Preghiera-Giovani
guidata da
S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
“Il coraggio della deriva”
Roccaromana, 23 luglio 2010
~
Canto:
Vieni, vieni Spirito di Cristo
Nel nome del Padre…
Invochiamo
– e continueremo a farlo – lo Spirito Santo, perché è impossibile respirare
senza di Lui. Il respiro della vita spirituale si chiama “preghiera”;
nonostante tutti gli sforzi che possiamo mettere, mentali o anche psichici,
senza lo Spirito tutto è vuoto, le parole non hanno significato, non siamo
toccati, nulla accade. Vieni, o Spirito,
dai quattro venti e soffia su chi non ha vita e a volte, d’estate, siamo
così, un po’ sfatti, perché fa caldo, perché ci manca quel nerbo che d’inverno, quando si lavora, quando si
studia dà una compattezza alla nostra vita. Ebbene,
stasera lo Spirito viene a far rivivere, a far respirare la nostra anima, la
nostra vita. Lo invochiamo adesso anche come Spirito di preghiera – Insegnaci a pregare, insegnaci a sperare,
insegnaci la via dell’unità – e qui, prima che la via dell’unità tra noi, è
dell’unità interiore, perché siamo un po’ da ogni parte: hai lasciato un po’ di
te in piscina, un po’ di te al mare, un po’ di te nelle questioni, nelle
tensioni familiari e, allora, lo Spirito che unifica è lo Spirito che rimette
armonia dentro di me.
Insegnaci a sperare…
Vieni, vieni, Spirito d’amore…
***
Ci
sono ancora le cicale e questa è l’ora in cui c’è un cambio di guardia; magari
non proprio ora, ma dopo il tramonto, le cicale si ritirano e vengono i grilli.
Siamo invitati a cantare anche noi (anche se la cicala, purtroppo, dalla fiaba
antica ci è presentata come una che canta ma non
produce), cioè cantare la vita, cantare a Dio che ci ha donato questa giornata;
magari ci siamo lamentati per il caldo e non ci siamo accorti che anche questa
era una giornata della nostra vita, un’opportunità d’incontro, di svago sano,
di riposo, per quelli fra voi che sono in ferie. Chiediamo di poter cantare, di
giorno come le cicale e di notte come i grilli.
Prima
di passare al brano, vorrei intrigarvi (spero lo abbia già fatto da sé il
titolo) con questo “coraggio della deriva”. Cosa significa “coraggio della
deriva”, dal momento che “deriva” ha, nell’accezione della nostra lingua, una
connotazione negativa? Un uomo alla deriva, un comune alla deriva, una diocesi
alla deriva, una parrocchia alla deriva, una coppia alla deriva è una coppia,
una parrocchia, una diocesi, una persona, una famiglia, un comune che sta
precipitando, che non ha più una direzione, che manca di una progettualità.
Invece il titolo del nostro incontro è “Il coraggio della deriva”: forse c’è
una deriva positiva? Forse “deriva” non ha solo una connotazione negativa? Lo
vedremo nel corso della puntata.
Dal Vangelo secondo Matteo (28, 16-20)
16 Gli undici discepoli,
intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. 17 Quando
lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. 18 E
Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
19 Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando
loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo».
***
I
sacerdoti, i diaconi, i seminaristi presenti, studenti di Teologia, sanno che
questa è la conclusione del Vangelo di Matteo, quindi un gran finale, per così
dire. Ma c’è anche una consegna. Il brano parte molto sottovoce, dicendo che i
discepoli si riuniscono su un monte dove Gesù ha dato loro appuntamento, come
ha dato appuntamento a noi stasera qui, a Roccaromana, e molti si prostrano
davanti a Lui, ma alcuni dubitavano.
Parto
da questo inciso: “alcuni dubitavano”.
Ma
questo “dubitare” è proprio un errore? È proprio un incidente di percorso? È
proprio negativo il fatto che, alla conclusione del Vangelo, quando tutti
dovrebbero essere allineati, coperti, belli, aureolati, pronti, scattanti per
la missione, Matteo dice: “Ma alcuni dubitavano”? Chi erano? I discepoli!
Allora, anche quelli fra noi che dubitano fanno parte della comunità. La
comunità cristiana è una comunità che crede ma,
paradossalmente, è anche una comunità che dubita, non perché il dubbio debba
essere metodico, come dicono alcuni filosofi, ma perché il credere è l’adesione
a un mistero che ci avvolge, che è così bello, è così grande, che ci diciamo:
Ma è possibile che sia così per me e tutto per me? Ecco il dubbio. Il dubbio
non è solo sulle verità.
Il
dubbio fa parte della mia vita di uomo e di credente. E come si fa ad andare avanti quando si dubita? Dice il testo: “alcuni
però dubitavano”. Può darsi che oggi, venerdì, sia il giorno in cui dubita il
Vescovo, domani il giorno in cui dubita Carmen, dopodomani il giorno in cui
dubita Andrea: ognuno di noi ha il suo giorno di dubbio.
Non
so se vi sembra banale quello che vi sto dicendo. Voglio dire che ci sono
momenti in cui la nostra fede vola e momenti in cui è rasoterra.
Chiedetevi: stasera la mia fede vola o è rasoterra?
Anche se è rasoterra o addirittura sottoterra, tu hai diritto a stare qui, perché la
comunità dei discepoli è una comunità credente, è una comunità dubitante.
Quelli che dubitano stimolano quelli che credono e quelli che credono
sostengono quelli che dubitano. Tra l’altro – e chiudo questo primo momento –
in ognuno di noi c’è uno che dubita e uno che crede; una parte di me in questo
momento sta dubitando e una parte sta credendo. Anche in me c’è questo scontro,
non solo nella comunità cristiana, e quindi Gesù parla a me credente, ma parla
anche a me ateo, a me agnostico, a me scettico, a me che dico: “Bello questo
posto! Potevamo organizzare una festa danzante!”. Ecco, potrebbe essere,
questo, un pensiero blasfemo (Ma che sto
pensando? Stiamo facendo una preghiera!). No, anche questo pensiero ha
cittadinanza: è quella parte di te che dubita.
A
questi discepoli, in parte certi, in parte rosi e sconvolti dal dubbio, Gesù fa
le consegne: “Andate, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Poi aggiunge una parola che per noi
stasera ha grande significato: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla
fine del mondo”. Li manda, ma non li manda da soli. Magari sono venuto alla
Preghiera, stasera, preso da tante motivazioni e Gesù mi dice: “Sto qui. Sono
con voi tutti i giorni”. Dunque anche questa giornata è abitata da Lui, anche
questo luogo, anche questo momento, ed è con loro quando
– in altra parte del Vangelo si dice – sono almeno due. Venendo, ho detto a Don
Enzo: “Sei stato troppo ottimista mettendo su duecento sedie!”. Adesso non è
importante essere in duecento: l’importante è essere almeno in due.
“Ecco,
io sono con voi”; non dice: “Io sono con te”. Gesù può non essere neanche con
me, se io sono da solo: sono Arturo, uno che vorrebbe credere. Voi dite: “Ma tu
sei il Vescovo!”. Dimenticate per un attimo che sono il vostro Vescovo. Arturo
da solo, come Angelo da solo, come Raffaele da solo non ha questa certezza
della Sua presenza. Invece, appena ci mettiamo in due, scatta questo miracolo,
tanto più poi quando si è in quattro, in sei, in
dodici, in ventiquattro, in trentasei, ecc. Siamo più di due: Lui c’è.
Allora
– vi consegno questa foto per collegarla al tema della deriva – immaginate i
discepoli che si mettono in cammino utilizzando i mezzi di trasporto
dell’epoca; c’è anche Paolo che salpa da un luogo all’altro per annunciare il
Vangelo, dunque c’è una nave (è l’immagine che avete anche qui sul foglietto),
c’è un veliero dove ci sono almeno due discepoli che hanno un compito da svolgere.
Come andrà questa nave? Ha la direzione giusta? Naufragherà? Colerà a picco? Si
incaglierà negli scogli? Avrà il vento in poppa o il vento contrario?
Questa
nave siamo noi, questa nave è la nostra Chiesa, la nostra piccola Chiesa che ha
però tutto il diritto d’essere Chiesa. E potreste chiedermi, ma non ve lo dico:
Stiamo navigando in acque tranquille o in acque burrascose? Il Vescovo è su
quel canestrello in cima all’albero più alto della
nave e vede meglio. L’importante è che ci sia una nave che va.
Stasera ci siamo imbarcati in questa avventura a
Roccaromana come cristiani che credono, che dubitano, che navigano, che
vogliono raccogliere questo mandato del Maestro: Andate, non vi fate troppi problemi: cosa dire, come vestirvi, che
lingua usare… Andate!
Vi
pongo qualche domanda perché possa iniziare una piccola meditazione personale:
sto camminando? sto andando? sto
andando con altri o da solo? sono uno che sente d’aver
bisogno di radicarsi ai fratelli o sono un navigatore solitario? sto andando alla deriva nel senso negativo del termine?
In
una parola potrei dirvi: qual è il tuo “punto nave”?
Voi
non siete esperti di navigazione, ma il “punto nave”
è quello che si ottiene attraverso alcuni calcoli, prendendo di mira una stella,
per sapere dove siamo sulle carte nautiche; quello è il punto nave (una volta
si faceva col sestante, un attrezzo che adesso
non si usa più perché è tutto computerizzato) per capire: stiamo seguendo la rotta
giusta o ci siamo persi?
Qual
è il tuo punto nave? Dove ti trovi? A quale punto della tua vita ti trovi? Sei
per caso alla deriva?
***
Avete
sentito che le cicale, sentendosi chiamare per nome, si sono messe d’impegno,
hanno svegliato anche quelle che erano già andate a letto e le hanno fatte
vestire di tutto punto per offrirci questo meraviglioso concerto. Adesso,
cicale, mi dispiace, abbassate un tantino il volume perché c’è Francesco De
Gregori che ha da dirci qualcosa.
Deriva
(F. De Gregori)
Così gentile e inafferrabile padrona e
schiava della verità
impermeabile alla volgarità, che non saluta quando se
ne va.
E ancora vado alla deriva e ancora canto
dovunque io sarò, dovunque lei sarà, sarà al mio fianco
dalle colline d'Africa fino alla polvere delle città
potrà pensarmi quando capita, potrò sognarla dove
sarà.
E ancora vado alla deriva e ancora canto
dovunque io sarò, dovunque lei sarà, sarà al mio fianco
e se avrò freddo mi scalderà e nel deserto mi confesserà
e nel deserto sarò acqua per lei, acqua che canta.
E ancora vado alla deriva e ancora canto
dovunque io sarò, dovunque lei sarà, sarà al mio fianco
per ogni strada che prenderà e perderà ogni volta
per ogni volta che tornerà, starò alla porta.
E ancora vado alla deriva e ancora canto
dovunque io sarò, dovunque sarà, sarò al suo fianco.
Questa
è una canzone che immediatamente non affascina i giovani, perché è molto soft, è sussurrata e soprattutto non
chiaro il soggetto. Di chi parla Francesco De Gregori in questa canzone? Non
certamente di una donna, come avrete pensato. Molti di voi avran
pensato: sarà una donna, l’amata del momento e, quindi, dovunque io sarò, dovunque lei sarà, sarà al
mio fianco, magari con una marcia nuziale (che non va più di moda, come
sapete). Invece no, originariamente (come sempre entriamo nei testi dei
cantautori, li scompaginiamo) è un testo sulla ispirazione musicale. Quindi
dedico questa preghiera di stasera ai poeti, ai musicisti presenti, a Giovanni
Panozzo in particolare che ci allieta e che è venuto a condividere con noi
questo momento dal nord.
Questo
è un testo sull’ispirazione, nel caso nostro del cantautore che sente d’essere
visitato da questa donna che è l’ispirazione. Non sempre si è ispirati, non si
è ispirati a gettoni: Voglio scrivere una
poesia! Voglio comporre! No, l’ispirazione viene a cercarti, non sei tu a
cercarla: ti sorprende, ti abbraccia, ti fa mancare il fiato, ti fa battere il
cuore. Allora questo è il senso originario del testo, molto bello.
Così gentile e inafferrabile, padrona e
schiava della verità / impermeabile alla volgarità, che non saluta
quando se ne va. Non so, ad un certo punto mi sento solo, senza
l’ispirazione: se n’è andata, è scomparsa, devo aspettarla, devo aspettare un
altro καιρός (kairos), un
altro momento di grazia. Il cantautore, che sapete non essere più giovanissimo, dai tempi di Alice della nostra
giovinezza, dice: “E ancora canto mentre vado alla deriva” sostenuto da questa
presenza, perché dovunque io sarò,
dovunque lei sarà, sarà al mio fianco. C’è una sorta di matrimonio tra il
poeta e la poesia, tra il musicista e la musica, tra l’annunciatore e il
Vangelo, una sorta di “andiamo insieme”, “mi accompagna”. Era con me quand’ero
giovane e adesso che ho settant’anni è ancora al mio
fianco.
Dalle colline d'Africa fino alla polvere
delle città / potrà pensarmi quando capita, potrò
sognarla dove sarà, cioè anche quando
siamo lontani, in qualche maniera c’è un ponte tra noi.
E se avrò freddo mi scalderà e nel
deserto mi confesserà / e nel deserto sarò acqua per lei, acqua che canta. È una sorta di dichiarazione d’amore all’ispirazione,
ripeto, di qualsiasi tipo essa sia. Per ogni volta che tornerà, starò alla
porta, perché appena bussa… È lei!
Vado ad aprire: è l’ispirazione! È questo motivo che mi frulla in mente e che
adesso voglio mettere sulla tastiera, a cui voglio
dare voce.
Ovviamente
non è dell’ispirazione che voglio parlarvi.
Questo
testo mi ha colpito nel 2001, posso anche dirvi dove ma vi porterei lontano a
condividere un ricordo, ma certamente ebbi la percezione che cominciava
un’altra stagione della mia vita. Poi l’ho riesumata nel 2006 proprio per voi
(non c’eravamo ancora visti perché era prima della mia Ordinazione Episcopale);
feci sentire questo testo nel mese di giugno prima del
tremendo 30 giugno, per dire: Vedete, questa è
Prima
vi ho detto: allora anche il Vescovo è solo? Adesso devo dirvi che il Vescovo
non è mai solo. Ora, dire “il Vescovo è
Ma
ovviamente non è del Vescovo che volevo parlarvi, ma della deriva, perché questo
testo è meraviglioso: dice di un uomo che, preso da questa ispirazione, non
decide più nulla da sé, ma si lascia andare. Questa è la deriva: si lascia
andare.
Guardate
un attimo l’immagine che è sulla copertina così ci aiuta (il bravo Don Liberato
tira sempre fuori dal computer qualcosa che può
servirci). Questa è una nave, un piccolo anticipo del Campo per quei pochi fra
voi presenti che verranno. La vita, come una barca a vela, ha due punti
essenziali: il timone e la vela.
L’ho
detto con due tonalità diverse di voce, perché se io vi avessi interrogato – Secondo
te, qual è la parte più importante, decisiva di una nave? – avreste detto: Il
timone! Ma non è così, perché solo con il timone – utilissimo! – non si muove
niente. Il timone, sia che abbiate l’idea di quello
che gira come una sorta di manubrio, sia quello più normale, è un attrezzo che
si muove per dare direzione alla nave, ma se non c’è il vento, se non ci sono
le vele, posso fare tutti i movimenti: resto dove sono. Cosa voglio dire fuori
metafora? Voglio dire che la cosa più importante di una vita cos’è?
L’intelligenza. Qualcuno potrebbe dire: la cosa più importante della vita è la
passione.
L’intelligenza
è il timone, la mente: dove devo andare? cosa devo
fare? come arrivarci prima? come
non restare incagliato in questi scogli, in questo banco
di sabbia? come giungere al porto giusto seguendo le
stelle, seguendo la rotta, seguendo il punto nave? Tutto questo lo fa
l’intelligenza, la mente. I giovani avrebbero bisogno di qualche timone in più,
perché sono tutta vela, tutta passione, tutto desiderio, ma gli adulti
avrebbero bisogno di qualche vela in più – meglio – di un po’ di vento in più.
Allora – e chiudo questa piccola dissertazione su come dirigere al meglio una
vita – io ho bisogno dell’intelligenza per avere chiara la meta e come
raggiungerla, ma io ho bisogno anche della passionalità per la spinta che muove
la nave e la porta laddove l’intelligenza ha scoperto d’essere il porto
migliore. Una vita solo mentale, solo razionale, come alcuni la vivono è
terribile, fredda, gelida, immobile soprattutto! Una
vita solo passionale è girare in tondo, una nave che va di qua, di là e non si
sa bene dove vada, perché cambiano i venti, le vele
sono gonfie e questo è un bellissimo simbolo di cose a cui state pensando. Le
vele sono gonfie, ma per dove? per quale meta? per quale porto? per quale
trasporto? per quale finalità? per
quale rotta?
Ecco,
mi fermo qui, dopo andiamo alla deriva.
La
vita è rotta (mente), la vita è vela (passione).
Vivo
queste due dimensioni armonizzandole? Sono una persona matura.
Vivo
una ipersensibilità passionale e una inattività
mentale? Sciuperò i miei giorni.
Sono
un ingegnere che scrive formule continuamente, che non si innamora mai? Sono un
fallito, una statua di ghiaccio, un monumento. Non sono una persona.
Il
timone e la vela debbono andare insieme. Il timone dice: Vela, gonfiati! E la
vela dice al timone o dovrebbe dire al timone: Dirigimi!
Ecco,
così una vita è bella, così una vita è matura. Chiedetevi: oggi ho lavorato di
timone o di vela?
Deriva (F. De
Gregori)
***
Per ogni strada che prenderà e perderà
ogni volta: un verso che mi
affascina, che può essere inteso in due modi. L’ispirazione prende una strada e
poi la perde, perché il sogno che l’ispirazione contiene non potrà mai trovare
una realizzazione in un verso o in un accordo o in un motivo o in una statua o
in una danza. Ma possiamo anche intendere questo verso – per ogni strada che prenderà e perderà ogni volta – nel senso che
l’ispirazione è perdente, è una vocazione perdente e non solo perché la poesia
è arte e ogni arte è gratuita
(non si guadagna con l’arte, non ci si guadagna, si perde, si è
perdenti: se vuoi guadagnare, non devi fare l’artista).
Per ogni strada che prenderà e perderà
ogni volta / per ogni volta che tornerà, starò alla porta. C’è anche un modo d’essere perdenti
che è andare alla deriva. E qui vengo al messaggio centrale che tenevo a
consegnarvi stasera. “Deriva”, ovviamente, è un termine prettamente nautico.
Quand’è che una nave è alla deriva? È alla deriva quando
si è rotta tutta la strumentazione di bordo e quindi, nel caso del veliero, le
vele sono state lacerate e il timone è inservibile. Ma è alla deriva anche, in
termine proprio di diritto del mare, quando l’equipaggio ha abbandonato la
nave: quella è una nave alla deriva. Se vedete una nave alla deriva, saliteci
su e diventate armatori, istantaneamente, nel senso che il diritto del mare
prevede che una nave dove non ci sia nessuno, neanche un mozzo a mantenere la
proprietà, è una nave che appartiene al primo che la vede e vi sale su. Questa
è nave alla deriva, proprio in senso più tecnico.
Allora,
vi ho parlato di una vita che ha bisogno del timone (l’intelligenza), di una
vita che utilizza la passionalità per muoversi, ma adesso vi parlo di una
stagione della vita in cui si va alla deriva e questa non riguarda (per fortuna
siete pochi) la vostra condizione giovanile dove avete un bel timone, una
meravigliosa vela spiegata (e quindi pensate: Adesso arriverò, farò, diventerò!), ma noi, a partire da me, ma anche altri fra voi, ci ritroviamo tra
quelli che sono alla deriva. Vi sembrerà una confessione di povertà. In realtà
è una confessione di maturità. Cosa significa essere alla deriva? Significa che non vedo più chiaro come quand’ero giovane; significa
che altri decidono per me; significa, per voi che siete sposati, che decidono i
vostri figli. Michela e Andrea che sono qui e stanno facendo gli ultimi
preparativi per il loro Matrimonio, pensano: Adesso abbiamo una bella casa a Caianello, faremo un bel viaggio, al
nostro Matrimonio verranno tanti amici dell’AC e avremo due figli! tre figli! un figlio! dieci figli! Hanno uno studio (faccio un po’ di reclame, uno spot pubblicitario fa
sempre bene), entrambi avvocati hanno uno studio consociato,
per così dire… Non sono proprio alle prime armi, ma hanno bisogno di navigare,
avrebbero bisogno anche, possibilmente, non di crisi matrimoniali, ma di altre
vertenze. Voglio dire che loro due pensano: Adesso
ci sposiamo! Vele al vento! Michela in cucina! Andrea al timone! E poi tutto il
nostro amore che soffia… Sarà così? Spero di non deludervi: diventerete una
coppia, diventerete grandi, sarete maturi, forse tra vent’anni, trenta, quando
non avrete più neanche uno spazio per voi, quando non deciderete più nulla.
Adesso gli infissi (verdi, bianchi…), i mobili (alla fiera!, di qua!, di là!)… Quante cose
state scegliendo? È la vostra stagione, spero che la viviate con intensità, ma
verrà un tempo in cui non potrete più scegliere nulla. Sceglieranno i vostri
figli, sceglieranno gli altri, sceglierà la vita e direte: Ma allora ho fallito! Sono una nave alla deriva…
Tanti
di noi sono alla deriva. Se stasera scoprite che basta cantare, andando alla
deriva, sarete felici anche d’essere alla deriva, perché la deriva è la vera
maturità. Niente timone, niente vele, niente programmi, niente punto nave: tutto
sconvolto! Dopo tante tempeste, dopo tanti inconvenienti, mi ritrovo e dico: Mah… Sono un fallito… Forse lo pensava
anche Francesco De Gregori, scrivendo questo testo (E ancora vado alla deriva…), ma la sua forza è “ancora canto”, cioè non sono
rassegnato, non sono uno che va alla deriva disperato, ma sono uno che va alla
deriva cantando.
Stamattina
facevo una battuta che avrà certamente colto Liberato.
Qualcuno ha detto: “Ah! Il Vescovo è contento: sta cantando!”. Ed io ho detto:
“Guarda, mia mamma cantava quando stava nervosa”. Quando
sentivo che mia mamma cantava, era cattivo tempo,
sicuramente era successo qualcosa. Si può andare alla deriva cantando, cioè
dicendo: ma forse quello che io ritengo essere un fallimento è una vittoria,
anche il fatto che non decido più niente, ma decidono tutto
gli altri… Voi giovani forse vi siete persi perché pensate: No, è
assurdo quello che sta dicendo il Vescovo! Ma se c’è qualche anziano, qualche
adulto che mi sta seguendo, potrà sentirsi fotografato: ma sta parlando a me?
Io non decido più nulla.
Ecco,
finalmente sei alla deriva, cioè la tua vita non è più nelle tue mani, non sei
più tu l’artefice del tuo destino, come dicevano gli antichi, non sei più tu il
fabbro del tuo destino, la tua vita non è più tua. Sei una nave alla deriva;
chiunque sale su e dice: Sono il
capitano! E ha ragione, ha ragione!, perché quella
è una nave alla deriva. Sale sulla tolda e
afferma la proprietà (è la mia vita!)
ed io lo lascio fare, perché sto andando alla deriva.
Magari starete pensando: Sta farneticando… Ma questa è
la maturità cristiana, perché qualcuno si starà chiedendo: che c’entra il brano
che abbiamo letto, di Gesù che dice ai Dodici: “Andate, ammaestrate tutte le
genti battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ecco,
io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”?
Dovunque io sarò,
dovunque lei sarà, sarà al mio fianco.
È questa Chiesa alla deriva, questa Chiesa che sembra morire, questa Chiesa o
questa coppia o questo Vescovo o questo prete o questo giovane o questo marito
o questa moglie che stasera scoprono d’essere falliti (Abbiamo sbagliato… Forse ho sbagliato tutto…). Se cantano, se
canto, se cantate, se cantiamo, allora è bello, anzi, è la vita, così come neanche
un giovane, neanche tuo figlio giovane può viverla, perché è ancora troppo
preso dalla vela gonfia, è ancora troppo preso dalla mano sul timone per
decidere lui (Questa è la mia nave,
questa è la mia vita: ne faccio quello che voglio io! A destra! A sinistra! A
levante! A ponente! A dieci gradi a poppa!). Molti di noi questa stagione
l’hanno già vissuta e, almeno per quanto mi riguarda, oggi senza nostalgia.
Spero che voi adulti non abbiate nostalgia di quando
eravate giovani: sarebbe una cosa terribile! Io non voglio tornare indietro
manco di un minuto! Mi bastano tutti i guai che ho attraversato!
Questa
vita fallita, perché pensavi che un Vescovo decidesse tutto e scopri che non
decide niente, che un padre fosse il capo della famiglia e invece è l’ultimo ad
essere consultato, che una moglie, un marito, che un sindaco (c’è qui anche il
sindaco di Roccaromana, abbiamo tutte le autorità possibili presenti), pensavi…
e invece no, scopri che non è così. È stato un inganno? Qualcuno mi ha
ingannato? No, è questa la maturità: la maturità è smettere di issare le vele,
di aspettare i venti, di dirigerli, abbandonare anche il timore e lasciarsi
andare alla deriva dell’amore, della fede, del Ministero, della Parola di Dio.
Allora,
questi discepoli che sono mandati, vanno alla deriva: Pietro, Giacomo,
Giovanni, Andrea, Filippo, Bartolomeo… Undici navi alla deriva.
So
di avervi messo un peso sul cuore, ma è una cosa bellissima. Io spero che
alcuni di voi, soprattutto adulti, se ne vadano a casa cantando, perché scoprono
che non sono falliti; attraverso le povere parole del Vescovo, stasera,
scoprono che sono sulla buona strada, perché la maturità è deriva.
***
Padre
nostro…
Ti ringraziamo, Signore, per questa sera dolce,
per la scoperta
di un Vangelo che va per le strade,
nella
bocca, nel cuore, nelle mani dei credenti.
Grazie per queste barche che salpano continuamente.
Grazie per la barca che salperà lunedì, per il
Campo-Scuola,
per la
barca del secondo Campo, quello di Campitello.
Grazie per queste ciurme che ancora sognano
e grazie
perché qualcuno di noi ha scoperto di poter essere felice
espropriato
completamente della propria libertà.
Alla prossima deriva aiutaci a cantare.
Per Cristo, nostro Signore. Amen.
Benedizione
del Vescovo
Canto
finale: Resta qui con noi
***
Ringraziamo
il parroco e la comunità di Roccaromana – c’è anche il sindaco – per
l’ospitalità. Tra l’altro, hanno voluto anche preparare un panino e un po’
d’acqua che fa sempre bene al cuore, dice l’autore de “Il Piccolo Principe”.
Grazie a tutti. Grazie anche a Giovanni che ha jazzato questa
nostra preghiera. Siamo tutti un dono e quando ci mettiamo insieme facciamo una
miscela esplosiva. Buona deriva!
***
Il testo, tratto direttamente dalla
registrazione, non è stato rivisto dall’autore.