Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“Natale è vivo finché lo racconti”

 

Teano, 23 dicembre 2011

 

Chiesa Cattedrale

~

      

 

Canto iniziale: Innalziamo lo sguardo

 

Nel nome del Padre…

 

Carissimi giovani, bisogna attendere e bisogna attendere insieme. Ce lo siamo detto anche con gli adulti ad “In punta di piedi in Episcopio” due giorni fa. Cosa significa “attendere insieme”? Significa che stasera, per esempio, oltre alle parrocchie della nostra Diocesi, c’è anche Don Enzo con i suoi giovani, Don Francesco con i suoi giovani, Don Mariano, e queste presenze, anche extra-diocesane, di giovani che hanno fatto tanto più cammino di quanto non ne abbiate fatto voi per raggiungere la Cattedrale, impreziosisce la nostra attesa perché quando si attende in tanti, l’attesa diventa più fervorosa. A volte si pensa che dobbiamo essere pochi, che dobbiamo essere quattro gatti, gli eletti, invece bisogna essere in tanti. Quando ero parroco dicevo: Sapete perché siamo tanti? Siamo tanti perché siamo tanti. Era un gioco di parole, sembrava una sciocchezza: in realtà, più si è, più si aumenta; meno si è - fateci caso nei vostri gruppi, se siete nell’Azione Cattolica, negli Scout - un gruppo di quattro giovanissimi scalcinati finirà in depressione (e non solo loro!) e nel giro di un anno l’educatore vedrà andar via anche quelli che ci sono. Ma se siete 40 diventerete 80, e se siete 80 diventerete 160: è una “legge pastorale”. È importante essere in molti per allargare le fila, questo lo dico per quei preti, ma soprattutto per quegli educatori che si accontentano: bisogna essere in tanti. Questa, che è già una legge, vale in modo tutto speciale per il Natale come per le grandi feste in cui bisogna attendere e bisogna attendere in molti. E più si è, più l’attesa contagia. Allora stasera ci faremo dono di questa nostra presenza per rendere questo Natale più forte. Magari starete pensando: Ma non basta Gesù? Non basta che questa culla si occupi, si riempia, come nei nostri presepi, nelle nostre chiese? No, c’è bisogno del respiro di tanti giovani, di tante persone, di tanti cuori e allora rinnoviamo l’attesa. Ripetiamo il ritornello e poi entriamo nel vivo del nostro incontro.

 

Innalziamo lo sguardo…

***

 

Quello che sto per dirvi è importante, perché il Natale è legato alla facoltà e alla possibilità di raccontare. Partiamo dal titolo, un po’ equivoco: Natale è vivo finché lo racconti. Cosa significa? Significa che se un giorno nessuno più racconterà il Natale, il Natale sarà morto, sarà finito. Noi, abituati a leggere i Vangeli, dimentichiamo che i primi a raccontare il Natale, a raccontare la Pasqua, a raccontare i momenti più importanti della vita di Gesù, sono stati gli evangelisti, ma essi sono la punta di iceberg di tante persone, di comunità che si raccontavano delle cose. Noi abbiamo delle cose da raccontarci in questo Natale? I genitori raccontano ancora qualcosa ai figli? E gli amici agli amici? Voi che siete educatori Scout o di Azione Cattolica o di altro movimento ecclesiale, in questi giorni avete affilato ulteriormente la vostra facoltà di raccontare? Perché sul filo del racconto cammina la fede. È come se ad un certo punto - e questo lo sanno bene i preti, i seminaristi e quelli che studiano Teologia - i Vangeli, le verità della fede fossero state tolte dalla vita, estromesse da questo racconto secolare di padre in figlio. Prima i nonni raccontavano (adesso li chiudiamo nelle case di riposo), erano fonte di racconti. I bambini ora sono presi dal computer, dai cartoni animati, ma noi pendevamo dalla bocca dei nostri nonni che avevano un’affabulazione particolare, perché utilizzavano degli aggettivi, ci disegnavano dei fondali, anche per le fiabe: Cappuccetto Rosso, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco e - non vi sembri blasfemo questo accostamento - Gesù.

Come si accede alla fede? Attraverso un racconto. E se i catechisti non sanno raccontare, non possono fare i catechisti, benché plurilaureati o muniti di diploma in Scienze Religiose, che di per sé non dice che uno sappia raccontare. Quando la fede ha perso la dimensione del racconto, ha cominciato ad affievolirsi.

Stasera voglio trasmettervi questo messaggio e l’utilità del raccontare per tenere viva una memoria; vale in genere, ma vale anche per noi come cristiani per quanto concerne il Natale, cioè Natale è partito come un racconto: che avrà fatto Gesù prima di rivelarsi sulle rive del Giordano con il Battista, prima del battesimo, prima dei miracoli, prima della moltiplicazione dei pani, prima della crocifissione? è stato un bambino? è nato come gli altri? e sua madre come si chiamava? com’è nato? da un normale concepimento? Da queste domande, probabilmente fatte anche agli interessati, fatte a Maria, fatte a Giovanni che secondo la tradizione ha avuto in consegna la Madre, sono nati i racconti, i racconti di Natale, quelli che troviamo nei vangeli, molto asciutti, molto essenziali ma belli, che aprono le finestre della fantasia, perché il resto tu possa immaginarlo, come gli altri racconti della vita di Gesù.

“Natale è vivo finché lo racconti” significa che, finché c’è qualcuno che racconta, Natale è ancora Natale, ma quando non ci sarà più nessuno, Natale sarà un’insegna luminosa, sarà un supermercato, il Campania, sarà un luogo dove scambiarsi dei regali… Ma perché c’è questo e cosa c’era all’inizio nessuno saprà dirlo, perché nessuno lo sa più raccontare. Allora adesso ascoltiamo quello che nelle vostre parrocchie ascolterete la notte di Natale, cioè domani notte, sperando che non arriviate dopo un cenone troppo pesante e quindi non proprio disposti all’ascolto. Questo è il racconto che ascolteremo domani.

 

Dal Vangelo di Luca (2, 1-20)

 

1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. 3 Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. 4 Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, 5 per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. 6 Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. 8 C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, 10 ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. 12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». 13 E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: 14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». 15 Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16 Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 17 E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18 Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. 19 Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. 20 I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

***

 

Una voce ischitana ci ha letto il racconto di Luca. C’è innanzi tutto una storia dei grandi, la storia dell’imperatore; Roma era la capitale del mondo (i Romani ci tenevano a dire che era la caput mundi), ma Dio fa la sua storia a volte tra i poveri. C’era Roma e c’era la Palestina, che era una provincia romana, e come sapete - questa è anche storia di oggi - i grandi devono in qualche maniera far quadrare i conti e quando i conti non tornano, bisogna stringere la cinghia, bisogna pagare qualcosina in più (e speriamo solo qualcosina). Quindi i romani, per sapere quanto potevano estorcere (era questo il motivo del censimento, non era un motivo di gloria: Voglio sapere quanti sudditi ho), vedono quanti sono i sudditi in tutte le regioni, in tutte le province dell’Impero, in modo tale da sapere cosa entrerà nelle casse di Roma. Questo è un motivo economico, perché il buon Carlo Marx diceva - ed aveva ragione - che l’anima della storia è l’economia, ma c’è un’altra economia, che non è quella dei soldi, e che si chiama in termini tecnici - ma voi dimenticátelo – “economia della salvezza” dove non c’entrano i soldi, non c’entrano i grandi, ma c’entra Dio e l’uomo. Quando diciamo “uomo”, ognuno di noi metta al posto di “uomo” il proprio nome: c’era Dio e ci sono io, c’era Dio e c’è Maria, c’era Dio e c’è Francesca, c’era Dio e c’è Johnny… Questi due dovevano incontrarsi perché era tanto tempo che non si parlavano (ovviamente a causa dell’uomo) e Dio escogita un modo per andare incontro all’uomo che mai nessuno avrebbe potuto immaginare: farsi Egli stesso uomo, farsi piccolo per mettersi in contatto. Qui ci sono dei bambini al primo banco: se io volessi parlare con loro, dovrei abbassarmi; quando voglio parlare con un bambino, pur non essendo un cestista, anch’io, alla mia modesta statura, debbo inchinarmi per stare alla stessa statura del bambino. Così ha fatto Dio: era altissimo e scende, si fa piccolo piccolo, perché l’uomo non avesse più paura di Lui, perché tante cose brutte, nella vita, nascono dalla paura, anche la violenza. Spesso la violenza non è cattiveria, ma paura condensata. L’uomo aveva paura di Dio e allora Dio si chiede: Come posso andare incontro all’uomo senza spaventarlo? Si fa piccolo, si fa uomo, scende dal Suo trono di stelle, veste la nostra stessa umanità per poter parlare con l’uomo, ma per far questo ha bisogno di una madre. La storia la conoscete, ma adesso dirvi del Natale è poter dire di Maria che è qui, di Giuseppe che faceva finta d’essere lo sposo e il padre, ma avrebbe voluto sposare Maria a tutti gli effetti, ma c’è un terzo incomodo, c’è un incidente (come a volte succede, ma non come succede tra voi: come è successo una volta sola nella storia) e cioè che Dio abbia fecondato una donna e questa donna sia rimasta incinta senza che l’uomo ci avesse messo mano. Comincia così il nostro brano, quindi con la storia dei grandi e con la storia dei piccoli, con Maria e Giuseppe che si mettono in cammino per iscriversi, per essere numerati, per ricevere un numero (5826! 5827! Avanti un altro!), ma mentre sul suo trono l’imperatore pensava di contare i suoi sudditi, Dio, l’imperatore per eccellenza, si fa suddito per salvare tutti. Natale comincia così, con due che sono esuli, lontani dal proprio paese, e che lungo la strada vedono compiersi i giorni della gestazione. Lo diciamo anche noi oggi: Si sono compiuti i giorni, si sono rotte le acque. Stasera o domani mattina si rompono le acque a Maria e quindi deve dare alla luce questo figlio di cui l’angelo ha detto a Giuseppe: Lo chiamerai Gesù. Questo è un mistero, cioè come Dio sia potuto venire da noi e come venga anche adesso, anche stasera che siamo qui e dice: Non devi avere paura di me, non devi avere paura dei tuoi peccati, non devi avere paura della tua indegnità; vengo a bussare alla tua porta, aprimi, facciamo Natale. “Natale” significa “nascita”. Allora ci introduciamo in questo racconto con un canto che conoscete tutti: Astro del ciel. Cantiamo a questo bambino che nasce una nenia che ci sta nel cuore e nelle orecchie fin da quando eravamo bambini.

 

Astro del ciel

Pargol divin,

mite Agnello Redentor!

Tu che i Vati da lungi sognar,

Tu che angeliche voci nunziar,

luce dona alle menti,

pace infondi nei cuor!

Luce dona alle menti,

pace infondi nei cuor!

 

“Tu che i Vati da lungi sognar” significa che Isaia, come gli altri profeti, vedevano una luce in fondo alla storia, ma non sapevano dargli ancora un nome; era una speranza che si trasmetteva di gente in gente, di padre in figlio (il padre, prima di morire, diceva al figlio: Devo dirti una cosa importante: noi saremo liberati! - anche quando non si era in schiavitù, liberati dal peso del male). Quindi i “Vati” sono i profeti, cioè quelli che hanno visto da lontano e hanno preconizzato, hanno detto di vedere all’orizzonte, anche quando erano in pieno buio, perché il buio a Natale è importantissimo. Per questo abbiamo spento le luci, perché se tu non comprendi che c’è buio dentro di te, non senti il bisogno della stella, non senti il bisogno di una cometa, non senti il bisogno di “luce dona alle menti e infondi nei cuori”. Più che la cometa questa luce è Gesù.

 

Astro del ciel,

Pargol divin,

mite Agnello redentor!

Tu di stirpe regale decor,

Tu virgineo, mistico fior,

luce dona alle genti,

pace infondi nei cuor!

Luce dona alle menti,

pace infondi nei cuor!

 

“Tu di stirpe regale decor” (ovviamente è un linguaggio fuori delle parole che utilizziamo) significa: Tu che appartenevi ad una stirpe regale - quindi avresti dovuto fare il matrimonio più chic del mondo - sei sceso, Ti sei accontento di me che sono un povero, di me - dice Maria - che sono una povera e che sono stata chiamata ad essere Tua madre. Dio non fa differenza di classi sociali, di ricchi, di poveri, di quelli che hanno il sangue blu o il sangue normale. Quindi “Tu di stirpe regale decor, Tu virgineo mistico fior” significa: Tu che eri così in alto adesso sei qui, a portata di mano; ti posso baciare, posso farti il solletico.

Nella preghiera noi siamo troppo forbiti, troppo ingessati. A un bambino faresti il solletico per farlo sorridere? Ecco bisogna fare il solletico a Gesù, perché ha un corpo come il tuo e un bambino vuole essere solleticato per sorridere, per ridere. A volte facciamo tante moine per rubare un sorriso ad un bambino. Non è il caso che ne facciamo qualcuna in più per ricevere il sorriso di Dio?

 

Astro del ciel,

Pargol divin,

mite Agnello Redentor!

Tu disceso a scontare l’errore,

Tu sol nato a parlare d’amore,

luce dona alle menti,

pace infondi nei cuor!

Luce dona alle menti,

pace infondi nei cuor!

 

Natale è vivo finché lo racconti (adesso noi lo stiamo raccontando con una musica, con delle parole, con una storia), nel senso che finché lo racconti è vivo, ma anche “affinché” lo racconti; quindi “finché” può essere temporale e può essere anche di finalità. Non so se queste differenze a scuola riuscite a farle, ma non fa niente; l’importante è che riusciate a comprendere questa duplice differenza del finché: Natale sarà vivo, fino a che qualcuno lo racconterà o Natale sarà vivo perché uno lo racconta.

Anche stasera, anche in questa nostra Preghiera prenatalizia, abbiamo invitato un cantautore. Chi scegliamo per farci fare gli auguri di buon Natale? Abbiamo pensato a Renato Zero. Adesso lo ascolterete e immaginate che sia qui, perché c’è.

 

Buon Natale

(Renato Zero)

 

E arriverà Natale,

anche quest’anno arriverà…

Natale per chi resta, per chi va…

Natale da una lira…

Natale ricco o no…

Bambini per un giorno, per un po’!

Vorrei che il tuo Natale

risplendesse dentro te,

che soffri e stare al mondo sai cos’è!

Per te che non hai storie

da raccontare ormai…

Le fate son drogate…

Malati i sogni tuoi!

Vorrei dire buon Natale…

E dividerlo con te!

Con te che hai perso la speranza…

E hai paura come me!!!

Un tempo non lontano…

I doni appesi tutto intorno al camino,

Nessuno violentava,

quel sogno che per mano ti portava!

Giocavi allo sceriffo…

E per te un buono non era un fesso!

E il bersaglio era finto…

Non era un uomo steso sul cemento!

E non c’erano i brutti…

Quel giorno lì erano d’accordo tutti…

Sia chi ha gli occhi lunghi,

la pelle nera o i capelli biondi!

Natale da una lira…

Natale ricco o no…

Bambini per un giorno…per un po’!

Perché non fosse una parola il bene…

Perché ogni bomba diventasse pane…

Io vorrei che almeno un giorno…

Quella cometa facesse ritorno!

E un campo di battaglia desse grano

per quella morte con la falce in mano…

E al ventre di una donna, il suo bambino…

E breve o lungo ad ognuno il suo destino!

Vorrei dire buon Natale…

Finché c’è chi ascolterà!

Finché si farà l’amore…

Finché un uomo pregherà!

 

 

***

E arriverà Natale,

anche quest’anno arriverà…

Natale per chi resta, per chi va…

Natale da una lira…

Natale ricco o no…

Bambini per un giorno, per un po’!

Vorrei che il tuo Natale

risplendesse dentro te,

che soffri e stare al mondo sai cos’è!

Per te che non hai storie

da raccontare ormai…

Le fate son drogate…

Malati i sogni tuoi!      

 

Questa è la condizione di cui vi parlavo all’inizio: di un sogno malato e di fate drogate. Ovviamente, di questo, voi ragazzi non siete colpevoli, ma i colpevoli siamo noi che vi abbiamo rubato i sogni, noi grandi, i vostri genitori, quelli della generazione precedente. Normalmente si colpiscono sempre i giovani che sono “brutti, sporchi e cattivi”: in realtà i colpevoli siamo noi che vi abbiamo drogato i sogni, che vi abbiamo violentato le fate, per cui non ci credete più. Invece qui Renato Zero dice: Vorrei dire Buon Natale. Stasera siamo qui per purificare questa parola, per purificarla da tutte le contraffazioni, dove manca il marchio doc, dove si svilisce la parola. Dici “Buon Natale” e senti che è niente, perché per te non significa nulla.

 

E dividerlo con te!

Con te che hai perso la speranza…

E hai paura come me!!!

 

Poi c’è il ricordo nostalgico di un tempo che era Natale dove c’erano le fiabe, le fate, i sogni. 

 

Un tempo non lontano…

I doni appesi tutto intorno al camino,

Nessuno violentava,

quel sogno che per mano ti portava!

Giocavi allo sceriffo…

 

Ma era un gioco e invece adesso ci sono uomini che cadono. Non so se avete saputo che a Pietramelara, quindi tra noi, una persona è stata uccisa l’altro ieri, è stata uccisa per denaro. Quindi c’è del sangue anche sulla nostra terra. Invece il tempo di cui parla, è un tempo in cui si giocava, si sparava, ma con le dita; non c’erano colpi, non c’era sangue, non c’era violenza. Allora Natale è il ritorno dell’uomo all’uomo.

Adesso riascoltiamo e ci sarà una coreografia: è anche bello vederla come danza, come preghiera al buio. Abbiamo individuato una brava ballerina teanese e un nostro seminarista.

 

Buon Natale (Renato Zero)

 

***

 

Grazie ad Alfonso e a Maria Paola. Questa leggerezza è quella di cui vi parlavo: la leggerezza del sogno e del racconto che fa aprire gli occhi ai bambini. Gli occhi dei bambini a Natale sono grandi. Sono gli occhi di chi ascolta un racconto meraviglioso, una fiaba, una cosa mai accaduta, gli occhi di chi rimane stupito da tanto amore e dice: Ohhh… Noi non lo sappiamo più dire perché forse le nostre fiabe sono violentate, le nostre fate sono drogate. Stasera stiamo facendo un’opera di rivalutazione, di purificazione di parole che rischiano di sverginarsi, di perdere il loro spessore, di diventare delle scorze. Ci aiuterà la Preghiera di stasera a poter dire “Buon Natale” sorridendo, anche alla fine di questa Preghiera, quando ci scambieremo gli auguri, sapendo che, qualsiasi cosa ci pesi sul cuore, Dio è con noi. L’Emmanuele, Dio-con-noi,  significa che anche nel buio più pesto, anche nella notte più oscura, anche nei problemi più terribili, noi possiamo dire che Dio è dalla nostra parte. Se avessi un ricco signore che potesse pagare tutti i miei debiti, farei lo spavaldo; c’è una santa spavalderia nel Natale, perché Dio sta dalla parte nostra e quindi non ci abbandonerà: qualsiasi cosa succeda è venuto per restare - ve lo dicevo già un mese fa - è venuto non per farsi un giro, ma per essere con noi. Allora è importante che se Lui è venuto per stare con noi - vorrei che in questo momento vi teneste per mano, perché Natale non è al singolare, non è il “mio” Natale, ma il “nostro” Natale - è venuto per ricollegarci, per rimetterci in rete. C’è una bellissima canzone, che magari ricorderanno solo quelli della mia età, che si cantava quando noi eravamo giovani, che era un po’ una fiaba: Se tutte le ragazze, le ragazze del mondo si dessero la mano, si farebbe un girotondo intorno al mondo; e se tutti i ragazzi diventassero marinai e stessero su una barca, allora si farebbe un grande ponte con tante barche in mezzo al mare… È un’espressione che mi è tornata alla mente dopo decenni di dimenticanza, per dire che il collegarci - ma non è il collegarci romantico “stiamo bene insieme” che per voi giovani è anche relativamente facile - il collante, cioè chi ci fa tenere la mano dell’altro è Dio che è venuto per stare con noi perché anche noi ci guardiamo intorno, per riconoscerci, a dire: Ho degli amici, dei fratelli, delle persone su cui fare affidamento o da aiutare. Questo è il racconto del Natale, cari giovani, e riempiamo di contenuto e raccontiamola questa fiaba. Oggi il mondo ne ha particolarmente bisogno perché è disperato. A volte si è disperati anche a 18’anni, quando una volta si diceva che i sogni erano al top, al massimo; raccontiamo questa fiaba che riporta la speranza nel mondo, a dire che ce la possiamo fare nella nostra parrocchia, nel nostro gruppo, nella nostra famiglia, in questo momento così travagliato che stiamo vivendo. Non ce la faremo per merito nostro, perché verrà fuori un “Dott.” che con la formula verrà a risolvere i nostri problemi economici; ce la faremo perché Lui è con noi, sta con noi da duemila anni e la Sua presenza ha dato forza a persone che hanno attraversato chilometri e chilometri di deserto. Tenendoci per mano diciamo il Padre nostro, perché Gesù è venuto a dirci che non siamo soli: C’è un Padre, sono stato mandato, mi ha mandato Lui, perché voi non vi sentiste orfani.

Padre nostro…

 

Benedizione del Vescovo

 

Vi ricordo che ciascuno di voi è uno dei pastori a cui un angelo stasera ha parlato (non io, beninteso!). Un angelo stasera vi ha parlato e ha detto: Guarda che è successo un fatto! Va’ a vedere! E i pastori si mettono in cammino, anch’essi nella notte, con le loro lanterne, guardando le stelle, chiedendosi: Ma sarà vero quello che ha detto il Vescovo? Andiamo a vedere; andiamo a constatare se a casa nostra, se nel nostro gruppo è successo qualcosa… Tra l’altro, questa lampada utilizzata davanti la Natività e per la danza, è la lampada di Betlem che gira attraverso i gruppi Scout, quindi è bello anche questo collegamento con la Terra di Gesù da dove è venuta la salvezza. Ciascuno di voi sia questo pastore che va e non tiene per sé la fiaba, ma la racconta: Sai cosa è successo? È nato! Puoi sperare anche tu che sei disperato! Dice Renato Zero: Vorrei che per un giorno la cometa facesse ritorno, ma questo giorno è ogni giorno. Anna Maria Cánopi - ho sbirciato - ha scritto su Ghibli (i nostri giovani redattori stanno cercando di prendere firme prestigiosissime) che è Natale ogni giorno. Quindi la cometa torna all’atto in cui tu, cometa, ti porti dietro una scia di luce e dici: Qui sta nascendo qualcosa, in questo gruppo, in questa associazione, in questa Diocesi. C’è un bambino: prendiamolo, culliamolo, culliamo insieme questa speranza.

Adesso riascoltiamo e riguardiamo la coreografia. Grazie a Maria Paola e ad Alfonso per essersi resi disponibili, tra l’altro, come sempre succede negli inviti del Vescovo, qualche ora prima della Preghiera. 

 

Buon Natale (Renato Zero)

 

Buon Natale!

  ***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.