In punta di piedi in Cattedrale
Ritiro per adulti
guidato da
S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Trittico
alla luna
Teano, 10 dicembre 2010
Chiesa Cattedrale
~
Programma
musicale
John Weaver – Toccata per
Organo
Ahirang Ensemble – La luna fra
le montagne d’Ottobre
Antonio Buonomo
– Kluster
Patrizio Marrone – Suite da
Camera
Livio De Luca – Trittico alla
Luna
nuovacrescespegnevuota
21 luglio 1969 – l’uomo mette piede sulla luna
9 ottobre 2009 – l’uomo bombarda la luna a caccia dell’acqua
Gaetano Panariello – Incantesimo
Lunare
Livio De Luca – Capriccio
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1° meditazione
Ringraziamo
il Maestro Cascio e gli organizzatori dell’Autunno Musicale che hanno voluto
inserire questo appuntamento nella nostra Cattedrale, e noi, con la nostra
tradizione locale, condividiamo con gli artisti la buona abitudine di
riflettere insieme con la musica.
Il
titolo di questa serata – Trittico alla Luna – ci porta a considerare la luna
non tanto da un punto di vista scientifico, ma nella percezione che l’uomo ne
ha avuto; da sempre troviamo tante volte la luna - che ci fa compagnia nelle
notti insonni - nel linguaggio dei poeti, degli innamorati. Ci sono delle
serate di luna piena o di falce di luna calante che sono rimaste impresse nella
nostra memoria.
Vorrei
offrirvi tre spunti di riflessione.
Il
primo è la luna-donna, non solo perché l’articolo è al femminile (“la” luna),
ma perché da sempre, anche prima d’ogni riflessione direttamente scientifica,
la luna è stata posta, in qualche maniera, a spiegazione della donna e come suo
pianeta, innanzi tutto per la ciclicità: la donna è innanzi tutto maestra del
tempo. La percezione del tempo, nella vita dei maschi, è molto successiva e
secondaria; una riflessione sul tempo viene solo – direbbe il Piaget – quando si comincia a formulare il pensiero
astratto. Nella donna la ciclicità fisica pone a riflessione il tempo prima che
si possa svolgere una vera riflessione. Forse potremmo parlare di una
riflessione fisica: è possibile riflettere col corpo, prima che con la mente?
Quando
ho enunciato il tema “luna-donna” alcuni di voi hanno ammiccato pensando che io
indulgessi - ma sarebbe lontanissimo dalla mia sensibilità - alla mutevolezza
della donna come la luna. Invece credo che questa riflessione sul tempo
costituisca un elemento più profondo, cioè la donna è maestra del tempo. Ne
abbiamo fatto esperienza anche con le nostre mamme; ancor prima di percepire la
loro femminilità e la ciclicità del loro corpo, la madre è colei che dice:
“Adesso si dorme. Adesso ci si sveglia. Adesso si mangia”, cioè scandisce i
tempi e la scansione dei tempi è fondamentale per evitare l’angoscia da tempo.
C’è anche una “angoscia da tempo” quando il tempo non è scandito, quando non
c’è il battere e il levare del tempo, per dirla in termini musicali, quando il
tempo – e questa è anche la tentazione dell’uomo, oggi – è fotocopia del giorno
precedente, quando non c’è un tempo diverso dal tempo, un tempo-festa, un tempo
di riposo, un tempo di lavoro, un tempo di preghiera, un tempo per l’amore, un
tempo per l’odio, direbbe un autore dell’Antico Testamento che si chiama Qoèlet:
Per ogni cosa – egli dice – c’è il suo tempo. La donna diventa, da questo punto
di vista, una maestra perché sente scorrere il tempo, lo racconta ed educa al
tempo, alla temporalità. Che cosa rende questo giorno diverso da un altro? Le
donne per questo sono anche maestre di ritualità, di rito e la luna crescente,
la falce di luna crescente, la mezzaluna, la luna piena, la luna calante hanno
disegnato da sempre nel cielo il passaggio dei tempi e quindi anche una
divisione del tempo, che sia una divisione armonica per cui si possa scrivere
una frase musicale. Potremmo dire che sul pentagramma del tempo si svolge la
nostra vita: siamo bambini, siamo adolescenti, siamo giovani, siamo adulti, ma
tutto questo dove lo abbiamo appreso? Lo abbiamo appreso dalla donna. Alcuni
studi d’avanguardia rispetto alla percezione del feto nel grembo materno,
affermano che il battito del cuore materno è la prima scansione del tempo.
Quindi, prima ancora di nascere, prima ancora di incontrare nostra madre, noi
abbiamo avuto percezione del tempo: è la madre, è la donna colei che ci fa
fraternizzare col tempo, perché il tempo normalmente è ritenuto un avversario
(il tempo che corre, il tempo “sabbia nella clessidra”, il tempo che sfugge, il
tempo della vecchiaia che incombe con i suoi malanni). Abbiamo bisogno di
qualcuno che ci faccia far pace con il tempo; questo “qualcuno” è la donna, è
la madre-donna, è la donna-madre che ci porta per mano e ci dice: Non temere,
non avere paura del tempo, perché il tempo ti è amico.
Cominciamo
così questo nostro ascolto religioso. Per chi fosse nuovo di queste nostre
esperienze, noi riserviamo un grandissimo applauso solo alla fine di tutta la
serata, in modo tale da mantenere una sorta di raccoglimento che aiuta anche i
concertisti e aiuta noi nell’ascolto. A volte contenere un’emozione, facendola
esplodere solo alla fine, è un aiuto per “entrare dentro”. Magari per qualcuno
sarà una sofferenza non applaudire, ma è una buona sofferenza, una sofferenza
che educa al rimando. Se ci fate caso, la madre è anche colei che dice: “Non
ora, non qui”; aiuta a rimandare una gratificazione, fosse anche la
gratificazione della poppata.
***
2° meditazione
Mentre
ascoltavo, mi ponevo un interrogativo che adesso rimando a voi: cosa distingue
un rumore da un suono? Oggettivamente può esserci, in tema di onde sonore, la
stessa forza o la stessa debolezza, ma ciò che distingue un suono da un rumore
è un rumore pensato, un rumore che genera un’emozione, che parte da
un’emozione. Ovviamente qui non ci siamo trovati in una cascata di rumori, ma
in una composizione, perché ci sono degli spartiti su cui queste cadenze,
queste ritmiche, queste sonorità sono state pensate e non sono state pensate al
computer, ma sono state pensate da uomini. Quindi sono partite da una
descrizione di uno stato d’animo, da sensazioni, da sentimenti. Credo che sia
una buona scuola, questa di stasera, sul tempo, di cui la donna è maestra.
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che
fai, silenziosa luna? Con la dieresi,
il poeta ha voluto indulgere sull’aggettivo “silenziosa” riferito alla luna,
per darci anche un tempo di cammino. Siamo nel “Canto di un pastore errante
dell’Asia”, in cui il poeta-pastore, che interroga la luna e da cui non riceve
risposte, alla fine comprende come l’andare continuo del pastore col suo gregge
è l’andare continuo della luna.
È
su questo secondo concetto che vorrei brevemente fermarmi con voi: l’andare.
Noi
stiamo andando. Speriamo di stare andando pensando e non, spinti da fattori
esterni a noi, da condizioni che non scegliamo e che semplicemente subiamo.
Noi
stiamo andando e anche la riflessione-concerto, il concerto-riflessione di
stasera è una tappa del nostro andare.
Dove
stiamo andando? Da dove stiamo venendo? E che cammino abbiamo fatto quest’oggi?
difficoltoso? facile? bello? brutto? provato? di lacrime? di fatica?
Dobbiamo
continuamente interrogarci, perché rischiamo di arrivare alla fine della
composizione della nostra vita senza accorgerci che abbiamo vissuto. Queste
nostre soste servono anche a rinfrancarci e a dire che stiamo vivendo, che è
una cosa bellissima, nonostante i drammi, nonostante i problemi. Stiamo
vivendo, nel senso che siamo vivi, respiriamo, pensiamo, avvertiamo dei
sentimenti, interagiamo col mondo, con gli altri. Tutto questo non è così
immediato se noi non lo pensiamo; non è così bello se noi non ci rendiamo
conto, come il pastore, come la luna, che siamo in fasi lunari, in fasi di
transumanza, in fasi di cammino.
A
che punto siamo? Fermiamoci un attimo, guardiamo indietro, guardiamo il bambino
che eravamo, guardiamo che è accaduto, guardiamo che cosa ci ha cambiati, che
cosa ci ha resi forti e belli - permettetemi questo aggettivo - così come
siamo. Sono stati degli eventi. E che cosa adesso ci sta esplodendo tra le
mani? Che cosa si prepara?
Il
cammino della luna è il cammino del pastore, è il cammino dell’uomo. Questa
temporalità non è una temporalità ciclica, come la luna d’altra parte, come -
dice sempre il Qoèlet - il sole, che gira e rigira e torna sempre nel suo
corso, quasi in una sorta di eterno ritorno. Non è così. Anche se noi facciamo
le stesse cose ogni giorno, le facciamo, se pensate, se amate e se sofferte, in
una maniera sempre nuova, per cui il nostro andare non è ciclico, nel senso
della circolarità, ma è lineare, nel senso di un avvento (siamo nel Tempo
d’Avvento), nel senso di una venuta, nel senso di una finalità, di un theόs verso cui si muove la nostra
vita.
Anche
la Chiesa è nel tempo ed è in cammino. La Chiesa è come una donna e questa
similitudine, Chiesa-donna, Chiesa-luna,
non è mia, ma appartiene ad un padre della Chiesa antichissimo che dice che la
Chiesa va crescendo. Il binomio donna-luna è anche legato alla donna gravida
che vede allargare il suo ventre: qualcuno vi ha deposto, come in tre staia di
farina – direbbe Gesù – un lievito. Un grembo va lievitando, si allarga e
genera. Così la donna, così la luna, così la Chiesa.
Noi
ci prepariamo al Natale e in questo momento, anche se troviamo poche
raffigurazioni nella storia dell’arte, abbiamo una Maria gravida, Maria in
gravidanza. Ci sono poche rappresentazioni perché c’è sempre stato sempre un
po’ di timore a raffigurare Maria col ventre ricolmo: sarà parsa un’immagine
poco rispettosa, in realtà è un’immagine bellissima. Invece troviamo tantissime
immagini di Maria che allatta, perché è più materna, ma non è meno materna la
donna all’atto in cui le fermenta il grembo. Anche la Chiesa è incinta, anche
la Chiesa-donna, la Chiesa-luna
ha le sue fasi, al punto che un padre dice: “Voglio cantare un canto alla morte
della Chiesa”. Sembra una bestemmia, ma in realtà è un pensiero altissimo
perché la Chiesa, nel suo aspetto visibile, è temporanea, ma in ciò che
rappresenta è eterna. Allora il padre dice: “Voglio cantare un canto alla morte
della Chiesa”, perché vorrebbe anticipare il tempo in cui la Chiesa sia
pienamente ciò che deve essere, in cui non ci sarà più l’immagine, non ci sarà
più la statua, non ci sarà più il dipinto, non ci sarà più la musica, ma ci
sarà il grande silenzio della musica o la musica del grande silenzio, cioè
l’eternità.
Ci
sono dei cammini paralleli: la luna col suo andare, il pastore col suo andare,
l’uomo con le sue stagioni, la storia con le sue tensioni, con le sue guerre,
con le sue paci; la Chiesa con le sue guerre e con le sue paci. In questo
momento è in guerra, come vedete, una guerra dolorosa, ma probabilmente
salutare. Nei termini della fede, nulla accade nella Chiesa che non sia, anche
quando venga dall’egoismo delle persone o delle persone di Chiesa, sotto il
manto della misericordia. Allora, continuando ad ascoltare queste suggestioni
musicali, ritroviamo il bandolo del tempo.
Già
vi ho citato una volta questa espressione, ma per chi fosse nuovo del nostro
uditorio la ripeto: “Vivere è aver vissuto”. È un’espressione che sembra
pessimista; viene dai campi di concentramento ed è sulla bocca di un ebreo in
un momento terribile. Significa che, all’atto in cui io riprendo il bandolo del
tempo della mia vita, anche se sono nella fase calante, anche se vivo un
momento non esaltante, questa vita è mia, mi appartiene, e nessuno me la potrà
togliere, neanche la morte. Neanche la morte potrà togliermi quello che ho
vissuto, ciò che ho amato, ciò che ho pensato, il tentativo, che abbiamo visto
poc’anzi e che adesso continueremo ad ascoltare, di dare pensiero ed emozione
ad un rumore, trasformandolo in suono.
***
3° meditazione
Vorrei
tornare, in quest’ultimo intervento, al trittico del Maestro De Luca con la data
dell’allunaggio: 21 luglio 1969. Siamo tutti - credo gran parte -
sufficientemente avanti negli anni per ricordare quell’evento. Cosa accadde? E
che cosa è cambiato? Ci furono tante polemiche e anche tante paure: l’uomo
poneva il suo piede sulla luna.
È
cambiata la luna, da allora? Potremmo dire di sì, ma sentiamo di rispondere no,
soprattutto perché se quel gesto, al di là di come sia stato vissuto,
dall’ansia che lo accompagnò, non voleva dire possesso, allora la luna non è
cambiata: è ancora la luna degli innamorati, quella caprese da cui vengo (…ca faje sunna' l' ammore 'e 'nnammurate).
Questo mi dà la possibilità di dire che la luna va guardata da lontano, come la
madre, come la donna (senza creare un nuovo dolce
stil). A volte abbiamo la mania di toccare, di
possedere, di chiudere nel palmo di una mano, di dire: è mia! Se l’allunaggio
significava possesso, per l’uomo, per gli Stati Uniti, per l’umanità, per noi
che eravamo appiccicati ai televisori in bianco e nero dell’epoca, allora
stavamo commettendo effettivamente un oltraggio; ma se poggiare il piede sulla
luna ci ha posto nuovamente lontani dalla luna, allora quel gesto ha lasciato
la luna com’era. L’uomo cerca di manomettere, di mettere le mani sulle cose,
sui sentimenti, sul DNA, sui pianeti, ma l’uomo dev’essere
un contemplatore, uno che guarda. Non tutti sanno che in quell’occasione Paolo VI, invitato a dare un messaggio all’umanità, scrisse di
suo pugno il Salmo 8 e lo inserì in un plico che è depositato sulla luna. Il
Salmo 8 si trova nel Mare della Tranquillità - credo che si chiamasse così il
luogo dell’allunaggio -, la Parola di Dio, scritta di pugno dal grande Paolo VI, adesso è lì, sulla luna di cui il salmista cantava
migliaia di anni prima: Se guardo il tuo
cielo, se guardo la luna e le stelle che Tu hai fissate, che cosa è l’uomo
perché Tu te ne dia pensiero?, cioè dinanzi all’immensità del cosmo l’uomo
riprende la sua veste di pellegrino e di povero, di piccolo. La scienza, quando
è vera, ci fa sempre piccoli, ci pone in ginocchio, ci pone nella percezione di
dire: ma noi chi siamo rispetto a ciò che un Altro ha fatto? Sia che l’abbia
fatto direttamente, sia che l’abbia fatto – come è più probabile – dando il via
ad una serie di processi che sono andati evolvendosi, l’uomo viene posto nella
sua dimensione di piccolezza.
Concludiamo
così, prima di ascoltare l’ultimo brano, la nostra contemplazione sulla luna:
la prossima volta che alzerete lo sguardo al cielo, tenendo la mano di vostra
moglie, della vostra ragazza o del vostro ragazzo, la prossima volta che avremo
modo di contemplare la luna che cresce, la luna di Pasqua (ci sarebbero da dire
tante cose sulla luna anche da un punto di vista liturgico), sentiamo d’essere
anche noi spettatori e di poterla cambiare con i nostri pensieri. Il creato è
un magma ancora in evoluzione, l’uomo ancor di più. Allora, con la nostra
piccola, povera vita, ciascuno di noi dà il suo input, dà un suo contributo,
dice una parola, scrive un verso, segna una nota sul pentagramma che rende il
mondo più bello. Tu che guardi tutto questo, dai il tuo contributo: il tuo
sguardo cambia il mondo, il nostro sguardo cambia la luna, perché la luna degli
innamorati non è la luna degli scienziati. E se dovessimo fare una scelta di
campo, stasera, ovviamente – credo tutti, decisamente – sceglieremmo la luna
degli innamorati (Tu, luna caprese, ca faje sunna' l' ammore 'e 'nnammurate …).
Sono
innamorati anche i cristiani - guai se non lo fossero! -, i poeti, cioè tutti
coloro che si affacciano sul creato, nel caso di stasera che guardano la luna e
ne restano estasiati. Ascoltiamo l’ultimo brano e poi faremo il nostro
ringrazieremo con un caloroso applauso: anche il nostro applauso sarà
musicale.
***
Il testo, tratto direttamente dalla
registrazione, non è stato rivisto dall’autore.