CONCERTO DI NATALE

 

Coro Polifonico

Laudate Dominum e Pueri Cantores

 

Direzione musicale

Maestro Organista: Maria Teresa Roncone

 

Sabato, 26 Dicembre 2009

Chiesi Santi Cosma e Damiano

Vairano Scalo

 

Meditazioni

di

S. E. Rev.ma Mons. Arturo Aiello

 

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Prima meditazione

 

Il concerto è un’occasione per continuare a celebrare il Natale: non è una parentesi, ma ne è la naturale continuazione. Vorrei, in questi tre brevi commenti, sottolineare tre parole. La prima, anche se non è scritta così come sto per dirla, viene dal Magnificat, che abbiamo appena ascoltato, ed è il canto di Maria che la Chiesa ripete ad ogni vespro: grazie è una parola centrale nella vita, ma anche centrale nell’esperienza del Natale. Diciamo grazie – spero – per i doni che riceviamo, ma dobbiamo innanzi tutto dirlo per il Dono dei doni. Se a Natale ci scambiamo dei doni, non è una consuetudine, ma è – permettetemi questo termine tecnico – un sacramentale. Il sacramentale è un sacramento un po’ “diluito”, per cui i doni che riceviamo e che diamo, diventano un segno del Dono. Il Dono è posto in alto (qui è visibile a tutti nell’immagine della Natività) ed è il Dio-con-noi, l’Emmanuele. Per questa realtà centrale della nostra fede, noi dobbiamo saper dire grazie. Allora, Natale è dire grazie; è una Chiesa, è un popolo, è una famiglia, è un singolo che scopre d’aver ricevuto tanti doni. È vero che, normalmente, a Natale, noi sottolineiamo quello che manca, le persone che non ci sono, l’economia che non si riprende, lo stipendio che non ci fa arrivare a fine mese, ma è così nella vita, cari fratelli e sorelle: noi sottolineiamo quello che ci manca, e non vediamo, invece, tutto quello che ci è dato. Per quello che ci è dato, dovremmo saper dire grazie. Dicendo grazie, noi entriamo anche in una dimensione terapeutica della vita, perché il grazie ci fa sorridere, il grazie ci fa riconoscere il dono, il grazie ci fa dire: “Quest’anno potevo non esserci e, invece, ci sono”, come dicevano i nostri nonni: “Il Signore ci ha fatto vedere un altro Natale”. Adesso siamo così “colti”, che non riusciamo più a percepire la gioia d’esserci, cioè nel Natale 2009 io ci sono e questo è un dono enorme che deve farmi cantare “Magnificat!”. Ma il mio esserci non avrebbe significato, o sarebbe poca cosa, se insieme con me, non ci fosse Dio stesso: Dio è venuto ad abitare tra di noi, a casa vostra, nei vostri condomini, nella vostra parrocchia, è venuto ad abitare la Chiesa, si è fatto carne per stare con noi. Ecco, continuiamo la preghiera che questo concerto contiene e verso cui indirizza il nostro pensiero e i nostri sentimenti, cantando il nostro grazie. Ricordatevi che se dite grazie più spesso, voi state meglio. Forse, i medici avrebbero meno lavoro da compiere, se ci fosse maggiore riconoscenza, se alzandoci la mattina, sottolineando che ci viene donato un nuovo giorno, noi avessimo la sensibilità di dire ogni volta: “Grazie, si è fatto giorno anche oggi: anche oggi mi sono svegliato, anche oggi sono vivo, anche oggi sono salvato”.

 

Seconda meditazione

 

La seconda parola è luce. Abbiamo ascoltato un canto alla notte illuminata[1] perché la notte ha sempre creato problemi; oggi, un po’ meno, perché la illuminiamo, ma la notte, nelle esperienze dei primi secoli, nel lungo cammino dell’uomo che diventava uomo, era un momento difficile, addirittura tragico. Dunque, c’è l’esigenza della luce, che si faccia giorno. Chi fra voi - spero tutti - abbia partecipato alla Messa di mezzanotte, ha ascoltato il brano di Isaia: Il popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Il Natale è questo: una notte illuminata. È importante che non si dica che “la notte è vinta del tutto”, ma “una notte illuminata”. “Notte” indica il nostro stato comunque problematico, la nostra vita segnata da tanti limiti, ma questa notte non è senza stelle: ha un Sole che sorge e che si chiama Gesù, il Figlio di Dio incarnato. Questi due elementi, cari fratelli e sorelle (notte e luce, buio e luce, tenebre e splendore), vanno sempre insieme nella nostra vita: non esiste un giorno pienamente luminoso, non esiste una notte completamente oscura. Dunque, il Natale ci pone nell’attitudine a visitare le nostre notti. Non è un caso che la celebrazione natalizia, cuore del Natale, avvenga nella notte: la Chiesa si riunisce e sente di annunziare che questa notte finirà. Non è un caso che la notte di Natale richiami un’altra notte, un’altra veglia, che è quella di Pasqua dove, al centro, c’è nuovamente il segno della luce. Dunque, invochiamo la luce e sentiamo che la luce, anche piccola in fondo all’orizzonte che annuncia il giorno, è l’unica via per superare la depressione (non vi sembri strano nominare la depressione in questo discorso sulla notte e il giorno). I popoli del Nord Europa, dove c’è la lunga notte (pensate alla Scandinavia, alla Norvegia…), vivono un inverno lunghissimo e una notte che non finisce. Io conosco qualche persona che ha vissuto in Finlandia che mi comunicava la difficoltà di un’ora di luce (un bagliore, un piccolo chiarore) e poi niente. Questi popoli vanno più incontro di noi alla depressione. Noi siamo un popolo solare, siamo contenti di vivere qui, di vivere in Italia: più si va verso il Sud, più si è solari; più si va verso il Nord, più si è piuttosto freddi, e la matrice di tutto ciò è anche l’essere esposti, più o meno tempo, al sole, alla luce. C’è, ed è anche scientificamente dimostrato, che i fotoni mettono in moto delle energie positive dentro di noi e, invece, la notte accumula negatività. Anche quelli fra voi che sono un po’ più tendenti al depressivo, quando fa scuro, quando fa notte, quando si è in inverno, hanno più difficoltà a credere alla speranza, a farsi forza, a svolgere le mansioni che ci sono affidate. Questi non sono discorsi giustapposti (sembra che io sia passato dallo spirituale al concreto, alla vita, alla depressione): Gesù-Luce è Colui che vince ogni tenebra, ogni problema, ogni notte e, dunque, stasera, è bello stare qui anche in penombra e vedere la Natività illuminata. Nel buio del mondo, del peccato, del disordine, del “tutto va male”, c’è una stella.

Rivivremo l’elemento della luce nella Solennità dell’Epifania, ma ricordatevi che la stella non è solo ciò che ha guidato i Magi, ma la stella è Gesù stesso: è Lui la Luce (riascolteremo Isaia, nuovamente, che dice: Alzati, rivestiti di luce). Per cui “buon Natale” significa anche che si sta facendo giorno nella vita del mondo e nella tua: lasciati illuminare da Cristo.

 

Terza meditazione

 

La terza e ultima parola che il Vescovo vi affida è bambino (ne abbiamo qui una folta schiera) per tre motivi. Il primo – quello, ovviamente, centrale dell’annuncio del Natale - è Dio Bambino. Se, in questo momento, doveste invitare il Vescovo a casa vostra a prendere un caffè, vi mettereste in cerimonie: non così davanti a un bambino. Davanti a un bambino non si fanno cerimonie, un bambino ci dà la possibilità di rapportarci a lui immediatamente, senza aver bisogno di paroloni, senza timore di sbagliare la grammatica; se anche non sappiamo parlare bene, sappiamo – tutti - parlare ai bambini. Per questo Dio si fa bambino: perché non vuole metterci in cerimonie, perché Dio è sempre al di sopra di noi, al di sopra della nostra portata. Allora, come faccio a parlare con Dio? Dovendo scegliere la natura umana, scegliendo di salvarci attraverso l’incarnazione, Dio ha voluto anche seguire l’evoluzione, e la vita umana comincia con l’infanzia. Quindi, bambino è Gesù Bambino. Poi bambino, nel Natale, richiama i bambini. Pasquale, il seminarista che è qui con voi, ci ha riportato una parola sentita qui da un bambino che diceva alla mamma: “Mamma, ma com’è che è Natale una volta l’anno?”, cioè il bambino, vedendo lo scintillio, i sorrisi, i regali, l’atteggiamento di bontà delle persone, si è detto: “Forse sarebbe il caso che facessimo Natale una volta al mese, una volta alla settimana…”. È una domanda intelligente: “Mamma, com’è che è Natale solo una volta l’anno?”. Allora, bambino, in questa seconda lettura, è mettersi alla scuola dei bambini, cioè il Natale è loro, il Natale è possibile viverlo meglio quando c’è un bambino, quando in casa arrivano i bambini: allora, anche per noi grandi, attraverso i loro occhi, si aprono degli squarci. Quindi, bambino come candidato ideale del Natale e ciascuno di noi ricorda i Natali dell’infanzia, lo splendore dell’albero… Magari, erano cose povere, ma era la nostra infanzia, e l’infanzia ha la possibilità di trasfigurare la realtà che, purtroppo, da grandi, noi rischiamo di perdere. Dico “rischiamo”, perché il terzo riferimento al bambino siamo noi. Vi auguro, cari fratelli e sorelle, che questo Natale risusciti, risvegli il bambino che sta dormendo in qualche sottoscala della vostra vita, perché è vero che l’infanzia è un tempo preciso - e purtroppo limitato - un tempo d’oro (tempo d’oro della vita d’infanzia), ma è anche vero che qualcosa di questo bambino rimane dentro di noi e, quindi, lo sforzo dei poeti, ma anche della fede cristiana, è di risvegliare il bambino che è dentro di noi. Gesù, su questo, non ha dubbi: Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli. È difficile credere, da grandi, da scienziati, credere con le nostre prosopopee; invece, è facilissimo per loro. Se arrivasse qui un angelo, questa bambina non batterebbe ciglio - Oh, è arrivato un angelo! - perché per un bambino, un angelo è una realtà concreta. Invece, noi: Ma ci saranno gli angeli?, non ci saranno? E che sesso hanno? Tutti gli appesantimenti di noi grandi… Allora, risuscita il bambino che è in te. Lo diceva anche Pascoli e lo dicevano anche tanti altri poeti, ma soprattutto ce lo dice Gesù in questo Natale. Quindi, Bambino Gesù e i bambini come invitati d’onore di ogni Natale. Ben venga, accanto al coro ben formato dei professionisti e alla bellissima voce di Raffaele, la presenza della voce di questi bambini che dicono: “Natale è nostro”. Riappropriatevi del vostro Natale, perché è solo vostro. Ma, allora, non c’è niente per noi? Sì, c’è qualcosa anche per te, se tu riesci a risvegliare il bambino, la bambina che giace da qualche parte dentro di te, nella tua vita. A volte, basta un profumo, una parola, una filastrocca di Natale, un canto, una suggestione, per riportarci al tempo della nostra infanzia. La vita cristiana - e chiudo così - è tra due infanzie: l’infanzia cronologica e l’infanzia spirituale. Se ci fate caso, gli anziani tornano ad essere un po’ bambini, ma la vita è tra un’infanzia e l’altra: senza aspettare di diventare bambini, da anziani, cerchiamo di esserlo già oggi. Natale è anche il bambino che torna a guardare, magari a fare qualche capriccio, ma anche a darci una visione della vita più bella, che c’è anche qui, anche oggi tra noi, ma che vedono solo i bambini. I bambini vedono gli angeli.  

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

 



[1] Notte di stelle, B. Godard