, tu appartieni a Cristo, tu devi avere i pensieri di Cristo, tu devi avere - dice San Paolo nella Lettera ai Filippesi - i suoi sentimenti, cioè ti devi nutrire della sua vita e questo ti porterà irrimediabilmente - volutamente rischio, questa sera - a vivere in una dimensione aristocratica della vita (ripeto, non ne parlo sul piano sociale). San Paride ci ottenga la grazia di uscire da questo Concerto-Preghiera, restando uniti nella nostra sana e santa dignità: Tu sei il figlio del Re, tu non puoi permetterti certe parole, certi gesti che appartengono al tempo in cui tu eri del volgo, perché noi eravamo nel volgo (tutti), ma il Re ha bussato alla porta poverissima di una casa di campagna e – ohimé! - si è innamorato di una ragazzina scalza, lacera, dai natali poverissimi e l’ha portata a corte. Questa bambina, questa ragazza, questa adolescente, che non avrebbe avuto nessun futuro luminoso, vede aprirsi un orizzonte insperato, all’atto in cui il Re bussa alla sua porta, e non per farle pagare i dazi di turno, ma per dirle: “Vieni a corte, mi sono innamorato di te”. E questa pastorella, questa ragazza lacera, viene rivestita di vesti bellissime, di gioielli preziosissimi, e viene condotta a corte. Questa è la nostra condizione, questa è la condizione della mia anima. Ecco, allora, dimentica la casa di tuo padre - dice il Salmo 44 - il re si è invaghito della tua bellezza; egli è il tuo Signore, prostrati a lui. I Santi hanno vissuto così.

 

J.BRAHMS Preludio in Sol minore (organo)

 

J.CLARKE Trumpet voluntary (tromba)

 

I Santi camminano in alto,

volteggiano come aquile reali

nel cielo dell’amore.

Come noi sono fatti di fango,

ma non si rassegnano

ai pesi e alle zavorre dei bisogni

e lanciano in alto i sogni

finché Dio non si stanca

e li rapisce nella luce.

 

Queste parole fanno da traccia al nostro cammino, che è un cammino artistico e un cammino spirituale al tempo stesso. Vogliamo chiedere la grazia di non accontentarci. I Santi volano in alto come aquile reali, dice il testo che avete sul foglietto. Si può volare a diverse altezze: sta a noi decidere a quale altitudine vogliamo volare. Quando siamo in aereo, il pilota dice: “Stiamo a  diecimila piedi”, e il passeggero non sa mai conteggiare questi piedi a quanti metri corrispondono. Comunque, le rotte sono a varia altezza, proprio per evitare che ci siano delle collisioni, ma sta a noi decidere a quale altitudine volare, a quale altitudine vivere, quale stile di vita scegliere. I Santi (anche San Paride) vengono a ricordarci che si può volare molto in alto e ci si può non accontentare, perché spesso serpeggia tra noi una sorta di rassegnazione: Bisogna accontentarsi… La vita offre questo… Accontentati: chi si accontenta gode… Non è vero: c’è un accontentarsi positivo, come c’è un accontentarsi che sa di rassegnazione e di morte. Non è vero che chi si contenta gode, piuttosto, i Santi hanno vissuto una sorta di scontentezza, cioè non si sono rassegnati neanche alle loro povertà. Dice il testo: Come noi sono fatti di fango; hanno tutti i nostri bisogni, ma hanno lanciato in alto i sogni. Essere devoti di un santo, e chiederne l’intercessione, non è finalizzato a questo o quel miracolo ma, piuttosto, a un riprendere quota. La Festa di San Paride dovrebbe aiutare la nostra Chiesa a riprendere quota, perché è scesa di livello, è scesa di quota. Magari anche tra noi, tra noi preti, potrebbe serpeggiare la tentazione… “Che ci possiamo fare… Eccellenza, accontentatevi: che volete?”. No, non bisogna accontentarsi. I Santi volano in alto.

Adesso, ascolteremo, per solo organo, la trascrizione di un brano di Vivaldi. Voglio prendere spunto da questo particolare. Duecento anni dopo che Vivaldi aveva composto questo concerto, Bach fa una trascrizione. Che significa una trascrizione? Significa che questo concerto, probabilmente, era stato pensato per una piccola orchestra di archi e viene trascritto per organo. Attenti: una trascrizione non è una semplice traduzione (prendo una nota e la rimetto), perché la tecnica degli archi, dei violini, delle viole e dei contrabbassi, ovviamente, è diversa dalla tecnica organistica. Allora, il genio cosa fa? Prende quello che è il motivo del concerto e lo mette nelle potenzialità dell’organo a canne. Dunque, non è una semplice traduzione, ma qui si incontrano due generi: si incontra il genio di Vivaldi e si incontra il genio organistico di Bach. Perché questo riferimento? Perché la Santità è una trascrizione. È una trascrizione, perché il santo per eccellenza è Gesù, ma il concerto di Gesù di Nazareth (la sua morte, la sua resurrezione, la sua predicazione, i suoi gesti, la sua vita nascosta) viene assunto dal semplice fedele, uomo o donna che sia, laico o vescovo che sia, e il messaggio e il concerto di Gesù vengono trascritti nelle categorie, nella sensibilità, nella creatività dell’uomo, che raccoglie il messaggio, e non lo copia semplicemente, ma lo trascrive. Anche noi, oggi, siamo chiamati a trascrivere il Vangelo, che non significa “prendi il Vangelo e copialo”, no: lo devi trascrivere con la tua calligrafia, lo devi trascrivere con le categorie culturali di oggi, lo devi trascrivere con la tua sensibilità. Ecco, allora, come nascono i Santi. I Santi nascono nel tentativo riuscito di trascrivere il Vangelo in un’altra epoca. Erano passati quattrocento anni e più quando San Paride trascrisse il Vangelo e, ovviamente, lo trascrisse col suo genio. La Santità è trascrizione del Vangelo, come è trascrizione questo concerto di Vivaldi col genio di Bach.

 

BACH-VIVALDI Concerto in La minore (organo)

 

Abbiamo ascoltato un concerto barocco con tre movimenti, tradotto, trascritto, letto dal genio Bach. Pensavo - continuo su questo tema della trascrizione - se dal Settecento al Duemila non possa esserci un altro pilone del ponte, perché un ponte è gettato su vari piloni. Forse tra noi c’è chi può trascrivere questo brano? E a che servono queste trascrizioni? (Non parlo dal punto di vista musicale) Servono per gettare, poi, il ponte su queste campate, su questi piloni, su queste teste di ponte. Si fanno questi piloni e, poi, vi si appoggia il ponte, su cui le persone passano. I Santi sono questi piloni su cui si getta il ponte della cristianità: a partire dagli apostoli, poi i martiri del primo secolo, Ignazio di Antiochia, che mi viene in mente in questo momento, San Benedetto, Agostino… Poi arriviamo all’anno Mille. San Paride è del IV secolo (e stiamo prima di Benedetto), Francesco e Domenico del 1200-1300, Ignazio e Santa Teresa d’Avila sono grandi Santi del Cinquecento, Sant’Alfonso, che abbiamo celebrato da poco, è del ‘700, tutti i Santi dell’‘800 come San Giovanni Bosco e tutti quelli dell’apostolato, fino a Madre Teresa e Giovanni Paolo II, cioè i Santi di oggi… Come vedete, la storia della cristianità si poggia su queste colonne. Il problema è che se non ci sono le colonne, non si continua, il ponte non va avanti. Quindi, per dirla col tema della trascrizione, c’è bisogno di alcuni - speriamo di tanti - che dicono: “Adesso, io ho uno strumento diverso. Non mi piace l’orchestra di archi dell’ottimismo Barocco, non mi piace neanche la perfezione di Bach alla tastiera: ho, oggi, una strumentazione diversa, e con questa strumentazione io posso trascrivere”. Questo mi dà la possibilità di specificare cos’è l’imitazione: che significa imitare i Santi? Significa che devi fare quello che ha fatto San Paride?, quello che ha fatto Santa Teresa di Gesù Bambino? Allora, leggo la vita dei Santi e… Questo succedeva quando noi eravamo ragazzi: ci facevano leggere i libri dei Santi e, per due o tre giorni, io ho cercato di travestirmi da San Luigi Gonzaga… Ma questo non è giusto. Tu devi sentire che San Paride ha trascritto il concerto di Gesù, ma eravamo nel IV secolo. Adesso, nel 2000, questo concerto va trascritto in una maniera diversa: è lo stesso motivo, è lo stesso concerto, ma se noi avessimo ascoltato questo concerto da Vivaldi, nel modo con cui Vivaldi lo ha composto, avremmo avuto altre sensazioni, avremmo avuto altre immagini (la musica è evocativa di immagini). Quindi, la trascrizione non è una semplice fotocopia. I Santi sono tutti diversi, come le stelle (stasera c’è la luna piena e di stelle ne vediamo poche). Le stelle che vediamo sono tutte stelle, ma l’una è diversa dall’altra: così i Santi nel firmamento della Santità. Non c’è un santo uguale all’altro, perché gli strumenti sono diversi, eppure trascrivevano tutti lo stesso concerto. Allora, mi chiedo: io, che mi sto preparando alla Festa di San Paride, come devo trascrivere questo concerto? Questo significa conoscere me stesso, conoscere l’aspetto del mio strumento, perché poi, alla fine, il grande problema è che noi non ci conosciamo e, quindi, finiamo con l’essere delle semplici fotocopie. Magari fossimo fotocopie di Santi! Purtroppo siamo fotocopie di idoli del calcio, di idoli di rotocalchi, di cantanti e di altri che cercano di dirci come dobbiamo fare. È bello considerare questa unicità nella continuità. San Paride non è San Casto: pur avendo agito in territorio vicinissimo, ciascuno ha la sua identità, così come i vescovi, così come i parroci, così come i genitori, così come i figli. Non puoi pretendere che tuo figlio suoni un concerto che hai scritto tu, tale e quale, perché sarebbe una cosa innaturale. Lui, col suo strumento, potrà aggiungere voci e variazioni sul tema che - speriamo - tu gli hai affidato con la tua testimonianza.

 

E.MORRICONE Medley (trombe)

 

C.FRANCK Preludio in Si minore (organo)

 

M.RONDEAU Voluntary in Sol (trombe)

 

Come noi sono fatti di fango,

ma non si rassegnano

ai pesi e alle zavorre dei bisogni

e lanciano in alto i sogni

finché Dio non si stanca

e li rapisce nella luce.

 

Andando verso la conclusione, sottolineiamo questa caparbietà dei Santi. Bisogna volerlo con tutte le forze: volerlo e poi volerlo di nuovo. La Santità è questa testardaggine d’esser santo, oltre che un dono di Dio, finché Dio non si stanca - dice il nostro testo - perché bisogna stancare Dio, a furia di chiederGli con insistenza questo dono: d’essere una delle colonne, d’essere un pilone su cui tanti passeranno, senza rendersi conto che sono sostenuti dalla preghiera, dal sacrificio, dai pensieri alti di questo o quel santo. Noi facciamo una preghiera di tanto in tanto, poi ci stanchiamo subito di fare una richiesta, ma Dio chiede dei combattenti, Dio vuole degli oppositori e, in qualche maniera, il santo è un oppositore di Dio - lo dico in una maniera paradossale - cioè lotta con Dio, chiedendoGli - penso a San Paride nella lotta col dragone - la liberazione del popolo, ma anche la liberazione di sé. Quindi, alla fine, Dio si stanca e - dice il testo - li rapisce nella luce. Dobbiamo stancare Dio per diventare uomini e donne significativi.

Adesso, ascoltiamo il brano, in assoluto, più famoso del repertorio organistico: la Toccata  e fuga in Re minore di Bach. La conoscete tutti, ma è interessante, adesso, avendo di spalle Maria Teresa, vedere che, dopo un’esecuzione della “Toccata e fuga”, ci sarebbe bisogno di un ristoro, perché è una fatica immensa. Vorrei darvi soltanto la tecnica, per così dire, della fuga: perché si chiama fuga? Nella toccata ci sono delle note appena toccate, e anche un po’ staccate; invece la fuga, che segue la toccata, è una forma musicale che, dal punto di vista organistico, esprime un tempo, e lo esprime con la destra, esprime un tema musicale, un motivo, e, ovviamente, è un motivo fugato, e anche piuttosto movimentato. Questo tema viene orecchiato dalla sinistra, che comincia a mettersi in fuga dietro il tema, ripetendolo. Quindi, abbiamo la destra che fa il tema, la sinistra che segue il tema e, non  avendo altre braccia, l’organista ricorre alla pedaliera e, quindi, il tema passa ai pedali. In questo rincorrersi dello stesso tema (destra, sinistra e pedali), ecco il tema fugato. Perché lo dico? Perché la Santità è anche questo: volere una cosa con tutte le forze e ripeterla. Nei pensieri, nei sentimenti, nelle azioni, noi normalmente siamo frazionati: una cosa fa la destra, una cosa fa la sinistra… Tutti per i fatti loro e, quindi, siamo lacerati. Invece, il tema fugato è un invito, nella diversità, ad inseguire lo stesso tema. Ho fatto questa piccola nota tecnica, anche per aprire uno spiraglio su quello che dovremmo essere, su quello che dovremmo diventare. I Santi sono unificati, cioè, da qualsiasi parte tu li guardi, sono se stessi: non sono contraddittori, non ti dicono una cosa e ne fanno un’altra, non pensano una cosa e ne dicono un’altra. È lo stesso tema in fuga dalla mente, ai sentimenti, alle azioni, alle parole… Ascoltiamo.

 

J.S.BACH Toccata e fuga in Re minore (organo)

 

Dopo questi dieci minuti di galoppo, ci sarebbe bisogno di una cura ricostituente. Concludiamo questo nostro percorso con l’ultimo verso - e li rapisce nella luce – che, sicuramente, avrete tradotto con “li fa morire, li porta in Paradiso”. No. “Li rapisce nella luce” esprime la bellezza dei Santi per i loro contemporanei. I Santi rapiti nella luce sono i Santi con l’aureola. Perché nella nostra rappresentazione iconografica abbiamo posto le aureole sulla testa dei Santi? (L’avete anche voi: non la nascondete, la vostra aureola) È un modo per dire: è una persona illuminata e illuminante, una persona che partecipa della luce, divenuta luce essa stessa. Quindi, “li rapisce nella luce” è: li ammette alla contemplazione di Sé, ma restando nella carne, restando nel mondo, restando nella storia. Questo cammino di rapimento è un cammino anche di dolore. Non è solo entrare in questa fuga, come abbiamo ascoltato poc’anzi, ma è anche un essere purificati. Il dolore appartiene alla nostra vita e ci sono due modi per viverlo: ribellandosi – ma capite che è inutile – o vivendolo con la regalità che, questa sera, abbiamo cercato di tratteggiare. Gesù sulla croce è il Re, è il Cristo Re innalzato sul trono, ha una sua regalità, anche nel momento della sofferenza. Mi chiedo se sia possibile anche a noi, nel nostro piccolo, vivere un dolore con regalità. Noi usiamo un altro termine nel linguaggio comune, quando diciamo: “Quella persona soffre, ma lo fa con dignità”. La dignità del dolore si chiama regalità, quindi, soffrire senza disperarsi, ma in silenzio, con forza, con quella dignità che ha il re, anche nei suoi momenti no, anche nelle sue stagioni difficili.

 

Innanzi tutto, diciamo grazie al Signore, che ci ha tenuti qui. Mi rendo conto che la sagra dei sapori attirava di più, però poter gustare l’arte, riempie più di qualsiasi pizzetta o rustico che si possa assumere. Poi diciamo grazie ai nostri tre artisti, che si sono fatti strumento in tutti i sensi: l’artista suona lo strumento, ma è strumento egli stesso, perché suona, è concentrato. Pensate a una nota stonata a una tromba: è la fine, no? Perché, magari, una falsa nota al violino si sente e non si sente, ma la tromba non perdona. Questo vale per tutti gli strumenti, ma, in particolare, per questi strumenti che hanno un timbro forte: o s’imbrocca o è la fine! Per cui, grazie a loro tre che, oltre ad aver suonato con arte i loro strumenti, ci hanno aiutato e si sono fatti strumento. L’appuntamento, per domani sera, è nel giardino dell’Episcopio. Non vi assicuro che avrete tutti un posto a sedere, ma le persone più anziane e gli adulti potranno trovare una sedia. Staremo al fresco, reciteremo un Rosario e la Compieta. Alle ore 21:45 potete varcare il portone dell’Episcopio e sistemarvi. Spero che usciate di chiesa con questa musica, con queste trombe regali, con un portamento interiore, con un comportamento più alto, più luminoso, meglio legato alla vostra identità di figli di Dio, alla nostra identità di figli di Dio.

 

Benedizione del Vescovo

 

A.VIVALDI Concerto in Do per due trombe, archi e cembalo (trascriz. di V.Leskò)

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.