In
punta di piedi in Episcopio
Meditazioni
di
S. E. Rev.ma Mons. Arturo Aiello
Teano, 28 Gennaio 2010
Violino: M° Guido Rossi
Pianoforte: M° Maria Teresa Roncone
~
Nel nome del Padre…
J. Massenet-Meditation Thais
Dal Vangelo di Marco (4, 1-9)
Questa
sera ci fermiamo su una parabola molto conosciuta, anche già commentata, che
mantiene il suo fascino e il suo aspetto provocatorio innanzi tutto
nell’“Ascoltate”. In fondo, siamo qui per ascoltare; magari, durante
l’esecuzione si trattiene anche il respiro, si cerca di non far cigolare la
sedia, cioè si evitano - e questo non è una sorta di “galateo del concerto” –
si sospendono tutti i rumori, fosse anche il respiro, soprattutto per certe
arcate e certe note che arrivano con tanta difficoltà. Magari a noi sembra che
per suonare il violino, o altri strumenti, basti mettere mano sulla tastiera,
ma la cosa è molto più complicata, molto più complessa.
Vorrei
rileggere con voi questa parabola, stasera (era il Vangelo di ieri, per questo
mi ha dato spunto per il nostro appuntamento), su due piani. Il piano classico
- ovviamente importante - è il rapporto tra l’uomo e
In
questo primo momento, in questo primo quadro, ci fermiamo sulla scena che fa da
fondale al racconto: ci sono tante persone (penso a quelli fra voi che, in
questo momento, saranno costretti a restare in piedi, ma questo è buon segno)
che stanno ad ascoltare Gesù ed Egli ha bisogno di una sorta di pulpito. Questo
pulpito, come spesso accade nel Vangelo, è una barca: una vita, una persona,
una sensibilità, una cultura, una missione. Io posso essere, in questo momento,
la barca su cui Gesù sale per parlare con voi. La barca ottiene due effetti: il
primo è creare distanza, che però è una distanza-vicinanza (la distanza
permette alla voce di espandersi) e il secondo (l’altra motivazione, l’altro
utilizzo) è la visibilità. Quindi, Gesù sale su una barca che potrebbe essere
la tua vita, la tua famiglia, il tuo ministero di catechista, di educatore, per
creare quella distanza che permette al suono di espandersi. Questa sala, per
esempio, ha una buona acustica perché è ampia, cioè il suono - e chi viene a
suonare qui lo sottolinea sempre - ha bisogno di uno spazio in cui espandersi:
se ci troviamo a fare un concerto in una stanza di due metri quadri, capite che
non ha lo stesso effetto che qui nel nostro salone. Quindi l’audio, l’impulso
sonoro, l’onda sonora ha bisogno di un mare; questo mare è lo spazio e lo
spazio permette a questa onda, su cui naviga
F. Kreisler – tempo di Minuetto
Cerco
di decifrare, decodificare i sentimenti e le emozioni del maestro Guido che ha
eseguito questo brano. Adesso si è seduto ed io gli do dei sentimenti. Dice
all’autore del pezzo che ha eseguito: “Che dici di questa mia esecuzione?”.
Ogni concertista, all’atto in cui chiude un brano - un tempo densissimo da un
punto di vista emotivo - chiede a sé (ed è come se chiedesse all’autore): “Ho
eseguito bene quello che tu hai scritto?”. Questa domanda ha una valenza ancora
più forte, perché il maestro suona su un violino che è appartenuto a questo
autore che era anche un grande violinista. Allora, qui c’è il violino, c’è lo
spartito e, quindi, c’è molto di questo autore: non c’è solo lo spartito, che
si può eseguire con un qualsiasi strumento, ma anche il suo violino. Vi dico
questo perché mi trovo nella stessa condizione, non che sia un concertista, ma
nel senso che sono un povero annunciatore del Vangelo, e allora chiedo a Gesù -
e don Marco, don Vitaliano (dico i preti presenti, ma vale anche per voi) si
chiedono - dopo un’omelia, avendo utilizzato quello che Gesù ha scritto, ma
anche
A
volte, anche la presenza degli oggetti, delle parole, dei segni, delle note sul
pentagramma, ci pone in piena comunione con un artista che ha scritto un
minuetto, tanto più nel nostro caso, dal momento che qui non stiamo a contatto
con un testo scritto, ma siamo a contatto con la persona che, mentre noi
leggiamo questa parabola, si materializza letteralmente. Questo,
spiritualmente, accade per ogni testo. Quindi, anche se leggo un romanzo, anche
se leggo – non so se amate i classici -
Omero o Shakespeare, in quel momento io dialogo ed entro nel mondo
interiore dell’autore. Questa cosa diventa fortissima, tanto da consumare chi
vi si dedica per una vita, per
Ascoltate. Il seminatore uscì a seminare. Il seminatore non si stanca di porre questo gesto - che
abbiamo visto nella nostra infanzia e che adesso non si fa più perché la semina
avviene con altre tecniche - di togliere dalla bisaccia il seme e di spargerlo
a larghe mani. C’è un seminatore, c’è una terra, c’è un seme. C’è un uomo, c’è
una donna, c’è un seme. In un bellissimo testo, molto denso - che avrete
dimenticato - di Cocciante, si dice: Io sono il contadino e tu la terra mia.
Questo verso può, pari pari, essere scritto in margine a questa parabola, dove
il contadino è Gesù ed io sono
Seconda
scena: Il seminatore uscì a seminare.
Mi vengono in mente tante Eucarestie a cui ho partecipato, tante parole che il
seminatore aveva scelto per me in una maniera personalizzata - non era la
parola per tutti: era la parola per me, per te! - ma io in quel momento ero
altrove, non c’ero, come a volte succede in una relazione d’amore. Allora, ecco
l’importanza d’esserci e di cogliere l’attimo, il momento di grazia in cui
quella parola è pronunziata per me e viene dall’eternità: ha attraversato, come
la luce di una stella lontana, centinaia d’anni luce, ha attraversato distanze
siderali e mi raggiunge qui, adesso, ma è stata pronunziata 2000 anni fa per
me.
Questa
è una parola d’amore: così sboccia una storia.
E. Elgar – Salut d’Amour
“Saluto
d’amore” era in tema con questa lettura della parabola del seminatore come una
sorta di sillabario dell’amore.
Prima
scena, prima categoria, prima tipologia di terreno - facciamo un po’ di lezione
di agraria, stasera, di agraria spirituale, beninteso -: la prima parte di
questo seme cadde lungo la strada, vennero gli uccelli del cielo e la
divorarono. Molti di voi - spero tutti - sanno che questa parabola - come credo
quella della zizzania - ha la sua esposizione, ma anche la sua esegesi da parte
di Gesù; quindi, abbiamo una Parola già spiegata, una Parola con la sua
versione, sia pure per pochi intimi, perché ieri il Vangelo diceva che poi,
quando furono in casa, quando furono da soli, gli chiesero di spiegare la
parabola del seminatore.
Come
indicare questa prima tipologia di terreno? Impermeabile. Quindi,
l’impermeabilità è la prima malattia dell’ascolto, di ogni ascolto, anche
dell’ascolto della Parola. Che ne è di tutta
Una parte cadde lungo la strada.
L. van Beethoven – Romanza op. 40
Veniamo
alla seconda di tipologia di questo trattato sull’ascolto. Tra l’altro, mentre
ascoltavo con voi, pensavo al dramma della sordità (sto leggendo alcune lettere
di Beethoven), di questo grande genio, il quale scrive di non partecipare e di
non farsi vedere, perché non vuole che gli altri comprendano il suo dramma, e
forse anche per non far godere i suoi avversari. Dice: Perché sono stato
colpito proprio in questo senso che per me è il più importante? Tante opere
sono state composte al buio. È come scrivere un poema al buio: così è per un
musicista comporre nella sordità. Dice in un’altra lettera che, quando va ad
ascoltare, deve mettersi in prima fila per sentire dell’orchestra solo gli
strumenti più alti: immaginate che dramma! Lì è un dramma non dovuto ad una
scelta, ma ad una disgrazia del grande autore. Invece, qui parliamo di drammi
che noi stessi provochiamo.
La
seconda tipologia è quella del terreno sassoso: parte cadde lungo un terreno sassoso. Germogliò immediatamente,
perché non c’era profondità, ma appena venne il sole più forte, non avendo
radici, si seccò. Il terreno sassoso è un terreno non preparato. In fondo,
anche tante parole, cari amici, vanno perdute perché non sono debitamente
preparate: sono buttate lì senza un prologo, senza un’introduzione, senza una
preparazione. Forse ci sarebbe bisogno, anche per le parole di Gesù, di
attraversare tante stanze per giungere poi ad ascoltare, per la prima volta,
certe pagine di Vangelo: l’averle sentite così, senza nessun interesse e senza
preparazione, ci pone spesso nella difficoltà di superficialità d’ascolto. Qui
Gesù mette in evidenza anche un’apparente successo che è il sorgere, anche
prima del tempo, dei germogli di questo seme. Vitaliano sa che, per le sue
primizie a Presenzano, il Vescovo gli ha detto, mettendo un po’ il piede sul
freno, di stare attento a risultati immediati anche sul piano pastorale, perché
sono quelli che rischiano di non durare, come il seme della Parola. Ci sono dei
frutti che debbono maturare dopo una lunga gestazione, dopo aver vissuto il
silenzio della neve, dopo aver attraversato delle fasi, ma certi germogli
immediati, nella vita pastorale, nella vita spirituale, come nell’amore, sono
piuttosto nefandi, nonostante l’inesperto dica: “Ah! Già è sorto! Già vedo dei
frutti! Già ho fatto dei progressi!”. Un momento! Verifichiamo sui tempi
lunghi, perché lo spuntare immediato è dovuto anche all’assenza di profondità.
Ci sono degli alberi che hanno radici tanto profonde quanto il fusto che
fuoriesce dal terreno, cioè tanto le radici sono in fondo, quanto l’albero
svetta, a dire che la resistenza di ciò che si vede è commisurata alle radici
che non si vedono, che vanno sempre più in profondità quanto più ci si innalza.
Questa è una legge legata alla vita vegetale, ma anche alla vita spirituale:
abbiamo bisognosi di radici quanto più emergiamo. Pensate, voi siete quasi
tutti adulti e quindi siamo in questa dimensione di alberi che hanno già dei
frutti, che hanno dei figli, dei nipoti: quanta attenzione facciamo alle
radici? E - poiché nel caso spirituale le radici non sono automatiche - quanto
tempo dedichiamo a verificarne la vitalità? Gesù dice che è il sole che decreta
la fine di questa “primavera di Praga”, di questa primavera che era
promettente, ma che è finita nel gelo dei carri armati, nel fallimento. Nella
lettura parallela che sto facendo con voi, è un amore disordinato. Voi vedete
quanto il disordine sia una malattia nei nostri giovani… Significa che non si è
avuta la pazienza di rimuovere tutte le pietre mettendole ai margini. Chi fra
noi venga dal mondo contadino ha conosciuto questa fatica che sembrava inutile
a noi ragazzi: prendere i sassi e metterli sul limitare del campo significa
campo ordinato, significa che su questo terreno può passare l’aratro, si può
seminare. Oggi, un giovane può, magari, mantenere anche due relazioni in
contemporanea (e non solo i giovani). Anche qui non mi fermo all’aspetto
morale, ma alla foto del disordine: com’è possibile che io intrattenga,
contemporaneamente, una relazione con Giuditta e con Ester? Per dire due nomi
ebraici… È possibile nella loro mente, perché è tutto disordinato e tutto
superficiale; ma se uno andasse un tantino in profondità, si renderebbe conto
che un amore non può essere condiviso, part-time (un orario per Ester e un
altro per Giuditta, accompagno a casa Ester ed esco con Giuditta). L’assenza
d’ordine porta anche alla dimensione di superficialità, che poi è la grande
malattia, se ci fate caso, anche sul piano culturale: com’è la cultura dei
nostri ragazzi? È una cultura di nozioni che si richiamano attraverso il motore
di ricerca, ma se uno chiede: Ma questa cosa chi l’ha detta?, dove sta?, chi è
questo autore?, dicono: Appartieni a un altro tempo!, questa non è più lo stile
della cultura di oggi! Dico questo senza voler demonizzare il computer e tutti
gli aiuti che ci offre, ma è come se nulla avesse radici, e quello che non ha
radici non rimane. Cosa rimarrà di tutti questi amori? Rimarrà “c’eravamo tanto
amati”; rimarranno le foto - come diceva Baglioni in una vecchia canzone –
anzi, neanche più quelle, perché adesso non si stampano e, quindi, finiranno in
un dischetto che nessuno mai più vedrà. Ecco, chiedo con voi questo impegno
nell’ordine. Io lo sento ancora oggi, cogente, imperativo, per me: alla mia
età, dopo tutti i cammini e gli sforzi fatti, avverto che, o la mia vita è
ordinata e il mio sapere è ordinato, o io non resisto e, quindi, forse anche
voi. Dunque, questo cammino non riguarda gli altri, perché quando leggiamo
queste parole diciamo: quello è un disordinato, quello è un superficiale,
quella signora va a tutte le riunioni, ma non prende nulla… Applichiamola a noi
e chiediamo d’essere liberati da questa peste, perché è una vera peste quella
che ci impedisce di stabilire relazioni radicate. Le relazioni che hanno radici
profonde andranno lontano; quelle con radici di ieri avranno il corso del filo
d’erba, dice il testo di Isaia 40.
Gluck – Kreisler – Melodia
Faccio
un esempio di radici a partire da questo brano (neanche ci avevo pensato).
Abbiamo letto due autori che, ovviamente, non hanno scritto insieme: c’è un
testo più antico di Gluck, che è stato ripreso da Kreisler che ne ha fatto la
versione per violino. Cosa avete sentito?, una gioia?, una effervescenza?, o un
pianto? Un pianto, perché questo è il brano in cui Orfeo è davanti agli dei
degli inferi e deve commuoverli, perché rivuole la sua Euridice. Allora, cerca
di far comprendere il dramma che egli vive dell’assenza di questa donna, che è
la donna della sua vita che gli è stata tolta in giovane età, perché gli dei
degli inferi possano ridargliela. Quindi, posso ascoltare un brano, posso
vedere che ci sono due autori (magari abbiamo anche pensato che fossero nome e
cognome dello stesso autore e, invece, sono due autori diversi), due tempi dove
c’è una trascrizione da parte di un grande musicista e violinista, il quale ne
fa una versione per il suo strumento preferito, ma il tema è un pianto, è un
lamento per commuovere, per far capire a questi dei freddi degli inferi quanto
Orfeo stia soffrendo. Allora, questo è anche un modo – e chiudo la parentesi -
di un ascolto che sia un po’ più radicato: bisogna vedere cosa ha aggiunto di
virtuosismo Kreisler, cosa diceva l’Orfeo di Gluck, cosa diceva nel mito dei
greci e, allora, vedete che attraversiamo vari tempi del sapere e dell’evoluzione
del nuovo, per giungere a noi che ascoltiamo questo brano, stasera. Invece,
adesso stiamo ascoltando un altro concerto: il concerto della parabola del
seminatore.
La
terza tipologia è quella più vicina a noi in assoluto, perché parla di un
terreno dove crescono rovi e spine che, avendo una crescita più veloce del
grano, che è timido, che ha bisogno di luce, ha bisogno di linfa, finiscono col
sopravvalere sul piccolo stelo di grano che non spigherà mai: lo coprono, lo
strozzano, gli tolgono l’aria. Nella spiegazione che ne dà, nell’esegesi che
Gesù fa di se stesso, dice che sono le preoccupazioni della vita. Magari
starete guardando l’orologio, starete pensando alla cena (ho preparato tutto?, ho dimenticato qualcosa?): è una
preoccupazione, ovviamente, legittima. Non sto penalizzando dicendo che non
bisogna preoccuparsi di quello che si mangerà stasera a casa, se arriverò in
orario, se mio marito mi caccia fuori perché sono andata all’In punta di piedi in Episcopio, o la
moglie (succede anche questo). Insomma, le preoccupazioni della vita: cosa
mangeremo?, cosa indosseremo?, riusciremo ad arrivare a fine mese? E poi i
figli, i nipoti, gli orari, corri di qua, corri di là… Una serie di
preoccupazioni che ci prendono e ci strozzano: questo è il messaggio. Allora
non bisogna vivere queste cose? È impossibile! Bisogna capire cosa è veramente
importante, perché la cena di stasera è una cosa che ha il suo valore, ma non è
certamente un assoluto: potremmo anche non cenare dopo aver gustato di questo
menù - perché il programma di un concerto è un menù - e quindi tornare colmi,
carichi, e dire: stasera digiuno, perché ci sono cose più importanti, ci sono
cose che saziano l’anima. Ci sono cose che saziano a lunga gittata, ce ne sono
altre che saziano per brevissimo tempo; ci sono le cose dello spirito e ci sono
le cose del corpo; ci sono gli impegni quotidiani e gli appuntamenti necessari.
Perché le persone non partecipano all’Eucarestia? Perché non si va a messa?
Perché non ho tempo, perché i rovi e le spine sono cresciuti fino a togliermi
anche l’idea, l’immagine che io debba occuparmi anche di me. Qualche volta, vi
prego, in particolare voi donne, ribellatevi, chiudete la cucina e dite: “Oggi
non si mangia!”, nel senso di procurarvi un tempo per voi. È possibile che non
ci sia spazio per me? Tra l’altro, questo spazio dato a voi, tornerà mille
volte a beneficio di coloro che quotidianamente servite.
Come
trasporre questo concetto nell’amore? Direi: la bolletta dell’Enel, perché le
bollette possono uccidere una relazione; certe spese, certe preoccupazioni
possono strozzare un amore. Credo che non vi stia dicendo nulla di così lontano
dalla realtà. Alla fine, anche in una relazione marito-moglie, uomo-donna, o
anche d’amicizia, noi finiamo col dare eccessivo valore a cose secondarie, e
non mettiamo una goccia d’acqua nel nostro amore che sta morendo. Al diavolo
l’Enel,
F. Kreisler-Liebesleid
Sembra
strano che sulla quarta categoria si abbia poco da dire, perché è quella
ideale: il terreno buono. Parte cadde sul
terreno buono – dice Gesù – e
produsse ora il trenta, ora il sessanta, ora il cento per uno. Innanzi
tutto, dobbiamo tendere a questo ideale. Questa terra è Maria, questa terra
perfetta è lei. Fertile terra tutta
aperta al sole - dice un inno monastico riferito a Maria - cioè in lei,
come in nessun altro, abbiamo avuto la massima fioritura. I santi appartengono
alla categoria del quarto terreno, ma una parte di noi, un angolino, un
fazzoletto del nostro terreno dovrebbe essere così. Io spero che voi abbiate a
individuarlo. È una vostra consolazione, stasera, a dire: sì, è vero, sono un
terreno sassoso, sono un terreno impermeabile, sono un terreno disordinato,
sono un terreno dove i rovi e le spine tolgono l’aria, ma c’è una Parola che,
dieci anni fa, vent’anni fa, quindici anni fa, o nell’ultimo incontro di In punta di piedi ha messo radici, al
punto da dire: “Questa cosa, finalmente, ha preso radici ed è un bell’albero!”.
Per cui, dicendovi questo, vi do anche una terza lettura telegrafica, e cioè
che questi quattro terreni non sono quattro categorie di persone, ma sono
quattro aspetti di noi: a volte siamo la strada, a volte siamo il terreno
sassoso, a volte siamo il terreno con le spine, qualche volta succede anche che
siamo un terreno aperto. Pensate ad un Corso di Esercizi, ad un ritiro, ad un
triduo pasquale, ad un momento in cui siamo stati molto recettivi:
Vi
lascio due domande: cosa sta producendo la vostra fede adesso? Non in questo
istante, ma in questa stagione: nella vostra parrocchia, nella vostra famiglia,
dentro di voi, sta producendo? Se sì, allora siete sulla buona strada, perché è
una fede vera e una fede vera produce: produce opere, produce cambiamenti,
produce servizio, produce follie. Produce, come un amore vero: è fecondo.
Allora, anche quelli che hanno fatto il cinquantesimo anniversario di
Matrimonio, vanno istruiti sul fatto che devono generare. Dite: Ma io ho i
capelli bianchi! Sì, ma tu vuoi bene a tua moglie? Spero ancora di sì. E allora
devi generare, devi produrre, perché un amore che non produce si autoconsuma,
si autodistrugge. Questa è una legge. Lo vediamo - chiudo con questa
applicazione – sul piano artistico. I maestri hanno suonato e noi, alla fine,
li ringrazieremo col nostro consueto applauso, ma se non avessero suonato,
stasera sarebbe stata la stessa cosa? No. Certamente c’è stato un dispendio di
energie emotive, psichiche, ma entrambi i concertisti torneranno a casa con la
soddisfazione, non d’aver fatto un concerto, ma d’aver generato. Io lo vedo
anche in me (faccio questa confessione): quando per tre, quattro o cinque
giorni io non vi tedio con le mie riflessioni (voi o altri), io sto male, ma –
attenti - non sto male perché mi sento inutile, no. È un fatto germinativo, è
un fatto – permettetemi – di spermatozoi. Ovviamente, anche un Vescovo ama la
sua diocesi, ama i suoi preti, ma se questo non produce - e il produrre per me,
adesso, è il parlare, è l’istruire, l’educare - se per un po’ di tempo, a causa
di impegni, io mi trovo a far silenzio – e non pensate che il vostro Vescovo
non ami il silenzio: lo ama tantissimo – io sto male. Segno che quell’energia
che dovrebbe generare, rischia di distruggermi. Questa è una legge, credo, una
legge fisica, psichica: bisogna continuamente mettere la palla al centro, come
si dice in termini calcistici, bisogna fare un’altra azione: questo è generare,
questo è fecondità. Allora, cosa sta generando
J.
Williams – Theme from “SCHINDLER’S LIST”
***
Benedizione
del Vescovo
A.Simonetti – Madrigale
F. Kreisler – Miniature Viennese March
***
Il testo, tratto dalla registrazione, non è stato rivisto
dall’autore.