PREGHIERA-GIOVANI
guidata da
S. E. REV. MA MONS. ARTURO AIELLO
“Condividere per moltiplicare”
Presenzano, 24 Luglio 2009
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Canto: Dio sei Amore
Nel nome del Padre…
Ci troviamo qui, al secondo
appuntamento del programma itinerante di quest’estate. Per alcuni di voi questo
luogo è anche una scoperta, e questo, da un lato mi dispiace, dall’altro, il
Vescovo serve anche a far conoscere i luoghi, i propri luoghi, i posti della
geografia della nostra zona. Ci troviamo qui per dire grazie, perché ci sono delle
bellezze, perché il Signore non ci abbandona, perché anche nella calura estiva
non bisogna dimenticare che c’è un’anima da coltivare. In fondo, siamo qui per
un momento d’anima. Ci fermiamo un attimo. Pensate che questo luogo è stato
disegnato per noi, più che per
***
Ascoltiamo il Vangelo dalla voce di Giuseppe.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 1-15)
1 Dopo questi fatti, Gesù andò all`altra riva del mare di
Galilea, cioè di Tiberìade, 2 e una grande folla lo
seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. 3
Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4 Era vicina
Questo
è il Vangelo di domenica prossima e, quindi, ci prepariamo, come si dovrebbe
far sempre da parte vostra, con una riflessione, in modo tale da arrivare
domenica un po’ già allenati, come quando si fa lo stretching prima di un
esercizio ginnico, cioè si riscaldano i muscoli. Ecco, parto dalla scoperta di
questo luogo tre anni fa: ero con Liberato, Vitaliano, forse anche Giadio e,
appena vidi questo bacino, dissi: “Finalmente un po’ d’acqua!”, perché chi
viene dal mare, ovviamente, ha bisogno di vedere acqua, è in crisi di
astinenza. Poi, pensando alla Preghiera di stasera e al Vangelo di domenica,
questa è una buona ambientazione: più o meno ci sono gli elementi della scena
che avete appena ascoltato e che domenica sarà proposta nel Vangelo. Gesù ha
attraversato il lago (certamente questo è piccolo), poi - vi ricordate il
Vangelo di domenica scorsa? – ha visto le folle che erano sbandate, che avevano
bisogno di un punto di riferimento, di un maestro, di avere una direzione, e si
mette a catechizzare, a parlare, a predicare, un po’ come sto facendo io
adesso: le persone erano sedute per terra - quindi ringraziamo Dio d’aver
trovato una sedia, ringraziamo quelli che hanno tagliato l’erba per preparare
al meglio questo ambiente per la nostra Preghiera - seduti per terra
ascoltavano
Faccio
un esempio. Qui ci sono dei giovani che sono ricchi. Questa giovinezza, che è
la vostra età, è una ricchezza, una stagione di una forza, di un potenziale
enorme: che ne facciamo di questa ricchezza che è la giovinezza? Me la godo. È
estate e vado in vacanza, vado al night, mi diverto…: è un modo per utilizzare
la propria giovinezza, ma capite che, alla fine, questa giovinezza finirà,
perché è il panino che mangio da solo, me lo divoro, magari, di nascosto agli
altri, prendo il panino e me lo mangio voltando le spalle, così voi non mi
vedete, e la giovinezza così finisce. Do un annuncio di morte per i giovani presenti:
la vostra giovinezza finirà all’atto in cui voi vi mettete a morderla da soli. E
se questa giovinezza la condividessi? Magari con un anziano, con un adulto, con
un altro giovane, con altri, nel gruppo parrocchiale, in un impegno sociale, in
un ideale alto… Come vedete, la giovinezza è un pane che posso mangiare da
solo, è un pane che posso condividere. Adesso ho fatto l’esempio della
giovinezza, perché i giovani, che sono quasi tutti sul muretto, vivono questa
tentazione di dire: “Adesso sono giovane e mi godo la giovinezza”. Nulla da eccepire,
ma il problema è che finirà, non basterà neanche a te, non riuscirà a
soddisfare neanche i tuoi desideri, neanche
la tua voglia di felicità. E se io la impiegassi in questa maniera folle che il
Vangelo indica, che è “non mangio il panino, ma lo do per questa folla che ho
davanti”? Adesso starete pensando: “Ma io non ce la farò da solo, io non ho la
forza per rispondere a tutte le domande, non ho l’intelligenza per risolvere
tutti i problemi, non ho i soldini per risolvere tutte le emergenze economiche…”.
E, allora, è come se in questa pagina di Vangelo ci venisse detto: “Provaci:
prova a condividere”. Mi fermo qui. Ciascuno di voi dia un nome a questo
panino, che è la mia vita: può essere la mia intelligenza, può essere la mia
giovinezza, può essere una dote, può essere una casa, la mia laurea… Carmen,
ieri, si è laureata e, allora, anche la laurea di Carmen è un panino che Carmen
mangerà da sola o condividerà?, o metterà a servizio degli altri? Allora, ci
fermiamo un attimo e ciascuno di voi dica: ma io, la vita, come la sto
impiegando?, sto mangiando il mio panino di nascosto, in modo tale che nessuno
mi veda?, o sto vivendo con questa utopia del condividere, del partecipare, del
dare? Ho questo pane: mangiamocelo insieme. Ho questo canto: facciamolo insieme.
Ho questa danza: ve la insegno. Ho questo luogo: venite, lo condividiamo. Anche
stasera, anche stare qui, prendere quel po’ di brezza che viene dal bacino, è
una condivisione: questo bene c’era, ma chi ne godeva? Chiedetevelo: c’è
qualcosa che sto consumando da solo, da sola? Forse questo bene può fare più
bene se io lo allargo, se io aumento l’utenza? È un interrogativo: pensateci.
***
Questa
è l’ora in cui gli uccelli tornano ai nidi. Avete visto che c’è un po’ di
movimento nel bosco: è l’ora del raccoglimento. In questo secondo momento,
vorrei che ci fermassimo sul paradosso tra questi pochi pani e la folla. I
discepoli hanno fatto anche il censimento: hanno raccolto, sono andati a
scovare negli zaini delle persone, almeno di quelle che han permesso loro di
mettere le mani nella privacy - come si dice oggi - e tornano sconfitti
dicendo: “Abbiamo trovato cinque pani e pochi pesci, ma che è questo per tanta
gente?”. Attenti che qui c’è il punto dolente che fa scoraggiare tanti di voi:
“Sì, abbiamo anche queste poche possibilità, ma se ne avessimo di più…”. Qui
c’è anche il sindaco di Sesto Campano, che è venuto a fare gli onori di casa e,
giustamente, anche lui dirà: “Qui, Eccellenza, ci hanno tolto anche l’ICI” (non
so se qui l’ICI era particolarmente alta). Così fanno le famiglie, così fanno
le parrocchie, così fanno le diocesi, così fanno le persone… Cioè sì, abbiamo
queste poche cose ma, in proporzione, che è questo per tanta gente? Questo poco
che abbiamo, forse è il caso che non lo tiriamo neanche fuori, tanto è
sproporzionato al bisogno… Ecco, questo è un punto di sutura delicatissimo, che
divide il mondo in due grandi categorie: i sognatori e quelli delle idee chiare
e distinte (gli ingegneri, i tecnici: tutti quelli della scienza. Chiedo scusa
agli ingegneri presenti…). C’è una demarcazione tra quelli che dicono “abbiamo
questo e basta” e quelli che dicono “sì, abbiamo questo, ma potrebbe essere un
inizio, ma si potrebbe tentare, ma cominciamo a metterlo in circolo”. Se riesci
a superare questa sproporzione e a superarla, ovviamente, con l’ausilio della
fede - qui non si tratta solo d’avere una idealità, ma di fondarsi sulla Parola
di Gesù - allora anche questa povertà può diventare una ricchezza. Se qualcuno
di voi, stasera, riuscisse a comprenderlo, farebbe un passo enorme nella vita.
Allora, stiamo tutti a piangere… Nelle parrocchie si piange: “Ci sono pochi
giovani… Ci sono poche forze… Non viene nessuno al Campo…” (non per il nostro
Campo, che già adesso ha sforato - e nessuno di voi si azzardi più a chiedere,
perché non abbiamo più neanche un buco dove sistemare i partecipanti al
Campo-Giovani). Se si guarda in giro, c’è una lamentazione generale: “Non
abbiamo i soldi… Non abbiamo le forze… Non vengono…”. È così anche in famiglia,
a scuola, nella vita civile, nelle diocesi: tutti a piangere, tutti a seguire i
contabili (Quanti pani sono? Cinque pani). Gli economi: una categoria terribile
nella vita, non solo della Chiesa, ma nella vita, cioè ci sono quelli che sono
economi nella mente, nel DNA, e gli economi non si spingono più in là (“Questo
è l’orlo, non ti spingere! Non ce la facciamo, non possiamo farlo!”). È una
cosa terribile avere la mente di economo, che poi è avere la mente della
scienza. La scienza è utile, ovviamente, ma qui parliamo di una scienza che è
entrata nel cervello e ce lo ha mutato, una sorta di mutazione genetica, per
cui nessuno fa il passo più lungo della gamba. Ce lo insegnavano anche i nostri
genitori: dimenticatevelo. Se i vostri genitori vi hanno detto “non fare il
passo più lungo della gamba” è una cosa terribile, è un insegnamento diabolico.
Significa: fai solo quello che puoi fare. Se io avessi potuto fare solo quello
che potevo fare, non starei qui, questa sera, e voi non stareste qui, e tante
cose non si sarebbero fatte e, a vostra volta, voi, se vi foste fermati a
questa dinamica delle entrate e delle uscite, non avreste realizzato nulla
nella vostra vita: non vi sareste sposati, non avreste avuto dei figli… Avere
un figlio, per esempio, cosa significa, se non fare il passo più lungo della
gamba? “Ma ce la facciamo? Ma ce la faremo veramente? Chissà… Aspettiamo…”.
Poi, uno va in menopausa, ed è finita: non si aspetta più niente. Mi spiego?
Stiamo diventando calcolatori, ed è su questo che il Vangelo ci flagella: No!
Tu non devi calcolare, perché Gesù - in barba a quello che gli ha detto il
sociologo, quello che ha fatto la ricerca empirica “qui abbiamo solo cinque
pani e pochi pesci” – dice “fateli sedere”: è un’indicazione paradossale, a
dire “fateli accomodare”. Ma non hai sentito che abbiamo solo cinque pani?
Ecco,
cari fratelli e sorelle che forse mi state ascoltando ancora, la vostra vita
diventa un miracolo all’atto in cui voi, anche sapendo quello che siete, quello
che avete, cominciate a barare: vuoi vedere che il Vescovo ci sta dando
indicazione immorale? Sì, nella vita bisogna barare. “Barare” significa:
giocare con le carte che non si hanno, significa comprare una cosa senza soldi,
significa avventurarsi in un’azione senza avere la copertura economica, senza
chiedere a quello del bilancio: Ma questa strada la possiamo fare?, questa
piazza la possiamo illuminare?, questa Centrale la possiamo fare? E quello
dice: “No, non si può fare”. Gesù – e questo è il salto della fede – ci insegna
a barare nella vita. Attenti - spero non mi fraintendiate - cosa significa
barare? Significa che io mi avventuro in una cosa che, se dovesse dipendere
dalle mie forze, dalle mie potenzialità, dalle mie capacità, sarebbe perdente,
ma sulla Tua parola getterò le reti -
dice Pietro, all’atto in cui è chiamato da Gesù (al capitolo 5 del Vangelo di
Luca, per chi se lo volesse andare a leggere) - e qui invece viene detto: Gesù,
mi fido di te; tu sai, abbiamo solo questi cinque pani, ma mi fido che tirerai
fuori dal cappello, dal cilindro, una soluzione. Questa soluzione si chiama
fede e, attenti, noi rischiamo di non averla più, perché nessuno più bara,
nessuno più si protende oltre l’orlo, nessuno più rischia: tutti a mangiarci il
nostro panino in privato, in segreto, nella privacy, perché è meglio che mi
faccio i fatti miei. No. Anche questa non è un’indicazione evangelica. Vi
lascio solo un minuto, e poi andiamo verso la conclusione: qui alcuni di voi
possono fare miracoli. Allora, il miracolo dov’è? È nelle mani di Gesù? No, il
miracolo è nella fede di chi ha preso questi cinque pani e ha cominciato a
distribuirli, sapendo che erano solo cinque. Dove è avvenuta la
moltiplicazione? - Domanda difficile – Nelle ceste? Nelle mani di Gesù? È
avvenuta mentre i discepoli distribuivano. Quindi, sono andati con le ceste
vuote e hanno cominciato a distribuire a occhi chiusi: Adesso, mi menano - han
pensato, perché se uno comincia distribuire una cosa, sapendo che non ce n’è
per tutti, finirà male e han cominciato a distribuire a occhi chiusi, e poi han
visto uno, due, tre, quattro, cinque, e qui dovevano finire, ma dovevano finire
anche nella cesta dell’altro, di Giovanni, di Andrea, di Filippo, di
Bartolomeo, ma tutti, adesso, hanno cominciato a tirare cinque, dieci, venti, cinquanta,
cento… Una fontana di pane, una fontana di pane che nasce dalla fede. Allora,
se uno di voi, stasera, rischia e dice: “Sì, ma io voglio credere a questo
sogno che dalla mia cesta vuota, dal mio essere peccatore, dal mio essere
depravato, dal mio essere l’ultimo, Dio può tirare fuori un santo”, ecco, per
quella persona, stasera, questa preghiera è stata organizzata. Quindi, tutti
gli altri tornino a casa con le loro contabilità, con i loro libri di uscita ed
entrata, non cambierà niente, ma quella persona unica riuscirà a fare miracoli,
oggi, e aprirà una strada, e tirerà fuori quello che gli altri non sono
riusciti a fare: miracolo? Sì, miracolo della fede. Allora, ciascuno di voi si
chieda: ma sono io questo di cui sta parlando il Vescovo? Spero che molti di
voi scoprano d’essere i destinatari di questo messaggio, cioè
***
Adesso
riceverete un pane. Una cesta la porterò io, una don Luigi, una don Liberato e
una don Pietro. È il pane di cui abbiamo parlato, è la mia vita, è quello che
posso consumare da solo o condividere con gli altri. È quello che, consumato da
solo, finisce, è quello che, condividendo, si perpetua nei figli, nei nipoti,
nei pronipoti, nelle comunità, in ciò che andrà oltre me. Ricevete questo pane
con devozione. Starete pensando: ma è benedetto? Ma la tua vita è benedetta! Il
pane sembra che debba essere benedetto: Ma è benedetto? Sì, la tua vita è
benedetta. Ma questa benedizione può perdersi, può disperdersi, può
potenziarsi.
Distribuzione dei pani
***
Come da
copione, ci sono anche i resti, e questo è l’eccedenza della Grazia, perché nei
racconti – perché sono vari – delle moltiplicazioni dei pani nei Vangeli, poi
ci sono sempre queste ceste dei pezzi avanzati: in una versione sono sette (i
sette diaconi), in altre sono dodici (i dodici apostoli), a dire che quel poco
che non bastava a me, è bastato a tanti, cinquemila uomini, più le donne, più i
bambini e ne è rimasto anche per i posteri. Questo è il miracolo della fede.
Adesso, ci mettiamo in piedi, date la mano al vostro vicino, anche se avete il
pane, così stringete insieme il pane. Tra poco, diremo: Dacci oggi il nostro
pane quotidiano. Il pane viene dal cielo, ma il pane viene anche dagli altri,
dagli altri disposti a condividerlo con noi (pane-tempo, pane-amore,
pane-giovinezza, pane-Chiesa) e, quindi, lo prendiamo dalle mani dei fratelli
che vivono con noi, che condividono con noi questa fede. Diciamo insieme: Padre nostro…
Prima
della benedizione, diciamo grazie a don Vitaliano, ai ragazzi, ai giovani di
Presenzano che hanno ripulito il piazzale, procurato i pani, sistemato il
trattore su cui sono salito per essere visibile; quindi, grazie a loro, grazie
all’ENEL, grazie al sindaco che ha voluto fare gli onori di casa, quindi a
tutti coloro che hanno reso possibile questa Grazia. Alla fine, dopo il canto,
Carmen vi darà un confetto rosso: Carmen non aveva bisogno della laurea, perché
è già insegnante di Religione da tanti anni, però è bello che delle persone
continuino a studiare per il gusto. Carmen non ne farà niente della sua laurea,
se non una bella bandiera, un missile da lanciare sul lago, e forse queste sono
le cose anche più belle che uno fa per la gioia di scoprire, di studiare, di
approfondire, per mettere a servizio degli altri, ulteriormente, questo dono,
di cui non c’è bisogno, e quindi è una laurea gratuita. Tra l’altro è anche una
laurea prestigiosa in Lettera Classiche… Io le avevo lanciato questa
provocazione e non pensavo che la raccogliesse così alla lettera. Venerdì
scorso, ho detto: “Visto che è il giorno dopo la tua laurea, portaci i
confetti”. Li ha portati al Vescovo e ha pensato, giustamente: Ma un confetto
solo al Vescovo non va bene, e allora portiamo un confetto a tutta
Vi
chiedo una preghiera da lunedì a venerdì per questi 150 giovani e più che
vengono al Campo-Scuola: è una marea, oltre ogni attesa; si sono moltiplicati
anche i giovani nelle ceste del Campo-Scuola e allora si devono moltiplicare
anche l’entusiasmo del Vescovo e la sua possibilità di presa. Allora, chiedo la
preghiera agli adulti, a quelli che non partecipano, da lunedì a venerdì,
perché questo momento possa essere un momento di Grazia. Poi, i nostri
appuntamenti continuano con San Paride by
night questa volta sabato 1, domenica 2 e lunedì 3, alle ore 22:00 nella
Cattedrale di Teano. Facciamo anche questo esperimento notturno, per cercare di
percorrere tutte le strade.
Benedizione
del Vescovo
Concludiamo
con il canto Le ombre si distendono, che
ci riporta ai discepoli di Emmaus, allo scendere della sera, come adesso per
noi, e alla paura della notte, da superare con il Suo aiuto e
Canto: Resta qui con noi
***
Il testo, tratto
direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.