In punta di
piedi in Episcopio
Meditazioni
di
S. E. Rev.ma Mons. Arturo Aiello
Teano, 11 marzo 2010
Salone dell’Episcopio
- Donne sotto
“Balaustrata di brezza
per appoggiare
stasera
la mia
malinconia”
(G. Ungaretti)
Arpista: Elena Pozzuto
~
Ringraziamo il Signore di questo incontro e della possibilità che abbiamo, stasera, di riflettere sulla donna. Ho pensato ad una celebrazione cristiana, dopo la festa della donna, e l’arpa è già uno strumento femminile. Ringraziamo Elena già ora, prima di iniziare.
Nel nome del Padre…
J. Pachelbel
Canon in D
Questo testo musicale che
conosciamo, il canone di Pachelbel, che appartiene ad
un tempo, ad una modalità musicale, ad una stagione che è quella barocca, mi dà
l’incipit per la nostra riflessione
sulla donna. Il pezzo che avete ascoltato è fatto di poche battute, forse
quattro, poi arricchite, ripetute, armonizzate con variazioni, “ghirigori”…
D’altra parte, il termine “canone” indica appunto un qualcosa che si ripete
(anche il canone della Preghiera Eucaristica è un testo che si ripete). Questa
ripetizione è su poche note: comincio così la nostra riflessione cristiana
sulla donna, perché credo che ce ne sia bisogno, dal momento che ci sono tante
letture che vengono dall’altra sponda, tutte valide, tutte degne di rispetto,
ma abbiamo anche noi qualcosa da dire sulla donna (il “noi” non è un plurale maiestatis, ma riguarda
Ho fatto riferimento a due filoni importanti: già solo questa differenza tra natura e cultura potrebbe tenerci insieme per due ore e più, cioè c’è un tema naturale - e questo è sotto gli occhi di tutti, anche se non sempre riconosciuto - ma poi c’è un tema culturale, nel senso che la cultura non è solo l’elaborazione della natura, non è solo una lettura della natura, ma quello che andiamo scoprendo in questi ultimi anni, ci fa apparire la cultura, addirittura, in una dimensione più incisiva della natura stessa. È difficile per noi di una certa età, perché siamo cresciuti con l’idea che la natura costituisca un binario dal quale non si può deragliare, altrimenti si deraglia nella vita, e invece da diversi decenni a questa parte - ma d’altra parte anche l’uomo della strada fa questa semplice riflessione – ci si è accorti che la cultura ha un potere così grande da intervenire a mutare anche la natura. So che se io vi interpellassi, se potessimo fare un dibattito - ma non è questa la sede - troverei molti oppositori rispetto a questa tesi, sul piano antropologico e forse anche sul piano teologico. Quello che invece ora ci preme, è capire che ci sono le note della natura (pochissime) e poi c’è l’elaborazione della cultura, e a volte la cultura è così pervasiva, batte con tanta precisione sullo stesso punto, per molto tempo, come la goccia sulla pietra, tanto da trasformarla, da scolpirla, da traforarla.
Siete donne: è un dono, è un dono di natura, ma ovviamente è anche un dono di cultura. Quando dico “dono” intendo anche far riferimento a quello che dono non è. Non c’è bisogno di aprire parentesi su questo piano perché è sotto gli occhi di tutti, ma per tanto tempo il ruolo, l’importanza, la luce, la lampada nella notte del mondo, che è la donna, è stata messa sotto il moggio. Adesso mi interessa “cultura” nel senso positivo; non tanto cultura negativa sulla donna, ma cultura come pensiero e poi come pensiero che si fa atteggiamento, soprattutto che si fa educazione delle figlie donne. Credo – e qui chiudo questo primo momento – che quello che l’evoluzione femminista ha apportato alla donna (adesso guardiamola senza coloriture, senza giudizi) è indubbiamente un cambio non solo culturale.
Sto suonando bene queste poche note della natura e la possibilità variegata della cultura nel mio essere donna giovane?, adulta?, anziana? Adesso pare che l’anzianità sia un evento disdicevole e invece abbiamo la gioia di sentirci anche anziani. Sto suonando bene questo canone della natura che diventa fioritura, che diventa gorgheggio, che diventa variazione sul tema della cultura?
G.F. Haendel
Passacaille
Il tema “Donne sotto la croce”
potrebbe anche essere il titolo di una conferenza di liberazione della donna,
ma non è questo il senso che mi ha portato a scandire così questo titolo, ma
piuttosto voler ripercorrere, insieme con voi, alcuni quadri dove compaiono le
donne nella Via Crucis. Per la verità, le donne nella Via Crucis sono molto più
presenti delle stazioni loro riferite. Possiamo dire che
G.F.Haendel
Concerto
in Si bemolle (Larghetto-All. moderato)
Come sempre, ho l’impressione di fare un discorso a due voci, cioè il Vescovo parla e poi il concertista parla. Questo discorso sulla femminilità mi è stato suggerito anche dall’arpa per la verità, non solo dalla concomitanza della festa della donna. Mi fermo ancora sulla quarta stazione di Gesù e Sua madre con una sovrapposizione di questa scena con quella dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù nel Tempio che è una scena dell’infanzia. Gesù ha 12 anni, conoscete l’episodio, ma quello che è importante è la domanda, cioè quel che dice Maria all’atto in cui vede il figlio, lo ritrova dopo averlo cercato insieme con Giuseppe per tre giorni: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”. C’è, ovviamente, un’inclinazione al rimprovero, dolce e doloroso al tempo stesso. Alcune traduzioni dicono: “Figlio, perché ci hai fatto così?”, cioè non capiamo, che è successo?, perché?
Credo che le madri chiedano continuamente ai figli “Perché?”, a partire dal “Perché mi hai abbandonata? - mi riferisco all’esperienza del parto - Perché? Perché te ne sei andato?”. In fondo, credo che tutte le donne-madri e tutte le madri-donne dicano al figlio: “Perché?”. La depressione dopo il parto nasce, come dice Erri De Luca ne “In nome della madre”, da… “mi lascerai come un guscio vuoto”, da questo essere svuotati dal e del figlio, che avete sperimentato. Sì, è bello vederlo, chiamarlo, averlo in braccio, vedere che si attacca al seno: esperienze bellissime, ma queste esperienze richiedono una fuga del figlio da me. Se ci fate caso, questa esperienza del “perché te ne sei andato?” si ripete tante volte nella vita (Perché ti sei perduto?, perché mi rispondi in questa maniera?, perché non mi chiami?, perché non mi parli?). E anche Maria chiede al figlio: “Perché ci hai fatto questo?”. A dire: eravamo una bella famiglia. Non so se avete mai fatto queste considerazioni molto umane che vi sembreranno anche molto terra-terra, ma la spiritualità – ricordatevelo – si fonda sull’umanità, altrimenti è evanescente.
Eravamo una bella famiglia noi tre, io, tu e Giuseppe, eravamo uniti, abbiamo dei ricordi bellissimi della tua infanzia, della tua crescita, di certi momenti che abbiamo celebrato e poi questo incantesimo si è rotto: te ne sei andato.
Tutti i figli se ne vanno, in qualche maniera, e poi se ne vanno nella morte. È come se la donna-madre continuamente chiedesse al figlio: Perché? Perché ci hai fatto questo? Perché è accaduto questo? Perché non siamo stati fissati in quell’idillio dell’infanzia, della famiglia unita?, quando i figli sono bambini, quando ci sono i piccoli problemi, ma si guarda al futuro con speranza? Non vi sembri troppo umana questa riflessione di Maria che, senza parole, dice al figlio: “Perché?”. Ovviamente, dicendo questo, vorrei che ascoltassimo anche la parola - perché? - sulla bocca delle nostre madri: Perché?, perché non sei quel bambino buono che faceva le preghiere a mani giunte in ginocchio davanti al letto?, perché?, perché sei cambiato?
Mi rendo conto che qualcuno di voi potrebbe leggere anche un che di patologico in quello che sto dicendo, perché sembra che questo aspetto diadico, cioè della diade madre-figlio, non si debba rompere e, invece, si deve rompere per la vita, come si rompono le acque, come si apre e si lacera il grembo.
Io so di toccare, stasera, qualche corda dolorosa in voi, ma questo incontro è anche una terapia di gruppo. Il “perché?” detto da mia madre a me, da tua madre a te, è: Perché non hai mantenuto quell’innocenza? E qui non parlo dell’innocenza infantile che perlopiù, come sapete, è uno stereotipo più che una realtà (esiste l’innocenza degli adulti, non quella dei bambini), ma mia madre, tua madre, nostra madre, Maria chiede a Gesù: Perché è accaduto tutto questo? – e qui vengono tutte le laudi medievali di Jacopone e compagni (Figlio, amoroso giglio… figlio, a chi m’appiglio?) con queste finali che richiamano e che servono alla memoria - Chi ti ha sfigurato così?
In piccolo, questo succedeva quando noi tornavamo un po’ sporchi dai giochi dell’infanzia e poi più drammaticamente è accaduto nella vita. Allora, la donna sotto la croce è anche la madre che chiede al figlio: “Perché?”. E finché noi ascoltiamo questa voce, possiamo ancora cambiare, non per ritornare indietro - sarebbe una regressione - ma per seguire una voce che ci invita al bene: “Hai fatto le preghiere? Hai messo la maglia?”. Sono tutte quelle raccomandazione che adesso ci fanno sorridere e che le mamme, puntualmente, di millennio in millennio, fanno ai figli: “Mi raccomando, comportati bene, fai il bravo!”.
Per cui il “perché?” è: Perché
non hai fatto il bravo? Perché ti sei perduto? Figlio, perché ci hai fatto questo?
J.L.Dussek
Sonata (Allegro-Andantino-Rondò)
Approdiamo al secondo quadro che
guardiamo questa sera: la sesta stazione della Via Crucis che riguarda
Vorrei, su questo quadro,
iniziare un discorso sulla donna-amica, perché come sempre cerco delle vie
umane di lettura del quadro.
La donna-amica: perché amica? In
questo quadro
F.J.Naderman
Sonata (Preludio-All.Maestoso-Allegretto)
Quello che sto tentando di dire è
proprio controcorrente. Ovviamente, non mi riferisco a voi, ma ai vostri figli,
a quello che vedete che essi fanno, al modo con cui vivono, perlopiù, fatte le
debite eccezioni, alle loro esperienze affettive e quindi alle loro delusioni,
perché una donna conquistata è una donna perduta, invece una donna-amica che
scompare è quella che conserva il ricordo. Paradossalmente, ciò che noi
riteniamo essere la solidità, costituisce il presupposto del fallimento e ciò
che invece a noi sembra superficiale (se voi dite a un giovane “sfiorarsi”,
dirà: “Ma è una cosa superficiale!”), ha futuro perché nessuno di quelli che
hanno incontrato Gesù lungo il cammino, non solo della croce, ma della sua
esistenza, ha portato questo ricordo che è “vera icona” come
Cari miei, o siamo attestati su questo, o siamo sulla strada sbagliata, non solo per gli altri, perché faremo tanto male, ma per noi, perché saremo ogni sera insoddisfatti, perché non troveremo nessuna donna, nessun uomo. Qui esiste una sola donna e si chiama Veronica.
A. Hasselmans
Faccio solo uno “spot pubblicitario” così passiamo al brano successivo perché il tempo è già passato. Mi sono chiesto: molti dei mariti qui presenti, starebbero a girare il foglio alla propria moglie che fa il concerto? È una domanda che vi sareste posti anche voi: mio marito verrebbe al concerto a girarmi il foglio dello spartito? Perché, vedete, qui abbiamo anche una coppia che fa concerto. Tra l’altro, mi è sembrato di capire - non me l’ha detto lei, ma Don Pasquale - che Elena è stata a Piano di Sorrento per due volte, un giovane l’ha accompagnata e… Dammi una mano a portare l’arpa!
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse e così adesso abbiamo due sposi. A volte, quell’intesa nel guardarsi per girare il foglio è un poema, per cui vorrei che oltre al suono dolcissimo - adesso abbiamo ascoltato una sorta di onde marine in questa suggestione musicale - guardassimo anche questa coppia. Ovviamente, a un concerto non si suonano solo degli spartiti e non si eseguono dei brani, ma ci si racconta, e qui abbiamo anche il racconto di una donna con uno strumento femminile (è difficile immaginare un uomo che suoni l’arpa) e poi un marito che la guarda per vedere il momento in cui bisogna girare pagina. Mi sembra un poema anche questo.
C. Debussy
Arabesque I
Dedichiamo questi ultimi momenti alla scena che vedete nell’immagine riassuntiva sul frontespizio: è Gesù che rimprovera le donne di Gerusalemme. È una stazione anche un po’ controversa: alcuni dicono che rimprovera, altri che consola… Insomma è chiaro immediatamente questo aspetto di rimprovero: “Figlie non più su queste / piaghe che porto impresse / sui figli e su voi stesse / vi invito a lacrimar - è sempre Metastasio - serbate il vostro pianto, sconsolate donne / quando l’empia Sionne vedete rovinar” (è la traduzione del brano, perché questa stazione ha un fondamento nel Vangelo). Gesù vede queste donne che piangono e le invita a piangere su altro. Cosa significa adesso questo sulla femminilità? Un pericolo. Metto in evidenza un pericolo della femminilità - e non solo - che è un’emotività fine a se stessa, un’emotività che si riproduce senza fine, senza approdare a nulla. In fondo, perché Gesù tratta un po’ male - sembrerebbe così - queste donne? Perché sono afflitte alla vista del condannato e quindi tutte le viscere materne sono chiamate in causa: Questo potrebbe essere figlio mio… Ogni figlio è figlio di una mamma, ci ricorda la nostra tradizione napoletana… Gesù dice di andare un po’ più a fondo, perché forse queste lacrime vanno indirizzate altrove. Come vedete, è un invito a non fermarsi all’aspetto epidermico, all’emozione fine a se stessa, ma a diventare più introspettivi (Sui figli e su voi stesse vi invito a lacrimar, dice il Metastasio), scendendo nel dramma che è mio. Poi Gesù prefigura anche la distruzione di Gerusalemme che avverrà nel 70 d.C. (quando l’empia Sionne vedrete rovinar), ma più che la profezia della caduta delle mura, e quindi della distruzione di una città, c’è il mettere il dito sul dramma: voi precipiterete come persone – e ovviamente non è rivolto solo alle donne - se questo aspetto dell’emotività vi prende a tal punto da non farvi considerare la vostra identità e anche il dramma che è dentro di voi e il dramma che riguarda i vostri figli. Dell’emotività io sono un ammiratore e, d’altra parte, la utilizzo, come molti di voi leggono tra le righe, perché senza emotività non si trasmette nulla. Anche la musica, fondamentalmente, è emotività: viene a creare dei paesaggi, a richiamare dei ricordi, genera delle emozioni, ma ci troviamo oggi, come sapete, in un contesto dove l’emotività, a volte, si amplifica a dismisura, generando se stessa senza che l’emozione sia anche veicolo di un pensiero. In fondo, anche l’emozione di stasera (vi ho richiamato la madre: un’onda di emozioni…) vi ha preso, ci ha presi, ma l’emozione dev’essere il motore: c’è bisogno di una direzione e questa direzione la dà il pensiero. Il pensiero senza emozione è freddo e non smuoverà nulla, ma l’emozione senza pensiero sarà il dilagare, il tracimare di un lago che genera solo distruzione. Ecco, questi sono i due eccessi che noi tutti, uomini e donne, dobbiamo evitare. L’equilibrio richiede che l’emozione spinga - guai se non ci fosse – e quindi se non c’è, dev’essere creata. Le mamme, le donne, in questo sono maestre. L’emozione dev’essere creata, ma a sostegno, a movimento, a motore di un’idea, di un pensiero, di un progetto, altrimenti i nostri giovani passano da un’emozione all’altra, ma non costruiranno mai nulla e con loro anche noi. Voglio leggere, in una maniera un po’ legata al nostro tempo, la scena di Gesù che si volta e sembra un po’ scortese nei confronti di queste donne che gli vanno dietro e fanno il loro piagnucolio, che pare faccia parte della scena: Fermi! Un attimo! Ma su cosa stiamo piangendo? Qual è il motivo di queste lacrime? Dove porta questa emozione? Quale idea la anima?
Ecco, questo incontro tra il pensiero e l’emozione, in fondo è la vera sintesi uomo-donna, non perché le donne non pensino e gli uomini non siano emotivi - è chiaro che la distinzione non è così netta - ma mi sembra che il Matrimonio che comunque dobbiamo realizzare nella vita è tra l’anima maschile e l’anima femminile in noi, in tutti. L’anima femminile è la facilità alle lacrime, qui nella scena, che è facilità all’emozione, la gioia importante di emozionarsi. L’anima maschile è avere le idee chiare e distinte, è il “Cogito, ergo sum”. Capite che l’uno e l’altro mondo separati sono una tragedia, siamo una tragedia. Il matrimonio, l’incontro, l’intersezione di queste due forze, genera l’uomo maturo, la donna vera. Chiediamo al Signore, nella nostra preghiera di stasera, di saper piangere, ma per un motivo. A volte, se uno chiede a dei giovani presi da un’emozione: “Scusa, ma perché stai piangendo?” - mi è capitato qualche volta di fare questa domanda – “Piango perché piange quell’altro”. Un attimo! C’è qualcosa che non va, perché bisogna piangere per qualcosa, non per il gusto di piangere, non perché lo fanno tutti. Penso a certi film, a certe visioni… Andando un po’ indietro, “Titanic” a fatto piangere generazioni di persone che andavano a vederlo perché avevano bisogno di piangere, ma non mi sembra un’emozione intelligente. Bisogna piangere, bisogna piangere per qualcosa, per qualcuno. Gesù ci invita in questa scena a piangere anche per noi. Entra in te: dentro di te c’è già motivo abbastanza.
M. Tournier
Au Matin
Tutta la musica è descrittiva, ma ci sono alcuni brani che, particolarmente, si pongono sulla linea di voler descrivere un paesaggio, di voler delineare i suoni di un momento, di una sensazione. L’ultima scena è quella centrale dello Stabat, anche se appena accennata. Lo Stabat di Jacopone (la sequenza “Stabat mater dolorosa”) prende l’incipit dall’espressione dell’evangelista Giovanni: “Stavano presso la croce di Gesù…”. Chiudo con questa immagine: la donna deve stare - ma questo valga anche per gli uomini - cioè dev’essere presente. Non è importante parlare, non è importante agire: ci sono momenti in cui non possiamo dir nulla e non possiamo far nulla, ma dobbiamo starci. L’ho già espresso di passaggio questo concetto: le donne sono esperte del dolore, gli uomini ne hanno paura in tutti i sensi. Tutti abbiamo paura fisicamente del dolore, ma noi uomini - dobbiamo confessarlo - siamo sempre in prima elementare; le donne invece si laureano, a differenza di noi. Lo vedete quando si tratta di una scena legata ad una persona in fin di vita, a momenti drammatici che si vivono nelle nostre famiglie: gli uomini scappano. Ce l’abbiamo proprio nel nostro DNA: noi col dolore non ci sappiamo fare. Le donne dicono: “Io riesco a sopportare…! Mio marito neanche un mal di testa sopporta!”. È la possibilità di stare nella difficoltà senza far nulla. Io vorrei chiedere a voi donne di continuare a insegnarci quest’arte, di insegnarla ai vostri figli, ma anche a noi uomini. Vengono momenti nella vita in cui dobbiamo semplicemente essere presenti, senza commenti, senza elaborazioni concettuali, senza citazioni, senza possibilità di intervenire minimamente, ma non possiamo dimetterci. Maria è rimasta, stava. E tu devi stare accanto al figlio, in certi problemi, in certi momenti, in certi luoghi dove non vorresti stare, perché magari sei perdente, ma devi stare, semplicemente devi rimanere. Mi sembra che questa sia una grande lezione che ci viene da “Donne sotto la croce”. Il testo non dice neanche che Maria si lamentava. Ascoltando il penultimo brano, chiediamo al Signore la grazia di poter stare. Questo lo dico alle donne “maestre”. Ma anche noi impariamo più a stare, senza scappare, senza dimetterci, senza nasconderci, perché a volte i figli, da noi, chiedono questo: che tu ci sia, che tu prete ci sia in quella situazione, che tu sia presente. Ci sto, non posso aiutarti ma ci sto, sono con te, sono accanto a te, silenziosamente.
J. Ibert
Scherzetto
Prima dell’ultimo pezzo e della benedizione finale, qualche avviso sui prossimi appuntamenti.
Siamo stati due ore: ve ne siete accorti? No. È questa la bellezza dell’arte: sospende il tempo, non guardiamo gli orologi. Per esempio, non ci viene di andare in bagno, perché l’arte sospende anche questo: è un prodigio.
Primo appuntamento: sabato 20 marzo, vengono a farmi una serenata. Ho pensato: visto che vengono a fare una serenata al Vescovo, voglio condividerla. Se qualcuno di voi vuol venire, questa serenata si farà in Cattedrale alle 19:30. Mi riferisco al Coro del Miserere della mia ex-parrocchia. Dovete sapere che nella Penisola Sorrentina, in questo periodo, ci sono movimenti di masse, di centinaia e centinaia di persone in preparazione delle processioni della Settimana Santa e uno di questi poli è il Coro del Miserere che, attenti, non ha nessuna valenza chissà quanto artistica, però è un coro di 300 uomini. Pastoralmente è una cosa non indifferente. Tre anni fa vennero, poi li ho fermati a debita distanza l’anno scorso e due anni fa, adesso non ho potuto dire di no.
Se volete rubarvi questa serenata, il 20 marzo trovatevi in Cattedrale alle 19:30.
Il giorno dopo, alle 19:30, c’è la prima nazionale a Teano, prodotta da noi – “noi” non come attori - della versione teatrale del “Diario di un curato di campagna di Bernanos” che porta il titolo di “Confessione di un curato”. Se volete partecipare - mi riferisco in particolare a quelli che hanno fatto le due sere prima di Natale - c’è bisogno di procurarsi un biglietto con un costo minimo di dieci euro, per la verità, quindi una cosa accessibilissima. Ovviamente, mi sembra che possa essere un fiore all’occhiello. Per me lo è, perché è nato qui, dentro l’Episcopio (anche le prove sono state fatte qui) e perché è una cosa che ho gettonato io, spingendo l’attore a sposare questa causa. Quindi, è bello anche questo appuntamento.
L’ultimo, il più importante:
Mercoledì Santo alle ore 19:00, in Cattedrale, c’è
Poiché abbiamo fatto questo ciclo
mariano, concludiamo con un’Ave Maria.
Ci riferiamo alla Madonna perché ci aiuti a riscoprire questa modalità d’essere
al femminile. Ave, o Maria…
Benedizione del Vescovo
Dico il mio grazie a Elena, ma anche al marito di cui ho ammirato la sintonia.
M. Grandjany
Automne
***
Il testo, tratto dalla
registrazione, non è stato rivisto dall’autore.