Rito della Benedizione

dell’Organo Mascioni op. 1189

 

 

Omelia

di

S. E. Rev.ma Mons. Arturo Aiello

 

Parrocchia Santi Cosma e Damiano

Vairano Scalo, 17 dicembre 2011

 

~

 

Carissimi fratelli e sorelle,

il vostro parroco ha già detto tutto, e quindi ha tolto gran parte degli argomenti che il Vescovo aveva in cuore di elaborare (per vostra gioia, ovviamente). Sinteticamente prendo spunto da un versetto che torna spesso nel Salterio: Cantate al Signore un canto nuovo.

La Benedizione del nuovo organo è un invito alla novità per tutta la comunità parrocchiale e per quanti, provenienti da altre comunità, in questo momento condividono con noi questa esperienza, questo momento storico, perché ogniqualvolta un’opera d’arte si scopre, diventa di dominio pubblico e diventa fruibile da tutti - ed è il caso anche del nuovo organo Mascioni in questa parrocchia - in quel momento c’è un rinnovamento, un invito, un segno, un segnale, un sacramento di rinnovamento per la Chiesa, in particolare per la comunità parrocchiale dove l’opera è posta.

L’organo a canne è un organismo vivente più di ogni altro strumento (lo ha detto già Don Luigi e in seguito saranno spiegate in una maniera più tecnica le caratteristiche di questo organo a canne, unico perché non ci sono ripetizioni in natura come nella progettazione dei grandi organi a canne).

 

Stasera il vostro Vescovo vi consegna tre immagini. Innanzi tutto quella del vento. Non si può capire la musica organistica, le composizioni e dunque anche questo strumento, senza pensare al vento che, nonostante tutti gli accorgimenti che la tecnica ha offerto per attutire il rumore del mantice, fa parte delle caratteristiche, della vita di un organo a canne. 

Il vento è importante nella Bibbia, perché è il vento che porta i semi, insemina, fa incroci in natura, da sempre è stato pensato, visto, sentito e avvertito come un sacramento di Dio e in particolare dello Spirito di Dio; il vento è Ruah, è soffio. Il vento può ottenere due cose contrarie: può svellere, può sradicare anche un’intera foresta se diventa violento (una tromba d’aria), come può gonfiare le vele e trasportare uomini e merci, iniziare un cammino. Stasera si mettono in moto tremila barche sotto il vento del grande mantice del vostro nuovo organo: sono le tremila canne che compongono questo organo, tremila vele. È come se fossimo in un porto per una velata “storica”, perché tremila vele insieme è difficile vederle partire contemporaneamente. La vela gonfia di vento, che trascina, che ci porta lontano, che ci fa prendere il largo, come ci diceva Papa Giovanni Paolo II all’inizio del nuovo millennio, dev’essere una provocazione per tutti noi ad andare oltre: lasciati gonfiare la vela dal vento dello Spirito, lascia le tue sicurezze, i tuoi peccati, le tue abitudini negative, e apriti al nuovo.

 

La seconda immagine è il respiro, ovviamente legato al vento; c’è un vento che rende possibile la nostra vita ed è il fatto che respiriamo. C’è un piccolo mantice anche in voi: sono i polmoni, che si gonfiano e che ossigenano il sangue. Il respiro può essere inutile, di una vita insulsa; può essere anche respiro che si trasforma in bacio (tremila baci, a partire da stasera tremila canne per il nuovo organo Mascioni, tremila parole, tremila poesie), respiro articolato dalle bocche - perché ogni canna ha una bocca da cui esce il suono - che stanno per emettere tremila parole che dobbiamo raccogliere: parole d’arte e parole umane. È importante sottolineare che la fede è una fede umana (ci apprestiamo a celebrare il Natale, celebrazione del mistero dell’Incarnazione, a dire che Dio sceglie le vie umane) e la Liturgia è umana, perché è fatta di immagini, di colori (i colori liturgici), è fatta di profumi (l’incenso), è fatta di oggetti preziosi, di suoni (la Parola innanzi tutto, ma anche il canto e il suono di strumenti, in particolare dell’organo a canne, re degli strumenti, come ci ricordava Don Luigi, perché riesce a riassumere tutte le voci di un’orchestra). Noi abbiamo bisogno di questi segni, noi abbiamo bisogno delle immagini, noi abbiamo bisogno di quello che raggiunge i nostri sensi, perché la fede cristiana è una fede sempre aderente all’umanità. Dunque anche l’organo, che questa sera inauguriamo e che in qualche maniera portiamo a battesimo, per così dire, costituisce un elemento di questa fede umana che ha bisogno di sottofondi, ha bisogno di lamenti, ha bisogno di canti di esultanza, ha bisogno di baci, ha bisogno di poesie, ha bisogno di parole dolci, ha bisogno di parole solenni, ha bisogno di silenzi. Ecco il respiro: tremila bocche pronte a dirci qualcosa e a lanciare in alto, a nome nostro, la lode a Dio.

 

Infine, il canto. Quindi il vento che gonfia tremila vele, il respiro che fa parlare tremila bocche e poi il canto, perché il vento, il mantice, i somieri, quest’aria che sale nelle corde piccole e grandi, nei bassi, nelle trombe, diventa canto, e questo canto è la nostra vita, anche con le sue note stonate, con le sue note false, ma anche con i suoi sogni, con la sua voglia di bene. Siamo chiamati, come Chiesa, a cantare un canto diverso da quello di ieri, diverso dal Natale dell’anno scorso. In questo Natale un canto nuovo è provocato dall’organo nuovo; non puoi dire le stesse cose, non puoi cantare il canto di ieri: dobbiamo cantare nuovi canti in questo nuovo tempo.

 

Concludo ricordandovi - l’ho fatto anche nella lettera che Don Luigi ha pubblicato nell’opuscolo che avete ricevuto in questa celebrazione - che questa opera è una provocazione nel tempo che stiamo vivendo: un tempo di ristrettezze, un tempo di difficoltà, un tempo dove solo quello che è necessario sembra dover attirare l’attenzione delle persone. L’arte si pone fuori di ogni necessità o dentro la più grande necessità. È necessario questo organo? No. Ed è questa la sua grandezza, è questa la sua bellezza, perché la bellezza non è necessaria nel senso del pane da mangiare, nel senso dei bisogni primari. Noi rischiamo, nei prossimi anni, di appiattirci se non ci saranno persone sul piano delle istituzioni civili, ma anche sul piano ecclesiale, decise a scommettere su qualcosa di grande, su qualcosa di non necessario, ma di utile, forse più del pane.

Carlo Marx - scusate se in questo momento mi riferisco a lui che sembra non essere proprio un padre della Chiesa - sognava un tempo in cui tutti avrebbero avuto pane e rose. Il pane è la lotta per il costo della farina (la sommossa del pane nei Promessi Sposi) e in tanti momenti della storia umana rischiamo di entrare ancora in un nuovo tempo di lotta per il pane. Ma da poeta e da filosofo Marx diceva che il pane, da solo, non basta (pane e rose). L’organo Mascioni, che questa sera inauguriamo, rientra tra le rose, cioè tra ciò che non ti sazia fisicamente, ma forse ti fa tornare stasera a casa col cuore gravido, col cuore pieno, anche se forse lo stomaco farà qualche sacrificio (magari sarà un bene anche per molti di voi in sovrappeso). Le rose non appesantiscono, le rose rendono leggera la vita, resero leggere - ci ricorda Silvio Pellico, anche se queste cose forse non si studiano più - le sofferenze di un prigioniero a cui era stata amputata una gamba e che sul comodino aveva una rosa (quelli della mia generazione subito avranno avuto sul display un nome, Maroncelli, ma noi siamo quelli di un’altra epoca…): è un esempio di come una rosa possa aiutare un sofferente, un malato terminale. Quest’organo a canne è un mazzo di rose perenne, perché avrà una lunga storia, andrà ben oltre noi, sfiderà i secoli, come tante altre opere d’arte; è un prato fiorito, un roseto che noi non potremo mangiare, ma che ci sazia l’anima.

Vi auguro di cantare un canto nuovo - lo dico delle autorità civili più di noi in difficoltà, e lo dico a tutti - investendo su ciò che non è necessario, perché ciò che non è necessario ci edifica. Al primo posto tra le cose non necessarie che ci edificano c’è l’amore e se, come scriveva Don Luigi, quest’organo è un atto d’amore, allora zittiscono tutte le polemiche (credo che stasera viviamo un’esperienza concorde, al di là delle discussioni dei mesi precedenti) e viviamo questa realizzazione come un atto d’amore, come ciò che non è necessario ma fa vivere. Noi abbiamo bisogno, fratelli e sorelle, di rose e di amore.

Cantate al Signore un canto nuovo. 

 

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.