In
punta di piedi in Episcopio
Meditazioni
di
S. E. Rev.ma Mons. Arturo Aiello
Teano, 17 Dicembre 2009
-
Nel mistero del Natale -
Soprano: M° Marianna Russo
Tenore: M° Raffaele Russo
Violoncello: Vladimir Kocaqi
Pianoforte: M° Maria Teresa Roncone
***
Iniziamo
la nostra preghiera serale nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. Amen.
Conoscete
l’alfabeto delle nostre serate “In punta di piedi”. Questa sera è “In punta di
piedi nel mistero del Natale”: non si entra con gli scarponi da montagna, e
tantomeno con gli stivali militari, ma in pantofole, meglio ancora, a piedi
nudi, perché è un grande mistero, è il mistero che ha dato inizio alla nostra
redenzione. Questa sera si realizza anche un piccolo miracolo (facciamo
attenzione ai piccoli miracoli e non ai grandi), si realizza un mio desiderio:
far cantare insieme Marianna e Raffaele, mettendo insieme due parti della mia
vita, due regioni che hanno interessato la mia esistenza (Marianna viene dalla
Penisola Sorrentina, Raffaele è di questa terra: sono, quindi, delle due terre
del Vescovo). Ho sempre sognato di mettere insieme queste due voci e, questa
sera, ci riusciamo.
Ave
Maria (Caccini)
Si
entra nel mistero del Natale attraverso la porta di Maria - “Janua Coeli” noi
la invochiamo nelle Litanie Lauretane - che non è solo porta del cielo, ma
anche porta di salvezza. È impossibile rientrare nel Natale - perché è come se
dovessimo farlo ogni anno - tornando da lontano. Ci siamo persi durante il
corso di quest’anno, ed ecco che il Natale viene come un richiamo di casa.
Allora, rientriamo e diciamo: come mi presenterò?, cosa dirò? Sono malconcio,
ho perso tante cose - qualcuno potrebbe dire anche la fede - nel corso di quest’anno, ma c’è una porta e
una strada, che è la strada maestra e il portale solenne del Natale: Maria.
“Ave Maria” abbiamo ascoltato nella composizione di Caccini che si ferma a
questo: non va avanti nella preghiera, nelle parole dell’angelo, in quelle di
Elisabetta e, poi, nella parte corale del popolo (Santa Maria, Madre di Dio…), ma si ferma sulla soglia, è come un
canto sulla soglia. Comincia così la storia della nostra salvezza e comincia
così anche questo Natale. Allora, imbocchiamo con immediatezza, ma anche con
semplicità, la porta della Madre: entra, entriamo in questo Natale, adagio
adagio, e Maria ci accoglie. Una donna è la grotta del Presepe, perché Gesù,
prima che in una grotta, in una stalla, è nato in un grembo. L’aspetto della
grotta esprime il simbolo freudiano dell’inconscio collettivo che è il grembo
cavo di una donna che ci ha accolti, perché nel mistero del Natale riviviamo
anche il mistero della nostra nascita: io sono nato, tu sei nata, siamo nati
anche noi, e siamo nati da una donna. Allora, in “Ave Maria” c’è anche il
saluto per le nostre madri, vive o defunte, che ci riaccompagnano tenendoci per
mano verso il Natale, così come hanno fatto quando eravamo bambini e avevamo
bisogno di qualcuno che ci guidasse, che ci istruisse su cosa è il Natale, su
cosa significa, cosa comporta. Maria ti prende per mano e ti porta: lasciati
guidare. La seconda esecuzione è ancora nella tonalità mariana.
Nada
te turbe (Frisina)
Abbiamo
ascoltato Frisina che mette in musica Teresa d’Avila. Vi sarete chiesti: ma non
dovevamo rimanere sul tema della madre? Ebbene sì. Cosa dicono le mamme ai
bambini? “Non aver paura”. Questo è il messaggio di base, il messaggio cardine
della maternità, cioè la madre dice al suo bambino - ma Dio sa quanto ne
abbiamo bisogno anche da grandi -: “Puoi farcela, non temere”. È il messaggio,
1500 anni dopo la maternità di Maria, della maternità di una donna, Teresa
d’Avila, che non ha avuto figli, ma ha avuto tante figlie e ne ha ancora oggi.
Frisina, musicando questo brano, ha preso anche un sound spagnoleggiante; se avete notato, c’è un’anima spagnola,
perché Teresa è infuocata come
Magnificat
(Frisina)
È
ancora Frisina a toccare le corde del nostro cuore, attraverso una delle
tantissime realizzazioni musicali sul tema del Magnificat che è, forse, uno dei
testi più cantati nella storia della musica sacra. Chi è la donna che dice
“Magnificat”? Normalmente, noi, a Vespro – per quelli che hanno l’abitudine di
celebrarlo – recitiamo o cantiamo il Magnificat, pensando ad una donna beata
che ha ricevuto delle grazie speciali, che ha avuto in sorte d’essere
Lettura
di un brano tratto dal romanzo “Diario di un curato di campagna” di G. Bernanos
Mi
sembra di cogliere, in queste espressioni rubate al curato di Torcy, il senso della
grandezza di Maria, ma anche ciò che, di questa grandezza, lei, nella sua
esperienza concreta di donna, non ha potuto per nulla usufruire. Questo è
importante, cari amici, che lo comprendiamo. Siamo reduci dalla celebrazione
dell’Immacolata Concezione: un mistero grandissimo (spero che i termini vi
siano chiari, ma non sto qui a ripeterveli). Immacolata Concezione significa
che Maria non è stata toccata dal peccato originale, ma vi siete mai chiesti
se, di tutto questo, questa donna è stata mai cosciente? La risposta è no.
Questo ci mette un senso di stupore, inizialmente anche di angoscia, perché è
come avere un patrimonio enorme di cui non si è coscienti, cioè Maria, mentre è
stata attraversata dalla Grazia fin dal primo istante, non ha avuto nessuno
sconto per quanto concerne il suo vissuto di bambina, di adolescente, di madre,
in tutte le vicende che conosciamo accanto al Figlio: mai l’ha sfiorata l’idea
d’essere “super”, d’essere al di sopra delle altre. Starete pensando che
Elisabetta dice “Benedetta tu fra le donne”, ma sono quelle espressioni che
utilizziamo anche noi, nei nostri convenevoli, quando facciamo un augurio,
quando vogliamo osannare una persona, ma nessuno di noi, a prendersi sul serio,
crede appieno alle lodi che vengono da una persona peraltro di parte (Mi vuole troppo bene e stravede per me).
Quindi, anche quest’espressione di Elisabetta sarà morta sulla soglia della
coscienza di Maria ponendola, invece, nel dramma della fede che Bernanos
esprime anche come dramma di coloro che hanno preparato questa donna (dice: Sì, madre, ma anche figlia). Se siete stati a messa, oggi - ma non
era un giorno d’obbligo - vi sarete imbattuti in questa genealogia di Gesù che
è come un pugno nello stomaco ogni 17 dicembre, ma è un testo bellissimo, perché
parla di tutti gli uomini che si sono dati da fare per generare un figlio, nel
sogno meraviglioso di poter dare la carne al Salvatore; ci sono tutte le
generazioni che si sono susseguite nel sognare questa donna. È bello quando
Bernanos fa dire al curato di Torcy: Per
secoli e secoli (l’umanità) ha
protetto con le sue vecchie mani cariche di misfatti, mani pesanti, la
meravigliosa bambina di cui ignorava persino il nome. È come se queste
generazioni che si sono susseguite, si fossero trasmesse la speranza del
Messia; è come se avessero vissuto impastando, con le mani sporche di peccato,
di misfatti, di tradimenti, la carne bianchissima di Maria. Possono, delle mani
sporche, impastare un’opera d’arte? Le mani degli artisti sono sempre sporche:
le mani dei pittori, degli scultori, a volte anche le mani dei musicisti che
compongono, che scrivono (adesso, magari, si scrive al computer anche la
musica…) sono sporche perché c’è la foga, non si bada tanto a come si è
vestiti, si è presi dal demone - come dicevano gli antichi, però in senso bello
- della creazione artistica. Ecco, tutte queste generazioni si sono impegnate
in un sogno - dice Bernanos - per una bambina, che è rimasta bambina, anche se
Regina degli Angeli. Ora, questa bambina, la contempliamo nel mistero del
Presepe.
Astro
del ciel (Gruber)
Quando
andiamo a fare una piccola filologia di questi canti, scopriamo sempre, con
grande meraviglia, che sono nati nel nascondimento e poi sono diventati
patrimonio mondiale. Abbiamo ascoltato Astro
del ciel nella lingua in cui è nata. A Natale, nelle parrocchie, ma anche
nelle comunità protestanti (in Austria, in Germania), c’era la consuetudine di
produrre dei canti. È come se don Luigi dicesse a Maria Teresa: “Maria Teresa,
componi un canto per questo Natale
Lettura
di un brano tratto dal romanzo “Diario di un curato di campagna” di G. Bernanos
Il
collegamento “piccole cose-angeli” sembra in opposizione, perché noi
immaginiamo l’angelo come l’essere luminoso che occupa tutta la scena, che
attira l’attenzione. Invece, Bernanos ci invita, quasi in una sorta di
animismo, a vedere gli angeli nelle piccole cose, nelle sfumature, nelle poche
note messe insieme ad armonizzare un canto, nelle piccole parole che forse
avremo il coraggio di dirci in questo Natale, nel piccolo bambino. Natale è
legato agli angeli che - dice Sant’Alfonso nel meraviglioso testo che adesso
sarà eseguito - restano impressionati, ammirati: si fermano i cieli e gli
angeli guardano questa bambina (Maria era poco più che un’adolescente quando
mise al mondo il Figlio di Dio) che, come ogni mamma, canta la ninna nanna. Non
c’è nulla di più semplice di una ninna nanna. Chiunque fra voi sia stata madre
di un piccolo, ne avrà inventate a centinaia – “Cantami quella di ieri sera!” Che cosa ho cantato ieri sera? - c’è
un’inventiva, basta mettere insieme poche note e qualche parola, ed ecco che
viene su una ninna nanna. Allora, la ninna nanna è quanto di più piccolo possa
essere prodotto sul piano musicale. Ebbene - dice Sant’Alfonso, nella sua
immaginazione poetico-mistica - la ninna nanna cantata da Maria fece fermare
anche le costellazioni, anche le orbite degli astri.
Fermarono
i cieli (S. Alfonso Maria de’ Liguori)
Il
tema della ninna nanna andrebbe ulteriormente approfondito, scavato, aperto,
dispiegato come un tema di vita. Ogni sera, quando abbiamo difficoltà ad
addormentarci - e credo che ciascuno di
noi viva delle sere in cui il sonno non viene - invochiamo una voce: il Natale
è in quella voce, il Natale è in quel “Dormi, dormi: fa’ la ninna nanna Gesù”,
il Natale è un po’ assonnato. Io spero che qualcuno fra voi si addormenti in
questa sala (potrebbe essere l’attestazione che non stiamo perdendo tempo),
perché ad avere gli occhi bene aperti, non c’è Natale. Il Natale è nell’attimo
che collega il sonno alla veglia, è quel dolce precipitare, quell’assopirsi dei
sensi, quel sentire il mondo con i rumori ovattati. Sarà così anche la morte -
speriamo -: addormentarci, sentendo che i rumori si assopiscono (“Sentivo mia
madre… poi nulla… sul far della sera”, dice il poeta). Se non entriamo in
questa dimensione un po’ onirica - nel senso bello del termine - non c’è
Natale: tutto quello che avete preparato, o che vi accingete a preparare, non
servirà, perché state svegli, troppo svegli. “Dormi, dormi: fa’ la ninna nanna
Gesù”, ma questa ninna nanna deve farla anche l’umanità insonne. Oggi vanno di
moda le notti bianche: è un caso che il termine “notte bianca”, da evento
drammatico, sia diventato una moda? Me lo chiedo. Com’è andata? Ho fatto una
notte in bianco!
Adesso,
sembra che la notte bianca sia una sorta di proposta avvincente, allettante. Il
problema, cari amici, è che la fede - e non pensate che sia un oppio: è
tutt’altro - si pone sul limitare della veglia col sonno, sul limitare della
ragione col sentimento, nella siepe che divide le idee chiare e distinte dalla
poesia: qui è il Natale e, allora, o mi metto in pigiama, mi metto in
pantofole, socchiudo gli occhi ed entro nel mistero del Natale (questo mio
discorso non vi sembri poetico-suggestivo: è un discorso spirituale) o resterò
sempre freddo, cercando la salvezza chissà da che parte e, invece, forse, la
salvezza è addormentarsi, entrare in questo tempo sempre dolce della ninna
nanna, che non è un tempo frenetico, ma è un tempo che inclina al sonno, che
inclina alla pace. Lasciatevi cantare la ninna nanna: non è solo per Gesù, ma è
per l’umanità che Egli è venuto a salvare e che ancora si dà da fare pensando
di salvarsi da sola. Addormentati, dormi tranquillo, perché sei già salvo.
Ninna
nanna (Brahms)
Siete
ancora svegli? Purtroppo sì… Il sonno, anche nella letteratura, in particolare
in quella del Novecento, purtroppo sembra legato ai drammi, agli incubi.
Pensate anche all’irruzione terribile, freudiana, nel mondo dei sogni:
“L’interpretazione dei sogni” apre, all’inizio del Novecento, una nuova era che
è venuta a toglierci il sonno, perché si ha paura di addormentarsi, perché per
i bambini arrivano i mostri, i fantasmi… Le fiere che ci rincorrono, che ci
fanno svegliare sudati come dopo una battaglia, hanno tolto la dimensione dell’abbandonarsi,
che è propria del sonno. Il sonno è un atto di fiducia: si addormentano gli
ottimisti. I pessimisti non dormono, perché pensano che ci sia un nemico da
qualche parte che venga a strozzarli. I film dell’orrore, da questo punto di
vista, non ci hanno reso un ottimo servizio, non hanno aumentato la qualità del
nostro sonno. Questi nostri incontri, che sono ovviamente di carattere
spirituale poiché siamo un tutt’uno (spirito e corpo), devono avere anche un
effetto di rilassamento, di training, per cui, stanotte, sicuramente dormirete
- lo dico per quelli fra voi che soffrono d’insonnia – perché l’addormentarsi è
un gesto di fiducia. Lo penso, in particolare, per quelli fra voi che sono
sposati e dormono nel letto con la moglie, col marito; ogni sera voi firmate
un’attestazione di fiducia: “Stanotte mio marito non mi strozzerà - non so se
ci pensate qualche volta: voi sorridete, ma è così - mia moglie non mi metterà
il cuscino sul volto, sapendo che io soffro d’asma, facendomi passare da questo
sonno all’altro”. Ma quello che dico degli sposati, vale per tutte le persone:
noi ci addormentiamo fidandoci di Dio, fidandoci che domani andrà meglio,
fidandoci che il mondo si evolverà, anche senza il nostro apporto febbrile e
febbricitante. Addormentarsi è un gesto di fiducia e, poiché la fiducia è
propria dei bambini, i bambini dormono meglio perché dicono: “Mio padre e mia
madre sono delle potenze e non mi abbandoneranno”. Quando voi avete portato ad
addormentare i vostri figli piccoli, avete detto: “Non ti preoccupare: andrà
bene”; quando si sono svegliati in preda ad un incubo, avete detto: “Non ti
preoccupare: mamma sta qui”, a dire: non c’è problema. Ecco, allora vorrei che
chiedessimo, in questo Natale, il dono di un abbandono fiducioso: è un esercizio
che dobbiamo fare ogni sera, perché ogni sera – speriamo – ci addormentiamo,
ogni sera esercitiamo la speranza, che è la speranza in Dio, che è la speranza
nel mondo, che è la speranza nell’umanità, che è la speranza che quello che
abbiamo seminato, come dice un’orazione della Compieta, possa produrre i suoi
frutti. Hai fatto quello che potevi? Hai sparso il bene a larghe mani? Ecco,
adesso puoi andare a dormire. Gesù utilizza, per questo concetto, un termine
che ci ha sempre infastidito, ma che, stasera, torna in una maniera molto
positiva: Quando avrete fatto tutte
queste cose, dite “siamo servi inutili”. “Inutile” noi l’abbiamo sempre
raccolto come uno schiaffo: non sei bravo, non servi a niente… Invece,
dev’essere raccolto come la fiducia del servo che ha fatto il suo dovere e che,
dunque, può addormentarsi, perché i servi dormono più dei padroni, perché gli
operai dormono più degli imprenditori (non intendo nel numero di ore, ma nella
qualità del sonno), cioè chi è servo dice: “Io non sono il capo dell’impresa,
non sono l’amministratore delegato” e, quindi, si addormenta più facilmente.
Allora, Gesù ci dice: Quando avrete fatto queste cose - cioè quando avrai fatto
il tuo dovere - addormentati, lasciati andare, abbandonati, perché tu sei solo
un servo. La traduzione più dolce di “inutile” è “sei solo un servo”. Hai
servito? Bene, adesso hai il diritto di addormentarti.
Sempre
nella spiritualità alfonsiana, abbiamo
Quanno nascette ninno. Sant’Alfonso, gloria del meridione, gloria della
Campania, ha avuto – ve l’ho già detto forse qualche anno fa – il piglio
dell’artista nella composizione di queste nenie. Pensate che Fermarono i cieli, che abbiamo ascoltato
poc’anzi, è di una dolcezza e di una bellezza che allarga il cuore: non solo ha
il genio di tradurre in una maniera accessibile, poi ha il genio musicale (un
grande musicista dice che senza Tu scendi
dalle stelle non si fa Natale), ma anche il genio di parlare nella lingua
del volgo. Quindi, se l’italiano, nel Settecento, lo parlava solo la classe
colta, dovendo rivolgersi ai contadini, Alfonso ritiene di dover cantare in
dialetto napoletano: questa non è solo una strategia, ma è il mistero della
fede che si chiama incarnazione. Se c’è qualcosa che dovete rimproverare a
noi-Chiesa è di non essere incarnati, cioè di essere disincarnati.
L’incarnazione è Dio dentro la storia e, se Dio è dentro la storia, è il caso
che noi ne stiamo fuori? Allora, anche la versione in vernacolo non è solo una
strategia, ma è anche un annuncio di fede: Dio si è fatto uomo e io, Alfonso,
Vescovo colto, grande moralista, musicista, avvocato di grido del foro di
Napoli, canto in dialetto.
Quanno
nascette ninno (S. Alfonso Maria de’ Liguori)
Abbiamo
“visto” l’incarnazione di Alfonso nella Napoli del Settecento, nella bella e
poetica traduzione e trasfigurazione del fieno: abbiamo ascoltato che comincia
a “figliare”, cioè caccia dei germogli e, quindi, diventa più dolce. Sul tema
dell’incarnazione vi ripeto un concetto forse già esplicitato qualche anno fa:
il Natale è la cosa che ci è riuscita meglio. Innanzi tutto, sapete che il
Natale, storicamente, nella sua celebrazione è tardivo. Certamente, nella
Chiesa di Roma, nella Chiesa di Gerusalemme, ad un certo punto, si è sentito il
bisogno di celebrare anche la nascita (ricordatevi che il centro della fede è
Che
c’entra tutto questo con l’incarnazione? C’entra, perché ho l’impressione che
noi facciamo troppo i mistici e dimentichiamo che l’uomo è fatto di carne, di
ossa, di abitudini, di sensazioni, di emozioni. L’albero di Natale con le luci
genera un’emozione, i canti che noi stiamo ascoltando hanno valore nella misura
in cui generano delle emozioni – e ne stanno generando, immagino! – sono
richiami all’infanzia: noi stiamo rimescolando ricordi, ma anche attese,
suscitati dalla musica. Allora, l’incarnazione significa anche scendere
nell’umanità e dire: l’uomo ha bisogno di una festa, l’uomo ha bisogno di
festeggiare una nascita, l’uomo ha bisogno di una speranza, l’uomo ha bisogno
di un tempo diverso, l’uomo ha bisogno di luci, l’uomo ha bisogno di vibrare
dentro. Allora dico: siamo stati proprio bravi - non lo dico a me, ma alla
cristianità - noi siamo riusciti ad orchestrare e a convogliare tutte queste
forze per dire “Natale”. È vero che alcuni vorrebbero cambiare il nome, ma alla
fine non ci riusciranno, perché questa è la cosa che ci è riuscita meglio. E
perché le altre cose non ci riescono?, perché non ci mettiamo amore? Perché il
Papa ha chiamato gli artisti nella Cappella Sistina? Cantanti, scultori… C’era
di tutto! La fede ha bisogno dell’arte, ne ha bisogno estremo! Già Paolo VI,
rivolgendosi agli artisti, diceva: “È vero, ad un certo punto ci siamo divisi”
e, quindi, l’arte è andata per i fatti suoi… Paolo VI aveva ritentato un
aggancio. Il Papa Benedetto ha convogliato gli artisti nel luogo più pregno
d’arte, che è
Il
Natale è la cosa che ci è riuscita meglio, però non ci fermiamo e non dormiamo
sugli allori: ci sono tante cose che ci riescono male, malissimo, dove siamo
pedanti, dove non riusciamo a smuovere neanche una virgola. Allora, continuiamo
a riposare su questo mistero, anche se, in questo momento, immagino d’aver
acceso in voi desideri di produzione, in senso saggio e santo. Continuiamo a
lasciarci cullare, perché siamo salvati, come dicono queste parole che
inizialmente sembrano versi disperati:
E noi qui
appesantiti
disperati
moribondi
con la certezza
d’essere perduti…
Eppure salvati.
Ninna
nanna (Mozart)
Cominciamo
a volgere verso la “pista di atterraggio”. Cominciamo a scendere - dice lo speaker
dalla cabina del pilota. Tornando alla ninna nanna e alla letteratura - perché
c’è una letteratura della ninna nanna - dobbiamo dire che c’è sempre un
messaggio di forza che la madre trasmette al figlio attraverso delle parole (Sei il migliore, tu sei il mio re, il mio
principino…), cioè ci sono delle frasi che, a freddo, ci sembrano
eccessive, ma che nel mistero del Natale assumono una loro valenza teologica.
Innanzi tutto, c’è da dire che il senso di autostima, come dicono gli
psicologi, che noi abbiamo o non abbiamo, dipende anche da questi messaggi
ricevuti nell’infanzia, cioè noi, da nostra madre, da nostro padre, dalle
persone che abbiamo incontrato, abbiamo ricevuto fondamentalmente dei messaggi
di forza, e noi siamo grati ai nostri genitori e a coloro che ci hanno detto
che eravamo dei re, dei principi… Poi, magari, nella vita abbiamo scoperto che
non era così, e allora qual è la verità? Quella della ninna nanna che mi
cantava mia madre o quella che sto sperimentando ora? Ciascuno di voi risponda
nella sua mente: aveva ragione mia madre o ho ragione io? Cioè sono uno
scalognato?, sono un disgraziato?, sono un buono a nulla? Il napoletano ha
coniato un proverbio che tutti conoscete e che dice che anche l’insetto più
brutto risulta bello agli occhi di sua madre: lo “scarafone” che è bello agli
occhi di sua madre è veramente bello? È un grande interrogativo: la madre
stravede per il figlio e, quindi, vede quello che non c’è?, o il figlio, ad un
certo punto, dimentica la sua regalità e comincia a vivere raccogliendo i
messaggi di disistima che gli vengono dagli altri o che egli stesso si crea? La
mia risposta – l’avete già immaginata – è che hanno ragione le mamme, le quali,
con l’occhio contemplativo dell’amore, riescono a intravedere delle potenzialità,
delle possibilità nel figlio che il figlio non vede. Se Raffaele canta con
tanta gioia, tirando fuori il petto, se Marianna riesce negli acuti che fanno
tremare non solo l’aria, è anche dovuto ai messaggi di bene delle loro mamme.
Voi direte: ma che c’entra questo col Natale? C’entra. C’entra nel cuore del
Natale, perché il cuore del Natale è questo: Dio-uomo, uomo-Dio. Dio-uomo è
l’aspetto discendente - e noi ci fermiamo qui, purtroppo - cioè Dio scende
dall’alto e si fa uomo (ognuno di noi sa che il Natale è questo), ma
dimentichiamo l’altro movimento del Natale, quello ascensionale, cioè uomo-Dio,
perché l’uomo-Dio è quindi re, è quindi principe, è quindi bello... Questa è
una dimensione molto importante del Natale, altrimenti rischiamo di fermarci al
sentimentalismo. Allora, le emozioni sono utili nella misura in cui, nel figlio
di Maria, che è il Dio fatto bambino, io sento che Dio è venuto a cercarmi, ma
è venuto a cercarmi per portarmi con sé nella reggia, per essere divinizzato.
Questo termine appartiene alla teologia più antica della Chiesa, quando
Bianco
Natale (Berlin)
Negli
ultimi anni, per me, l’emozione del Natale, da un punto di vista musicale, è
legato a questo testo. Molti di voi lo sanno, avendo letto i due racconti editi
lo scorso anno: Holy night, di cui
non sono importanti le parole, contiene la suggestione che viene dalle note che
fanno vibrare lo stomaco (è lì il mio punto di coagulo dell’emozione, poi
ognuno di voi avrà il suo), facendomi intravedere questa novità che anch’io
cerco, che è già accaduta, ma che aspetta d’essere pienamente realizzata. Come
dicevo nei due racconti[1]
dell’anno scorso, questo testo è nato per caso: un Pastore chiede di scrivere
un testo per Natale a un venditore, uno che trasportava vini (quindi non doveva
essere neanche un grande poeta) che gli scrive un testo più o meno poetico (tra
l’altro, questo venditore di vini, questo impresario del commercio di vino era
anche senza un braccio, quindi, anche segnato nel suo corpo dal dolore, dalla
difficoltà). Ovviamente, c’era il problema di musicare il testo, ma le cose si
intrecciarono provvidenzialmente: c’era un ponte che si stava costruendo in
questo paese e c’era un ingegnere di Parigi che aveva una moglie soprano. Noi
mai avremmo avuto Holy night - al di
là dei versi di questo venditore di vini, a mio parere anche piuttosto pedanti
- se non ci fosse stato il ponte caduto, l’impresa che arriva da Parigi e,
nell’impresa, un ingegnere che aveva la moglie soprano e che è utilizzata da
Adam, grande (almeno per l’epoca) musicista di balletti. Allora, avviene una
congiunzione astrale e quello che doveva essere un canto natalizio per una
parrocchia diventa, nella versione anglosassone (la versione originale è in
francese), una sorta di number two
(secondo me, dopo Astro del ciel, Holy night è al secondo posto nella hit
parade). Dico questo non per filologia musicale, ma per farvi cogliere come
questo canto sia nato nel piccolo, in una piccola contrada della Francia, in un
piccolo Natale sconosciuto che, invece, assurge a storia dei canti natalizi, ad
un Natale speciale. Mi chiedo: questo sarà un Natale speciale per noi? Non
dipenderà dagli effetti, ma dipenderà se riusciamo ad andare nella parte più
piccola di noi, scavando, come dicevo l’anno scorso, nel bambino che sonnecchia
da qualche parte e che vuole celebrare questo Natale, che ha bisogno che
qualcuno gli racconti questa fiaba: c’era una volta… Il Natale è la
meravigliosa fiaba – vera! - che un bambino vuole ascoltare. Ma c’è in me, in
te, questo bambino desideroso di ascoltare questa fiaba nel Natale 2009? Questo
canto credo che darà il colpo finale per risuscitarlo.
Holy
night (Adam)
Se è
possibile dare una lettura, sul piano musicale, potremmo dire che Astro del ciel risente ancora del
classicismo musicale dell’epoca. Invece, questo è un tema propriamente
romantico, che apre alcuni orizzonti musicali che sappiamo appartenere al
melodramma ottocentesco e ad altre opere di questa produzione. È il caso di
concludere, augurandoci semplicemente che questo Natale sia Natale, e che lo
sia nella parte più povera di noi: più siamo nella difficoltà, nel lutto, più
siamo candidati al Natale. Spesso diciamo: “Non sarà Natale per me” e, invece,
è proprio questa sorta di essere alla deriva - e alcuni di noi forse si sentono
così - che ti candida, che ti rende possibile l’ingresso nel cuore del Natale.
Ci auguriamo vicendevolmente, non solo un buon, ma un Santo Natale. Tutto
quello che ho detto cercate di rimuginarlo, di ruminarlo, richiamandolo alla
mente. Evitiamo, soprattutto gli ultimi giorni, se possibile, di disperderci
eccessivamente. Invece, troviamo un momento contemplativo, magari a luci
spente, accanto al Presepe, da soli o con poche persone, in un momento di
silenzio o di preghiera per entrare nel mistero: è a portata di mano, nessuno
di voi è lontano. D’altra parte, Dio è venuto per incontrare tutti e, in particolare,
quelli fra noi che sono più in difficoltà: dunque, apriamogli le porte,
apriamogli il cuore.
Ovviamente,
diciamo grazie a questo quartetto - Maria Teresa, Vladimir, Marianna e Raffaele
- che ci hanno aiutato a pregare e che, con le loro esecuzioni, hanno dato uno
smalto ulteriore a questa produzione di emozioni: la cosa, come ho già detto,
che ci è meglio riuscita.
Padre
nostro…
Benedizione
del Vescovo
In
tema di ninna nanna, anziché dirci buon Natale, ci diciamo buona notte, santa
notte.
Holy night
(Adam)
***
Il testo, tratto dalla registrazione, non è stato rivisto
dall’autore.