Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“La storia siamo noi”

 

Teano, 24 giugno 2011

 

Teatro Romano

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Nel nome del Padre…

 

Canto: Dio è Amore

 

Vogliamo prendere forza dalla Preghiera di stasera per affrontare l’estate. A voi sembra che l’estate sia la cosa più facile, perché stiamo in vacanza (state in vacanza… almeno i giovani); in realtà è il tempo più complesso da organizzare, da vivere in una maniera umana, in una maniera costruttiva: è più facile l’anno scolastico, l’anno accademico universitario, che non l’estate, che rischia, se uno non è intelligente, di diventare un grande contenente di vuoto. Quindi si ammassano esperienze che spesso vanno a demolire tutto quello che abbiamo costruito e invece dobbiamo fare in modo che anche questa estate ci aiuti a crescere: fa parte della nostra vita, non è una parentesi. C’è un modo di vivere il tempo libero in una maniera liberante e c’è un modo per autodemolirsi. Lo dico a volte, scherzando, delle gite scolastiche: “gite distruzione”, cioè lì dove si distrugge tutto, a partire dalle stanze, per finire a cose più importanti. Tutto quello che magari nel gruppo scout, nel gruppo AC, nel gruppo parrocchiale, alla Preghiera-Giovani, al centro Diocesi abbiamo costruito, una gita lo distrugge (“gita distruzione”). Allora il primo proposito e anche la prima richiesta che facciamo al Signore, stasera, è che questa sia un’estate costruttiva: entra a pieno titolo nella tessitura della tua vita, della nostra vita. Non possiamo sciupare tre mesi facendo nulla o addirittura facendo cose che per la cui ricostruzione ci sarà bisogno di un anno, due o dieci. A volte - l’ho detto e lo ripeto - ci si perde in una sera; basta una sera per perdersi: lo dico di me. E dunque, se il Vescovo, il vostro Vescovo Arturo, può perdersi in una sera, tanto più un giovane ventenne, venticinquenne, trentenne, diciottenne, sedicenne.

 

Dopo questo “fervorino” - avrebbero detto gli antichi - sulle difficoltà dell’estate, sul pericolo di questo tempo, il canto con cui abbiamo iniziato ci dice subito: Appoggiati sul Dio-Amore, che ti si rivela nel creato, che si rivela negli occhi delle persone, delle persone che ami, che incontri, che si rivela nella difficoltà. Tra poco vedrete che il soffitto di questo nostro teatro si accenderà di mille luci. Ho guardato le stelle del cielo: le stelle ti parlano e le stelle si guardano non solo quando si è mano nella mano con la propria ragazza, ma bisogna guardarle sempre; le stelle ti parlano, ti raccontano, occhieggiano, ti parlano, ti dicono che Dio è amore. Così i fiori nei campi, così gli occhi dei bambini, così una persona che ti è venuta incontro in un momento di difficoltà.

Ci guardiamo un po’ intorno prima di ascoltare la Parola di stasera. È un’atmosfera magica, perché qui c’è un condensato di storia di duemila anni e più. Ringrazio quanti si sono adoperati, perché per arrivare al Teatro Romano di sera bisogna chiedere cinquemila permessi; quindi ringraziamo la Sovrintendenza, ringraziamo il Dottor Sirano e quanti ci hanno permesso di vivere la Preghiera qui, stasera, perché solo a guardarci attorno, alla luce di queste fiammelle, di queste fiaccole, ci parla, perché è passato qualcuno, qui è passata la storia: ne sentiamo il profumo.

 

Prima di ascoltare - perché è in un ambiente più o meno come questo che Paolo parlerà - ci guardiamo un po’ intorno. Guardate, accarezzate queste pietre; al vostro posto era seduta una matrona romana, 2000 anni fa; al tuo posto c’era un senatore; qui avanti c’erano le autorità del posto, c’era un’orchestra, c’era una scena altissima alle mie spalle: di tutto questo cosa è rimasto? Che ne è di tutta quella gente che è passata di qui? Quindi ci sono respiri di più tempi: c’è la Teano “romana”, che qui si riuniva con i suoi spettacoli, per i suoi momenti di svago, di cultura e anche di alta cultura, e c’è poi la trasformazione del teatro in altro, in epoca medioevale, quando questo teatro fu trasformato in una sorta di cantiere, dove venivano depositati i reperti da riutilizzare per nuove costruzioni e poi in una fornace. Quindi sentirete, in silenzio, persone che lavorano il marmo o, poverissimi, che cuociono dei mattoni nei forni. È avvenuto tutto qui. Ascoltiamo per un attimo, prima di ascoltare la Parola, questo ambiente che ci parla.

 

***

 

Dagli Atti degli Apostoli (17, 13-34)

13 Ma quando i Giudei di Tessalonica vennero a sapere che anche a Berèa era stata annunziata da Paolo la parola di Dio, andarono anche colà ad agitare e sobillare il popolo. 14 Allora i fratelli fecero partire subito Paolo per la strada verso il mare, mentre Sila e Timòteo rimasero in città. 15 Quelli che scortavano Paolo lo accompagnarono fino ad Atene e se ne ripartirono con l'ordine per Sila e Timòteo di raggiungerlo al più presto.
16 Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli. 17 Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei e i pagani credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava. 18 Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: «Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?». E altri: «Sembra essere un annunziatore di divinità straniere»; poiché annunziava Gesù e la risurrezione. 19 Presolo con sé, lo condussero sull'Areòpago e dissero: «Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina predicata da te? 20 Cose strane per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta». 21 Tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare. 22 Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse:
«Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. 23 Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. 24 Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo 25 né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. 26 Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, 27 perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28 In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo. 29 Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana. 30 Dopo esser passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, 31 poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti». 32 Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un'altra volta». 33 Così Paolo uscì da quella riunione. 34 Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.

***

 

Siamo venuti qui per fare quello che Sant’Ignazio chiama “contestualizzazione”: mettersi nel luogo in cui sono avvenute le cose, disegnare la scena. La scena è quella che vedete voi, adesso, cioè c’è un luogo ufficiale, quello della Teano romana. Ovviamente quello dove si reca Paolo è ancora più prestigioso perché l’Areópago si trova ad Atene e Atene è la capitale della cultura occidentale. Chi fra voi abbia fatto il classico - c’è anche qualche maturando, qui - ricorda una frase con cui si diceva che i Romani avevano conquistato i Greci con la forza; poi, i Greci con la loro cultura avevano conquistato i Romani, perché i Romani, noi, erano uomini di legge, non di grandi teoremi, non di grandi costruzioni filosofiche. La culla della cultura occidentale è la Grecia. Ebbene, Paolo, con tutta la sua cultura, veniva dal suo paese, veniva dalla Giudea, aveva vissuto già in seconda battuta l’esperienza di Gesù, non l’aveva conosciuto, come sapete. Gesù gli era andato incontro sulla via di Damasco; si era convertito e da persecutore era diventato assertore e poi va predicando. Cammina sulle strade del tempo, che sono le strade romane; fa dei viaggi e arriva in Grecia, nella capitale della cultura. Riuscirà il Cristianesimo ad avere cittadinanza nella capitale della cultura? Questo è l’interrogativo che Paolo si poneva e che noi ci dobbiamo porre, ascoltando questo brano di grandissima importanza al capitolo 17 degli Atti degli Apostoli. Questa piccolissima religione, ancora piccola, giovanissima, riuscirà a fecondare questo gigante, che è la cultura greca, e poi Roma? Queste sono le due capitali: la capitale del potere, della legge (il Diritto Romano è il diritto fondamentale di ogni legislazione) e la Grecia, che è la culla dell’arte, della poesia, della filosofia, della tragedia, della commedia. Allora immaginate Paolo, pur con tutta la sua cultura, come se vi trovaste in una strada di New York o in una piazza in Francia o a Piccadilly, cioè in luoghi che, nella nostra immaginazione, sono come luoghi fantastici perché chi è stato lì è come se avesse toccato il cielo con un dito. Paolo è nell’Areópago dove si discutono i grandi sistemi, dove si dicono le cose importanti, dove ci sono delle persone che camminano e discutono animatamente, discutono del cielo e della terra, delle origini (cos’è l’arché? - anche per quelli fra voi che non abbiano fatto il classico - cioè l’origine delle cose? è il fuoco? l’acqua?…). Ecco, tutto questo è accaduto in Grecia e Paolo passeggia, ascolta, origlia quello che dicono questi maestri epicurei - ha detto il testo - e dice: “Ma riuscirò a trasmettere Gesù?”. Questo è un nodo importantissimo, perché se il Cristianesimo non passa questo esame - per dirla con il nostro linguaggio - è squalificato, perché rimarrà la religione di un piccolissimo popolo, un fatto provinciale. Invece deve conquistare il mondo, ma per conquistare il mondo deve conquistare le capitali, e quindi deve conquistare Atene e Roma. Noi ci ritroviamo in questo momento. Paolo fa un discorso di una forbitezza, cioè di un’altezza culturale enorme, perché fa uno sforzo enorme, perché non dice: “Convertitevi! Siete cattivi!”, come noi non dobbiamo fare all’università, nei luoghi che frequentiamo. Non è il caso di andare col crocifisso: “Convertitevi!”. No, questo è un modo riduttivo. Paolo cerca d’entrare dentro: bisogna “entrare dentro” la cultura. Ci sono delle grandi sfide qui: bisogna entrare dentro la cultura e fecondarla e metterci una bomba. Come fa Paolo a entrare nella cultura? Dice: “Ho visto i vostri templi, ho guardato le strade, ho visto i vostri monumenti: siete veramente un popolo eccezionale!”. E ha ragione, ha ragione! Per farsi ascoltare cita anche un poeta greco, Arato, un poeta minore, ovviamente un poeta pagano, che afferma: “Noi siamo stirpe divina, poiché di lui noi siamo stirpe”. Vedete che annuncio forbito? Non è un annuncio terra-terra: è un annuncio ben impastato, ben impostato, perché si citano i poeti, perché si guardano i templi, perché ho visto un tempio: è un altare al dio ignoto. Tra tanti dèi, voi venerate anche questo dio senza nome: ecco, ve lo annuncio, io lo conosco… E qui fa il suo annuncio cristiano: è il Dio che ha creato il mondo e che è venuto incontro, mandando il Suo Figlio Gesù, che è morto ed è risorto. A questo punto c’è un gap – si dice oggi – di comunicazione tra questi che erano stati attenti (come voi mentre io parlavo) e il povero Paolo: uno che è risorto dai morti!? È impossibile! È una fandonia! È un’invenzione! Allora cominciano a deriderlo. Paolo potrebbe deprimersi, come a volte voi a scuola, tu all’università quando ti prendono in giro: potrebbe deprimersi, potrebbe ritirarsi, e invece quell’annuncio crea una piccola comunità. Dionigi, membro dell’Areópago, aderisce alla dottrina di Paolo e si crea una piccola comunità che sarà la cellula della Chiesa in Grecia, della Chiesa ad Atene.

 

Perché mi accaloro dicendovi queste cose? Perché voi non vi accalorate, quando, trovandovi negli areopaghi che sono le università, le piazze, la palestra, che sono “andiamo a farci la vacanza ai fiordi” (credo che siano arrivati anche gli sposi che sono stati ai fiordi), non avete la stessa passione di Paolo nel dire: cerchiamo di impastare quello che gli altri vivono con quello che Gesù ha detto. Questo richiede uno sforzo, come lo richiede a me, in questo momento - benché sia uno sforzo minimo, perché quello che faccio lo faccio con piacere -, ma questo imbastire discorsi per captare l’attenzione, per dire: Guarda, tu hai questo problema, tu hai questa attesa, tu hai questo sogno, Gesù, la stella, il fiore, gli occhi dei bambini, come abbiamo cantato…

 

Guardate un attimo il cielo… Vedete il Carro? Sta sulla vostra testa. Avete visto il carro? Questo è il timone, guardate l’ultima stella: ci siete? No? Il carro è qua, poi il timone, poi l’ultima stella, tirate in giù: la vedete quella stella più luminosa? Vi siete persi?

Allora partiamo daccapo: il carro, il timone, poi girate verso sinistra, l’ultima stella del timone, tirate una diagonale verso giù e c’è una stella più luminosa. La vedete? Ecco, quella si chiama Arturo.

È vero, eh? Non me lo sono inventato.

 

Le stelle ci parlano, allora bisogna argomentare, bisogna prendere anche il poeta Arato, che è un pagano, bisogna prendere anche testi che non hanno niente a che vedere, ma che attirano l’attenzione delle persone, un film, una canzone, metterle insieme e capire che c’è un’attesa nel cuore dell’uomo, c’è un’attesa nelle stelle, c’è un’attesa in questa sera e questa attesa invoca una venuta. Questo ha voluto dire Paolo, quella mattina, ad Atene. Sembrò un fallimento, in realtà è il confronto, l’impatto del Vangelo con la cultura in assoluto più importante dell’epoca. D’altra parte - anche questo dovreste saperlo - se Paolo non avesse fatto questa traduzione del Cristianesimo, dalle categorie giudaiche alle categorie ellenistiche - oggi è come tradurre in inglese un testo - non si sarebbe propagato oggi il Cristianesimo; c’era bisogno di una cultura - che non era solo la koinè, il linguaggio, la lingua della cultura - che parlassero tutti. Il nostro pericolo, oggi, nelle nostre “conventicole” che rischiano di diventare le chiese, è che parliamo un linguaggio che capiamo solo noi. Invece siamo chiamati a parlare il linguaggio degli altri, a parlare la lingua di tutti, perché nella vita di tutti c’è un’attesa. Ci sono due punti: c’è un punto esclamativo, c’è un punto interrogativo (anzi, tanti punti interrogativi). Mi fermo qui, in questo primo momento.

 

Non vi invito a guardare la mia stella, ma certamente ce ne sono altre. Se ne accendono altre per dire: Signore, ma allora ci sei; se io ho un’attesa di felicità, se quello che vivo non mi soddisfa, se anche quello che sono riuscito a realizzare non mi ha ancora pacificato appieno, allora anche io, come Paolo, posso parlare negli areopaghi di oggi, cioè nelle piazze, nei luoghi dove si dibatte, dove si discute, dove la cultura si fa.

Chiedo per me e per voi questa passione, che è l’incontro tra il Cristianesimo e la storia.

 

***

L’incontro tra il Cristianesimo e la storia: qui siamo in un luogo che trasuda di storia. Voi state seduti sulla storia. Ma cos’è la storia? Ce lo facciamo raccontare da Francesco De Gregori.

 

La storia siamo noi

(F. De Gregori)

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono "Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera".
Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.

***

 

Che cos’è la storia? De Gregori dice: La storia siamo noi - e vorrei che passasse questo messaggio stasera - siamo noi che scriviamo le lettere. Mi piace applicare questo verso a San Paolo, che era nell’Areópago e scriveva le lettere, lettere che ancora oggi noi leggiamo (Dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi… Dalla Lettera agli Efesini… Dalla Lettera ai Romani…).

Sono passati 2000 anni e colui che scriveva delle lettere, senza avere percezione che le avremmo lette per secoli, per millenni, colui che scriveva le lettere e quel giorno era ad Atene, faceva storia. La storia siamo noi che scriviamo le lettere, le lettere d’amore.

Altri, quelli che discutevano, i maestri, quelli che hanno deriso Paolo, sono scomparsi, non c’è di loro neppure il nome, sono scomparsi anche dai libri di filosofia, della loro vita non c’è neanche un palpito, ma di Paolo sì, perché la storia siamo noi che scriviamo le lettere.

 

Come sapete, ci sono due modi fondamentali di percepire e di leggere la storia. C’è il modo ufficiale: la storia dei grandi. Nell’introduzione ai Promessi Sposi – facciamo un po’ di cultura stasera, che il luogo lo permette e lo invoca – il Manzoni dice: “Smettiamola con questa storia fatta dai grandi”. Ancora oggi pensiamo che i presidenti e, ancor prima, i re, le regine, facciano la storia: è la storia dei grandi, la storia che si faceva e si fa nelle stanze dei bottoni. Manzoni – e noi ancora stiamo coltivando questo concetto facendo un po’ il manifesto della concezione storica del Romanticismo – dice: “La storia la fanno i piccoli”. La storia la fa la gente umile, la storia è fatta da persone come noi, che stanno assiepati nel Teatro Romano di Teano e stanno facendo storia. Attenti, non storie: storia!, perché la storia è fatta da una folla di persone che – dice il testo – la sera esce, che non sta chiusa in casa, dicendo: Sono tutti cattivi!, rubano tutti! Ma sono persone che escono la sera e parlano e discutono animatamente e cercano un senso alle cose, un senso alla propria vita, un senso all’amare, al morire, a lasciarsi... Ma questo non si può fare da soli, ma insieme. Ci sono immagini bellissime in questa poesia, perché c’è una poesia in Francesco De Gregori, nei suoi testi, dove si vedono queste folle che escono e che senza saper leggere, scrivere, fanno storia. Pensate per un attimo al referendum dopo la Seconda Guerra Mondiale: monarchia o repubblica? Molti premevano che si tornasse indietro. Le persone che votarono erano colte? Le persone colte volevano la monarchia o la repubblica?

Ci sono delle sere in cui la gente esce e fa storia e la storia non si ferma davanti ad un portone – dice De Gregori – la storia entra nelle stanze, le brucia e quelli che hanno letto un milione di libri, con quelli che non sanno neanche parlare, si mettono insieme e decidono la stessa cosa. Se volete, una piccola piccola prova di questa verità della storia l’abbiamo avuta appena 20 giorni fa con il referendum. Adesso non voglio entrare nel merito - il vostro Vescovo non ha mai fatto politica, nel senso deteriore del termine - ma nessuno ci avrebbe scommesso (soldi persi, non mettiamoli insieme alle altre elezioni così nessuno ci andrà…). Forse anche in questa piccola grande esperienza dei referendum sull’acqua, sul nucleare ecc., si è realizzata questa visione della gente più sprovveduta, quella che non sa parlare, non sa scrivere, non sa fare grandi discorsi, ma che capisce che l’acqua… l’acqua può essere privatizzata? Può essere di un padrone, l’acqua? E allora la storia è questo flusso di persone che si mettono insieme e vanno a votare, quando tutti avrebbero giurato: Non si raggiungerà il quorum!

 

Io spero che dopo questa riflessione, che un po’ ci viene dal coraggio di Paolo di parlare all’Areópago, di annunciare Gesù e dall’altra, che ci viene dal testo di De Gregori, che dice che la storia non passa la mano, che la storia entra anche laddove ci sono i portoni chiusi, i cuori chiusi, le persone grette, con la mentalità del non “cambierà niente”, è una parvenza di cambiamento ma poi sarà tutto come prima - diceva il Gattopardo, per chi fra voi l’abbia letto - che è una visione che per voi striscia in tante società, anche la nostra, io spero che torniate a casa stasera con la voglia di partecipare al flusso di gente che la storia la fa, perché scrive le lettere, perché si mette in contatto. Starete pensando: “Allora vado su facebook!”. Su questo non vi incoraggio tanto: il vostro Vescovo non è proprio un tifoso, come sapete. Forse queste persone davanti allo schermo freddo, gelido, algido – che non c’entra col gelato – nel senso che è freddo, tutti chiusi nella loro gabbietta, non fanno storia, ma quelli che scendono, quelli che vanno, quelli che dicono: “Stasera andiamo alla Preghiera-Giovani, non fosse altro per l’atmosfera magica del Teatro Romano”… Qui c’erano persone, 2000 anni fa, e questa platea era gremitissima, anche loro hanno dato il loro apporto. E oggi ci chiediamo: ma se la città di Teano era così gloriosa, da avere un teatro così grande, con una scenografia alle spalle altissima, potente, maestosa, com’è che siamo caduti così in basso? Ce lo chiediamo.

 

Molti di voi sono venuti qui per la prima volta ed è una cosa terribile: è possibile che non conosco il Teatro Romano della mia città? È possibile? È possibile, perché stiamo davanti al nostro schermo algido a chattare, a fare, a dire cose sciocche sotto false identità e invece dovremmo fare storia negli areopaghi, anche con il rischio di perdere la faccia. Paolo ha corso questo rischio e quel giorno è sembrato tutto un fallimento. A volte quando ti sembra tutto un fallimento, qualcuno si muove (Eppur si muove), qualcuno prende coraggio e dice: Parroco, sono io, vengo anch’io! Esco fuori dal branco, esco fuori da questa cultura del nulla, mentre la cultura è nelle pietre su cui state seduti. La cultura si faceva qui, venivano delle compagnie anche di grande prestigio, qui si rappresentavano le tragedie greche o anche la commediografia romana. Voi direte: “Ma Plauto era un po’ sboccato!”. Sì, va be’, ma c’erano delle opere, c’erano delle idee che si dibattevano, non tutti chiusi nella propria urna come se fossimo già morti. Riascoltiamo, prima di andare verso la conclusione.

 

La storia siamo noi (F. De Gregori)

 

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L’ultima immagine è: la storia siamo noi… la storia non passa la mano. La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano. Cosa significa che la storia è un piatto di grano? È un piatto di grano perché ci sono tanti chicchi, che stanno insieme, che possono darsi la mano in questo piatto, perché questo piatto di grano è un piatto di sogni.

Siamo noi questo piatto di grano. Che ne faremo di questo piatto di grano? Possiamo mangiarcelo, ed è quello che facciamo normalmente: il piatto di grano diventa farina e poi lo impastiamo con l’acqua e poi lo mettiamo nel forno, diventa un pane e lo consumiamo. Noi adesso stiamo diventando consumatori di storia, consumatori di ossigeno, consumatori di risorse naturali che dovrebbero bastare per tutti e non bastano mai. Invece questo piatto di grano potrebbe essere seminato. Pensate, qui sulla scena c’è un prato e io semino questo grano e da ogni chicco nascerà una spiga e ogni spiga avrà dei chicchi, a dire che la storia diventa tale quando ci si gioca - siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere - perché è un rischio. Io capisco che i giovani hanno paura di esporsi, paura di compromettersi, paura di entrare in questo gruppo parrocchiale, paura di andare a Messa, paura di dirsi cristiani nell’università, nell’Areópago, perché noi abbiamo tutto da perdere e tutto da vincere. Ma se non perdi, non vincerai. Allora questo piatto di grano - vorrei affidarvi questo augurio, stasera - questo piatto di grano lo voglio seminare, lo voglio consegnare alla natura per il bene degli altri, rischiando, perché qualcuno di voi starà dicendo: Ma è sicuro che ci sarà il raccolto? e se l’annata non è buona? Questo è il rischio che ciascuno di noi deve vivere, ma è un rischio che quando perdi, vinci. Quando vi sembrerà di perdere, forse stiamo vincendo, stiamo diventano fecondi come Gesù, che ha perso e ha vinto, tanto che dopo duemila anni si parla di Lui e anima tanti di noi, anima questa sera, anima la scena. È Lui che la riempie, non io; è Lui che ci ha chiamati insieme in un luogo pagano come l’Areópago: Qualcuno parli di Gesù. Avremmo potuto anche – è una follia, ma qualche volta lo faremo – leggere il Vangelo per intero, per una notte intera, qui. Non so quanti di voi resisterebbero: per una notte intera, fino all’alba.

Gesù aspetta d’essere annunciato oggi, anche con il rischio di perdere e questo fa storia. La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere.

 

Un ultimo messaggio, molto più breve: questa struttura l’ha conosciuta anche un ateniese, perché noi con Atene abbiamo un collegamento che si chiama Paride. Paride arrivò qui nel VI secolo e Teano era ancora una città fiorente, una città romana, era sulla via verso Roma e quindi una tappa quasi obbligata. Pensate a questo teatro, così come lo vedete adesso, con le stesse stelle: questo teatro lo ha visto Paride, che arrivò qui e trovò probabilmente una comunità piccola e raggomitolata su di sé, come tanti di noi, come tante nostre parrocchie, nascoste, paurose, fantozziane. Molti dicono che c’era già una piccola comunità cristiana: certo, ma era ridotta al lumicino, era piccolissima, insignificante, nascosta, perché le statue, il teatro romano, la cultura era pagana, come adesso (nessuno di noi afferma che la nostra gente è cristiana, né qui né altrove).

Paride proveniva da Atene, là dove aveva parlato San Paolo, e forse avrà detto: “Voglio fare lo stesso viaggio di Paolo!”. O forse, come dice la storia, sotto l’impeto di una persecuzione, s’imbarcò e approdò a Capua, a Pozzuoli, approdò da queste parti e visitò la nostra città. Forse qui ha parlato Paride. È qui che è avvenuto anche il suo tentato martirio? Di lì uscivano le belve? È tutto possibile in questa penombra, stasera.

Perché vi ho parlato di Paride? Perché sto per consegnarvi un dono (non io).

 

Distribuzione del fumetto sulla vita di San Paride

 

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Anche questo è un piccolo momento storico, perché avevo chiesto l’anno scorso, nella Festa di San Paride - spero che sappiate che è il 5 agosto - che si producesse una vita di San Paride a fumetti (al momento in cui l’ho detto, molti avranno sorriso, ma è il modo più agile per far passare questa storia), e sapete chi ha risposto? Un monastero di clausura, che ovviamente non era presente, ma sta sul territorio della nostra Diocesi; hanno letto la sbobinatura dell’omelia e si sono date da fare. Le Clarisse dell’Immacolata di Pietravairano hanno prodotto quello che avete in mano. Don Tommaso sarà contento, in qualità di parroco della Cattedrale e di custode delle spoglie di San Paride, e questo dono adesso comincerà a circolare (ce ne sono per adesso 5000 copie), in modo tale che questa storia di un ateniese, che ebbe il coraggio di tirar fuori una comunità raggrinzita, raggomitolata, perché paurosa della cultura dominante, possa circolare, essere conosciuta e magari far emergere altri Paride che forse stanno nascosti dentro di voi e che possano realizzare lo stesso miracolo di far venir fuori il coraggio alla comunità fantozziana ripiegata su di sé. Poi a casa, stasera, stanotte o domani, quando sarà, avrete modo di vedere come le clarisse – che non hanno mai disegnato fumetti in vita loro, perché l’amore fa fare miracoli – si sono messe all’opera e hanno realizzato questo che per me è un piccolo capolavoro. Chi non sa fare una cosa e dice: “Non la so fare! Falla fare a un altro!”, non ama. Le clarisse, monache di clausura, si sono messe a fare fumetti e ci sono riuscite. L’amore, quello che abbiamo cantato all’inizio, fa fare cose grandi. Allora ci fermiamo un attimo in silenzio, prima di chiudere; riguardiamo queste pietre, questa storia che siamo noi che adesso ci passa la mano e dice: “Adesso è il tuo turno! – dice la matrona che era seduta al tuo posto, il senatore, il console che era seduto al tuo medesimo posto, 2000 anni fa - Io ci sono stato, ho fatto il mio: adesso è il tuo compito”. La luce, il riflettore è su di te: dilla tu questa parola che possa aiutare altri a vivere bene, a vivere meglio, a salvarsi.

 

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Ti ringraziamo, Signore, per il coraggio di Paolo, quel giorno ad Atene.

Grazie per la forza della sua fede

e per la creatività con cui riuscì a far incontrare la Tua Parola con la parola degli uomini di quel tempo, con gli uomini colti di quella città.

Ti ringraziamo per Paride, che da Atene venne qui a ridare la fede ad un lucignolo fumigante.

Ti ringraziamo per questa sera, dove la storia torna a scorrere nelle nostre vene:

fa’ che nessuno di noi si tiri indietro.

Aiutaci a percepire i venti della storia e a fare in modo che questo vento porti il polline del Tuo Vangelo.

Manda il Tuo Spirito, donaci pace e coraggio.

 

Ci teniamo per mano e diciamo insieme: Padre nostro…

 

Benedizione del Vescovo

 

Uscendo riceverete Ghibli, dove ci sono gli appuntamenti per l’estate. Vi raccomando in particolare i due campi diocesani. Grazie a Dio questa estate ci saranno più campi dello scorso anno, molti nelle parrocchie: è un segno di crescita. Per questo motivo, gli appuntamenti diocesani sono di minore numero.

 

Canto: Le ombre si distendono

 

Buona serata! Un applauso alle monache autrici del nostro fumetto.

 

      

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.