PREGHIERA-GIOVANI

 

guidata da

 

S. E. REV. MA MONS. ARTURO AIELLO

 

“Come squillo di tromba”

Chiesa Cattedrale

Teano, 21 maggio 2010

~

 

Canto: Vieni Spirito d’amore

 

Nel nome del Padre…

 

Ci incontriamo nell’antivigilia di una grandissima festa del calendario di fede, la Pentecoste, e per questo, la Preghiera di stasera sarà una sorta di preparazione spirituale, una piccola veglia in preparazione a questa solennità. “Pentecoste” significa “cinquanta”: si compiono i cinquanta giorni dopo la Pasqua ed è come se la luna raggiungesse la sua pienezza (luna piena, cioè Pasqua matura). Ma questo rimane ancora molto lontano dalla sensibilità delle persone, tanto più dei giovani: “Pentecoste” non dice più di tanto.

Abbiamo invocato lo Spirito e vorrei porre la vostra attenzione sulla seconda strofa che rievoca una scena solennissima del profeta Ezechiele che vede una massa enorme, una montagna di ossa – immaginate un ossario enorme come una montagna – e il Signore gli dice: “Secondo te, queste ossa potranno rivivere?”. Il profeta dice: “No, è impossibile!”, perché sono aride, hanno fatto parte di corpi di migliaia di anni fa. “Ebbene – dice Dio al profeta – profetizza su queste ossa e di’: Ossa aride, riprendete vita!”. Allora, comincia una scena (che magari farebbe gola a qualche regista del macabro) in cui le ossa cominciano a muoversi e ciascuna cerca il corpo di cui fa parte: quindi le scapole e le clavicole s’incontrano, i femori cercano le ginocchia e poi su queste ossa ricresce la carne, i nervi… È una marea immensa di persone, ma non c’è ancora vita e Dio dice al profeta: “Adesso di’: Ossa aride che vi siete formate, diventate persone!”. E lo Spirito entra in quelle che erano ossa aride e che ora sono dei pupazzi, migliaia e migliaia che cominciano a muoversi. Erano un esercito – dice il profeta.

Quest’immagine, che colpisce la fantasia, è la descrizione di quello che lo Spirito fa. Immaginate che ciascuno di voi, benché si senta sprizzante, spumeggiante di vita, sia già morto: morto nel senso dell’idealità, morto nel senso “non ho più tanti sogni”, morto perché tanti giovani sono invecchiati… Allora, lo Spirito Santo viene come Spirito di vita, come Spirito di giovinezza. Lo invochiamo sulle ossa aride della nostra Chiesa di Teano-Calvi che costituiscono un ammasso di persone, ma che non hanno un’identità, che non riescono a collegarsi, che non sanno parlare, che non riescono a trasmettere la fede: Ossa aride, riprendete vita!

Lo Spirito compie questo, adesso.

Vieni, vieni, Spirito d’Amore…

Cominciamo dal racconto della Pentecoste, così come lo ascolteremo domenica prossima, che è nel libro degli Atti degli Apostoli, dove c’è un cambiamento di rotta.

 

Dagli Atti degli Apostoli  2, 1-11

1 Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2 Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; 4 ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. 5 Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. 6 Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. 7 Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? 8 E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? 9 Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10 della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, 11 Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Ho pensato di tradurre questo racconto in un suono – e, ovviamente, doveva essere un suono forte, che si imponeva, come il vento che si abbatte gagliardo sulla comunità di pavidi, di timidi, come tanti di voi sono – e mi è venuta in mente la tromba, che è uno strumento squillante. Quindi, adesso, ascoltiamo due giovani Maestri di tromba, che – prima ancora di entrare nella spiegazione del brano – traducono in suono quello che è la Pentecoste, cioè una sorta di chiamata alle armi, una sorta di suono che ti prende e che ti fa comprendere che questo è un momento solenne.

 

MAINZ GESANGBUCH - SOVEREIGN KING

 

Penso che sia una buona traduzione. Quali sono i sentimenti che hanno accompagnato questa esecuzione? Solennità – tra l’altro, il titolo di questo brano è una sorta di intronizzazione del re –, la percezione che stia per accadere qualcosa: si aprono delle porte, c’è un tappeto rosso meraviglioso che va verso il trono e c’è una corte che entra. Questa è l’ambientazione, un po’ rinascimentale, del brano. Vi ha comunicato, certamente, anche un senso di chiamata, perché ovviamente il re ha la sua corte. C’è un brano del profeta Isaia – precisamente la storia della sua vocazione – in cui vede Dio su un trono altissimo e ci sono i Serafini che hanno le trombe d’argento, come i nostri amici trombettisti. Ad un certo punto, si crea un problema: il re ha bisogno di un ambasciatore. “Chi manderò? Chi manderò per noi?” e nessuno ha il coraggio di dire: “Vengo io! Sono io a rispondere a questo invito del re!”. Allora, il piccolo, insignificante, giovane Isaia, dice: “Eccomi, manda me!”. Come nell’immagine solenne, anche le volute ampie di questo brano ci riportano in una scena da reggia, dove ci sono degli annunciatori, dei banditori (normalmente i banditori, nell’antichità, andavano con le trombe per svegliare le persone, per richiamare l’attenzione).

Allora, parto da questa piccola frase: c’è qualcosa che cambia, nella vita dei discepoli, il giorno di Pentecoste. L’autore degli Atti degli Apostoli – Luca, probabilmente – lo ha espresso con dei simboli, ma innanzi tutto guardiamo la “foto” della Chiesa prima di Pentecoste. È come la nostra, come tante Chiese, come tanti gruppi giovani o come tanti di noi: paurosa, alla fantozzi, che si contorce, non riesce a dire due parole, c’è sempre la nuvoletta che fa piovere sul capo di questi poveri sfortunati (ognuno si sente un po’ un fantozzi). Ecco, quella è una Chiesa di fantozziani – quella prima della Pentecoste, come quella di oggi non ancora raggiunta dalla grazia di Pentecoste – di paurosi, che si sentono perseguitati (Capitano tutte a me! Sono sfortunato...).

Avevano paura – dice il testo – e stavano chiusi nel Cenacolo, come dei bambini desiderosi di rientrare nel grembo materno, paurosi della vita, in attesa, perché Gesù – lo abbiamo ascoltato appena domenica scorsa – aveva detto: Restate a Gerusalemme perché manderò a voi il mio Spirito.

Allora, Chiesa fantozziana: sono per caso io? – mi chiedo – è la mia parrocchia?, è il mio gruppo giovani, dove ci ritroviamo sempre in quattro o cinque, che non riesce a tirare fuori un’idea che trascini gli altri?

È una Chiesa paurosa che soffre del complesso di inferiorità, perché la Chiesa, prima di Pentecoste, è come i credenti che non si lasciano invadere dalla grazia dello Spirito, con il complesso di inferiorità, di persecuzione (Ce l’ha sempre con me! Capitano tutte a noi!). Questa è la Chiesa, prima.

Luca come racconta questo evento? Lo racconta con dei simboli: il vento – perché il vento porta i semi, cambia le geografie del deserto – il fuoco, perché il fuoco consuma, brucia…

 

(Facciamo il caso che faccia io la dichiarazione a quella ragazzina che sta vicino a quella colonna, al posto del suo ragazzo… Mica mi hanno sentito?! Ci sono tanti luoghi per parlare con la propria ragazza: guarda un po’, ho scelto una colonna della Cattedrale! Questo sempre per dire che siamo un po’ fantozziani: anch’io, eh? Non solo loro…)

 

Vento e fuoco. Poi c’è questo evento che noi non riusciamo a comprendere, ma che ha una forza simbolica: le lingue. Adesso, il professor Rotoli potrebbe dire: “Si sono tutti laureati in Lingue, mentre io ho dovuto faticare per conseguire questa Laurea!”.

Sembra che i discepoli, quel giorno, riescano a parlare tutte le lingue: in realtà, riescono a comunicare, che è la cosa più difficile, anche quando si parla la stessa lingua. Comunicare, cioè riuscire a dire le cose, riuscire a capirsi: quello che vuoi dire tu, quello che sto dicendo io… Forse abbiamo delle cose che possiamo dirci, ma se ci manca la lingua – non la lingua come organo, ma la lingua comune, che ci accomuna – noi siamo lontanissimi. Lo sperimentate con i vostri genitori, con i nonni, qualche volta con gli insegnanti, con persone che vorrebbero anche dirvi delle cose importanti, come forse il vostro Vescovo, ma magari parlano un’altra lingua (E chi lo capisce il Vescovo?! Chissà da dove viene!? Chissà che lingua parla!?). La mia fatica più grande – non solo come Vescovo, ma come uomo – è quella di comunicare. Per esempio, prima ho cercato di attirare l’attenzione di quei due, perché era un fatto di comunicazione, perché io soffrivo nel vedere che stavano parlottando tra loro (Tanto stiamo qui, ma facciamo finta di non esserci…). Dobbiamo comunicare anche se ci dobbiamo dire le parolacce – loro le avranno certamente pensate all’indirizzo del Vescovo, ma sono stati così gentili da non farmele arrivare direttamente – cioè dire le cose anche se fanno male e quando non si comunica più, si è morti. In una coppia di fidanzati, in una coppia di sposi, in una famiglia, in una società, in un gruppo, nella Chiesa, nella parrocchia, se non comunichiamo, siamo out, cioè è come se non ci fossimo.

La grazia dello Spirito Santo è mettere le persone in relazione. Allora, per spiegare questo, Luca utilizza quest’immagine: presume, immagina che ci siano a Gerusalemme i rappresentanti dei popoli conosciuti dell’epoca (non tutti gli accenti, Filippo, li hai indovinati, ma pazienza… Filippo tra l’altro è un bravissimo pittore: sa dipingere benissimo e riuscirà anche ad indovinare tutti gli accenti di qui a poco). Tutte quelle famiglie, che sono ceppi linguistici della Mesopotamia, del Ponto, della Frigia, della Panfilia, stanno tutti lì e tutti riescono a capire Pietro che parla. Qualcuno ha detto: perché Pietro è napoletano (i napoletani, a gesti, riescono farsi capire anche a New York, anche a Londra, anche a Berlino…). In realtà, c’è il dono dello Spirito che fa nascere le parole con cui ci si comprende: questa è la grazia dello Spirito, una grande grazia – se ci pensate – perché il problema dell’incomunicabilità è un problema degli adolescenti, dei giovani, degli adulti, degli anziani, dei bambini… Com’è difficile comunicare con i bambini! Loro riescono a comunicare con noi, ma noi non sempre riusciamo a comunicare con loro. Magari tra voi ci sarà qualcuno che fa il catechista, la catechista per i bambini e dirà: Come traduco questa cosa ai miei bambini di terza elementare, di quinta, in preparazione alla Prima Comunione?

Invoca lo Spirito Santo che ti fa trovare le parole adatte al bambino! Non puoi tirare fuori i paroloni del tuo vocabolario! Ecco, allora chiediamo questa grazia, stasera, per noi, perché non comunicare è uguale a morire: i morti non parlano (anche se c’è “il morto che parla” nella tombola e nei numeri della Smorfia…). Quelli che non comunicano sono già morti.

Capite anche la fatica, lo sforzo di tradurre. Qualcuno che mi avrà sentito dire “la Chiesa fantozziana”, avrà detto: “Non è proprio un termine esatto, Eccellenza! Se qualcuno dovesse riferire alla Congregazione della Dottrina della Fede che lei ha utilizzato questo termine, magari le tolgono qualche punto dalla patente da Vescovo…”. Va bene! Però, forse, quest’idea che mi è venuta sul momento – Chiesa fantozziana – esprime bene la Chiesa impaurita, che ha paura della sua ombra – come diciamo con un’immagine napoletana – e invece la Chiesa tira fuori il petto, è la Chiesa delle trombe, che deve far sentire la sua voce limpida. Avete ascoltato che da queste trombe d’argento sono uscite delle note limpidissime: è quello che deve accadere per noi come singoli e per noi come Chiesa.

Poiché vi siete addormentati, ecco che i nostri araldi delle trombe d’argento ritornano in scena per rimettervi un po’ di adrenalina.

 

MICHEL RONDEAU - VOLUNTARY IN G

 

Non so se sapete che suonare la tromba è una cosa difficilissima: non basta soffiare dentro allo strumento, muovendo qualche tasto, ed escono le note; esce un “eeehhh”, al massimo, cioè una nota non precisa, perché è anche una questione di fiato e di movimento delle labbra che rende possibile una nota, anziché un’altra. Quindi, come vedete, l’arte di suonare la tromba riguarda il fiato, riguarda certamente la lettura dello spartito, ma riguarda anche l’utilizzo della muscolatura facciale e del respiro che, insieme, danno una nota precisa. Ecco, è quello che io stavo tentando di dirvi sull’arte di comunicare, cioè non basta sapere le parole... Ma io sono laureato in Lettere Moderne! No, non basta. A volte, chi è laureato in Pedagogia è un pessimo genitore: magari farà anche dei corsi, ma quando si tratta d’avere davanti i propri figli è tutt’altra cosa. C’è bisogno di dosare tutte queste energie per dire la parola giusta al momento giusto, perché a volte una parola è anche vera, ma non è opportuna; va anche detta, ma non in quel momento. L’arte di comunicare richiede la conoscenza del pensiero, ma anche la conoscenza dell’altro, la conoscenza della lingua, la possibilità di guardare anche l’uditorio (vi sto facendo una lezione spicciola, frutto anche di un’esperienza pluridecennale da parte mia)… Io subito mi rendo conto se voi state seguendo o se vi siete appisolati, se state pensando ai fatti vostri, se la signora sta già con la mente al menù di domenica. Per esempio, Anna “Scioppa”, che prepara dei pranzi meravigliosi e fa ingrassare parroci e seminaristi, probabilmente sta pensando a cosa farà di buono a Gianluigi e Luigi al prossimo pranzo (non sto leggendo nel pensiero di Anna: ho nominato lei perché sicuramente non si offende). Bisogna tener presente tante cose. Capite che questo non è solo un’arte che si apprende, ma è anche un dono: nella possibilità di comunicare c’è lo Spirito Santo. Se noi ci stiamo dicendo delle cose è perché c’è lo Spirito Santo in me, battezzato, diacono, presbitero e Vescovo, e c’è lo Spirito Santo in voi, battezzati e cresimati, e lo Spirito crea un ponte, getta una possibilità, dà un lancio di comunione e di comunicazione. Noi abbiamo bisogno di questo nella Chiesa. Ovviamente, questo richiede anche una dose di coraggio che spesso non abbiamo.

Perché ho voluto che sentiste le trombe, stasera? Se il vostro vicino di casa studia tromba, è una disgrazia per voi, perché – per quanto possiamo metterci la sordina – non è uno strumento che passa inosservato, come un mandolino, una “chitarrella”, cioè strumenti che si possono anche suonare sottovoce. Una tromba no, una tromba deve “sparare” le note. Quando entrano le trombe, i fiati, in un’orchestra, siamo nella parte più solenne, siamo nel gran finale, per dire: Signori, fermi tutti! Sta per succedere qualcosa di importante!

Questo coraggio, cari giovani, a noi oggi manca, a voi manca. Il vostro Vescovo ha perso la faccia più volte: ogniqualvolta io vi dico queste cose rischio di perdere la faccia (ma l’ho già ormai super infangata) e perché ha il coraggio di perderla, la faccia? Perché sente che c’è qualcosa d’importante da dire, da comunicare, da far passare: sarà un’emozione, sarà un messaggio, sarà… Cambia direzione! Non è per te quella ragazza! – oppure – Quel giovane lì è più adatto, si armonizza meglio alla tua femminilità! (per dire un messaggio che riguarda una coppia, ma ci sono messaggi molto più importanti). Dunque, quando è in lizza la felicità dell’altro, noi non possiamo dire: “Va be’, l’ho detto: ho scritto una lettera, ho mandato un messaggino, ho mandato un’e-mail e basta”, perché qui ne va della felicità dell’altro e, se tu hai il segreto della felicità dell’altro, devi trovare il modo di dirglielo. Questo è il senso della missione della Chiesa, non altro: avere un dono e sentire forte che questo dono brucia, ci brucia le mani finché non lo diamo, come le donne che hanno il latte e, se non allattano il bambino, stanno male, perché il latte bisogna darlo, perché il dono bisogna consegnarlo, perché ne va di mezzo la felicità delle persone. Questo, cari giovani, richiede più coraggio. Don Abbondio diceva che se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare. Non è vero: la Pentecoste smentisce don Abbondio, perché anche Pietro, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone e compagni, erano timorosi, non avevano il coraggio, ma lo ricevettero come dono dello Spirito.

Voi siete cresimati, battezzati e lo Spirito dovrebbe spremervi dentro e farvi suonare la tromba che vi è stata consegnata il giorno della Cresima e, invece, sta da qualche parte depositata (Il Vescovo mi ha dato una tromba! La metto da qualche parte dove ci sono le cose che non servono…). Invece questa tromba bisogna suonarla! E tutti la devono sentire, perché non è uno strumentino: la tromba si impone, la tromba dice: Signori, fermi tutti che ci sono io! Sono una “signora tromba”, non una tromba qualsiasi, non uno strumento qualsiasi!

Chiediamo al Signore, stasera, il coraggio anche di alzare la voce, di dire chi siamo in certi ambienti difficili. Io mi rendo conto che il giovane che sta in palestra, che fa parte della squadra X, che gioca nella squadra di pallacanestro, che è all’università o all’istituto Y, quando entra in classe, immediatamente si mimetizza come se non fosse un credente. È la situazione di tanti: magari non vostra, visto che avete il coraggio di venire anche alla Preghiera-Giovani in Cattedrale, ma i vostri coetanei, pur credenti a modo loro, quando vanno negli ambienti, si mimetizzano… Tu sei cristiano? Nooo!” Ma tu sei credente?Nooo!”, a dire: “Non mi appartiene questa cosa”.

Prendiamo questa tromba e suoniamola. Papa Giovanni, quando incontrò Don Primo Mazzolari, un prete che voi non conoscete, defunto da tanti anni – i preti presenti lo conoscono – utilizzò questa espressione: “Ecco la tromba dello Spirito Santo nell’Alta Padana!” (allora la Padania non c’era ancora: erano tempi dell’unità d’Italia…).  Papa Giovanni riconosceva in Don Primo Mazzolari, prete d’avanguardia, questa dimensione di chi grida come una tromba.

Alza la voce, non temere – dice il profeta.

 

HENRY PURCELL - TRUMPET  TUNE

 

Immaginate dodici trombe – Giuda è stato sostituito da Mattia o sarà sostituito dopo qualche giorno dalla Pentecoste – che suonano insieme e poi cominciano a dividersi, raggiungendo gli estremi confini della terra: da quelle dodici trombe ne sono nate dodicimila, ventiquattromila, milioni di trombe! Pensate che chiasso dovrebbe esserci nel mondo da parte nostra: voi sentite qualcosa?

Ho visto una scritta un po’ equivoca. L’ho vista vicino a quel “monumento” un po’ strano, nella piazza qui attigua – vicino alla tua tipografia, Enzo – e diceva: “Ragazzi, finché abbiamo tempo, facciamo casino, perché di tempo per stare in silenzio ce ne sarà”. Mi è piaciuta. L’ho raccolta a modo mio – è chiaro – e a cosa si riferiva l’autore del graffito? Al tempo in cui finisce la possibilità di parlare, cioè il tempo della morte. “Facciamo casino” significa: facciamo chiasso, sovvertiamo il mondo intorno a noi, perché questo tempo è breve; poi verrà il tempo del silenzio. Ho raccolto questo graffito, andando dalle Monache Benedettine (potete andare a verificare, uscendo, a sinistra della Cattedrale). A volte, anche in questi messaggi un po’ sbarazzini e per niente evangelici, i giovani possono lasciare una traccia di sé. Mi è dispiaciuta leggerla? Certamente non è simpatico scrivere messaggi sulle pareti, ma in fondo in fondo mi son detto: Forse l’autore di questa scritta ha ragione, cioè tu della tua tromba che ne stai facendo? Quante trombe sentiamo nella nostra Diocesi? E, invece, quanti silenzi colpevoli?, cioè persone che non parlano, fantozziane, che hanno paura, che non avvertono questa spinta dello Spirito?

Cantiamo insieme una versione del brano degli Atti che abbiamo ascoltato.

 

Canto: PENTECOSTE

 

Erano poveri uomini
come me, come te,
avevano gettato le reti nel lago,
riscosso le tasse alle porte della città;
che io mi ricordi, tra loro
non c'era neanche un dottore,
e quello che chiamavano Maestro
era morto e sepolto anche Lui.

SE SENTI UN SOFFIO NEL CIELO,
UN VENTO CHE SCUOTE LE PORTE,
ASCOLTA: E' UNA VOCE CHE CHIAMA,
E' L'INVITO AD ANDARE LONTANO.
C'E' UN FUOCO CHE NASCE IN CHI SA ASPETTARE,
IN CHI SA NUTRIRE SPERANZE D'AMOR.

L’autore racconta di questi uomini che non erano laureati, che non avevano grandi doti. Qualcuno di voi starà pensando: Ma io sono un pivellino, sono una pecora nera, sono un brutto anatroccolo… Invece, la visione di questo gruppo dei discepoli, sparuto, spelacchiato, ci incoraggia, cioè la Chiesa è cominciata così, da persone povere che, ricordando il loro Maestro che era morto e sepolto anche Lui – dice il testo che ho cantato – cominciano a sperare: Ma se quello che ci ha detto dovesse essere vero? E se l’evento della Sua Resurrezione, di cui Egli aveva parlato, fosse veramente accaduto? Una serie di interrogativi cominciano a farsi strada nel loro cuore ed erano anche persone un po’ disorientate: è il senso della seconda strofa.

 

Avevano un cuore nel petto
come me, come te,
che una mano di gelo stringeva.
Avevano occhi nudi di pioggia
e nel volto grigio di febbre e paura
pensavano certo all'amico perduto,
alla donna lasciata sulla soglia di casa,
alla croce piantata sulla cima di un colle.

SE SENTI UN SOFFIO NEL CIELO…

E il vento bussò alla porta di casa,
entrò come un pazzo in tutta la stanza,
ed ebbero occhi e voci di fiamma:
uscirono in piazza a cantare la gioia.
Uomo che attendi nascosto nell'ombra,
la voce che parla è proprio per te,
ti porta una gioia, una buona notizia:
il Regno di Dio è arrivato già.

SE SENTI UN SOFFIO NEL CIELO…

Una voce che chiama, è l’invito ad andare lontano: questo è il verso più bello, cioè dove ci porterà la grazia di questa Pentecoste? Dove sarò domani? – dice la canzone, che abbiamo utilizzato, dei cantautori italiani per l’Abruzzo. Dove sarò domani? – si sono chiesti anche i giovani che hanno partecipato al primo “round” maschile degli Esercizi Spirituali. Lo Spirito ti spinge lontano: Pietro mai avrebbe pensato di attraversare il mare e di giungere fino a Roma; tanto meno Paolo, che sarà chiamato in seguito, e gli altri che arrivano fino all’India, come dice la storia della diffusione del Cristianesimo nel I secolo. Quindi, persone che sono state portate come il vento.

Il vento entrò come un pazzo in tutta la stanza e scompigliò. Io spero che, questa sera, questa Preghiera vi scompigli un po’ i pensieri, quei pensieri troppo standardizzati, fotocopiati, progetti perché “l’altra fa così”… Invece lo Spirito, che è fantasia, ci porta lontano. Forse i più anziani lo ricorderanno: “E andarmene lontano…” cantava Baglioni tanti anni fa. Allora il testo di quella canzone era una fuga per lui; invece, questo “andare lontano” significa, innanzi tutto, andare lontano da me, perché tanti di voi devono innanzi tutto uscire da sé: sono troppo saggi. Dovete uscire fuori.

Voglio darvi anche un segno di questo “andare lontano” (questa storia ve la voglio dire). Due giovani di Teano stanno per partire a piedi da Leon a Santiago (300 chilometri, più o meno), ma la cosa più bella è che, arrivati a Santiago, si sposeranno. Vi piace questa idea? Anziché stare tutti belli, simpatici, in doppio petto, con i merletti, spendendo migliaia e migliaia di euro, questi fanno 300 chilometri – perché l’amore è un cammino, è un pellegrinaggio – e arriveranno stanchi, distrutti dopo questo lungo pellegrinaggio a Santiago e, anziché riposarsi, si sposano. Senza parenti? Arrivano solo i genitori – ovviamente in aereo – che si fanno trovare lì ad accoglierli. Celebrano il Matrimonio dopo il pellegrinaggio: non è un bel segno? Innanzi tutto, un segno di uscire fuori dal cliché (le bomboniere, gli inviti, la gente che si scoccia, i regali e le liste nozze…), da tutta una serie di rituali che, per questi due, sono esplosi – non me la sono inventata, è vera, potete verificare – in un Matrimonio alternativo! Questo significa: penso al mio Matrimonio “andandomene lontano”. Ma ci mancherà il book di 15000 euro dove il fotografo ci riprende mentre ci soffiamo il naso, mentre andiamo in bagno, come i famosi delle isole…! Alla fine, molti di questi album restano in dotazione dei fotografi, perché i Matrimoni sono già falliti prima ancora che gli sposi vadano a ritirare il famoso book, il servizio fotografico del Matrimonio. Magari due che fanno 300 chilometri per andarsi a sposare da soli, con i rispettivi genitori, costituiscono una novità e non solo fanno qualcosa di nuovo, ma escono anche dai cliché che sono oppressivi. Noi faremo diversamente! Poi si finisce col fare peggio degli altri: cinquecento feste, duecento inviti… “Andarmene lontano”: io spero che questo desiderio, stasera, vi venga.

 

JEREMIAH CLARKE - TRUMPET VOLUNTARY

 

***

Sequenza allo Spirito Santo

 

Canone: Spirito di Dio scendi su di noi (2)       

 

Manda, Signore Gesù, su di noi il Tuo Santo Spirito. Siamo raccolti nel Cenacolo, come i discepoli con Maria, e attendiamo questo dono: Spirito di coraggio, Spirito di sapienza.

 

Spirito di Dio scendi su di noi…

 

Spirito Santo, anima di eterna giovinezza della Chiesa, sciogli i nostri torpori, tiraci fuori dalle nostre tombe, riportaci alla vita e dona a coloro che qui hanno grandi sogni – spero tutti – di riprendere coraggio, perché sognare è importante; sogniamo in Te e con Te, Spirito di Dio, una Chiesa più bella, più coraggiosa, pronta a tradurre il Vangelo, anche rischiando nella comunicazione.

 

Spirito di Dio scendi su di noi…

 

Prima di concludere, Dolores ci dà una cartina dei campi-scuola a cui è urgente prenotarsi, via e-mail.

***

Poiché abbiamo bisogno di un quadro, sia pure approssimativo, di prenotazioni nel giro di una settimana, è importante utilizzare l’indirizzo redazione.ghibli@gmail.com

Ovviamente non è un impegno a vita, ci si può anche impegnare e poi disdire, ma dobbiamo avere un quadro, anche perché ci sono dei numeri da non superare (questi tre campi sono tutti un po’ a numero chiuso).

 

Ci teniamo per mano e diciamo insieme: Padre nostro…

 

Benedizione del Vescovo

 

Canto: PENTECOSTE

 

Buona Pentecoste e facciamo un applauso a Maria Teresa e ai due Maestri di tromba.

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.