Le Ultime
Sette Parole di Cristo sulla Croce op.51
Franz Joseph Haydn
(1732-1809)
Quartetto Terpsycordes
Girolamo Bottiglieri e Raya Raytcheva violini
Caroline Haas viola Sébastien Laurens violoncello
Meditazioni di
S. E. Rev.ma Mons. Arturo
Aiello
Teano, 18 ottobre 2009
Chiesa Cattedrale
Questa sera ci viene donata un’opportunità che cercheremo di cogliere nella sua profondità: innanzi tutto, il genere letterario de “Le sette parole”. Qualcuno fra voi più anziano ricorderà che ancora quarant’anni fa, prima del Concilio, al posto della Liturgia del Venerdì Santo c’erano “Le tre ore di agonia” con il commento de “Le ultime sette parole di Gesù” (quindi, questo genere di composizioni nasce legato ad un evento liturgico, di fede). Incontriamo, poi, un autore, Haydn, a 200 anni dalla morte, appartenente ad una corrente musicale forse poco conosciuta, perché noi siamo un po’ tutti figli del Romanticismo, in tutti i suoi aspetti, anche in quello musicale, e dimentichiamo che tra l’epoca Barocca e il Romanticismo c’è stata una stagione provvida e generosa di opere, il Classicismo, di cui Haydn è il maestro.
Haydn è stato “padre”, in qualche maniera maestro, di due grandi della musica: Mozart e Beethoven. Mozart si rivolgeva a questo maestro chiamandolo “padre", riconoscendo, dunque, una paternità anche per la sua produzione. Tra questi due tempi, due modi, due moduli, quello Barocco e quello Romantico, il Classicismo si pone in una essenzialità. Pensate al nitore del Classicismo architettonico, letterario e anche musicale: non ci sono le volute barocche, non c’è ancora il travolgimento passionale del Romanticismo, ma abbiamo una linea musicale, che è anche una linea di pensiero, molto chiara e anche all’insegna di una visione ottimistica della vita.
Ho voluto dare queste note per familiarizzare anche con l’autore, perché quando noi ascoltiamo un’opera vi partecipiamo, ma entriamo anche in dialogo con chi l’ha composta. Quest’opera, come dice la brochure, è fatta di “sette parole” più un’introduzione e una conclusione, e la riviviamo, stasera, così com’è stata commissionata e realizzata la prima volta. Il Vescovo di Cadice, nell’Andalusia, aveva chiesto al grande maestro di scrivere dei pezzi che facessero da contrappunto alle sue meditazioni il Venerdì Santo. Così è nata quest’opera e così vogliamo farla rivivere questa sera. Tra l’altro, sul fondale, c’è la riproduzione di un’opera di un autore tedesco, morto nel 1722 (siamo più o meno nella stessa epoca): l’arte figurativa accompagna l’evoluzione dell’arte letteraria e di quella musicale. Quindi, ci introduciamo con questa sorta di pronao che è l’Introduzione a “Le sette parole”.
Introduzione – maestoso ed adagio
***
L’Introduzione è come una
processione introitale: ci introduce nella meditazione. La prima Parola che
commentiamo, e che Haydn commenta sul piano musicale
col linguaggio della musica, è: Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno.
Ciascuno di noi ricordi, durante questo concerto-preghiera, anche le ultime parole della madre sul letto di morte, del padre, di qualche persona cara. Le ultime parole sono riassuntive di una vita: non sono solo una consegna ai figli, ai nipoti, ai posteri, a Maria e a Giovanni sotto la croce per Gesù, ma costituiscono una sorta di sintesi. Le ultime parole non si improvvisano e null’altro sono che specchio e sintesi di tutta una vita. Ebbene, il Redentore sente il bisogno di dire “Padre, perdonali” e, quindi, di scusare i suoi uccisori perché non hanno coscienza (è una Parola che Gesù ha già utilizzato altre volte nella sua vita). Questo largo racconta della Parola del perdono che, dall’alto della croce, in questo momento, raggiunge anche me, anche te. Noi siamo spettatori ed attori di quella scena.
Sonata I – largo
Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno
***
Il secondo atto, la seconda stazione di questa meditazione musicale sono le parole di Gesù al buon ladrone che gli chiede: Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno.
In verità, in verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso. Un’uscita
di sicurezza da una vita traviata: è questo il senso della storia e dell’epilogo
gioioso di un uomo tormentato che ha commesso tanti errori. Ovviamente,
Sonata II – grave e cantabile
In verità, in verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso
***
Questo dialogo avviene sottovoce
e, quindi, bisogna trattenere anche il respiro per coglierne le sfumature.
D’altra parte, ci troviamo in una scena di grande intimità e la morte ha il suo
pudore e la sua intimità. Lo vediamo in modo tutto particolare nella terza Parola
che è un dialogo domestico, come dicevano i primi Padri della Chiesa che descrivevano
il dialogo di Gesù con Sua madre e poi con Giovanni, indicandolo come “testamento
domestico”, cioè Gesù regola anche le cose di casa e questo è molto bello: c’è
un essere casa, un fare casa da parte di Gesù. E la casa non è quella di
mattoni, ma sono le relazioni, quelle veramente significative: Donna, ecco tuo figlio. E a Giovanni: Ecco tua madre. Gesù consegna la propria madre perché - qualcuno dice - Egli vuole morire
del tutto nudo, perché una madre è ancora una ricchezza, perché chi ha una
madre ha ancora un petto su cui piangere, ma l’assenza della madre ci rende già
sul limitare della morte. Lo sanno bene quelli fra noi – penso tanti - che
hanno vissuto la morte della madre: è come un abbuiarsi del mondo. Gesù ha
questo dono, ma vuole morire orfano e, quindi, non solo consegna la madre a
Giovanni perché se ne prenda cura, pensando al futuro di Maria (alcuni di noi,
da qualche giorno, sono di ritorno da Efeso dove abbiamo sostato nella casa
dove, probabilmente, Maria e Giovanni sono stati), ma
si priva della madre anche perché la dimensione di orfanezza che attraversa la
nostra vita potesse essere condivisa anche dal Redentore. Mentre ascoltiamo
questo dialogo tra gli strumenti (vedete che il violino dialoga con la viola,
col violoncello), sentiamo che, attraverso questi suoni, il grande maestro del
Classicismo ha voluto anche presentarci, rappresentarci, descriverci con le
emozioni dei suoni questo quadro, questo dialogo sottovoce, dove ci si disfà
anche della madre o dove si provvede al futuro della madre
quando ella resterà sola. Ad Efeso ricordavo ai pellegrini che in questo
affido c’è anche l’affido della Chiesa (Ecco tua madre, ecco
Sonata III – grave
Donna, ecco tuo Figlio; e tu, ecco tua Madre
***
Tra le sette Parole di Gesù sulla croce, questa è la più drammatica, anche se Haydn – e, ovviamente, dobbiamo collocare questa musica a Vienna, in quel secolo – la traduce con tonalità molto dolci (come, d’altra parte, è tutta la partitura di quest’opera). Se queste parole dovessero esser commentate oggi, o fossero state commentate da un autore romantico, avremmo avuto uno sconvolgimento, perché queste sono le parole più scandalose sulla bocca di Gesù: Eli Eli, lemà sabactàni? (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?). Parole disperate.
Alcuni teologi del Novecento si sono posti questa domanda: Può Dio essere senza Dio? In quel momento, Gesù fa l’esperienza del vuoto, del precipitare. Forse stiamo precipitando nel vuoto? – dice Nitzsche in uno dei suoi farneticamenti. Talvolta, anche nella vita, noi abbiamo la percezione di cadere nel vuoto: a volte è un incubo notturno, altre volte è un’esperienza dalla quale ci sembra di non poter riemergere. In quel momento, Gesù fraternizza con gli atei, fraternizza con noi nei momenti in cui siamo disperati, nei momenti in cui abbiamo un problema grave senza via d’uscita. Gesù ha voluto essere compagno anche dei disperati e questo è il senso delle parole del Crocifisso - Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?-: Perché non sei più con me?, perché non ti vedo più?, perché sei lontano in questo momento? Ma la traduzione che il grande maestro del Classicismo ne fa è una traduzione all’insegna della speranza (d’altra parte, questa disperazione ci ottiene la speranza). Nella disperazione del Cristo Crocifisso – e, ovviamente, parliamo della disperazione dell’uomo Gesù – c’è la radice e la porta della speranza per noi. È bello che questa Parola così drammatica abbia prodotto, invece, una partitura così dolce. Ripeto, contestualizziamo a Vienna (il Danubio, i grandi palazzi, una sorta di ottimismo che ha attraversato l’epoca del Classicismo, la visione della vita al positivo anche nei momenti più drammatici). Haydn ha cambiato così la tonalità delle parole disperate del Crocifisso.
Sonata IV – largo
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
***
Per
Io posso dar da bere a Gesù. Quest’espressione ha commosso intere generazioni di credenti e deve commuovere anche l’uomo post moderno. Dio si manifesta a te come mendicante e ti tende la mano perché tu abbia ad offrirgli una goccia d’acqua e questa goccia d’acqua è la tua vita. Allora, ascoltate questa nota mantenuta, questo grido della sete, su cui poi s’intesse e s’innerva tutto il dialogo.
Sonata V – lento
Ho sete
***
Credo che, come me, avrete letto nel pizzicato lo scorrere delle lacrime o gocce d’acqua per dissetare questo Dio riarso. Haydn, in questo testo, non ha voluto solo raccontare l’evento, ma anche trasmettere dei sentimenti all’ascoltatore. È come guardare un quadro e ricevere degli input, dei sentimenti, un modo per entrare in sintonia con l’evento. Quindi, non è una descrizione oggettiva, ma l’autore entra nella scena e anche nello spettatore. “Consumatum est” ha due possibili traduzioni: “Tutto è finito” o “Tutto è compiuto”. Sembra la stessa traduzione: in realtà, abbiamo due versanti dello stesso mistero. “Tutto è finito” è una porta che si chiude, una stagione che si chiude, un mondo che finisce, e ogni uomo che chiude i suoi giorni chiude il mondo, chiude una possibilità, una modalità di vedere i colori, di sentire le relazioni, di utilizzare le parole. Quindi, è la traduzione drammatica di una cosa che finisce. “È finita” - lo diciamo anche noi di un amore o quando assistiamo all’ultimo respiro di una persona cara. Invece, l’altra traduzione - e hanno entrambe cittadinanza - è una sorta di parola riassuntiva di una vita ben spesa. “Tutto è compiuto”, significa non solo nel senso del compimento delle Scritture, ma anche “Ho fatto tutto quello che dovevo”. Quindi, è una sorta di pace che viene dall’aver realizzato il motivo per cui si è stati mandati nel mondo. Io vi auguro (l’auguro a me e a voi) d’avere questa sensazione sulle ultime battute della vita: certamente avremo commesso degli errori, è inevitabile, ma al di là degli errori, dei peccati, ho fatto quello che mi era stato chiesto, nelle modalità in cui ho potuto, ma ho fatto il mio dovere, ho compiuto la mia vita. Una vita compiuta non è solo un tempo che finisce, ma una vita realizzata come l’ultimo colpo di scalpello dell’artista sulla statua, che toglie quell’ultima particella di marmo che impedisce alla statua d’essere a tuttotondo e perfetta. Mi piace ascoltare questo brano, pensando anche alla vita di Haydn, autore che ha scritto tantissimo. Gran parte della produzione, purtroppo, non è conosciuta, perché noi amiamo i romantici - dobbiamo confessarlo - e quindi non abbiamo sensibilità per questa produzione (pensate che Haydn ha fatto 150 quartetti e tante altre opere). Mi piace ricordare una scena sul finire della sua vita: Vienna viene invasa da Napoleone e un soldato entra nella casa del grande maestro. Ovviamente, il maestro ne è intimorito, perché il soldato è un avversario, è uno che è venuto a togliere la pace, ma questo soldato, riconoscendo il maestro, gli canta un’aria da lui composta e Haydn comincia a piangere, a dire che la fama di quest’uomo è andata bene al di là di Vienna dove egli ha vissuto quasi tutto il tempo. Haydn è stato due volte a Londra, ma ha sempre voluto tornare a casa, è vissuto nell’oro, nella pace e nella tranquillità di Vienna, ma adesso l’irruzione dell’esercito napoleonico chiude un mondo. Anche qui tutto è finito, sembra che si stia sgretolando un mondo, un’impalcatura nella storia, ma la presenza del soldato che gli canta un’aria che egli ha composto lo fa cadere nelle lacrime, a dire: Ma, allora, non è stata inutile la mia vita, se anche questo soldato conosce quello che io ho composto! Si dice che Napoleone stesso abbia messo due soldati a guardia della casa di Haydn, perché il maestro era sacro anche per chi era entrato con le armi a Vienna. Tutto è compiuto.
Le Parole di Gesù diventano anche le parole dei credenti, diventano anche le parole dei maestri, e per noi, in questo momento, devono essere uno stimolo, perché il nostro tempo - voi starete pensando - per fortuna non è ancora compiuto. Forse non hai scritto ancora una partitura, forse non hai ancora composto una poesia, forse non hai ancora piantato un albero, forse non hai ancora realizzato quello che Dio vuole da te… Fai in modo che alla sera della tua vita, in un tramonto infuocato, tu possa dire con Cristo: Ho fatto quello che dovevo. Consumatum est.
Sonata VI – lento
Tutto è compiuto
***
Veniamo all’ultima Parola con cui si conclude anche quest’esperienza contemplativa: Padre, nelle tue mani affido il mio spirito. C’è qualcosa di noi da mettere al sicuro quando tutto sembra perduto, c’è un io nell’io, c’è una parte di me che non morirà. È questo il senso di questa Parola che chiude “Le sette parole di Gesù”: un senso di speranza e di pace, perché quel Dio che sembrava lontano (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) adesso si mostra come Padre cui consegnare lo Spirito. Lo Spirito che scese su Gesù nel momento del Battesimo (dicono gli evangelisti: Si aprirono i cieli e lo Spirito scese su di lui) è lo Spirito Santo, lo Spirito che, prima ancora, era sceso su Maria e che era entrato come vento nel suo grembo - dice Erri De Luca - senza alzare il lembo della veste, per depositarvi il seme stesso di Dio. Quello Spirito, adesso, è rimesso. E lo Spirito dato nelle mani del Padre è anche lo Spirito affidato alla Chiesa.
A Istanbul
(vedo alcuni che erano al pellegrinaggio), tra le tante meraviglie
dell’epoca bizantina, abbiamo ammirato un mosaico dove c’era
Ringraziamo l’amministrazione
comunale che ci ha dato questa opportunità. Questo concerto apre i
festeggiamenti del memoriale dell’incontro. Ma mi piace pensare, in questo
momento, anche ai paracadutisti morti in Afghanistan.
Anche loro avran pensato qualcosa in quell’istante.
C’è sempre un momento tra la vita e la morte in cui facciamo sintesi e diciamo
qualcosa. In una spedizione di pace - perché adesso gli eserciti hanno senso
solo in quella direzione - quell’Italia che qui, in qualche maniera qui intorno,
si è fatta in una stretta di mano, ha offerto dei martiri. Questi giovani
lontani da casa mille miglia e con tanti progetti nel cuore, come tutti i giovani
che conosciamo, hanno visto tranciata la loro vita in un attimo: cosa avranno
detto?, cosa avranno pensato? “Padre, prendi questo
bambino: nelle tue mani affido il mio spirito”. Queste sono le parole della
preghiera di Compieta con cui
Ringraziamo il Signore che stasera ci ha dato quest’opportunità. Vi ricordo che, dopo un istante dalla Settima Sonata, il largo “Pater, in manus tuas commendo spiritum meum”, c’è il Terremoto, che è il presto e il gioioso della Resurrezione (non farò nessun commento, perché queste due parti sono unite). Nell’esecuzione che aveva pensato Haydn c’erano anche dei tamburi a rendere acusticamente il terremoto della Resurrezione, perché noi non siamo i seguaci di un Dio morto, ma di un Dio morto per amore e, per questo, risorto. Il racconto del terremoto e del momento della Pasqua è affidato agli archi e agli archetti che, velocemente, ci consegnano delle note. Vi auguro di poter stillare pian piano, goccia a goccia, queste Parole di Gesù, perché divengano nostre e perché possano, in qualche maniera, essere una traccia per le nostre ultime parole, magari le ultime di questo giorno.
Sonata VII – largo
Padre, nelle tue mani affido il mio spirito
Il Terremoto – presto e con
tutta la forza
***
Il testo, tratto dalla
registrazione, non è stato rivisto dall’autore.