PREGHIERA-GIOVANI

 

guidata da

 

S. E. REV. MA MONS. ARTURO AIELLO

 

“Condividere per moltiplicare”

 

Presenzano, 24 Luglio 2009

~

Canto: Dio sei Amore

 

Nel nome del Padre…

 

Ci troviamo qui, al secondo appuntamento del programma itinerante di quest’estate. Per alcuni di voi questo luogo è anche una scoperta, e questo, da un lato mi dispiace, dall’altro, il Vescovo serve anche a far conoscere i luoghi, i propri luoghi, i posti della geografia della nostra zona. Ci troviamo qui per dire grazie, perché ci sono delle bellezze, perché il Signore non ci abbandona, perché anche nella calura estiva non bisogna dimenticare che c’è un’anima da coltivare. In fondo, siamo qui per un momento d’anima. Ci fermiamo un attimo. Pensate che questo luogo è stato disegnato per noi, più che per la Centrale; prima ancora che fosse programmata questa preghiera, qui, Qualcuno ha disegnato queste colline, questi monti, questa pace: è un dono per noi. Allora, sforziamoci di dire grazie, grazie per essere qui, in un momento di pausa. Ripensiamo alle cose importanti: ci facciamo prendere eccessivamente da quelle secondarie, addirittura da quelle inutili, non parliamo poi di quelle dannose (ci si impegna così, con foga, per le cose che ci fanno male). Siamo qui per qualcosa che ti faccia bene. Un attimo di silenzio e poi ascoltiamo il Vangelo su cui, in questa ora di preghiera, siamo chiamati a meditare.

 

***

Ascoltiamo il Vangelo dalla voce di Giuseppe.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 1-15)

1 Dopo questi fatti, Gesù andò all`altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2 e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. 3 Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4 Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. 5 Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?". 6 Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. 7 Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". 8 Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9 "C`è qui un ragazzo che ha cinque pani d`orzo e due pesci; ma che cos`è questo per tanta gente?". 10 Rispose Gesù: "Fateli sedere". C`era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. 11 Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. 12 E quando furono saziati, disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto". 13 Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d`orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. 14 Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!". 15 Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.

 

Questo è il Vangelo di domenica prossima e, quindi, ci prepariamo, come si dovrebbe far sempre da parte vostra, con una riflessione, in modo tale da arrivare domenica un po’ già allenati, come quando si fa lo stretching prima di un esercizio ginnico, cioè si riscaldano i muscoli. Ecco, parto dalla scoperta di questo luogo tre anni fa: ero con Liberato, Vitaliano, forse anche Giadio e, appena vidi questo bacino, dissi: “Finalmente un po’ d’acqua!”, perché chi viene dal mare, ovviamente, ha bisogno di vedere acqua, è in crisi di astinenza. Poi, pensando alla Preghiera di stasera e al Vangelo di domenica, questa è una buona ambientazione: più o meno ci sono gli elementi della scena che avete appena ascoltato e che domenica sarà proposta nel Vangelo. Gesù ha attraversato il lago (certamente questo è piccolo), poi - vi ricordate il Vangelo di domenica scorsa? – ha visto le folle che erano sbandate, che avevano bisogno di un punto di riferimento, di un maestro, di avere una direzione, e si mette a catechizzare, a parlare, a predicare, un po’ come sto facendo io adesso: le persone erano sedute per terra - quindi ringraziamo Dio d’aver trovato una sedia, ringraziamo quelli che hanno tagliato l’erba per preparare al meglio questo ambiente per la nostra Preghiera - seduti per terra ascoltavano la Parola di Gesù, ma ovviamente ci sono anche delle esigenze che vanno oltre la predicazione, oltre la Parola, ci sono le emergenze che riguardano il nostro corpo (la fame, la sete…). Si è fatto tardi e comincia a sorgere un dramma. Questo è importante che lo comprendiamo per entrare nello spirito di questa pagina di Vangelo. La gente è attratta e starebbe a sentire Gesù per ore ed ore, senza stancarsi. Voi magari già vi siete stancati di ascoltarmi e, quando predica il vostro parroco, guardate l’orologio continuamente… È una cosa terribile, per chi predica, vedere uno che guarda l’orologio: è un segnale per dire “non ti seguiamo”. Ovviamente, starete pensando che ai tempi di Gesù non c’erano orologi da polso, non c’erano Swatch colorati, ma comunque c’erano quelle emergenze che facevano parte della vita. È bello pensare che ci sono dei momenti in cui, anche quelle esigenze legittime, fondamentali e insormontabili, che sono quelle del corpo, vengono taciute. Spero che vi sia capitato qualche volta d’aver visto una cosa così bella, che vi è passata la fame, d’aver vissuto un’esperienza così dolce, da non sentire più il tempo che è passato, da non avere più la percezione del tempo, dello spazio: ho fame, ho sete, sono stanco, sono stanca… Spero che questo capiti quando state in chiesa, capiti quando avete un momento di preghiera personale dove la compagnia, l’ascolto di Gesù, ci prende a tal punto, da farci dimenticare che non abbiamo portato la merenda. E qui comincia il dramma che poi si risolve in bene nel racconto del Vangelo, e il dramma è questo: qualcuno fa notare a Gesù “guarda che è tardi”. Ovviamente, questo “qualcuno” che dice “guarda che è tardi” è l’unico che si sarà distratto, gli altri non si sono accorti che s’era fatto tardi; saranno passate ore ed ore (voi magari cinque minuti di predica e già scalpitate…). Ovviamente, Gesù è Gesù: Gesù affascinava, Gesù era il più bello tra i figli dell’uomo e questa persona, che dall’esterno viene a dire “guarda che s’è fatto tardi”, riporta Gesù nella condizione oggettiva “si è fatto tardi”. “Si è fatto tardi” significa che ci sono delle emergenze a cui rispondere: chi darà da mangiare a tutte queste persone? E allora si fa un censimento. Mettiamo il caso che stessimo qui cinque ore, dieci ore - state tranquilli che tutto si risolverà in 60 minuti - e a un certo punto, si crea una emergenza: i centri abitati sono lontani, mettiamo insieme quel poco che abbiamo in modo tale da condividerlo. Ma questo genera un egoismo, perché se io ho un panino, lo nascondo, lo metto in tasca, perché serve a me; se lo metto in comune, non riusciremo a risolvere i problemi di nessuno: almeno un panino mi aiuterà a raggiungere Sesto Campano, o Presenzano, o Rocca. È questo il vero problema che il Vangelo vuole agitare: quel poco che hai, che sarebbe bastante per te, lo vuoi nascondere o lo vuoi condividere? Ho messo come slogan riassuntivo di questa preghiera: “Condividere per moltiplicare”. Adesso, le divisioni e le moltiplicazioni sono due operazioni diverse, come ci hanno spiegato, quando eravamo bambini, alle elementari, e se si divide, non si può moltiplicare. Questo è nell’ordine della matematica, ma non così nell’ordine umano e tantomeno nell’ordine spirituale. A volte, nella vita, se tu riesci a dividere, quello che dividi si moltiplica: se tu condividi, cioè dici “qui c’è un panino: facciamo un morso ciascuno” (voi direte: ma non è meglio che questo panino lo mangio da solo?), questa condivisione potrebbe generare una moltiplicazione. Quindi, attenti, che oltre all’aspetto miracoloso chiaro (Gesù moltiplica i pani), c’è anche un messaggio umano: quello che tu hai, quello che tu sei, può servire a te solo o, nel caso che tu rischi di condividerlo con altri, può bastare a te e a dieci e a venti e a cento e a cinquecento persone e tu dici: “Ma come è possibile? Sembrava poco per me!”.

Faccio un esempio. Qui ci sono dei giovani che sono ricchi. Questa giovinezza, che è la vostra età, è una ricchezza, una stagione di una forza, di un potenziale enorme: che ne facciamo di questa ricchezza che è la giovinezza? Me la godo. È estate e vado in vacanza, vado al night, mi diverto…: è un modo per utilizzare la propria giovinezza, ma capite che, alla fine, questa giovinezza finirà, perché è il panino che mangio da solo, me lo divoro, magari, di nascosto agli altri, prendo il panino e me lo mangio voltando le spalle, così voi non mi vedete, e la giovinezza così finisce. Do un annuncio di morte per i giovani presenti: la vostra giovinezza finirà all’atto in cui voi vi mettete a morderla da soli. E se questa giovinezza la condividessi? Magari con un anziano, con un adulto, con un altro giovane, con altri, nel gruppo parrocchiale, in un impegno sociale, in un ideale alto… Come vedete, la giovinezza è un pane che posso mangiare da solo, è un pane che posso condividere. Adesso ho fatto l’esempio della giovinezza, perché i giovani, che sono quasi tutti sul muretto, vivono questa tentazione di dire: “Adesso sono giovane e mi godo la giovinezza”. Nulla da eccepire, ma il problema è che finirà, non basterà neanche a te, non riuscirà a soddisfare neanche i tuoi desideri, neanche la tua voglia di felicità. E se io la impiegassi in questa maniera folle che il Vangelo indica, che è “non mangio il panino, ma lo do per questa folla che ho davanti”? Adesso starete pensando: “Ma io non ce la farò da solo, io non ho la forza per rispondere a tutte le domande, non ho l’intelligenza per risolvere tutti i problemi, non ho i soldini per risolvere tutte le emergenze economiche…”. E, allora, è come se in questa pagina di Vangelo ci venisse detto: “Provaci: prova a condividere”. Mi fermo qui. Ciascuno di voi dia un nome a questo panino, che è la mia vita: può essere la mia intelligenza, può essere la mia giovinezza, può essere una dote, può essere una casa, la mia laurea… Carmen, ieri, si è laureata e, allora, anche la laurea di Carmen è un panino che Carmen mangerà da sola o condividerà?, o metterà a servizio degli altri? Allora, ci fermiamo un attimo e ciascuno di voi dica: ma io, la vita, come la sto impiegando?, sto mangiando il mio panino di nascosto, in modo tale che nessuno mi veda?, o sto vivendo con questa utopia del condividere, del partecipare, del dare? Ho questo pane: mangiamocelo insieme. Ho questo canto: facciamolo insieme. Ho questa danza: ve la insegno. Ho questo luogo: venite, lo condividiamo. Anche stasera, anche stare qui, prendere quel po’ di brezza che viene dal bacino, è una condivisione: questo bene c’era, ma chi ne godeva? Chiedetevelo: c’è qualcosa che sto consumando da solo, da sola? Forse questo bene può fare più bene se io lo allargo, se io aumento l’utenza? È un interrogativo: pensateci.

 

***

 

Questa è l’ora in cui gli uccelli tornano ai nidi. Avete visto che c’è un po’ di movimento nel bosco: è l’ora del raccoglimento. In questo secondo momento, vorrei che ci fermassimo sul paradosso tra questi pochi pani e la folla. I discepoli hanno fatto anche il censimento: hanno raccolto, sono andati a scovare negli zaini delle persone, almeno di quelle che han permesso loro di mettere le mani nella privacy - come si dice oggi - e tornano sconfitti dicendo: “Abbiamo trovato cinque pani e pochi pesci, ma che è questo per tanta gente?”. Attenti che qui c’è il punto dolente che fa scoraggiare tanti di voi: “Sì, abbiamo anche queste poche possibilità, ma se ne avessimo di più…”. Qui c’è anche il sindaco di Sesto Campano, che è venuto a fare gli onori di casa e, giustamente, anche lui dirà: “Qui, Eccellenza, ci hanno tolto anche l’ICI” (non so se qui l’ICI era particolarmente alta). Così fanno le famiglie, così fanno le parrocchie, così fanno le diocesi, così fanno le persone… Cioè sì, abbiamo queste poche cose ma, in proporzione, che è questo per tanta gente? Questo poco che abbiamo, forse è il caso che non lo tiriamo neanche fuori, tanto è sproporzionato al bisogno… Ecco, questo è un punto di sutura delicatissimo, che divide il mondo in due grandi categorie: i sognatori e quelli delle idee chiare e distinte (gli ingegneri, i tecnici: tutti quelli della scienza. Chiedo scusa agli ingegneri presenti…). C’è una demarcazione tra quelli che dicono “abbiamo questo e basta” e quelli che dicono “sì, abbiamo questo, ma potrebbe essere un inizio, ma si potrebbe tentare, ma cominciamo a metterlo in circolo”. Se riesci a superare questa sproporzione e a superarla, ovviamente, con l’ausilio della fede - qui non si tratta solo d’avere una idealità, ma di fondarsi sulla Parola di Gesù - allora anche questa povertà può diventare una ricchezza. Se qualcuno di voi, stasera, riuscisse a comprenderlo, farebbe un passo enorme nella vita. Allora, stiamo tutti a piangere… Nelle parrocchie si piange: “Ci sono pochi giovani… Ci sono poche forze… Non viene nessuno al Campo…” (non per il nostro Campo, che già adesso ha sforato - e nessuno di voi si azzardi più a chiedere, perché non abbiamo più neanche un buco dove sistemare i partecipanti al Campo-Giovani). Se si guarda in giro, c’è una lamentazione generale: “Non abbiamo i soldi… Non abbiamo le forze… Non vengono…”. È così anche in famiglia, a scuola, nella vita civile, nelle diocesi: tutti a piangere, tutti a seguire i contabili (Quanti pani sono? Cinque pani). Gli economi: una categoria terribile nella vita, non solo della Chiesa, ma nella vita, cioè ci sono quelli che sono economi nella mente, nel DNA, e gli economi non si spingono più in là (“Questo è l’orlo, non ti spingere! Non ce la facciamo, non possiamo farlo!”). È una cosa terribile avere la mente di economo, che poi è avere la mente della scienza. La scienza è utile, ovviamente, ma qui parliamo di una scienza che è entrata nel cervello e ce lo ha mutato, una sorta di mutazione genetica, per cui nessuno fa il passo più lungo della gamba. Ce lo insegnavano anche i nostri genitori: dimenticatevelo. Se i vostri genitori vi hanno detto “non fare il passo più lungo della gamba” è una cosa terribile, è un insegnamento diabolico. Significa: fai solo quello che puoi fare. Se io avessi potuto fare solo quello che potevo fare, non starei qui, questa sera, e voi non stareste qui, e tante cose non si sarebbero fatte e, a vostra volta, voi, se vi foste fermati a questa dinamica delle entrate e delle uscite, non avreste realizzato nulla nella vostra vita: non vi sareste sposati, non avreste avuto dei figli… Avere un figlio, per esempio, cosa significa, se non fare il passo più lungo della gamba? “Ma ce la facciamo? Ma ce la faremo veramente? Chissà… Aspettiamo…”. Poi, uno va in menopausa, ed è finita: non si aspetta più niente. Mi spiego? Stiamo diventando calcolatori, ed è su questo che il Vangelo ci flagella: No! Tu non devi calcolare, perché Gesù - in barba a quello che gli ha detto il sociologo, quello che ha fatto la ricerca empirica “qui abbiamo solo cinque pani e pochi pesci” – dice “fateli sedere”: è un’indicazione paradossale, a dire “fateli accomodare”. Ma non hai sentito che abbiamo solo cinque pani?

Ecco, cari fratelli e sorelle che forse mi state ascoltando ancora, la vostra vita diventa un miracolo all’atto in cui voi, anche sapendo quello che siete, quello che avete, cominciate a barare: vuoi vedere che il Vescovo ci sta dando indicazione immorale? Sì, nella vita bisogna barare. “Barare” significa: giocare con le carte che non si hanno, significa comprare una cosa senza soldi, significa avventurarsi in un’azione senza avere la copertura economica, senza chiedere a quello del bilancio: Ma questa strada la possiamo fare?, questa piazza la possiamo illuminare?, questa Centrale la possiamo fare? E quello dice: “No, non si può fare”. Gesù – e questo è il salto della fede – ci insegna a barare nella vita. Attenti - spero non mi fraintendiate - cosa significa barare? Significa che io mi avventuro in una cosa che, se dovesse dipendere dalle mie forze, dalle mie potenzialità, dalle mie capacità, sarebbe perdente, ma sulla Tua parola getterò le reti - dice Pietro, all’atto in cui è chiamato da Gesù (al capitolo 5 del Vangelo di Luca, per chi se lo volesse andare a leggere) - e qui invece viene detto: Gesù, mi fido di te; tu sai, abbiamo solo questi cinque pani, ma mi fido che tirerai fuori dal cappello, dal cilindro, una soluzione. Questa soluzione si chiama fede e, attenti, noi rischiamo di non averla più, perché nessuno più bara, nessuno più si protende oltre l’orlo, nessuno più rischia: tutti a mangiarci il nostro panino in privato, in segreto, nella privacy, perché è meglio che mi faccio i fatti miei. No. Anche questa non è un’indicazione evangelica. Vi lascio solo un minuto, e poi andiamo verso la conclusione: qui alcuni di voi possono fare miracoli. Allora, il miracolo dov’è? È nelle mani di Gesù? No, il miracolo è nella fede di chi ha preso questi cinque pani e ha cominciato a distribuirli, sapendo che erano solo cinque. Dove è avvenuta la moltiplicazione? - Domanda difficile – Nelle ceste? Nelle mani di Gesù? È avvenuta mentre i discepoli distribuivano. Quindi, sono andati con le ceste vuote e hanno cominciato a distribuire a occhi chiusi: Adesso, mi menano - han pensato, perché se uno comincia distribuire una cosa, sapendo che non ce n’è per tutti, finirà male e han cominciato a distribuire a occhi chiusi, e poi han visto uno, due, tre, quattro, cinque, e qui dovevano finire, ma dovevano finire anche nella cesta dell’altro, di Giovanni, di Andrea, di Filippo, di Bartolomeo, ma tutti, adesso, hanno cominciato a  tirare cinque, dieci, venti, cinquanta, cento… Una fontana di pane, una fontana di pane che nasce dalla fede. Allora, se uno di voi, stasera, rischia e dice: “Sì, ma io voglio credere a questo sogno che dalla mia cesta vuota, dal mio essere peccatore, dal mio essere depravato, dal mio essere l’ultimo, Dio può tirare fuori un santo”, ecco, per quella persona, stasera, questa preghiera è stata organizzata. Quindi, tutti gli altri tornino a casa con le loro contabilità, con i loro libri di uscita ed entrata, non cambierà niente, ma quella persona unica riuscirà a fare miracoli, oggi, e aprirà una strada, e tirerà fuori quello che gli altri non sono riusciti a fare: miracolo? Sì, miracolo della fede. Allora, ciascuno di voi si chieda: ma sono io questo di cui sta parlando il Vescovo? Spero che molti di voi scoprano d’essere i destinatari di questo messaggio, cioè la Preghiera è stata organizza per me, perché io capissi che è tempo di dimenticare quello che so fare, quello che ho (le virtù o i vizi) e mettermi nelle mani di Gesù, cominciando a distribuire quello che non ho per pura fede, cominciando a generare quello che è un sogno, un’utopia, una cosa impossibile. Così cambiano le vite di un giovane o di un adulto, di una persona anziana che scopre che una povertà condivisa – ecco, questo è il messaggio - diventa ricchezza per tanti. Non lo dimenticate e, durante questi giorni, fate lavorare questo messaggio: una povertà condivisa diventa ricchezza per tanti. Ovviamente, per condividere una povertà ci vuole un grande coraggio, perché devo ammettere davanti a tutti che io non so fare, non so parlare: ho solo questo pane, che è povero, è una povertà, però condividiamolo. Una povertà condivisa diventa ricchezza. Può succedere nella mia vita? Ce lo chiediamo in un attimo di silenzio.

 

***

 

Adesso riceverete un pane. Una cesta la porterò io, una don Luigi, una don Liberato e una don Pietro. È il pane di cui abbiamo parlato, è la mia vita, è quello che posso consumare da solo o condividere con gli altri. È quello che, consumato da solo, finisce, è quello che, condividendo, si perpetua nei figli, nei nipoti, nei pronipoti, nelle comunità, in ciò che andrà oltre me. Ricevete questo pane con devozione. Starete pensando: ma è benedetto? Ma la tua vita è benedetta! Il pane sembra che debba essere benedetto: Ma è benedetto? Sì, la tua vita è benedetta. Ma questa benedizione può perdersi, può disperdersi, può potenziarsi.

 

Distribuzione dei pani

***

 

Come da copione, ci sono anche i resti, e questo è l’eccedenza della Grazia, perché nei racconti – perché sono vari – delle moltiplicazioni dei pani nei Vangeli, poi ci sono sempre queste ceste dei pezzi avanzati: in una versione sono sette (i sette diaconi), in altre sono dodici (i dodici apostoli), a dire che quel poco che non bastava a me, è bastato a tanti, cinquemila uomini, più le donne, più i bambini e ne è rimasto anche per i posteri. Questo è il miracolo della fede. Adesso, ci mettiamo in piedi, date la mano al vostro vicino, anche se avete il pane, così stringete insieme il pane. Tra poco, diremo: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Il pane viene dal cielo, ma il pane viene anche dagli altri, dagli altri disposti a condividerlo con noi (pane-tempo, pane-amore, pane-giovinezza, pane-Chiesa) e, quindi, lo prendiamo dalle mani dei fratelli che vivono con noi, che condividono con noi questa fede. Diciamo insieme: Padre nostro…

 

Prima della benedizione, diciamo grazie a don Vitaliano, ai ragazzi, ai giovani di Presenzano che hanno ripulito il piazzale, procurato i pani, sistemato il trattore su cui sono salito per essere visibile; quindi, grazie a loro, grazie all’ENEL, grazie al sindaco che ha voluto fare gli onori di casa, quindi a tutti coloro che hanno reso possibile questa Grazia. Alla fine, dopo il canto, Carmen vi darà un confetto rosso: Carmen non aveva bisogno della laurea, perché è già insegnante di Religione da tanti anni, però è bello che delle persone continuino a studiare per il gusto. Carmen non ne farà niente della sua laurea, se non una bella bandiera, un missile da lanciare sul lago, e forse queste sono le cose anche più belle che uno fa per la gioia di scoprire, di studiare, di approfondire, per mettere a servizio degli altri, ulteriormente, questo dono, di cui non c’è bisogno, e quindi è una laurea gratuita. Tra l’altro è anche una laurea prestigiosa in Lettera Classiche… Io le avevo lanciato questa provocazione e non pensavo che la raccogliesse così alla lettera. Venerdì scorso, ho detto: “Visto che è il giorno dopo la tua laurea, portaci i confetti”. Li ha portati al Vescovo e ha pensato, giustamente: Ma un confetto solo al Vescovo non va bene, e allora portiamo un confetto a tutta la Diocesi! Benissimo: dopo girerai tutte le parrocchie per continuare a condividere tutta questa gioia.

Vi chiedo una preghiera da lunedì a venerdì per questi 150 giovani e più che vengono al Campo-Scuola: è una marea, oltre ogni attesa; si sono moltiplicati anche i giovani nelle ceste del Campo-Scuola e allora si devono moltiplicare anche l’entusiasmo del Vescovo e la sua possibilità di presa. Allora, chiedo la preghiera agli adulti, a quelli che non partecipano, da lunedì a venerdì, perché questo momento possa essere un momento di Grazia. Poi, i nostri appuntamenti continuano con San Paride by night questa volta sabato 1, domenica 2 e lunedì 3, alle ore 22:00 nella Cattedrale di Teano. Facciamo anche questo esperimento notturno, per cercare di percorrere tutte le strade.

 

Benedizione del Vescovo

 

Concludiamo con il canto Le ombre si distendono, che ci riporta ai discepoli di Emmaus, allo scendere della sera, come adesso per noi, e alla paura della notte, da superare con il Suo aiuto e la Sua presenza.

 

Canto: Resta qui con noi

 

***

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.