PREGHIERA-GIOVANI
guidata da
S. E. REV. MA MONS.
ARTURO AIELLO
“Vivere è cambiare”
Chiesa Cattedrale
Teano, 5 marzo 2010
~
Canto:
Chi mi seguirà?
Nel nome del Padre…
Grazie
di essere venuti nonostante il freddo. E voi dovreste dirmi: “Grazie perché ci sei
nonostante il freddo”. Questo perché non solo il Vescovo deve ringraziarvi, ma
anche il contrario, nel senso che quello che viviamo è un dono. È chiaro che il
Vescovo è uno strumento, come lo sono i nostri parroci, i sacerdoti, ma noi
abbiamo bisogno di strumenti. Maria Teresa, nonostante tutta la sua maestria,
se non avesse l’organo a canne che risponde, che apre le ance, che riceve
soffio dal mantice, starebbe alla console inutilmente,
a dire che gli strumenti non sono del tutto secondari; ma anche uno strumento
stonato, nonostante la maestria del musicista, resta uno strumento stonato.
Ovviamente siamo tutti strumenti nella Preghiera-Giovani perché il Signore
contagia gli altri attraverso i giovani stessi. Siamo protagonisti e ci
troviamo qui a circa metà del cammino pasquale per dirci: ci siamo visti nella
penombra del Mercoledì delle Ceneri, siamo partiti, e com’è andata? Come va?
Come va la tua Quaresima? Come vanno gli impegni che avevi
assunto? Sei già tornato indietro? Nonostante gli scoraggiamenti, le
cadute, hai ripreso il tuo cammino, la tua scalata? Ecco il senso anche di “Chi
mi seguirà?”, perché la
Quaresima è un cammino, perché c’è un itinerario, ci sono
delle tappe, perché le domeniche sono importanti: la domenica delle tentazioni
(prima stazione), la domenica della Trasfigurazione (seconda stazione) e adesso
aspettiamo la terza. Siamo qui per rincuorarci, per riprendere quota e per
riprendere forza.
Chi mi seguirà nel cammino della Pasqua…
Signore,
Ti manifestiamo la volontà di seguirTi,
di ascoltare la Tua Parola
non come ascoltatori smemorati, ma come chi pende dalle labbra della persona
amata. Aiutaci a vivere intensamente quest’ora di preghiera per essere lanciati
verso la Pasqua. Tu
sei Dio e vivi e regni con Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo per tutti i
secoli dei secoli. Amen.
“Noi ti
seguiremo, Signore, sulla Tua Parola” e adesso ascoltiamo con attenzione la Parola che fa da perno, da
fulcro dell’incontro di stasera.
Dal Vangelo di Luca (10, 25-37)
Un dottore della legge si alzò per metterlo
alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli
disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo
con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con
tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto
bene; fa' questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E
chi è il mio prossimo?». Gesù riprese:«Un uomo
scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo
percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un
sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre
dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.
Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto
lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite,
versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò ad una
locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li
diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te
lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra
sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose:
«Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo
stesso».
Partiamo,
stasera, guardando l’immagine che avete sul foglietto. Ovviamente è una
rappresentazione del gesto del samaritano nei confronti dell’uomo incappato nei
briganti. Noi ci siamo già fermati una volta su questo Vangelo, ma adesso
voglio guardarlo con voi da un’altra prospettiva, da un altro versante. Innanzi
tutto, questo titolo è un po’ strano: “Vivere è cambiare” è il motto di
stasera. Mi sono reso conto, scegliendolo, di offrire un titolo, come sempre,
un po’ equivoco, perché voi vorreste leggervi: vivere è cambiare ragazza,
vivere è cambiare ragazzo, vivere è cambiare orizzonte. Ma non è questo il
senso. Ho preso questo titolo da un Corso di Esercizi che un Vescovo, che io
conobbi tanti anni fa quando ero seminarista, tenne al
Papa e il titolo era proprio questo, “Vivere è cambiare”, nel senso che finché
c’è la possibilità – e tutti ce l’abbiamo – ma anche finché c’è la volontà di
cambiare, siamo vivi. Quando viene meno la possibilità (poche volte), quando viene meno la volontà (tantissime volte), la
persona è ferma, è morta. Allora tra noi possono esserci anche giovani già
morti, che spero di far risorgere attraverso questo messaggio molto importante.
Perché vivere è cambiare? Perché io che vi sto parlando ero un bambino, anche
voi lo siete stati e prima ancora eravamo una cellula, poi due cellule, poi
quattro, poi otto, poi sedici, un cambiamento continuo: la vita dal suo sorgere
è in continua mutazione. E poi cosa rimane delle cellule iniziali in quello che
sono oggi? Tutto e niente, nel senso che c’è continuità, ma sono avvenute delle
trasformazioni: le cellule si rinnovano continuamente e quindi l’essere
vivente, anche semplicemente da un punto di vista fisico, è un essere in
cambiamento continuo. La morte è lo stopparsi di questo cambiamento, non si può
più cambiare, ma finché si è in vita si può cambiare. Sappiamo, però, che ci
sono persone che non vogliono cambiare, che, scoraggiate, cadute in una situazione negativa, fatte oggetto di un’ingiustizia,
non reagiscono. Quando il medico dice: “Signora, io le do
queste medicine, però lei deve reagire”, vuol dire che non bastano le medicine:
è importante la volontà di guarire. E volontà di guarire è volontà di
cambiare, a dire che questa influenza (per dire la cosa più sciocca), questa
malattia grave, non voglio che sia l’ultima spiaggia, l’ultima stagione della
mia vita.
Qui
abbiamo l’immagine del buon samaritano, sia pure stilizzata. Vedete un giovane
che è ridotto male: sarà stato forse portato a fumare?,
a sniffare?, a farsi? Anche questi sono briganti! Ci sono briganti anche a
Teano, a Mignano, a Pignataro, a Sparanise… Un
uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico incappò nei briganti, cioè stava
scendendo da una strada che ancora oggi va dal Monte Sion, una sorta di
collina, a una dimensione di depressione anche terrestre, perché Gerico si
trova credo a 300 metri
sotto il livello del mare, quindi è una discesa che indica in senso simbolico
un piombare (oggi diciamo “uno scendere in caduta libera”). Quest’uomo per noi
è un giovane, perché i giovani sono i protagonisti di questa preghiera, ed è
incappato nei briganti, persone, per esempio il Gatto e la Volpe, che vogliono dare dei
buoni consigli, oppure Lucignolo che dice: Non
andiamo a scuola! Godiamoci la vita! C’è il paese dei balocchi: andiamo! E
quindi ci si muove insieme, ma è un tranello, è un trucco. Il Gatto e la Volpe vogliono impossessarsi
del denaro che Pinocchio ha in tasca e quindi vogliono investirlo: sono dei
promotori finanziari, si direbbe oggi. Insomma, il mondo è pieno di briganti -
spero che ve ne siate già accorti (ve ne accorgerete ancora di più in seguito)
- cioè di persone che vengono a derubarci, ci tolgono qualcosa: ci rubano la verginità,
ci rubano la bontà, ci rubano la salute, ci rubano anche pensieri, sogni… Ci
sono delle persone che vi rubano i sogni: ladri, briganti di sogni (Ancora credi a queste cose?!
Ormai sono sorpassate! Qui tutti fanno così!). Ecco, un brigante sta uccidendo
i sogni. Quello che è importante è che quest’uomo viene
lasciato morente, defraudato, sul ciglio della strada. Nella parabola, Gesù
dice che passano delle persone, i sacerdoti e i leviti, secondo alcuni i
rappresentanti della legge e del culto che non salvano l’uomo. Oggi passano i
filosofi, passano quelli che sono promotori, vendono un prodotto, ma non
riescono a salvare la persona perché verso quella persona hanno un interesse
economico. La vita vi farà dividere il mondo in due grandi parti. La prima,
molto affollata, fatta di persone che vi accosteranno perché vogliono qualcosa
da voi; la seconda, una piccola fetta: sono le persone più preziose della
nostra vita, che si accostano a noi gratuitamente, cioè non vogliono niente,
anzi hanno qualcosa da darci - e non la mela cattiva della strega perché ci si
possa addormentare (ci sono tante mele in giro anche a buon prezzo) - ma sono
persone che si offrono e che non chiedono nulla. Questa si chiama gratuità: una
cosa, oggi, quanto mai rara a trovarsi, ma pur presente. Quindi,
questo giovane che sono io, sta mezzo morto e dice: “Basta: è finita, non mi
alzerò più”. Vedete che ha le ginocchia sbucciate, il vestito strappato,
non ha più la bisaccia, non ha più quello che aveva
accumulato, è ferito sul capo, è tramortito. Passa un samaritano – dice
Gesù – e, mosso a compassione, si avvicina. Questa espressione (mosso a
compassione) è importantissima e torna varie volte nel Vangelo, utilizzata da
Gesù oppure detta di Gesù, per esempio: “Gesù vide le folle e ne sentì
compassione”. Il verbo greco che dice “compassione” è il movimento nel ventre
di una donna che ha partorito e che è madre di un bambino diventato grande e,
nei confronti del quale, questa donna sente ancora muoversi qualcosa. Lo sanno
bene le donne che hanno partorito: non c’è la presenza del figlio nelle viscere
solo quando lo portano dentro il pancione, ma vi
rimane anche dopo, in una maniera ovviamente diversa. Una donna che sa che il
figlio si è perduto, è in pericolo, oppure che vede il figlio ammalato e
vorrebbe far qualcosa, lo sente qui, nel ventre. Il movimento della compassione
è nel ventre, cioè è un fatto viscerale; è anche un fatto femminile nel senso
bello del termine e quindi questo samaritano che è Gesù, sente nelle viscere
qualcosa che si riscalda e che lo mette in comunicazione con questo sfortunato
incappato nei briganti. Ma il gesto della compassione si trasforma in gesti
concreti: si avvicina, vede che è ferito, versa l’olio, il vino, quindi lava le
ferite, le purifica secondo la “cassetta del pronto soccorso” che aveva (come
vedete, pochissime cose) ma sono i gesti, più che il
medicinale, a far bene a questo giovane incappato nei briganti. E non si ferma
qui: fascia le ferite, lo fa salire sul suo giumento e - anche qui devo far
riferimento al testo greco, ma ve lo traduco io alla lettera - lo portò in una
locanda. Gli si fece vicino, gli fasciò
le ferite versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo
portò ad una locanda e si prese cura di lui. Sapete qual è la traduzione
letterale del termine “locanda”? La traduzione letterale è questa: lo portò
laddove tutti sono accolti, perché questo è una locanda. Mentre di casa mia io
ho le chiavi ed entro io solo, i miei familiari, invece l’albergo è uno spazio
comune (se sottolineo questa cosa non è per semplice cultura, ma perché ci
aiuta ad entrare nel brano). C’è un posto dove tutti sono accolti, dove non c’è
bisogno della chiave, dove non c’è bisogno dei titoli (Io appartengo a questo club! Io ho diritto! Sono un azionista al 50% di
questa casa, di questo albergo!). Lo portò dove tutti sono
accolti e si prese cura di lui. Abbiamo qui un itinerario bellissimo di
conversione. Per questo non leggo la parabola, come ho fatto l’hanno scorso,
nella sua prima accezione, nella sua prima lettura, e cioè “bisogna prendersi
cura degli altri”, ma la leggo come un aiuto per la
nostra Quaresima. Tu vuoi cambiare? E tu dici: “Sì, vorrei cambiare, ma sono
malridotto”. Magari qualcuno di voi avrà fatto anche un fioretto eroico, ma
dopo una settimana non ce l’ha fatta: segno che è
malato gravemente. Vorrei guarire, ma ho provato: non ce la faccio. Gesù dice: No problem,
perché vengo io, e vengo laddove gli altri ti hanno abbandonato e derubato, e
ti porto con me laddove tutti sono accolti, cioè nella locanda. La locanda -
dicono i padri antichi - è l’immagine della Chiesa. La Chiesa è dove tutti sono
accolti: per caso avete pagato un biglietto per entrare qui? No. In qualche
Chiesa del Nord, particolarmente affrescata, adesso i parroci fanno pagare
anche i biglietti, ma qui no. La Chiesa è la casa dove tutti
sono accolti, dove si può entrare e dire: Questa è casa mia, questa è la mia
Cattedrale. Ognuno di voi dica: Questa è la mia Cattedrale, cioè è la
chiesa-cuore della mia Diocesi; qui tutti sono accolti, qui nessuno può essere
messo alla porta. Vi lascio un attimo di silenzio perché possiate
personalizzare già queste prime pennellate che vi ho dato: sono io quest’uomo,
sono io malridotto, mi sono fidato di persone sbagliate (succede nella vita),
mi sono fidato di una persona e mi ha lasciato mezzo morto. Ci sono delle
storie che ti lasciano mezzo morto, delle persone che ti derubano. Sarei tentato di restare qui e dire: “Basta: è finita.
Magari continuerò a vivere altri cinquant’anni - per voi - ma
resterò così, non cambierò mai”. Invece Gesù viene, sente nel ventre qualcosa
per te perché ti vuole bene: ti fascia, ti porta laddove tutti sono accolti,
cioè nella locanda-chiesa e si prende cura di te. Cosa devi fare? Devi
lasciarti coccolare da Gesù. Conoscete questo termine? Penso di sì. A volte, un
ragazzo dice a una ragazza: “Ho bisogno di coccole”. Sono quelle dolcezze che
ci ricordano il modo con cui siamo stati accolti da nostra madre
quando avevamo paura, le coccole danno fiducia. Allora “si prese cura di
lui” significa “lo coccolò”. Ci sono alcuni alberghi che fanno i loro spot
pubblicitari così: “Venite da noi che vi coccoliamo”. Bello questo termine!
Molto dolce… Dobbiamo utilizzarlo anche per la terapia che Gesù vuole offrirci
gratuitamente per ricominciare, per riprendere, per cambiare. Allora, se riesci
a chiudere gli occhi senza addormentarti, mentre Maria Teresa suona, lasciati
coccolare. Gesù sa che tu sei ferito, non c’è bisogno che tu glielo dica, lo sa, sa più di te. Mentre tu stai con gli occhi
chiusi, ti fa una carezza, ti fa sentire la Sua presenza: ti coccola.
***
Il
testo della parabola dice anche che il samaritano paga
di persona l’albergatore, versando un acconto e dicendo: “Quello che spenderai
in più te lo darò”. Una fiaba? Una cosa mai successa? No, succede tante volte quando abbiamo la volontà o perlomeno il sogno di
cambiare.
Stasera
abbiamo invitato Luca Carboni che, invece, ci trasmette drammaticamente la
paura di non cambiare più.
Te che non so chi sei
(Luca Carboni)
Guido piano
così parliamo un po'
andiamo fino a laggiù.
Dammi una mano
non mi riconosco più
l'avrai capito anche
tu.
Certe volte ho paura sai
certe volte ho paura
sai
di non cambiare...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
Te lo giuro
non l'avrei detto mai
mai con nessuno.
Mi vergogno
di parlarne anche
con te
... te che non so chi sei.
Certe volte ho paura che…
certe volte ho paura
sai
di non cambiare...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non cambiare
più...
di non giocare
più...
di non trovare
più...
di non cercare
più...
di non pregare
più...
di non amare più...
Ha un
“che” di drammatico questo testo. Mercoledì delle Ceneri, per chi fra voi sia
stato più attento, mi è venuto in mente mentre parlavo
e, allora, ho pensato di farvi ascoltare questo grido che è la paura di morire.
Attenti: non la paura di morire alla fine della vita, ma la paura di morire ed
essere già morti adesso, a 18,
a 20, a
25, a 30, a 40, a 50’anni. Carboni lo
dice in una maniera così arrabbiata che ci trasmette il dramma di questa
malattia che ti immobilizza, per cui tu non riesci più
a muovere neanche un muscolo e dici: “Basta: è finita!”.
Guido piano così parliamo un po', andiamo
fino a laggiù. Ovviamente, è una canzone
d’amore. Tra l’altro il titolo, “Te che non so chi sei”, la dice tutta
su che tipo di grande intesa ci sia tra lui e lei… Se le donne potessero
parlare, avrebbero tante cose da dire su noi uomini. Devo spendere una parola
buona per loro e spezzare una lancia in loro favore. Che voglio dire con “se le
donne potessero parlare”? Nel senso che noi uomini, in certi momenti, quando
siamo un po’ svagati o quando siamo in un atteggiamento un po’ più intimo,
riusciamo a confessarci, dicendo anche quello che non diremmo mai. Dammi una mano non mi riconosco più, l’avrai
capito anche tu, cioè questo è un ragazzo, un giovane disorientato. L’avrai
capito anche tu che sto con la testa fra le nuvole.
Te lo giuro
non l'avrei detto mai
mai con nessuno.
Mi vergogno
di parlarne anche
con te
... te che non so chi sei.
Certe volte ho paura di non cambiare...
Queste
sono le confessioni degli uomini dette sottovoce, in penombra, mentre sto
guidando piano, così mi distendo e riesco anche a raccontarmi come non farei forse
neppure col confessore. Ma trasformiamo il testo di questa canzone, lasciandolo
così com’è: adesso rivolgiamo questo testo a Gesù.
Guido piano così parliamo un po’. Guardiamo questa immagine del samaritano che ha messo sul
suo asinello il giovane che è stato già fasciato e sta cercando di portarlo
verso la locanda (laddove entrano tutti, laddove tutti possono entrare). Dice:
“Cambia marcia all’asinello, perché mi fanno male le ferite; metti la seconda,
non corriamo”.
Andiamo fino a laggiù
Dammi una mano
non mi riconosco più
l'avrai capito anche
tu.
Certe volte ho paura
di non cambiare...
Questa
cosa che adesso sto raccontando a voi giovani vale anche per noi grandi. Ci
sono momenti nella vita in cui abbiamo questa percezione. È come quando hai
fatto un intervento al braccio, te l’hanno ingessato e quando ti tolgono il
gesso tu dici: E adesso? Come si muove? Sono stato tanto tempo così, che il
fisioterapista deve farmi innanzi tutto un lavaggio del cervello a convincermi:
“Guardi che lei, pian piano, facendo questi esercizi, può riprendere l’uso del
braccio”. Ricordo, per esempio, d’aver fatto questo esercizio (1999) e la
fisioterapista mi diceva: “Si metta vicino alla finestra e pian piano salga”.
Credo che l’abbiate sperimentato anche voi. Adesso alzo il braccio quasi
normalmente, ma salire con le dita sulla cornice della finestra e sentire
dolore è una cosa terribile. La percezione dell’immobilità è dire: “Questo
braccio non lo potrò più utilizzare”. Ma magari si trattasse
di un braccio! A volte si tratta del cuore, a volte si tratta di tutta la
persona, del corpo, dell’anima. A volte ho
paura di non cambiare più. Allora, questa difficoltà è quella che noi
viviamo e vogliamo raccontarla a Gesù stasera, perché vivere il Sacramento
della Riconciliazione è cambiare, cambiare posizione, perché Gesù ti dice: “Tu
puoi cambiare”.
Stasera,
Luigi compie 19 anni (dopo gli canteremo “Tanti
auguri”: si può fare, tanto non stiamo celebrando la Messa). Luigi, a 19 anni, ha
scelto stasera di venire in Cattedrale anziché festeggiare con i suoi amici: è
un bel modo di festeggiare il proprio compleanno. Cosa augurerei a Luigi? Gli
auguro di poter cambiare sempre. A 19 anni è ancora facile,
perché le articolazioni sono sciolte, ma quando cominceranno le artrosi – e
parlo di quelle spirituali – caro Luigi, avrai difficoltà anche ad alzare un
dito, perché la vita ti costringe a tal punto che tu dici: “Basta, sono un
cadavere: sto qui, vivo, ma in realtà sono morto”. Vorrei farvi
riascoltare per l’ultima volta la canzone, facendo attenzione anche all’assolo
di chitarra che continua con le note stridenti del disperato, di chi dice: “Ho
paura di non cambiare”. Poi finalmente cambia il verbo, dopo che ci ha
martellati tante volte (ma questa canzone serve
proprio a farci soffrire questo disagio e a farlo venire fuori): di non giocare più... di non trovare più...
di non cercare più...(attenti: sarà un caso che avrà messo prima trovare e
poi cercare? Magari anche Luca Carboni avrà sentito Sant’Agostino) di non pregare più... di non amare più... perché
alla fine la paura più grande è quella di non amare più, che significa non
pregare, non cercare, non trovare, non giocare: non cambiare. È questa la mia
situazione? Mi trovo anch’io in questo stato di immobilità? Anch’io penso di
non poter dimagrire? (Lo dico per quelle che sono di
150 chili) Anch’io penso di non poter cambiare questo aspetto del mio
carattere? Alcuni dicono: “Sono così: ormai è finita”.
Sei morto: pensi di non poter cambiare. Alcuni, sapete, non si confessano per
questo motivo (Non mi confesso perché
faccio sempre gli stessi peccati). Ma secondo voi, se noi facessimo un
peccato una volta sola, Gesù ci avrebbe lasciato il Sacramento della
Riconciliazione? No. Alcuni non si confessano per lo stesso motivo per cui dovrebbero confessarsi, cioè che cadono sempre negli
stessi difetti, hanno paura di non cambiare, ma non confessandosi, dicono:
“Resto qui, portate una bara, mi sistemo già, tanto tra cinquant’anni morirò”.
Non è un parlare saggio questo. Invece, questi cinquant’anni utilizzali, cerca
di viverli bene, senti la mattina che ci sono gli uccelli che cantano. I merli
sono innamorati: li sentite i merli, la mattina?
Purtroppo no, perché vi alzate tardi. Bisogna sentire i merli, perché i merli
sono innamorati nel mese di marzo, e cantano, si svegliano presto, perché chi
ama non dorme. Spero che siate svegliati dai merli, la mattina. Sentire i merli
significa anche: sono vivo. Non ti mettere già nella tomba! Puoi fare tanto
bene, puoi realizzare tante cose, si possono realizzare tanti sogni, ma questo
chiede l’elasticità del cambiamento.
Te che non so chi sei
(Luca Carboni)
***
Vogliamo
fare gli auguri a Luigi per i suoi 19 anni? Tanti
auguri a te…
Buon
compleanno, Luigi!
Se l’avessi voluta organizzare una festa così, un augurio così
bello (tra l’altro, il nostro organo a canne non avrà mai conosciuto, forse, in
vita sua questo testo) non ci saresti riuscito, perché il Signore fa le cose
più belle di quelle che noi sogniamo. Un ultimo messaggio e concludiamo.
Mi vergogno
di parlarne anche
con te
... te che non so chi sei.
Certo,
possiamo riferirlo a Gesù “Te che non so chi sei”, perché non sappiamo appieno
quanto questo buon samaritano sia venuto a trasformare le nostre piaghe, non
solo in possibilità di guarigione, ma in occasioni di grazia. Il peccato scava
una fossa che può diventare una cosa bruttissima. Avete mai visto una fossa?, un grande cratere? Se questo cratere, questa grande fossa
che scava il peccato, viene inondato, raggiunto dalla
grazia di Dio, diventa un lago. Cos’è un lago? Un lago è un cratere riempito.
Immaginate un lago alpino – spero ne abbiate visti,
qualche volta – e dite: il mio peccato può diventare un lago. Quindi, è come se
il peccato scavasse un vuoto (quindi entriamo nel pericolo di non poter cambiare
più), ma Dio lo inonda di grazia e quello che è
negativo diventa l’attrazione della mia personalità, perché Dio trasforma in
bene il male. Ma “Te che non so chi sei” vorrei anche riferirlo al prete,
perché tra poco, per chi lo vorrà, adesso e anche
nella preghiera conclusiva della Quaresima, prima della Domenica delle Palme,
finita la
Preghiera-Giovani, il Vescovo e i sacerdoti presenti saranno
a disposizione per le Confessioni. Potreste dire: Ma chi è questo? Perché devo
andargli a raccontare le mie cose? Te che
non so chi sei… Non è importante o non è proprio essenziale confessarsi
dalla persona più simpatica, più atletica, “più più più”: l’importante è
che sia un prete. Posso anche non conoscerne il nome. Mi vergogno di parlarne anche con te - dice il nostro Luca Carboni
davanti al confessore (che purtroppo è una donna) - te che non so chi sei. Perché ho bisogno del prete? Avrete pensato
mille volte in vita vostra: “Io mi confesso direttamente con Dio!”. Lo dicono
tutti, io l’ho sentito dire cinquantamila volte. Ma provaci! Provaci
soprattutto cercando un riscontro. Dio dice: “Ti ho perdonaaatoooooo…
Vai in paaaceeeeee…”? L’avete mai sentito voi? Io
mai. Invece, se io sento da un prete: “Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” – e non pensate che questa sia
un’assoluzione generale, perché è un esempio - io lo sento, sento una persona
che mi dice queste parole e questa persona rappresenta Dio, rappresenta Gesù e
rappresenta anche la Chiesa,
quella locanda dove tutti possono entrare. Allora, superate il disagio (mi vergogno di parlarne anche con te… te che
non so chi sei). Non so se ti chiami Don Tommaso, se ti chiami Don Pietro…, però una cosa so: che tu sei un prete e che Gesù ha
posto nelle tue mani la possibilità che la mia piaga, il mio vuoto divenga un
lago, che il mio punto di debolezza possa diventare un punto di attrazione
turistica, che quello che sento demolito in me possa essere ricostruito.
Allora, noi abbiamo bisogno di questo “te che non so chi sei” perché abbiamo
bisogno della certezza. Quando mi confesso con Dio il “Ti ho perdonatooooo” non lo sentite mai;
invece, devo sentire con le mie orecchie che uno mi dica “ti perdono” e questa
persona rappresenta Gesù e rappresenta anche la Chiesa che io ho depauperato,
che ho svilito con i miei errori. La Confessione è la possibilità di cambiare che ci viene data sempre; anche se per una vita intera dovessimo
fare sempre gli stessi errori, vado e dico: “Voglio cambiare”. Stasera vorrei
che utilizzaste questa parola, poi potete dire anche altro (spero di sì), ma l’importante è dire davanti al sacerdote (te che non so chi sei): “Voglio
cambiare”. Questa è la parola d’ordine, questa è la parola che Gesù desidera
sentire da voi, perché se uno non vuol guarire, non ci sono medicine che
tengano, perché c’è bisogno della volontà. Allora nessuno di voi sia rassegnato
rispetto al proprio male, rispetto al proprio vissuto, rispetto alle
negatività, rispetto ai briganti che ci hanno afferrati, malmenati e derubati,
nessuno di voi sia rassegnato, ma davanti al sacerdote mi metto in ginocchio e
dico: “Voglio cambiare”. Questa è già una confessione, perché – ricordatevelo!
- il fatto che voi veniate, basterebbe. Poi se dite qualcosa, va bene anche per
voi, ma per Gesù basta che voi vi presentiate. Certo, uno non va dal medico per
dire: “Vorrei andare a fare un viaggio in Turchia”. No, quella è l’agenzia
turistica; uno va dal medico perché vuole guarire. Quindi se un giovane viene
da te a confessarsi, significa che vuole cambiare. Cosa vuoi dire? “Voglio
cambiare, non sono rassegnato ai miei errori”. Ecco, stasera mi premeva di
comunicarvi questo messaggio, altrimenti la nostra Quaresima si sfalda: a metà
siamo già disorientati e fuori rotta. Vivere è
cambiare e questo riguarda la persona, la coppia, la famiglia, la parrocchia, la Diocesi. La mattina mi
chiedo da Vescovo, ascoltando i merli (mi alzo presto per ascoltarli e mi
mettono una gioia che non potete immaginare!): “Io e la mia Diocesi vogliamo
cambiare oggi?”. Fate questa cura: alzatevi alle sei e troverete forza per
affrontare la giornata! Ve la danno i merli, i merli che cantano, che fischiano
come se avessero dei flauti meravigliosi… La mattina io mi alzo e mi dico: Ma
io e la mia Diocesi vogliamo cambiare o no? La gente dice: Il Vescovo è sempre quello! E io dico: Non ci sta niente da fare! Contro questo atteggiamento va il
messaggio di stasera: Vivere è cambiare.
Ci
teniamo per mano e diciamo insieme: Padre
nostro…
Alcuni
avvisi prima della Benedizione. Domani, a Sparanise, c’è il musical “Forza,
venite gente!” organizzato dagli Scout: siete invitati. Il prossimo incontro
l’avete già segnato sul foglietto. Invece, il 21 Marzo, abbiamo pensato a un
modo meraviglioso per inaugurare la primavera ed è avere la prima nazionale -
ve l’ho già annunziato, forse, qualche mese fa - della realizzazione teatrale
del “Diario di un curato di campagna” che si intitola “Confessione di un
curato” alle ore 19:30. Al prossimo
incontro “In punta di piedi” saranno disponibili anche i biglietti
accessibilissimi (state tranquilli: non sarete svenati): è un piccolo
contributo, ma vale la pena sentire la gioia che la nostra Diocesi, in qualche
maniera, con l’aiuto, ovviamente, degli attori, partorisce una cosa che
certamente avrà rilevanza nazionale per le Diocesi d’Italia. Questa cosa
è nata a Teano (abbiamo fatto anche un piccolo laboratorio
prima di Natale) e la prima nazionale avviene qui. Mettete una bella
cravatta, venite tutti eleganti, le signore in abito lungo… a dire:
solennizziamo la cosa. Se alla prima della Scala, uno va in smoking, alla prima
all’Auditorium Diocesano almeno metterò un foulard particolarmente sgargiante.
Ma per questo c’è bisogno di questo piccolo pass: agli adulti sarà offerta già
la possibilità di averli al prossimo “In punta di piedi”, altrimenti vi
rivolgete a Don Liberato e a quelli della Pastorale Giovanile. È un buon modo
per cominciare la primavera.
Benedizione
del Vescovo
Canto:
Miserere (M. Frisina)
***
Il testo, tratto direttamente
dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.