Assunzione della Beata Vergine Maria
Celebrazione Eucaristica
presieduta da
S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Santuario Maria SS. dei Lattani
Roccamonfina, 14 agosto 2009
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Saluto iniziale
Fratelli e sorelle,
siamo convenuti,
nella notte, in questo santuario mariano, cuore materno della nostra Diocesi, e
iniziamo insieme la
Solennità dell’Assunzione di Maria al cielo 2009. La
celebrazione di questo Mistero innalza i nostri occhi oltre il visibile: nella
vita di Maria si compie pienamente la
Pasqua del Signore Gesù, suo figlio e nostro Salvatore.
Iniziamo questa solenne celebrazione, ponendo con fiducia i nostri peccati
nelle mani di Dio.
Omelia
Carissimi fratelli e sorelle,
se a
quest’ora riuscite a seguirmi, vorrei ripensare ad alcune esperienze legate al
nostro corpo. A volte parliamo a vanvera, ma ci sono anche delle volte in cui ci
prepariamo a dire una parola in momenti solenni, momenti decisivi della nostra
vita, o che riteniamo tali, per i quali ci prepariamo a lungo: cosa devo dire?, cosa dirò alla mia ragazza, al mio ragazzo?, cosa dirò in
questo appuntamento?, cosa dirò in questo crocevia della mia storia? Sta di
fatto che qualsiasi cosa abbiamo preparato (qualsiasi frase levigata,
bellissima, armoniosa, rappresentativa di ciò che noi siamo), noi restiamo
sempre delusi, perché dopo diciamo: Avrei
potuto dire… Forse una virgola in più… Forse una limatura… Forse un’inflessione
della voce… Il corpo è anche parola, è anche suono, come in questo momento
in cui io sto comunicando con voi e voi con me, e le parole preparate lasciano
un “che” di incompiuto. Vale così anche per i gesti: per esempio, un bacio, una
carezza… Un gesto di accoglienza preparato a lungo, non improvvisato, sognato,
desiderato a lungo - capita così per i gesti dell’amore –, all’atto in cui
accade, all’atto in cui ci viene detto: “Ecco, adesso
puoi porlo! La scena è tua: fai il tuo numero, dai il tuo bacio!”, noi poniamo
quel gesto, ma poi ci rendiamo conto che avremmo voluto dire anche altre cose
che il gesto non è riuscito ad esprimere. Allora, ci sono parole preparate che
lasciano delusi e gesti importanti, solenni, preceduti da un lungo noviziato,
che poi si risolvono in una sorta di stonatura. Roberto mi scuserà: l’organista
aveva dato un’intonazione per “Parola del Signore”, Roberto era emozionato e ha
risposto con un’altra nota. Succede sempre così nella vita, e non solo a lui:
anche a me, anche ad altri, anche a voi. Che significa che io non riesco a
porre quel gesto che ho sognato di porre? Che significa che io non riesco a
dire quella parola che ho preparato? Anche i sacerdoti, a volte, preparano
l’omelia, ma poi quando sono qui, un po’ l’emozione, un po’ il cambio della
comunità e una serie di difficoltà li pongono in un’atmosfera completamente
diversa da quella che avevano immaginato, cosicché poi – succedeva così quando ero parroco e succede così anche da Vescovo –
rientrano in sacrestia sempre con una delusione terribile: “Non sono riuscito a
dire quello che avrei voluto…”. Che significa questa insoddisfazione? Se fra
voi c’è un ballerino (o una ballerina) che ha provato mille volte una
giravolta, una spaccata, un disegno sulla scena, quando rientra, quando si chiude
il sipario, ha sempre l’amaro in bocca… E così un musicista, nell’esecuzione di
un brano che conosce a perfezione, ma che, all’ultimo momento, gli sfugge di
mano: una nota falsa, una sfumatura che non gli riesce così come egli l’ha immaginata… Potrei continuare a lungo. Forse l’immagine che vi evocherà di più questa invocazione che,
stanotte, la Chiesa
rivolge verso l’alto, è il momento in cui abbiamo chiuso la bara contenente il
corpo di una persona cara: che dramma… Ma anche: che momento solenne, che
momento evocativo di altro… Quando si chiude la bara che contiene le spoglie di
tuo padre, tua madre, tuo marito, tua moglie, tuo figlio, o quando vedi
scendere la bara nella fossa, che pensi? Anche quelli più distratti,
anche quelli che non riescono a formulare un pensiero chiaro dicono: “Ma non
può finire tutto così! Mia madre non può finire così: il suo corpo, il corpo
che mi ha generato non può finire così…”. Cosa sono queste esperienze? Sono una
finestra sul corpo oltre il corpo. Il
Mistero dell’Assunzione di Maria in cielo può essere tradotto così: il corpo oltre il corpo. Sembra una
contraddizione, ma non lo è, perché il corpo è un simbolo. Il corpo fa dei
gesti, dei suoni, degli sguardi, ha delle sensazioni… Ma
è questo il corpo?, o è un’altra cosa?, o c’è un altro corpo, che è questo mio
stesso corpo, ma ampliato? Il corpo oltre
il corpo è la tensione del corpo verso un “di più” del corpo, che non può
accadere qui, nel tempo e nello spazio. Questa è una via umana, un intravedere
il Mistero dell’Assunzione di Maria, scritto nel vuoto, nell’invocazione, nella
delusione, nel silenzio che segue ciò che avremmo voluto dire, fare, porre,
esprimere. Che significa che Maria è assunta in cielo in corpo e anima? Lo
sapete bene, ma la Chiesa
ha il compito, come maestra, di ripetervelo ogni anno: significa che il corpo di
Maria, come quello di Gesù, è stato sottratto alla corruzione, alla tomba, per
essere assorbito, assunto, attratto, calamitato dalla Gloria e nella Gloria di
Dio. Allora, l’Assunzione di Maria ha una sua forza ascensionale. Anche noi,
che siamo stanchi per il piccolo pellegrinaggio fatto, anche quelli che sono in
piedi, anche quelli che sono assonnati, avvertono in questo momento una sorta
di forza di levitazione del corpo oltre il presente, oltre la malattia, oltre
l’handicap, oltre la vecchiaia, oltre quello che non riusciamo a dire. Il poeta
Hikmet, che forse qualcuno di voi conosce, ha scritto: la parola più bella ancora te la devo dire
e il gesto più bello ancora devo porlo. È l’esperienza di una ulteriorità, non solo di tempo e di spazio, ma di una ulteriorità
oltre il tempo e lo spazio. Che cosa è accaduto in Maria? Ovviamente è un
mistero, ma lo deduciamo – e non potremmo fare che così - attraverso quello che
è accaduto a Gesù: l’Assunzione di Maria al cielo è la Pasqua di Maria, è il
Mistero della Resurrezione e Ascensione al cielo di Gesù realizzato in Sua
madre. E allora capiamo quello che Paolo ci ha detto nella Seconda Lettura:
prima è risorto Cristo, come primizia, poi verrà anche il nostro compito, il
nostro ruolo, il nostro tempo. Ma ciò che è avvenuto in Cristo e ciò che
avverrà in noi è, in qualche maniera, avvicinato da ciò che è già avvenuto in
Maria, una donna come tante di voi. Nella Gloria di Dio sono presenti due
identità fisiche – chiaramente parliamo di un corpo glorioso - con una
connotazione maschile ed una connotazione femminile. Il corpo glorioso di Gesù
conserva l’imprinting della sessualità maschile e il corpo di Maria conserva
l’imprinting della sessualità femminile e, quindi, abbiamo l’umanità nella sua
corporalità, già presente nella Gloria di Dio. Quindi, anche i tuoi genitori, i
tuoi nonni, i tuoi parenti defunti, che tu hai accompagnato in lacrime, la cui
salma è stata accompagnata al cimitero, hanno questo destino di gloria. Ma
questo sarebbe poco, se non aggiungessimo che anch’io, anche tu, anche noi,
anche i nostri corpi saranno trasfigurati, transfinalizzati,
trasformati, illuminati nella Pasqua del Signore. Concludo dicendo che se
questo è vero (come è vero) - e io, all’inizio, ve ne ho dato anche una via dal
basso, una spiegazione anche nelle pieghe delle esperienze fisiche, delle
esperienze corporali - se questo è vero, allora non buttare il tuo corpo. Il
tuo corpo, e il corpo degli altri, non è un vuoto
a perdere. Dicasi “vuoto a perdere”
un contenente che serve per poco tempo: poi puoi
buttarlo, perché è vuoto. Il corpo non è un vuoto
a perdere, perché il corpo non contiene neanche l’anima, ma l’anima vi è
impastata, l’anima e il corpo sono impastate. Non possiamo dire, con le
categorie del pensiero platonico, che l’anima sia
contenuta nel corpo, ma queste due realtà, che costituiscono il mio io, il tuo
io, sono legate e non si possono scindere. Dunque, se questo è vero, allora il
corpo non è un vuoto a perdere, non è
solo un mezzo, ma deve essere rivestito della sua dignità pasquale già oggi. In
questa Eucarestia, chiediamo per intercessione di Maria – e in particolare lo
chiediamo per i giovani, che hanno una speciale difficoltà a vivere questa
corporalità all’insegna della gloria - che la nostra vita fisica possa
procedere, pur tra tanti acciacchi e tra tanti incidenti di percorso, in questa
tensione dolorosa - ma tutte le tensioni sono dolorose - verso la gloria.
Ho visto con piacere anche alcuni
occhi che conosco, alcuni volti di giovani incontrati al Campo-Scuola. A voi,
in particolare, questa Solennità dovrebbe suscitare una gran voglia di
levitazione, una gran voglia di volare e non nella dimensione con cui sono
soliti raccontare gli adolescenti: Tre
metri sopra il cielo… Di più! Di più! Altro che tre metri sopra il cielo!
Sei chiamato ad una gloria, ad un’altitudine ben oltre le descrizioni del
romanziere! Maria interceda per noi e ci conceda di vivere la nostra fisicità,
la nostra corporalità intrisa di fede, nell’attesa della beata speranza e nel
rispetto del corpo degli altri, da dire, da promuovere, da servire, mai da
asservire.
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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto
dall’autore.