Preghiera-Giovani
guidata
da
S. E. Rev. ma Mons.
Arturo Aiello
“Natale è vivo finché lo racconti”
Teano,
23 dicembre 2011
Chiesa
Cattedrale
~
Canto
iniziale: Innalziamo lo sguardo
Nel nome del Padre…
Carissimi
giovani, bisogna attendere e bisogna attendere insieme. Ce lo siamo detto anche
con gli adulti ad “In punta di piedi in Episcopio” due giorni fa. Cosa
significa “attendere insieme”? Significa che stasera, per esempio, oltre alle
parrocchie della nostra Diocesi, c’è anche Don Enzo con i suoi giovani, Don
Francesco con i suoi giovani, Don Mariano, e queste presenze, anche extra-diocesane,
di giovani che hanno fatto tanto più cammino di quanto non ne abbiate fatto voi
per raggiungere la Cattedrale, impreziosisce la nostra attesa perché quando si
attende in tanti, l’attesa diventa più fervorosa. A volte si pensa che dobbiamo
essere pochi, che dobbiamo essere quattro gatti, gli eletti, invece bisogna
essere in tanti. Quando ero parroco dicevo: Sapete
perché siamo tanti? Siamo tanti perché siamo tanti. Era un gioco di parole,
sembrava una sciocchezza: in realtà, più si è, più si aumenta; meno si è -
fateci caso nei vostri gruppi, se siete nell’Azione Cattolica, negli Scout - un
gruppo di quattro giovanissimi scalcinati finirà in depressione (e non solo
loro!) e nel giro di un anno l’educatore vedrà andar via anche quelli che ci
sono. Ma se siete 40 diventerete 80, e se siete 80 diventerete 160: è una “legge
pastorale”. È importante essere in molti per allargare le fila, questo lo dico
per quei preti, ma soprattutto per quegli educatori che si accontentano: bisogna
essere in tanti. Questa, che è già una legge, vale in modo tutto speciale per
il Natale come per le grandi feste in cui bisogna attendere e bisogna attendere
in molti. E più si è, più l’attesa contagia. Allora stasera ci faremo dono di
questa nostra presenza per rendere questo Natale più forte. Magari starete
pensando: Ma non basta Gesù? Non basta
che questa culla si occupi, si riempia, come nei nostri presepi, nelle nostre
chiese? No, c’è bisogno del respiro di tanti giovani, di tante persone, di tanti
cuori e allora rinnoviamo l’attesa. Ripetiamo il ritornello e poi entriamo nel
vivo del nostro incontro.
Innalziamo lo sguardo…
***
Quello
che sto per dirvi è importante, perché il Natale è legato alla facoltà e alla
possibilità di raccontare. Partiamo dal titolo, un po’ equivoco: Natale è vivo finché lo racconti. Cosa
significa? Significa che se un giorno nessuno più racconterà il Natale, il Natale
sarà morto, sarà finito. Noi, abituati a leggere i Vangeli, dimentichiamo che i
primi a raccontare il Natale, a raccontare la Pasqua, a raccontare i momenti
più importanti della vita di Gesù, sono stati gli evangelisti, ma essi sono la
punta di iceberg di tante persone, di comunità che si raccontavano delle cose.
Noi abbiamo delle cose da raccontarci in questo Natale? I genitori raccontano ancora
qualcosa ai figli? E gli amici agli amici? Voi che siete educatori Scout o di
Azione Cattolica o di altro movimento ecclesiale, in questi giorni avete
affilato ulteriormente la vostra facoltà di raccontare? Perché sul filo del
racconto cammina la fede. È come se ad un certo punto - e questo lo sanno bene
i preti, i seminaristi e quelli che studiano Teologia - i Vangeli, le verità
della fede fossero state tolte dalla vita, estromesse da questo racconto
secolare di padre in figlio. Prima i nonni raccontavano (adesso li chiudiamo
nelle case di riposo), erano fonte di racconti. I bambini ora sono presi dal
computer, dai cartoni animati, ma noi pendevamo dalla bocca dei nostri nonni
che avevano un’affabulazione particolare, perché utilizzavano degli aggettivi,
ci disegnavano dei fondali, anche per le fiabe: Cappuccetto Rosso, Cenerentola,
La bella addormentata nel bosco e - non vi sembri blasfemo questo accostamento
- Gesù.
Come
si accede alla fede? Attraverso un racconto. E se i catechisti non sanno
raccontare, non possono fare i catechisti, benché plurilaureati o muniti di
diploma in Scienze Religiose, che di per sé non dice che uno sappia raccontare.
Quando la fede ha perso la dimensione del racconto, ha cominciato ad
affievolirsi.
Stasera
voglio trasmettervi questo messaggio e l’utilità del raccontare per tenere viva
una memoria; vale in genere, ma vale anche per noi come cristiani per quanto
concerne il Natale, cioè Natale è partito come un racconto: che avrà fatto Gesù
prima di rivelarsi sulle rive del Giordano con il Battista, prima del
battesimo, prima dei miracoli, prima della moltiplicazione dei pani, prima
della crocifissione? è stato un bambino? è nato come gli altri? e sua madre come
si chiamava? com’è nato? da un normale concepimento? Da queste domande,
probabilmente fatte anche agli interessati, fatte a Maria, fatte a Giovanni che
secondo la tradizione ha avuto in consegna la Madre, sono nati i racconti, i
racconti di Natale, quelli che troviamo nei vangeli, molto asciutti, molto essenziali
ma belli, che aprono le finestre della fantasia, perché il resto tu possa
immaginarlo, come gli altri racconti della vita di Gesù.
“Natale
è vivo finché lo racconti” significa che, finché c’è qualcuno che racconta, Natale
è ancora Natale, ma quando non ci sarà più nessuno, Natale sarà un’insegna
luminosa, sarà un supermercato, il Campania,
sarà un luogo dove scambiarsi dei regali… Ma perché c’è questo e cosa c’era
all’inizio nessuno saprà dirlo, perché nessuno lo sa più raccontare. Allora adesso
ascoltiamo quello che nelle vostre parrocchie ascolterete la notte di Natale, cioè
domani notte, sperando che non arriviate dopo un cenone troppo pesante e quindi
non proprio disposti all’ascolto. Questo è il racconto che ascolteremo domani.
Dal Vangelo di Luca (2, 1-20)
1 In
quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di
tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando
era governatore della Siria Quirinio. 3 Andavano tutti a
farsi registrare, ciascuno nella sua città. 4 Anche
Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret
e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, 5 per
farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. 6 Ora,
mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede
alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una
mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. 8 C’erano
in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al
loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò davanti
a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande
spavento, 10 ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi
annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi
vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. 12 Questo
per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una
mangiatoia». 13 E subito apparve con l’angelo una
moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: 14 «Gloria
a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». 15 Appena
gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra
loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha
fatto conoscere». 16 Andarono dunque senz’indugio e
trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 17 E
dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18 Tutti
quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. 19 Maria,
da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. 20 I
pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che
avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
***
Una
voce ischitana ci ha letto il racconto di Luca. C’è innanzi tutto una storia
dei grandi, la storia dell’imperatore; Roma era la capitale del mondo (i Romani
ci tenevano a dire che era la caput mundi),
ma Dio fa la sua storia a volte tra i poveri. C’era Roma e c’era la Palestina,
che era una provincia romana, e come sapete - questa è anche storia di oggi - i
grandi devono in qualche maniera far quadrare i conti e quando i conti non tornano,
bisogna stringere la cinghia, bisogna pagare qualcosina in più (e speriamo solo
qualcosina). Quindi i romani, per sapere quanto potevano estorcere (era questo
il motivo del censimento, non era un motivo di gloria: Voglio sapere quanti sudditi ho), vedono quanti sono i sudditi in
tutte le regioni, in tutte le province dell’Impero, in modo tale da sapere cosa
entrerà nelle casse di Roma. Questo è un motivo economico, perché il buon Carlo
Marx diceva - ed aveva ragione - che l’anima della storia è l’economia, ma c’è
un’altra economia, che non è quella dei soldi, e che si chiama in termini
tecnici - ma voi dimenticátelo – “economia della salvezza” dove non c’entrano i
soldi, non c’entrano i grandi, ma c’entra Dio e l’uomo. Quando diciamo “uomo”,
ognuno di noi metta al posto di “uomo” il proprio nome: c’era Dio e ci sono io,
c’era Dio e c’è Maria, c’era Dio e c’è Francesca, c’era Dio e c’è Johnny… Questi
due dovevano incontrarsi perché era tanto tempo che non si parlavano (ovviamente
a causa dell’uomo) e Dio escogita un modo per andare incontro all’uomo che mai nessuno
avrebbe potuto immaginare: farsi Egli stesso uomo, farsi piccolo per mettersi in
contatto. Qui ci sono dei bambini al primo banco: se io volessi parlare con
loro, dovrei abbassarmi; quando voglio parlare con un bambino, pur non essendo
un cestista, anch’io, alla mia modesta statura, debbo inchinarmi per stare alla
stessa statura del bambino. Così ha fatto Dio: era altissimo e scende, si fa
piccolo piccolo, perché l’uomo non avesse più paura di Lui, perché tante cose brutte,
nella vita, nascono dalla paura, anche la violenza. Spesso la violenza non è
cattiveria, ma paura condensata. L’uomo aveva paura di Dio e allora Dio si
chiede: Come posso andare incontro
all’uomo senza spaventarlo? Si fa piccolo, si fa uomo, scende dal Suo trono
di stelle, veste la nostra stessa umanità per poter parlare con l’uomo, ma per
far questo ha bisogno di una madre. La storia la conoscete, ma adesso dirvi del
Natale è poter dire di Maria che è qui, di Giuseppe che faceva finta d’essere
lo sposo e il padre, ma avrebbe voluto sposare Maria a tutti gli effetti, ma
c’è un terzo incomodo, c’è un incidente (come a volte succede, ma non come
succede tra voi: come è successo una volta sola nella storia) e cioè che Dio
abbia fecondato una donna e questa donna sia rimasta incinta senza che l’uomo
ci avesse messo mano. Comincia così il nostro brano, quindi con la storia dei grandi
e con la storia dei piccoli, con Maria e Giuseppe che si mettono in cammino per
iscriversi, per essere numerati, per ricevere un numero (5826! 5827! Avanti un altro!), ma mentre sul suo trono l’imperatore
pensava di contare i suoi sudditi, Dio, l’imperatore per eccellenza, si fa suddito
per salvare tutti. Natale comincia così, con due che sono esuli, lontani dal
proprio paese, e che lungo la strada vedono compiersi i giorni della gestazione.
Lo diciamo anche noi oggi: Si sono compiuti i giorni, si sono rotte le acque. Stasera
o domani mattina si rompono le acque a Maria e quindi deve dare alla luce questo
figlio di cui l’angelo ha detto a Giuseppe: Lo
chiamerai Gesù. Questo è un mistero, cioè come Dio sia potuto venire da noi
e come venga anche adesso, anche stasera che siamo qui e dice: Non devi avere paura di me, non devi avere
paura dei tuoi peccati, non devi avere paura della tua indegnità; vengo a
bussare alla tua porta, aprimi, facciamo Natale. “Natale” significa “nascita”.
Allora ci introduciamo in questo racconto con un canto che conoscete tutti: Astro del ciel. Cantiamo a questo bambino
che nasce una nenia che ci sta nel cuore e nelle orecchie fin da quando eravamo
bambini.
Astro del ciel
Pargol divin,
mite Agnello Redentor!
Tu che i Vati da lungi sognar,
Tu che angeliche voci nunziar,
luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor!
Luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor!
“Tu
che i Vati da lungi sognar” significa che Isaia, come gli altri profeti, vedevano
una luce in fondo alla storia, ma non sapevano dargli ancora un nome; era una
speranza che si trasmetteva di gente in gente, di padre in figlio (il padre,
prima di morire, diceva al figlio: Devo
dirti una cosa importante: noi saremo liberati! - anche quando non si era
in schiavitù, liberati dal peso del male). Quindi i “Vati” sono i profeti, cioè
quelli che hanno visto da lontano e hanno preconizzato, hanno detto di vedere
all’orizzonte, anche quando erano in pieno buio, perché il buio a Natale è
importantissimo. Per questo abbiamo spento le luci, perché se tu non comprendi
che c’è buio dentro di te, non senti il bisogno della stella, non senti il
bisogno di una cometa, non senti il bisogno di “luce dona alle menti e infondi
nei cuori”. Più che la cometa questa luce è Gesù.
Astro del ciel,
Pargol divin,
mite Agnello redentor!
Tu di stirpe regale decor,
Tu virgineo, mistico fior,
luce dona alle genti,
pace infondi nei cuor!
Luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor!
“Tu
di stirpe regale decor” (ovviamente è un linguaggio fuori delle parole che
utilizziamo) significa: Tu che appartenevi ad una stirpe regale - quindi
avresti dovuto fare il matrimonio più chic
del mondo - sei sceso, Ti sei accontento di me che sono un povero, di me - dice
Maria - che sono una povera e che sono stata chiamata ad essere Tua madre. Dio
non fa differenza di classi sociali, di ricchi, di poveri, di quelli che hanno
il sangue blu o il sangue normale. Quindi “Tu di stirpe regale decor, Tu virgineo
mistico fior” significa: Tu che eri così in alto adesso sei qui, a portata di
mano; ti posso baciare, posso farti il solletico.
Nella
preghiera noi siamo troppo forbiti, troppo ingessati. A un bambino faresti il
solletico per farlo sorridere? Ecco bisogna fare il solletico a Gesù, perché ha
un corpo come il tuo e un bambino vuole essere solleticato per sorridere, per
ridere. A volte facciamo tante moine per rubare un sorriso ad un bambino. Non è
il caso che ne facciamo qualcuna in più per ricevere il sorriso di Dio?
Astro del ciel,
Pargol divin,
mite Agnello Redentor!
Tu disceso a scontare l’errore,
Tu sol nato a parlare d’amore,
luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor!
Luce dona alle menti,
pace infondi nei cuor!
Natale
è vivo finché lo racconti (adesso noi lo stiamo raccontando con una musica, con
delle parole, con una storia), nel senso che finché lo racconti è vivo, ma anche
“affinché” lo racconti; quindi “finché” può essere temporale e può essere anche
di finalità. Non so se queste differenze a scuola riuscite a farle, ma non fa
niente; l’importante è che riusciate a comprendere questa duplice differenza del
finché: Natale sarà vivo, fino a che qualcuno lo racconterà o Natale sarà vivo
perché uno lo racconta.
Anche
stasera, anche in questa nostra Preghiera prenatalizia, abbiamo invitato un
cantautore. Chi scegliamo per farci fare gli auguri di buon Natale? Abbiamo
pensato a Renato Zero. Adesso lo ascolterete e immaginate che sia qui, perché
c’è.
Buon
Natale
(Renato
Zero)
E arriverà Natale,
anche quest’anno
arriverà…
Natale per chi resta,
per chi va…
Natale da una lira…
Natale ricco o no…
Bambini per un giorno,
per un po’!
Vorrei che il tuo
Natale
risplendesse dentro
te,
che soffri e stare al
mondo sai cos’è!
Per te che non hai
storie
da raccontare ormai…
Le fate son drogate…
Malati i sogni tuoi!
Vorrei dire buon
Natale…
E dividerlo con te!
Con te che hai perso
la speranza…
E hai paura come me!!!
Un tempo non lontano…
I doni appesi tutto
intorno al camino,
Nessuno violentava,
quel sogno che per
mano ti portava!
Giocavi allo sceriffo…
E per te un buono non
era un fesso!
E il bersaglio era
finto…
Non era un uomo steso
sul cemento!
E non c’erano i
brutti…
Quel giorno lì erano
d’accordo tutti…
Sia chi ha gli occhi
lunghi,
la pelle nera o i
capelli biondi!
Natale da una lira…
Natale ricco o no…
Bambini per un
giorno…per un po’!
Perché non fosse una
parola il bene…
Perché ogni bomba
diventasse pane…
Io vorrei che almeno
un giorno…
Quella cometa facesse
ritorno!
E un campo di
battaglia desse grano
per quella morte con
la falce in mano…
E al ventre di una
donna, il suo bambino…
E breve o lungo ad
ognuno il suo destino!
Vorrei dire buon
Natale…
Finché c’è chi
ascolterà!
Finché si farà
l’amore…
Finché un uomo
pregherà!
***
E arriverà Natale,
anche quest’anno arriverà…
Natale per chi resta, per chi va…
Natale da una lira…
Natale ricco o no…
Bambini per un giorno, per un po’!
Vorrei che il tuo Natale
risplendesse dentro te,
che soffri e stare al mondo sai cos’è!
Per te che non hai storie
da raccontare ormai…
Le fate son drogate…
Malati i sogni tuoi!
Questa è la condizione di cui vi parlavo all’inizio: di un sogno
malato e di fate drogate. Ovviamente, di questo, voi ragazzi non siete
colpevoli, ma i colpevoli siamo noi che vi abbiamo rubato i sogni, noi grandi,
i vostri genitori, quelli della generazione precedente. Normalmente si colpiscono
sempre i giovani che sono “brutti, sporchi e cattivi”: in realtà i colpevoli
siamo noi che vi abbiamo drogato i sogni, che vi abbiamo violentato le fate,
per cui non ci credete più. Invece qui Renato Zero dice: Vorrei dire Buon
Natale. Stasera siamo qui per purificare questa parola, per purificarla da
tutte le contraffazioni, dove manca il marchio doc, dove si svilisce la parola.
Dici “Buon Natale” e senti che è niente, perché per te non significa nulla.
E dividerlo con te!
Con te che hai perso la
speranza…
E hai paura come me!!!
Poi c’è il ricordo nostalgico di un tempo che era Natale dove
c’erano le fiabe, le fate, i sogni.
Un tempo non lontano…
I doni appesi tutto intorno
al camino,
Nessuno violentava,
quel sogno che per mano ti
portava!
Giocavi allo sceriffo…
Ma era un gioco e invece adesso ci sono uomini che cadono. Non so
se avete saputo che a Pietramelara, quindi tra noi, una persona è stata uccisa
l’altro ieri, è stata uccisa per denaro. Quindi c’è del sangue anche sulla
nostra terra. Invece il tempo di cui parla, è un tempo in cui si giocava, si
sparava, ma con le dita; non c’erano colpi, non c’era sangue, non c’era
violenza. Allora Natale è il ritorno dell’uomo all’uomo.
Adesso riascoltiamo e ci sarà una coreografia: è anche bello
vederla come danza, come preghiera al buio. Abbiamo individuato una brava
ballerina teanese e un nostro seminarista.
Buon Natale
(Renato Zero)
***
Grazie ad Alfonso e a Maria Paola. Questa leggerezza è quella di
cui vi parlavo: la leggerezza del sogno e del racconto che fa aprire gli occhi
ai bambini. Gli occhi dei bambini a Natale sono grandi. Sono gli occhi di chi
ascolta un racconto meraviglioso, una fiaba, una cosa mai accaduta, gli occhi
di chi rimane stupito da tanto amore e dice:
Ohhh… Noi non lo sappiamo più dire perché forse le nostre fiabe sono
violentate, le nostre fate sono drogate. Stasera stiamo facendo un’opera di
rivalutazione, di purificazione di parole che rischiano di sverginarsi, di
perdere il loro spessore, di diventare delle scorze. Ci aiuterà la Preghiera di
stasera a poter dire “Buon Natale” sorridendo, anche alla fine di questa
Preghiera, quando ci scambieremo gli auguri, sapendo che, qualsiasi cosa ci
pesi sul cuore, Dio è con noi. L’Emmanuele, Dio-con-noi, significa che anche nel buio più pesto, anche
nella notte più oscura, anche nei problemi più terribili, noi possiamo dire che
Dio è dalla nostra parte. Se avessi un ricco signore che potesse pagare tutti i
miei debiti, farei lo spavaldo; c’è una santa spavalderia nel Natale, perché
Dio sta dalla parte nostra e quindi non ci abbandonerà: qualsiasi cosa succeda
è venuto per restare - ve lo dicevo già un mese fa - è venuto non per farsi un
giro, ma per essere con noi. Allora è importante che se Lui è venuto per stare
con noi - vorrei che in questo momento vi teneste per mano, perché Natale non è
al singolare, non è il “mio” Natale, ma il “nostro” Natale - è venuto per
ricollegarci, per rimetterci in rete. C’è una bellissima canzone, che magari
ricorderanno solo quelli della mia età, che si cantava quando noi eravamo
giovani, che era un po’ una fiaba: Se tutte le ragazze, le ragazze del mondo si
dessero la mano, si farebbe un girotondo intorno al mondo; e se tutti i ragazzi
diventassero marinai e stessero su una barca, allora si farebbe un grande ponte
con tante barche in mezzo al mare… È un’espressione che mi è tornata alla mente
dopo decenni di dimenticanza, per dire che il collegarci - ma non è il
collegarci romantico “stiamo bene insieme” che per voi giovani è anche
relativamente facile - il collante, cioè chi ci fa tenere la mano dell’altro è
Dio che è venuto per stare con noi perché anche noi ci guardiamo intorno, per
riconoscerci, a dire: Ho degli amici, dei fratelli, delle persone su cui fare
affidamento o da aiutare. Questo è il racconto del Natale, cari giovani, e
riempiamo di contenuto e raccontiamola questa fiaba. Oggi il mondo ne ha
particolarmente bisogno perché è disperato. A volte si è disperati anche a
18’anni, quando una volta si diceva che i sogni erano al top, al massimo;
raccontiamo questa fiaba che riporta la speranza nel mondo, a dire che ce la
possiamo fare nella nostra parrocchia, nel nostro gruppo, nella nostra
famiglia, in questo momento così travagliato che stiamo vivendo. Non ce la
faremo per merito nostro, perché verrà fuori un “Dott.” che con la formula
verrà a risolvere i nostri problemi economici; ce la faremo perché Lui è con
noi, sta con noi da duemila anni e la Sua presenza ha dato forza a persone che
hanno attraversato chilometri e chilometri di deserto. Tenendoci per mano
diciamo il Padre nostro, perché Gesù è venuto a dirci che non siamo soli: C’è
un Padre, sono stato mandato, mi ha mandato Lui, perché voi non vi sentiste
orfani.
Padre nostro…
Benedizione del Vescovo
Vi ricordo che ciascuno di voi è uno dei pastori a cui un angelo
stasera ha parlato (non io, beninteso!). Un angelo stasera vi ha parlato e ha
detto: Guarda che è successo un fatto!
Va’ a vedere! E i pastori si mettono in cammino, anch’essi nella notte, con
le loro lanterne, guardando le stelle, chiedendosi: Ma sarà vero quello che ha
detto il Vescovo? Andiamo a vedere; andiamo a constatare se a casa nostra, se
nel nostro gruppo è successo qualcosa… Tra l’altro, questa lampada utilizzata
davanti la Natività e per la danza, è la lampada di Betlem che gira attraverso i gruppi Scout,
quindi è bello anche questo collegamento con la Terra di Gesù da dove è venuta
la salvezza. Ciascuno di voi sia questo pastore che va e non tiene per sé la
fiaba, ma la racconta: Sai cosa è
successo? È nato! Puoi sperare anche tu che sei disperato! Dice Renato
Zero: Vorrei che per un giorno la cometa
facesse ritorno, ma questo giorno è ogni giorno. Anna Maria Cánopi - ho
sbirciato - ha scritto su Ghibli (i nostri giovani redattori stanno cercando di
prendere firme prestigiosissime) che è Natale ogni giorno. Quindi la cometa
torna all’atto in cui tu, cometa, ti porti dietro una scia di luce e dici: Qui
sta nascendo qualcosa, in questo gruppo, in questa associazione, in questa
Diocesi. C’è un bambino: prendiamolo, culliamolo, culliamo insieme questa
speranza.
Adesso riascoltiamo e riguardiamo la coreografia. Grazie a Maria
Paola e ad Alfonso per essersi resi disponibili, tra l’altro, come sempre
succede negli inviti del Vescovo, qualche ora prima della Preghiera.
Buon Natale
(Renato Zero)
Buon Natale!
***
Il
testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto
dall’autore.