Natale
del Signore 2011
Celebrazione Eucaristica
presieduta da
S.
E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Pietravairano, 25
dicembre 2011
Monastero S. Maria
della Vigna e degli Angeli
~
Saluto
iniziale
Fratelli
e sorelle,
arriviamo fiduciosi, trepidanti, nonostante
la stanchezza, nonostante il sonno arretrato: quando ci sono cose importanti,
non si bada a spese e non si bada ad agi. È il caso del Natale del Signore
dove, come i pastori, siamo convocati a guardare e a guardarci, ad entrare
nello stupore che accompagna sempre le
espressioni di mistero. Ci disponiamo a celebrare questa Eucaristia del Natale
del Signore, chiedendo perdono dei nostri peccati.
LETTURE
Isaia
52, 7-10
Ebrei
1, 1-6
Luca
2, 15-20
Omelia
Ringraziamo
il Signore, fratelli e sorelle, che ci convoca alla celebrazione della grazia
del Natale 2011. È un evento che abbiamo celebrato tante volte nella nostra
vita ed è così centrale al punto che il luogo della nostra nascita viene
indicato come il luogo dei “natali”; a volte, anche il tempo della nostra vita si computa sui Natali vissuti,
oltre che sulle primavere, perché gli antichi, coloro che ci hanno trasmesso la
fede, hanno ritenuto il Natale, ovviamente insieme con la Pasqua, vero centro
della nostra fede cristiana, come il suo pendant.
Natale è l’inizio della salvezza, Pasqua ne è il compimento e la
pienezza; la culla e la croce, entrambi di legno, sono gli elementi inclusivi
della nostra fede.
Siamo
invitati semplicemente a guardare. Il Natale non è in un concetto, non è nel
fare, come altre tipologie natalizie ci spingono, ma è piuttosto nello sguardo
dei pastori.
Ho
voluto leggere il Vangelo della Messa dell’aurora perché ci pone
nell’essenzialità del Natale: Andarono e
trovarono Maria, Giuseppe e il bambino… e, dopo averlo visto, riferirono... Non
si dice che ci fu una luce. Non ci furono miracoli intorno alla mangiatoia -
Betlemme è “casa del pane” e noi stiamo celebrando l’Eucarestia, dove mangiamo
il Corpo del Signore - non si raccontano eventi come nei vangeli apocrifi,
ricchi di particolari, di miracoli, di guarigioni avvenute già intorno alla
culla del Redentore, ma di uno sguardo. Natale è tutto in uno sguardo, nella
percezione che non devi fare nulla, ma devi solo guardare. Diceva Sant’Agostino,
credo nella Lettura Patristica di ieri: Cerca il motivo, cerca che cosa ha
procurato tutto questo e non troverai altro che grazia. Non c’è merito, non
abbiamo conquistato nulla: il Natale, come la Redenzione, è un dono del tutto
immeritato, del tutto inatteso, del tutto gratuito. Ecco perché dobbiamo
entrare nello sguardo dei pastori, non i pastori del presepe napoletano, che
accorrono alla grotta portando ogni ben di Dio (quella è la nostra cultura
meridionale, che è bella, perché poi la fede va inculturata
nelle situazioni, nella storia dei popoli). Il presepe napoletano, da cui poi
prende spunto ogni presepe, vede tante persone accorrere portando qualcosa, e
anche noi forse siamo venuti qui pensando di poter portare qualcosa a Gesù, ma
ci sbagliamo: non bisogna portar nulla. Noi apparteniamo alla cultura - credo
non solo meridionale, qui ci sono anche rappresentanti della cultura
settentrionale d’Italia - in cui pensiamo che uno non possa presentarsi a casa
di un altro a mani vuote. Ma è sbagliato. Questo nostro modo di vedere: bisogna
portare qualcosa. Cosa hai portato? Cosa porti per questo compleanno, per
questa festa, per questo matrimonio, per questa ricorrenza, per questa nascita
di Gesù? E quindi ecco i pastori carichi di ogni ben di Dio, che si affollano, che
arrivano, e immaginate - ma è fuori di ogni logica evangelica - Maria impegnata
a ricevere tutti questi doni e a metterli in dispensa. No, sono arrivati a mani
vuote, perché sono poveri, perché i poveri non sanno cosa portare e portano se
stessi, sono andati semplicemente a vedere.
Questa
riflessione dovrebbe scrollarvi ogni senso di colpa per essere arrivati magari un
po’ affannati a questa Messa, a questo Natale: non mi sono preparato… Non ti preoccupare: ce li hai gli
occhi? Non solo gli occhi che abbiamo in fronte, ma gli occhi del cuore. Non si
vede bene che col cuore (L’essenziale è
invisibile agli occhi, dice l’autore del Piccolo Principe), l’importante è
andare e guardare; guardare ma anche lasciarsi guardare. Dio è venuto a
vederci, a vedere dove siamo, a vedere la nostra condizione. Voi starete
pensando che lo sapeva già. Certo, ma altro è saperlo da lontano, altro è
saperlo da vicino. Ci sono momenti nella nostra vita, soprattutto quelli del
dolore, dove non guardiamo nelle mani di quelli che vengono, ma guardiamo negli
occhi. Sei venuto: grazie! Ci sei anche
tu - lo diciamo nei momenti di lutto, di difficoltà, nei momenti di crisi,
di crollo. Il Natale è così: Gesù viene e tu vai a Lui come un pastore a mani
vuote, perché Egli è venuto a riempirti le mani, e non solo, ma il cuore, la
vita, il futuro. È venuto Lui a portarci dei doni, non dobbiamo portarli alla
grotta, a Maria, a Giuseppe, anzi, è Lui il dono. Natale ha al centro questo
dono, questo Pane: prendilo, mangialo (Prendete
e mangiate, questo è il mio Corpo). Quindi nella mangiatoia le bestie
mangiano e mangiamo anche noi, ed è un pane buono, croccante: è il pane di
Betlemme, casa di mugnai e di forni, dove si fa il pane che è ciò che serve per
la vita. Mi avvicino così anch’io, con voi, nella semplicità.
Ho
scelto, per questo Natale e per il prossimo Capodanno, di non celebrare in una
comunità parrocchiale, come sono solito fare andando in giro per la Diocesi, ma
ho scelto due monasteri come luoghi non produttivi - questo monastero per
Natale e il monastero delle Clarisse di Pignataro per Capodanno - forse per
sottolineare la nudità del Vescovo, ma anche di ogni credente, per andare a
visitare delle comunità che non producono nulla, che non hanno nulla da dare,
che non sono società per azioni e, oggi, nella crisi economica che viviamo, sembrano
essere le uniche società da guardare e a cui affidarsi. Un monastero di
clausura produce tante cose che non si vedono, non produce quello che noi
riteniamo essenziale per la vita, cioè i beni materiali. Per cui gli angeli
sono le monache che cantano e cantano come angeli.
Vi
devo anche confessare che il mio Natale è in qualche maniera dovuto a una di
loro; non ricordo neanche quale, perché mi tempestano di lettere che il Vescovo
legge puntualmente (io leggo tutto quello che arriva). Tra queste lettere, c’è
un bigliettino non scritto, con un’immagine che, vi confesso, è stato il mio
Natale, molto povero, forse vero, perché sul frontespizio del bigliettino c’è
un Gesù Bambino con l’indice, con il ditino puntato che dice: Mi vuoi bene? E poi, girata la pagina,
c’è lo stesso Gesù che ha tirato fuori dal camicino il suo cuore e lo alza e
dice: Io te ne voglio. Ecco, questo è
il mio Natale. E voi direte: Ohibò! Il
Vescovo, che fa riflessioni così alte, ha fatto Natale con questo bigliettino?
Forse i bambini chiedono questo, i bambini non hanno nulla da dare. Anche nelle
nostre case, quando riusciamo a fare spazio ad un bambino, un bambino è
bisognoso di tutto, e anche Dio diventa bisognoso di tutto, all’atto in cui
s’incarna come bambino. Ma c’è una cosa che un bambino vuole, senza saperlo,
prima ancora di parlare, prima ancora di esprimere un desiderio, ma lo vogliamo
anche noi grandi, anche quando siamo anziani; non vogliamo dei beni, non
vogliamo dei gioielli, non vogliamo dei regali costosi: vorremmo un po’ di
bene. Allora anche Gesù Bambino si presenta a te con il ditino puntato del
bigliettino che le monache mi hanno mandato. Adesso le monache non diranno: L’hai fatto tu?, perché quando succede
una cosa in un monastero è sempre tutta la comunità. Quindi chi compone i canti
è una monaca, ma poi si dice “le Clarisse dell’Immacolata”; se fanno dei buoni
biscotti, non si dice chi li ha fatti, quindi nessun senso di gelosia o di
invidia ora che il Vescovo ha aperto questo mistero su un bigliettino che gli è
giunto, tra l’altro non scritto, tra le tante cose che pure le figlie hanno
scritto al Padre.
Gesù,
col ditino puntato, dice: Mi vuoi bene?
Ed è bello sapere che Lui ce ne vuole: Dio ti vuole bene. Gesù, bambino ma
anche adolescente, giovane, adulto, condannato, crocifisso, risorto, ti vuole
bene, alza il Suo cuore e dice: Prendilo,
è tuo. Questo lo dico per quanti fra voi si sentono soli. Ci si sente soli
anche in coppia, anche in famiglia, anche tra qualche ora intorno alla mensa
imbandita, dove disegniamo una felicità che forse non c’è. Dio ti ha voluto
bene dando se stesso, dandosi. Nell’amore non si fanno doni; nell’amore c’è un
solo dono: il dono di sé, e Dio lo sa meglio di noi e lo ha realizzato.
Questa
percezione, fratelli e sorelle, ci consola enormemente e ci ripaga di tante
indifferenze, di tante risposte non avute. E se gli altri non ti comprendono,
se la tua vita è difficile, se vieni da un lutto, se sei in un momento di
difficoltà, Dio ti vuole bene; anche se ti chiede, puntando il Suo ditino: Mi vuoi bene?, è solo per raccontarti il
Suo bene. In questo bene noi vogliamo dolcemente naufragare, senza sapere
altro, dimenticando i nostri doni, lasciandoli alla porta, sentendo che siamo
venuti a prendere, non a portare, una volta tanto.
Saluto
finale
Auguro
a voi e alle vostre famiglie un Natale sereno, dove non sia importante portare.
Abbiamo il coraggio delle mani vuote anziché avere la presunzione dei pacchi
vuoti, perché ci sono tanti doni che sono pacchi vuoti, ben incartati, con i
lustrini, ma dentro non c’è niente. Allora abbiamo il coraggio di presentarci a
mani vuote: Cosa mi hai portato? Ti
ho portato me stesso, ti racconto una storia, condivido con te un ricordo, un dolore…
Poi,
mi raccomando, in questi giorni, se volete vivere il Natale, spegnete il
telefonino, spegnete il televisore e, a luci spente, davanti al Presepe o
davanti all’albero acceso, ma spegnendo le altre luci di casa, fermatevi un po’
in silenzio o semplicemente a dire un Rosario, a guardare, perché il Natale è
un mistero da accogliere, che nessuno di noi si è guadagnato, che è dato a
tutti gratuitamente, ma bisogna avere il coraggio delle mani nude.
Vi
auguro un Natale a mani nude.
***
Il
testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto
dall’autore.