Incontro
col
Coro del Miserere
della Parrocchia di San Michele Arcangelo
in Piano di Sorrento
presieduto da
S.E. Rev.ma Mons. Arturo Aiello
Chiesa Cattedrale
Teano, 20 marzo 2010
~
Nel nome del Padre…
Questa sera viviamo un “gemellaggio”
già forte, tra un’esperienza che appartiene alla comunità parrocchiale di San
Michele Arcangelo in Piano di Sorrento e la nostra Diocesi. Il Vescovo vi accoglie
nella Cattedrale che è il cuore della Diocesi, che vi appartiene perché ogni
chiesa è la nostra Chiesa, e ritessiamo un ponte che, da quattro anni, si fa
sempre più intenso, sia pure sempre più silenzioso, com’è giusto che sia (le
cose belle, le cose vere non hanno bisogno di tante parole). È un incontro con
il Coro del Miserere o con alcuni del Coro del Miserere. Spiego brevemente ai miei condiocesani cos’è (l’abbiamo già ospitato alcuni anni fa,
precisamente tre anni fa). Durante
Il Miserere è un Salmo, ma nel
vocabolario di quelle zone è un coro fatto di uomini che provano tutta
Ascolteremo, con una pausa, il Miserere per intero. Ovviamente, non è un concerto, ma una preghiera che ho presentato così agli adulti che partecipano ad un’esperienza di riflessione in Episcopio, che si chiama “In punta di piedi”: «Vengono a cantare la “serenata” al Vescovo». Ovviamente, era un modo per dire l’affetto, ma non si tratta di una serenata, perché il Miserere è il canto del pentimento, il canto della coscienza del peccato, ma anche il canto della fiducia nella misericordia di Dio. Quindi, iniziamo a pregare, ascoltando.
MISERERE (I parte)
***
Colpisce, per chi per la prima volta ascolti questo canto e questa modalità, la potenza, qui amplificata dal fatto che stiamo in un ambiente chiuso. Questa potenza deve essere trasportata, trasposita all’aperto. Quindi, immaginate questo coro, ovviamente anche più numeroso, tra le strade, di notte (la cosa più affascinante è la processione notturna, alle due del mattino).
Perché questa potenza? Perché il
peccato fa rumore, anche il peccato segreto. Normalmente noi lo pensiamo - e
succede così quando lo commettiamo – come qualcosa che
avviene nell’ombra, nella penombra, che nessuno deve vedere, che nessuno saprà
mai. In realtà, il peccato distrugge. L’immagine che dopo il 2001 è l’immagine
vera, eclatante e chiassosa - al di là del dramma - del peccato è la caduta
delle Torri Gemelle. Non pensate solo e tanto alle conseguenze, a quante persone
siano morte quel giorno, ma pensate al chiasso,
nell’evento e nell’amplificazione mediatica di quella
distruzione. Vedere due grattacieli che crollano, che si sgretolano in un fumo
di pietre, di distruzione, è il peccato nella sua dimensione esplosiva. Ebbene,
ogni peccato ha conseguenze cosmiche, perché è come se immettessimo anidride
carbonica o veleni nella natura, nelle relazioni, nel creato, soprattutto tra
noi, per le persone che amiamo, ma anche per le persone che non conosciamo: uno
scambio terribile di tensione negativa. E questo impoverisce, genera un rumore
che va ben oltre noi stessi e anche la nostra stessa vita, nel senso che l’eco
del mio peccato permane anche quando io sarò morto. Questo, ovviamente, vale anche
per il bene. E allora, a fronte di questo peccato (pensate anche al peccato che
divide le coppie, che smembra le famiglie, che fa esplodere anche rapporti che
sembravano dover sfidare il mezzo secolo), a fronte di questo chiasso, dev’esserci un’uguale risposta violenta. Leggo così questo
tipo di preghiera che, a chi ascolta per la prima volta, fa impressione, perché
dice: “Non gridano troppo?”. Non è mai troppo, rispetto al chiasso del peccato.
Per cui c’è come una sorta di riparazione, di voglia di riparazione, anche nei
decibel, cioè come il peccato genera un’esplosione di male, così il pentimento dev’essere gridato. Quando ero parroco con loro e per loro,
dicevo: “La processione del Coro del Miserere dev’essere
una protesta”. È difficile oggi – è sempre stato difficile, ma oggi lo è
particolarmente – che ci si metta in fila per una protesta contro il male, non
quello degli altri: quello degli altri, a volte, ci lancia anche in piazza, ci
fa iscrivere a un corteo; invece, qui grido la protesta contro il male che io
ho commesso. Detto così, in una maniera così rude, potrebbe apparirvi come una
sorta di autolesionismo e invece ha un aspetto redentivo in sé, perché la
persona deve gridare: “Non ci sto!”. Sapete che ci sono anche delle letture
psicologiche rispetto a
questo grido, cioè ci sono delle terapie in camere insonorizzate,
dove una persona può gridare come folle. Qualche volta vi viene di gridare,
spero… (magari quando non c’è nessuno in casa). Questo
grido è terapeutico, dicono gli psicologici, perché è come se uno tirasse fuori
un cancro, estraesse in questo grido quella ribellione
che sente e a cui non riesce a dare parola, a dare forma (come vedete, mi sto
soffermando più sugli aspetti apparentemente stilistici di questa modalità di
protesta che è il canto del Miserere). Ovviamente, all’interno del testo, ci
sono parole meravigliose che non smettiamo mai di cantare, di pregare e di
piangere, ma anche parole meravigliose che non ci stanchiamo mai di sperare,
come lavami e sarò più bianco della neve
o - ascolteremo tra poco – crea in me, o
Dio, un cuore puro (Cor mundum crea in me, Deus):
è la grande speranza che ci anima (spero tutti), cioè che questo mio cuore
torbido, avvelenato, oscuro, possa essere sostituito da “cor mundum”, cioè da un
cuore puro. Attenti che il cuore puro non è il cuore libero dalle suggestioni
della sessualità: è qualcosa di molto di più. Non è il cuore del bambino ancora
vergine rispetto al sesso, direi ancora di più, rispetto al male. “Cor mundum” è la mia
personalità leggera. “Cor mundum”
è io-uomo (dico “uomo”, perché il Coro del Miserere è al maschile, ma vale per
tutti) che vedo tagliare, recidere quella zavorra che mi porto da quando ero adolescente, da quando ero ragazzo: qualcuno
viene e taglia questa zavorra ed io, finalmente, non cammino più con l’affanno.
“Cor mundum” è
questo ed è una delle tante parole di speranza. Vorrei chiudere questo piccolo
intervento, ricordando all’una e all’altra comunità che il 30 giugno 2006,
all’atto in cui ho preso la parola alla fine della mia Ordinazione Episcopale,
ho esordito con le parole del Miserere: “Signore,
apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”. Sentivo che
cominciava per me un’altra vita, un altro canto. E chi può modulare questo
canto? Non basta la buona volontà o le capacità umane di chi è ordinato
presbitero o Vescovo e, allora, il Signore ti apre le labbra e ti allarga il
cuore perché tu possa abbracciare altre persone ed entrare in una nuova modalità
d’essere nella Chiesa, ovviamente non per sé, non per me, ma per coloro a cui sono stato mandato. Poi conclusi, e qui il riferimento
era a questa terra, a questa Chiesa, che ora è la mia Chiesa: “Nel Tuo amore fa’ grazia a Sion, rialza le
mura di Gerusalemme” che è un’espressione che vale per tutti, ovviamente,
anche per tutte le diocesi, perché tutte le diocesi, come Gerusalemme, hanno le
mura diroccate, fanno fatica. Anche
MISERERE (II parte)
***
Vorrei che dicesse qualcosa Don Pasquale (lo prendo a sorpresa, non avendoglielo detto prima).
Da parte mia vi ringrazio. Vi ringrazio anche a nome dei presenti, della mia Diocesi, per questo momento. So che, il sabato sera, rientrare in Penisola sarà particolarmente difficoltoso: il Signore apprezza anche questo sacrificio, anche questo gesto di comunione di cui vi sono enormemente grato. Dopo darò una benedizione ad ogni corista e un testo della Via Crucis.
Intervento di Don Pasquale Irolla, parroco della Parrocchia di San Michele Arcangelo
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Fare un segno di croce sulla
fronte di ciascuno di voi è il mio dono: non posso offrirvi altro che questa
benedizione, che mi è stata data e che mi viene
indicata continuamente di elargire, di distribuire. Ovviamente, alla fine, darò
la benedizione consueta a tutti, ma tengo a farlo personalmente, guardando
negli occhi ciascuno di questi giovani o adulti. Chiedo a voi che un effetto di
questa conversione sia anche l’unità della parrocchia,
e l’unità della parrocchia si fa certamente intorno a Gesù, ma Gesù è astratto,
tutti possiamo dire: “Siamo intorno a Gesù”. L’unità della parrocchia si fa
intorno al parroco e ovviamente da qui, con la coda dell’occhio vi seguo – e
non solo con la coda dell’occhio, ma anche con la coda del cuore – e quindi a
volte temo, a volte sono in apprensione. Chiedo al Signore, per voi, attraverso
questa Pasqua che andiamo a celebrare, il dono di una rinnovata coscienza
d’essere Chiesa e
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Ci teniamo per mano e diciamo
insieme: Padre nostro…
Benedizione del Vescovo
Grazie a tutti voi, grazie a Don Angelo Castellano. Vi auguro Santa Pasqua. Continuiamo a protestare contro il male, il male che è in noi. Buon ritorno.
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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto
dall’autore.