Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“Ed è subito Amore”

 

Teano, 25 febbraio 2011

 

Chiesa Cattedrale

~

 

Canto: Dio è Amore

 

Nel nome del Padre…

Carissimi giovani, ci sono delle parole che rischiano l’usura e, tra queste, al primo posto nella hit-parade c’è la parola “amore”; ma anche per noi, all’interno della fede, l’espressione “Dio è Amore” è inflazionata. Eppure pensate che il Papa Benedetto, dovendo scrivere la sua prima enciclica, quindi un po’ programmatica, non solo del suo ministero di Pontefice, ma anche per il nuovo millennio appena iniziato, l’ha intitolata (magari per voi basta il titolo, per ora): “Dio è Amore”.

Di questo canto forse ci stupisce “Dio ama”, perché ci sembra che l’amore poi non ami, ma è solo amato. Invece “Dio è Amore”, Dio ama, Dio ci ama: le cose esistono perché Dio le ha chiamate alla vita e le ha chiamate alla vita perché le ha viste belle, le ha progettate e se n’è innamorato. Questo vale per noi, uomini e donne in modo tutto particolare. Allora ripetiamo il ritornello, magari con un po’ più di spinta di quanto non sia accaduto poco fa: Dio è Amore…

 

***

 

Ti ringraziamo, o Signore, per averci convocati qui: sii Tu il fuoco che riscalda i nostri cuori, anche questa serata di tramontana. Grazie, perché hai acceso nel cuore di questi giovani la voglia di incontrarTi, nonostante le difficoltà, le distanze, gli impegni, il freddo: riscaldaci con la Tua Parola.

 

Dal Vangelo di Marco (7, 31-37)

 

31 Di ritorno dalla regione di Tiro, Gesù passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32 E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. 33 E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34 guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!». 35 E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36 E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano 37 e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

 

***

Parto da un episodio non del Vangelo, ma della mitologia.

C’era una ninfa chiacchierona alla corte di Giunone - Giunone era la regina degli dei  - che parlava sempre, come a volte sanno fare le donne, senza - noi diciamo a Napoli - “togliere acqua da terra” o, come qualcuno dice, in una maniera un po’ più volgare, “senza avere il tempo di sputare”. Era così chiacchierona che, ad un certo punto, la regina degli dei dovette intervenire e, per ridurla al silenzio una volta per tutte, la fece diventare muta. Questa ninfa – dovrebbero saperlo almeno quelli fra voi che fanno il Classico – si chiamava Eco ed era innamorata di un bellissimo giovane che si chiamava Narciso (da cui narcisismo). Narciso era innamorato di se stesso ed Eco era innamorata di Narciso: succede sempre così. Non succede mai che due persone s’innamorino l’una dell’altra perché si piacciono, ma Luigi ama Angela, Angela guarda Pasquale, Pasquale intanto vorrebbe mettersi con Luisa e Luisa, invece, sogna un principe azzurro… È un po’ la tragedia di non potersi incontrare, ma questa tragedia è espressa, nel linguaggio mitologico, in una maniera terribile, perché Eco, innamorata di Narciso, vorrebbe dirgli “Ti amo”, ma non può, perché la regina l’ha ridotta al silenzio. Non ho detto che potrebbe parlare, ma solo ripetendo le ultime parole di un altro. Allora, se il Vescovo dice, alla fine di un discorso: “Preghiamo”, Eco può dire: “Preghiamo”. Quindi c’è una sola soluzione per questo enigma. Riuscirà Eco a dire a Narciso “Ti amo”? Sì, ad una sola condizione, che a dirlo sia per primo Narciso. Se Narciso, guardando questa bellissima ninfa, le dirà: “Come sei bella, Eco… Ti amo”, allora la ninfa sarà liberata dal sortilegio e potrà dire la verità del suo cuore, manifestare il suo amore a Narciso. Ma Narciso è pieno di sé, è ripiegato su di sé, ama solo se stesso; allora la povera Eco, a furia di aspettare questa parola che non viene e soffrire per un amore incorrisposto, si consuma – dice la mitologia – e diventa solo voce. Se voi andate in montagna e dite: WOW!...; l’eco è: WOW… WOW… WOW… È un modo con cui gli antichi hanno cercato di spiegare questo fenomeno, che è semplicemente un fenomeno di ritorno, di rifrazione delle onde sonore, che si realizza in una certa condizione, molto spesso in montagna. Ma agli antichi questo non bastava (per la verità non l’avevano ancora scoperto) e allora mettono su questa storia terribile. Perché me ne sono ricordato, presentandovi questa pagina di Vangelo di Marco che racconta di un sordomuto?

Mettiamoci per un attimo nella condizione di non poter parlare e di non poter sentire: voi che state sempre con l’i-pod nelle orecchie, che passate dal computer al telefonino, a chattare, a facebook, come fareste? come fareste se non vi fosse data la possibilità né di sentire, né di parlare? Tra l’altro, sapete bene che questi due sensi sul piano fisiologico sono collegati, per cui i bambini imparano a parlare sentendo, e se un bambino non sente bene, non parlerà. Com’è che questo bambino non parla? ha due anni e non dice nulla? Ad un certo punto si scopre che è sordo, perché è nella ripetizione di ciò che si sente che nasce la parola. Questa è la condizione del sordomuto che Gesù incontra.

Gesù sta attraversando un territorio pagano e gli portano un sordomuto chiedendogli di mettergli una mano sul capo, che era un gesto di guarigione. Gesù non lo fa. E questa è la prima cosa che mi preme sottolineare. Dice il testo di Marco: “E portandolo in disparte, lontano dalla folla…”. Il sordomuto è sordomuto, ma non è stupido. Avrà detto: Ma dove mi porta? ma chi è questo Gesù? perché mi toglie dalla folla, dagli amici, da quelli che mi conoscono e che mi hanno accompagnato a questa festa, a questa preghiera in Cattedrale?

Gesù lo porta lontano e lui si lascia portare lontano.

Anche voi venite da lontano; addirittura ci sono dei giovani che vengono da Benevento (sono gli studenti di Teologia del Seminario di Benevento, che salutiamo) e hanno fatto - quanti chilometri? - 30, 40 chilometri per arrivare qui. Anche se qualcuno di voi viene da Mignano Montelungo probabilmente ha fatto un po’ di strada.

Siamo venuti qui per essere messi a parte, per essere tolti dalle distrazioni che a volte ci inquinano, che a volte rischiano di non aiutarci a capire l’altro, a capirci, e anche voi, in qualche maniera, vi siete lasciati portare lontano. La Cattedrale, con la Preghiera-Giovani, è questo: essere messi un po’ in disparte, insieme con Gesù.

Poi - l’ho già commentato una volta, ma voi l’avete dimenticato - Gesù pone anche dei gesti fisici, perché Gesù è concreto. A volte, anche nei nostri discorsi, siamo così aerei! Invece Gesù tocca, Gesù prende la saliva (non è proprio una cosa che ameremmo fare, oggi) e unisce la sua saliva a quella di colui che ha la lingua annodata. Poi gli fora le orecchie mettendo le dita nelle orecchie del sordomuto: sono gesti, la liturgia ne è piena. Anche se non compirò questo gesto – state tranquilli – sentite che l’essere messi in disparte, ci dà la possibilità – voglio sottolinearlo – d’essere toccati. Noi diciamo: Questo brano – per esempio, riferito al brano che Maria Teresa sta eseguendo all’organo – è toccante.

Cosa vogliamo dire con “è toccante”? Che ti ha toccato il cuore, ti fa fremere. Quello che è toccante è ciò che ci tocca non epidermicamente. Tante persone a volte ci toccano (quando andate in un pullman affollato o nella metropolitana di Napoli, non potete fare a meno d’esser pestati su mille fronti), ma è diverso quando uno ci tocca con amore, e lo sapete bene, lo sapete meglio di me: essere toccati è fremere, sentire nella schiena un fremito, avvertire che la persona che mi sta toccando, che mi sta facendo una carezza, o semplicemente che mi sta guardando, entra nel segreto del mio cuore, mi “entra dentro”… Non è solo un tocco esterno.

Vedo Pasqualino, là in fondo, che pensavo stesse al Nord e invece è tornato (non credo per la Preghiera-Giovani, ma sarà il suo giorno libero; il Vescovo non l’ha visto da un po’ di tempo e pensava che si fosse perso) – che, anche da lontano, anche attraverso le mie parole, potrebbe dire: “Il Vescovo mi sta toccando!”, perché quello che io dico potrebbe investire la sua vita, rappresentarla. Il Vescovo mi sta dicendo una cosa che mi è capitata! Questo è un modo di essere toccati, cioè qualcuno entra nella tua vita e si fa accanto a te ed entra nei tuoi pensieri - di più -, nei tuoi sentimenti.

Gesù fa questo con noi. Io spero che questa preghiera tocchi qualcuno, almeno uno (non voglio sapere chi), che esca dicendo: Ora che Gesù mi ha toccato, mi sento diverso (quasi disperso, cantava Zucchero in una canzone che forse neanche conoscete). Mi sento perso, quasi disperso… Scompare il mondo e resta solo quest’uomo che mi ha toccato, che mi ha parlato, che mi ha detto – dirà la samaritana che incontreremo alla IV di Quaresima – tutto quello che ho fatto (e non perché Gesù le avesse fatto tutto l’elenco dei peccati), ho trovato uno che mi ha detto di me.

Pasqualino, qualcuno ti parla di te, al Nord? Come ti sei trovato su? Che gelo hai sperimentato, tanto da voler tornare a Pietravairano?

Qualcuno mi ha parlato di me. Io spero – e concludo questo primo momento – che ciascuno di voi senta che Gesù è uno di casa, è uno che mi conosce e mi sa dire di me quello che io stesso non so. Allora direi a Gesù, in questo istante di silenzio: Gesù, dimmi un po’ di me… chi sono? che sto facendo? dove sono? dove sono capitato? in che gruppo di briganti sono capitato, tanto da essere derubato?

Lascia che Gesù ti racconti di te, toccandoti.

 

***

 

Questo racconto è come un sacramento. Un sacramento è fatto di un gesto (per esempio, versare l’acqua sul capo del bambino) e di una formula: “Io ti battezzo nel nome del Padre…”. Oppure, nella Cresima, c’è il gesto dell’imposizione delle mani e la crismazione sulla fronte, accompagnato da una formula: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”.

Anche qui c’è una formula piccolissima, che è una sorta di parola d’ordine: Abracadabra, come nelle fiabe. Abracadabra era la parola con cui si aprivano le porte misteriose che davano accesso ad un castello, che davano accesso a un passaggio segreto. Anche noi abbiamo delle porte chiuse, anche io, anche tu, e la parola è: “Effatà, apriti!”. Molti di noi sono sottovuoto; potrebbero esplodere, ma c’è un coperchio, c’è qualcosa che ostruisce la felicità. Sapete perché non siamo felici? Perché siamo chiusi. Perché non riesco nello studio? Mi si è chiusa la mente. Perché non mi innamoro più? Mi si è chiuso il cuore. Le chiusure sono all’origine di tanti mali. Anche questo sordomuto era chiuso: aveva le orecchie tappate e aveva – è un’immagine, ovviamente – la lingua annodata. Avrà avuto dei pensieri, dei sentimenti, delle cose belle da dire, una poesia, ma era impossibilitato: era chiuso. Le persone chiuse, ermeticamente chiuse, sono persone che rischiano l’infelicità. C’è una forma patologica di questa chiusura che, come sapete, è l’autismo, dove un bambino, ragazzo, adolescente, ha difficoltà a rapportarsi al mondo: vive come in una sfera di cristallo. Voi non ve ne siete accorti, ma nell’ultima Preghiera, c’era qui il coro Gospel e c’era anche un batterista. Mi hanno detto che quel giovane, che suonava così bene, era affetto da questo male; magari nella musica era riuscito a trovare un modo per esprimersi, ma era lì, chiuso. C’è un autismo spirituale, c’è un autismo affettivo, c’è un autismo nella comunicazione. Perché falliscono le famiglie? si sgretolano, scoppiano le coppie? Per questo motivo: per la chiusura. Dobbiamo aprirci: bisogna raccontarsi, bisogna che tu tiri fuori quello che di buono hai. Magari tra noi ci saranno degli artisti, dei santi, delle persone dotate di grandi doni, ma stanno rannicchiate, chiuse. Allora la parola è: “Apriti!”. Vorrei che raccogliessimo questa parola di Gesù come la parola dell’amore, perché l’amore apre: apre gli orizzonti, apre le finestre, apre le vite, apre le famiglie, apre le culture. “Apriti!” è l’imperativo dell’amore: apriti all’amore! Apriti all’amore che apre.

L’egoismo è la chiusura ermetica di un uomo, di una donna, di un gruppo, di una famiglia, di una classe sociale: Apriti!

La storia della ninfa Eco, che vi ho raccontato – tristissima – ma anche molto aderente alla realtà, ci fa capire come la parola di Gesù aiuti quest’uomo a venir fuori: magari è un cantante, magari è un tenore, magari è un cantautore o un ammaliatore di folle, ma nessuno lo sa, perché non ha mai parlato e non ha mai ascoltato (è chiuso: Apriti). A volte, quando ci si innamora si entra in questa terra santa dove quello che ieri mi sembrava impossibile, io lo faccio; ho delle prestazioni – non quelle a cui state pensando – che neanche immaginavo: vengono fuori dei doni, vengono fuori delle sensibilità che sarebbero rimaste chiuse se qualcuno non mi avesse tirato fuori dall’esilio, perché l’amore ti toglie dall’esilio e ti fa entrare nella “terra promessa”. Mi guardate un po’ increduli e allora, per farvelo credere di più, per fare in modo che questo messaggio stasera sia un po’ più credibile, nonostante i suoi mille impegni, in questo periodo di grande vittoria, di grande gloria, abbiamo invitato da noi - pensate un po’ - Vecchioni. Lo ascoltiamo.

 

Chiamami ancora amore

(Roberto Vecchioni)

 

E per la barca che è volata in cielo
che i bimbi ancora stavano a giocare
che gli avrei regalato il mare intero
pur di vedermeli arrivare

Per il poeta che non può cantare
per l’operaio che non ha più il suo lavoro
per chi ha vent’anni e se ne sta a morire
in un deserto come in un porcile
e per tutti i ragazzi e le ragazze
che difendono un libro, un libro vero
così belli a gridare nelle piazze
perché stanno uccidendo il pensiero

per il bastardo che sta sempre al sole
per il vigliacco che nasconde il cuore
per la nostra memoria gettata al vento
da questi signori del dolore

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
http://www.angolotesti.it/
perché la riempiremo noi da qui
di musica e di parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
anche restasse un solo uomo

Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore

Perché le idee sono come farfalle
che non puoi togliergli le ali
perché le idee sono come le stelle
che non le spengono i temporali
perché le idee sono voci di madre
che credevano di avere perso
e sono come il sorriso di Dio
in questo sputo di universo

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Continua a scrivere la vita
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
che è così vera in ogni uomo

Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore

Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
anche restasse un solo uomo

Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Perché noi siamo amore

***

 

Dal Teatro Ariston alla Cattedrale di Teano, sullo stesso tema di questa settimana. È un testo impegnativo - già abbiamo colloquiato altre volte con Vecchioni - perché è stato un docente al liceo e quindi non tira mai fuori testi banali.

Ho avuto un po’ di difficoltà, per la verità, a comprendere la prima strofa; poi, in ricerche parallele… Primo quadro. Ci sono quelli che sbarcano o che vorrebbero sbarcare a Lampedusa, sulle nostre coste, alla ricerca della felicità. Erri De Luca ha scritto per loro “Solo andata”, perché sono quelli che non hanno il biglietto di ritorno; a volte finiscono in fondo al mare. Sono loro questi bimbi che stavano a giocare e che gli avrei regalato il mare intero pur di vedermeli arrivare, ma non sono arrivati, non sono mai arrivati. Come vedete, una prima immagine di incomunicabilità, una prima immagine di morte, una prima immagine di sordomuto: parliamo ma non ci capiamo. Ma questi sono uomini o no? Hanno diritto a un futuro, al di là delle leggi? Hanno diritto a un’accoglienza? Hanno diritto al riconoscimento dei loro diritti fondamentali? E poi c’è il poeta che non può cantare, perché forse gli hanno messo la benda sulla bocca, e tanti sono impossibilitati a dire veramente quello che pensano. Ci sono sempre i poeti di corte, in tutte le epoche -  anche oggi -, quelli “foraggiati” dal potere perché bisogna cantare il capo che è sul trono.

Per l’operaio che ha perso il suo lavoro - e oggi ce ne sono tanti - per chi ha vent’anni, come voi, e se ne sta a morire in un deserto come in un porcile e che potrebbe, appunto, tirar fuori tante energie ma preferisce una scorciatoia di morte. E per tutti – bellissima questa immagine, finalmente positiva – i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendoci il pensiero. E poi ci sono i bastardi, quelli che uccidono migliaia di persone, ed è la cronaca di questi giorni, che spero non vi lasci freddi rispetto a quello che sta accadano nel Nord-Africa, ad un passo da noi; ci sono fosse e fosse, persone che, per mantenere il potere o un posto al sole, sono capaci di divorarsi, non solo capitali (sarebbe poco), ma vite e vite. Per la nostra memoria gettata al vento da questi signori del dolore, e forse anche la nostra memoria di popolo italiano.

Allora, vedete alcune scene negative (quelli che non sono approdati, il poeta che non può cantare, l’operaio che ha perso il lavoro, il ragazzo che prende la scorciatoia della tossicodipendenza…) ed elementi positivi: chi grida, perché ci stanno uccidendo il pensiero, questo pensiero che va appiattendosi perché non ci sono più voli, perché non ci sono più farfalle, dirà più avanti il testo. Allora, qual è la soluzione di tutti questi mali? Sembra infantile, ma è verissimo: la soluzione non è la rivoluzione, non è questo o quel partito, questa o quella ideologia, ma c’è una sola via di salvezza, che è “chiamami ancora amore”, cioè apriti, risveglia in me questa coscienza.

Perché le idee sono come farfalle che non puoi togliergli le ali, perché le idee sono come le stelle che non le spengono i temporali e quindi ci sono idee o sogni; io spero che voi ne abbiate tanti. Il vostro Vescovo sta a rinfocolare tanti sogni che rischiano di spegnersi anche nei vostri cuori di ventenni, di venticinquenni, di trentenni, ma le farfalle hanno bisogno di ali, di leggerezza, hanno bisogno che si dia loro lo sguardo della bellezza. Queste idee – è bello questo passaggio – sono come le stelle che non le spengono i temporali, cioè ci sono delle idee che ritornano, come le voci delle madri che credevamo d’avere perso e sono come il sorriso di Dio in questo sputo di universo. E qui sembra riecheggiare questo atomo opaco del male: lo sputo dell’universo e il sorriso di Dio sono le idee, non semplici idee di voglie, ma le grandi idee, i grandi progetti, i grandi sogni che in un altro testo Vecchioni invitava a sognare (Sogna, ragazzo, sogna). La via della soluzione è l’amore - attenti - l’amore ricevuto e l’amore dato. Non c’è altra via per tirar fuori questa umanità. Dice: anche se restasse un solo uomo, l’umanità è degna d’essere amata. Per far uscire da questo vicolo cieco la nostra storia c’è bisogno di persone che amino sul serio e che, anziché giocare all’amore, siano disposte a giocarsi tutto nell’amore.

 

Chiamami ancora amore (R. Vecchioni)

***

 

Ieri sera ho incontrato un santo (vi racconto questa cosa che si sta vivendo nella nostra Diocesi).

Premessa: avevo letto un romanzo di Sparks, un autore che forse le ragazze prediligono, la storia di un matrimonio dove poi lei va in coma a lungo e il marito è disorientato; la moglie ha fatto il testamento (viene dagli Stati Uniti) in cui ha detto che in un caso del genere era autorizzato – questo è il romanzo – a “staccare la vita”. Nonostante questa volontà espressa della moglie, l’uomo ha fiducia e, misteriosamente, miracolosamente, dopo anni, questa donna emerge dal coma. Avendo letto questo romanzo, mi è immediatamente venuta alla mente una situazione analoga che si sta vivendo da anni nella nostra Diocesi. Ci sono tanti eroismi che voi non conoscete, che nessuno conosce, forse neanche i vicini di casa; non dico dove, non dico chi, ma racconto la storia, che è bellissima, di un eroismo che neanche riuscite ad immaginare.

Ho incontrato un uomo di quarant’anni, Angelo, che da nove anni vive accanto alla moglie, in stato vegetativo dal giorno in cui ha partorito il suo primo figlio. Gli ho chiesto quanti anni di matrimonio avevano fatto e mi ha risposto: “Due”. A causa di una difficoltà del parto (una non immediata ossigenazione del cervello), questa donna è entrata in questo stato nove anni fa. Forse noi, al posto del marito, l’avremmo a dir poco messa in “parcheggio” in uno di quegli istituti nati proprio per aiutare persone del genere, perché un problema del genere lo possiamo sopportare un mese (Forse si risveglia!), due mesi, tre mesi… Un anno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove… Quello che mi ha commosso di più è stato sentire che dorme accanto a sua moglie, ogni sera, anche stasera, sapendo che i segni di coscienza sono quasi nulli (ovviamente, elettroencefalogramma piatto), ma lui riesce a percepire quando la moglie sta male: a volte si allontana per fumare una sigaretta e la moglie smania. Questa storia mi ha commosso e mi ha preso talmente che adesso questo canto me l’ha richiamata immediatamente, perché “Chiamami ancora amore” potrebbe essere il titolo di un film - come lo è stato, e non proprio avvincente e da imitare: mi riferisco ai giovani che certamente saranno andati a vederlo - ma applicato adesso a questa storia, che - ripeto - è qui, a pochi chilometri dalla nostra Cattedrale, in una parrocchia, un professionista accetta di restare accanto a sua moglie, in questo stato, perché mi ha detto: “Vorrei morire insieme con lei…”. Quando entra, la saluta e, a volte, gli sorride; non sappiamo con che tipo di coscienza, secondo la scienza assolutamente nulla, ma da qualche anno questa donna ha ripreso a sorridere e non senza motivo ma, per esempio, sentendo una voce. C’è un bambino che sta crescendo in questo dramma, ma anche in questo miracolo. Che Angelo chiami sua moglie “amore”, che da nove anni non proferisce parola e non dà segni di vita, e che egli continua a tenere in casa con tutti i problemi che potete immaginare, dicendole cose carine, facendole una carezza, facendole sentire la sua presenza, per me è un miracolo enorme. Vi devo confessare che davanti a questo giovane - perché a quarant’anni si è ancora giovani -, giovane marito e padre, mi sono sentito piccolissimo, e l’ho ascoltato con tanta attenzione, con tanta devozione. Quando se n’è andato, ho detto: “Ecco, i santi ci sono ancora”.

Magari ho tolto tutto l’entusiasmo romantico che Vecchioni vi ha comunicato con questo testo, ma queste sono storie vere, sono persone che sono disposte a stare in questo stato. La cosa che mi ha commosso di più e colpito di più è il dormire con lei. Io avrei capito se avesse dormito col bambino e lei nella stanza monitorata: no, nel suo letto, per nove anni. “Chiamami ancora amore” dice questa donna, senza saperlo, ad un marito-eroe che forse non spera più e che mi ha detto: “Io l’ho sposata e sono responsabile di questa donna per sempre”.

Vedete? Questo è un miracolo dell’amore. Non è un grande credente, ma il vostro Vescovo, davanti a lui, con tutta la sua fede, ha fatto la figura di un nano al cospetto di un gigante, cioè non c’è situazione, la più intricata, la più negativa, moralmente, fisicamente, di malattie, di tradimenti, di sconvolgimenti anche sociali, non c’è situazione che non possa essere risolta con “effatà!”, “apriti!”. Fatela anche voi una preghiera per questa donna: chissà, a volte, misteriosamente, senza che la scienza possa dir nulla, si può emergere anche da nove anni di silenzio. Ma se questo non dovesse accadere, basta il miracolo, forse ancora più grande, di chi è disposto a restarle accanto nonostante tutto.

Nonostante tutto ti chiamo amore e stasera dormirò accanto a te, che non parli e non dai segni di vita da nove anni. Voi ci dormireste accanto a un cadavere?

 

Chiamami ancora amore (R. Vecchioni)

***

 

Perché questa maledetta notte dovrà pur finire

Voi continuamente dovreste chiedere al vostro Vescovo: Custos, quid de nocte? Quanto ancora dobbiamo aspettare quest’alba? Questa resurrezione?

Il Vescovo risponde: Poco, ma investi l’amore che è in te, libera questa energia che apre l’universo, come sentiremo venerdì prossimo, qui, nel testo e nel tema di Traviata: di quell’amore che è palpito dell’universo intero. Questa energia, che muove il sole e le altre stelle, è ciò che prepara il giorno che verrà. Vorrei dirlo a Elisabetta, vorrei dirlo a tanti di voi che soffrono, a Valeria, ad altri in chemio, in cobalto, in difficoltà: l’amore che noi vi diamo, poveramente, vi tiene in vita e vi farà superare ogni difficoltà e, se una persona si sente amata, trova anche mille motivi per vivere e per attraversare deserti: siatene certi. È il messaggio che questa sera Gesù ci dà, nel Vangelo del sordomuto guarito.

Ci teniamo per mano e diciamo insieme: Padre nostro…         

 

Prima della benedizione, alcuni avvisi.

 

Come sempre, il gruppo di Ghibli ha realizzato il numero per stasera. Ringraziamo questi giovani che lavorano per noi e che, autonomamente, con amore, fanno nascere questo foglio per i giovani e fatto da giovani.

 

La prossima settimana - molti di voi già lo sanno - c’è la rassegna teatrale, Teatri d’Anima: mercoledì, giovedì, venerdì e sabato. Sono quattro serate di seguito. La serata di venerdì sarà qui in Cattedrale e sarà aperta a tutti con le arie di Traviata commentate dal Vescovo: chissà, potrebbe interessare e avvicinare qualche giovane che ovviamente non ha mai masticato nulla di Verdi. Invece, gli altri tre spettacoli sono all’Auditorium e per l’accesso c’è bisogno di un piccolo abbonamento; Dolores ed altri saranno disponibili per coloro che vogliano avere questo biglietto d’ingresso. È un’altra piccola iniziativa perché queste idee non vogliono morire, perché questi libri bisogna sventolarli quando ci sono invece cose appiattite, situazioni da cui ci sembra di non poter uscire. Anche Teatri d’Anima è un modo per sognare e per lanciare aquiloni e farfalle.

 

Benedizione del Vescovo

 

Canto finale: Dio aprirà una via…

     

      

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.