Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“Naviganti”

 

Teano, 18 novembre 2010

 

Chiesa Cattedrale

~

 

Canto iniziale: Vocazione

 

Nel nome del Padre…

 

Comincia per noi una grande notte: è la notte prima degli appuntamenti importanti. Questo non vale solo per i quattro ordinandi, ma per tutti noi: spero che abbiate il batticuore anche voi; spero che tanti, anche quelli che non hanno potuto partecipare a causa di piogge, frane, nubifragi, avvertano nell’aria qualcosa di nuovo (C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria, anzi d’antico).

Domani cambia l’assetto della nostra Chiesa; dirò di più: cambia l’assetto della Chiesa, perché per il principio dei vasi comunicanti, un cambiamento in una Chiesa Diocesana diventa un cambiamento e ricchezza per tutta la Chiesa. Quindi, anche se i riflettori saranno puntati qui, sulla nostra Cattedrale, sui quattro diaconi, ordinandi presbiteri, in realtà si impasta, si muove qualcosa per il bene di tutta la Chiesa. Questo avviene qui, da noi, nel nostro piccolo: nelle realtà piccole si preparano cose grandi.

Questa sera vogliamo accordare i nostri cuori, vogliamo renderci conto di più di cosa ci sta capitando di bello, di cosa fa Gesù quando entra nella vita di una persona, come cambia la storia, la geografia, come cambia i connotati, le direzioni, come ancora oggi, come duemila anni fa, Gesù passi e, come abbiamo cantato, sembra un giorno qualsiasi (Era un’alba triste e senza vita… Era un giorno come tanti altri… Era un uomo come tanti altri, ma la voce, quella no). La parte più bella del canto è: Quante volte un uomo con il nome giusto mi ha chiamato. Tanti ci chiamano, tanti pronunciano il nostro nome, ma qualche volta succede che lo sentiamo dire con una tonalità che ci fa sussultare. Questo è accaduto, nel mistero, tanti anni fa, nella vita di Mirko, di Stefano, di Angelo, di Antonio. Domani quella voce sarà sigillata dal Sacramento dell’Ordine e diventeranno presbiteri, ma quello che accadrà domani sarà il risultato di un lungo cammino, di un momento forse nel quale neanche loro si sono resi conto che passava Qualcuno. Passa Gesù Nazareno! – dicono nel Vangelo, cercando di destare l’attenzione degli sbadati o dei ciechi. Gesù è passato nella loro vita e passa anche nella nostra.

Allora ripetiamo il ritornello: Tu, Dio, che conosci il nome mio… Tu sai come mi chiamo, e non solo per i dati anagrafici; Tu sai cosa è scritto nel mio DNA, chi devo diventare, di chi sono incinto: portami sulla strada che Tu hai scelto per me.

 

***

Grazie, Signore, per averci raccolto qui.

Grazie perché fai meraviglie nella nostra povera vita.

Grazie perché Ti interessi di noi, ci conosci, e sogni cose grandi per ciascuno.

Fa’ che i nostri piccoli sogni e bisogni possano allargarsi alle dimensioni dei Tuoi sogni per noi.

Per Cristo, nostro Signore. Amen.

 

Dal Vangelo di Luca (5, 1-11)

 

1 Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret 2 e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3 Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.

4 Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca». 5 Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6 E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. 7 Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. 8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore». 9 Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; 10 così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». 11 Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

***

 

Comincia così la storia di Simone. Di Simone o di Pietro? Voi starete pensando: di Simon Pietro, quasi che Simone sia il nome e Pietro il cognome o viceversa. In realtà comincia così la storia di Simone che diventerà Pietro, perché quando nasciamo, quando siamo bambini, adolescenti, a volte anche giovani, abbiamo un nome, nel senso che la nostra vita sembra che debba andare in una certa direzione.

Faccio il rappresentante – diceva Stefano, e gli sembrava che quello fosse l’approdo della sua vita. Forse aveva letto un testo che tutti i venditori debbono conoscere - “Il più grande venditore del mondo” - un testo nato in ambito religioso, sia pure non cattolico, ma interessantissimo. Stefano pensava che vendere scope elettriche costituisse una buona realizzazione; guadagnava anche bei soldini convincendo le signore - e ci riusciva benissimo! - bussando e proponendo i prodotti della Folletto. Mirko era Simone quando, all’estero, lavorava in un’azienda.

Comincia così la storia di Simone che diventa Pietro, di una crisalide che, ad un certo punto, fora il bozzolo e diventa una farfalla. Non è una poesia: è la storia di tanti di noi che avevano altre idee per la testa: Da grande vorrò fare… Oggi, anche a quaranta, a cinquant’anni alcuni dicono ancora: Cosa voglio fare da grande?, nel senso che si diventa vecchi senza saperlo; invece bisogna che ce lo chiediamo da ragazzi, da adolescenti, da giovani.

Cosa voleva fare da grande Simone? Voleva fare il pescatore e lo faceva: aveva una piccola azienda a conduzione familiare e sul lago di Genésaret si pescava bene, si vendeva bene. La mattina, quando approdavano le barche dei pescatori, c’erano già le signore pronte a comprare: non il pesce di San Pietro che si mangia in Terra Santa (quello verrà dopo), ma a comprare quello che Simone aveva pescato.

Moglie e figli: una vita già tutta impostata, stabilita. Ma non sempre quello che tu pensi d’essere è la tua vera identità. Questo dubbio è importante che ce lo poniamo e che io riesca a inocularvelo, perché è un dubbio salutare.

Mi sono laureato con 110 e lode, sono uno che sa tutto delle Scienze Politiche o di Ingegneria Informatica, ma quello che sto facendo è quello che devo fare? Questo interrogativo è importante nella vita: sto facendo quello che devo fare?

Quello che sto facendo è quello che ho scelto di fare io; quello che devo fare è quello che Dio ha scelto che io facessi, e non sempre, come sapete, queste due linee si incontrano. A volte non si incontrano mai ed è una cosa terribile, una grande tristezza. Vedete in giro tante persone, anche realizzate, con le targhette d’ottone lucidato fuori i loro studi, con il panfilo ormeggiato a Gaeta, con la casa in montagna, ma che hanno una tristezza negli occhi terribile. Guadagnano tanto, ma non sono felici: cosa gli manca? Cosa mancava a Simone quando andava bene la pesca? Cosa gli mancava quella mattina? Voi starete pensando: era triste; era un po’ nervoso perché non era andata bene quella notte. Ma nelle notti precedenti era andata più che bene. C’era qualcosa nell’aria...

A volte, come prima di un temporale, l’aria si fa piena di elettricità. Ci sono dei momenti in cui sentiamo che l’aria è colma di elettricità e, se tu accendi un fiammifero, esplode tutto, nel senso bello del termine: giorni nei quali sentiamo che deve succedere qualcosa e questo qualcosa, cari amici, è l’incontro. Non un incontro, ma “l’incontro”.

Noi incontriamo tanta gente, tanti amici, tante persone, ma c’è un incontro che caratterizza, che struttura, che modifica, che plasma, che colora, che dà ali alla nostra vita, ed è l’incontro con Gesù. Simone non lo conosceva e, se non si fossero incontrati, Pietro non sarebbe mai nato e avremmo avuto il primo Papa con un altro nome. Gesù avrebbe fondato la Sua Chiesa su un altro, perché capite che la Chiesa è certamente fondata su Pietro, ma non su Pietro che era Simone, ma su un uomo. Per fortuna, quella mattina, il nervosismo tenne ancora più a lungo Simone a rassettare le reti; per fortuna, quella mattina, una porta in faccia fece tornare a casa Stefano – sto immaginando, “fantasiando”, come si dice in napoletano – senza Folletto. Oppure Mirko: Non sono riuscito a stabilire un buon rapporto con questo gruppo che devo immettere nella società… Oppure Antonio: È andato male il raccolto… (Ma va sempre bene ad Antonio, purtroppo… Il Vescovo invoca qualche maledizione sui suoi campi, ma finora non ci è ancora riuscito). Angelo, studente in Ingegneria: una vita normale, ma cos’è che non va?

Qualche volta non sono le cose che non vanno, ma sei tu che non vai; non sono le amicizie, gli incontri, la professione, la realizzazione, ma sei tu che non vai. E perché non vai? Perché non sei, perché sei ancora Simone, non sei ancora Pietro, cioè non sei diventato quello che Gesù vuole che tu sia. Adesso anche la cosa più semplice, anche la dimensione più feriale che Egli possa volere per me, sarà la mia grande felicità. Sappiatelo bene: il Vescovo non vuole che tutti entrino in convento, che tutti vadano in seminario: finirebbe il mondo. Se io debbo sposarmi, allora il Matrimonio sarà la mia gioia; anche il lavoro più umile, se rientra nella Sua volontà, mi realizzerà pienamente, altrimenti anche la professione più prestigiosa sarà con un gusto retro-amaro, come tante volte avete sperimentato.

Come avete ascoltato, pian piano Gesù entra nella vita di Simone, come pian piano è entrato nella vita di questi giovani che domani saranno ordinati. Gesù non entra mai dicendo: Fermi tutti! Entra in punta di piedi. Noi a Napoli diciamo che entra di fianco e poi si sistema; entra di sbieco e poi dice: Qui il padrone sono io. Entra chiedendo: Vuoi venire agli Esercizi?

Vuoi darmi una mano – dice il parroco – a fare l’educatore di questi quattro scalmanati? Vuoi suonare la chitarra a Visciano? Vuoi cantare? Piccole cose: si comincia così. Poi, pian piano, Gesù si sistema e, da uno che chiede, è uno che si afferma, perché quando ha terminato la sua predica dal primo pulpito della storia, che è la barca sgangherata di Simone, Gesù gli dice: “Prendi il largo”. Comanda, diventa il Signore, è uno che dà una dritta, uno che segna sulla mappa un percorso, e Simone, che non è ancora Pietro, dice: “Signore, abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”.

 

Mi fermo qui, perché forse nel cuore di alcuni di voi o di tanti di voi ci sono delle delusioni, ci sono delle cose che non vanno, dipendenti dagli altri, dal cattivo tempo o da noi: Ho fallito… È andata male… Sto vivendo una crisi… Non mi intendo più con la mia ragazza… È andato male un esame… Ecco un ventaglio di possibilità per dire: c’è qualcosa che non va. A volte nel “qualcosa che non va” Dio si nasconde, Dio ti chiama, Dio ti provoca, a dire: c’è di più. Era il motto dell’incontro che l’AC ha fatto a Roma, insieme col Papa Benedetto: “C’è di più”. C’è di più di quello che fai; c’è di più di quello che vedi; c’è di più di quello che si fa la sera, presi dalla noia, da parte dei ragazzi; c’è di più rispetto al tuo piccolo progetto borghese, si sarebbe detto negli anni Sessanta e Settanta; c’è di più rispetto al tuo progettino. C’è di più.

Vuoi vedere che Gesù si nasconde dietro la mia sofferenza? Vuoi vedere che mi sta chiamando attraverso queste reti vuote che tiro a bordo? Vuoi vedere che in questo fallimento non c’è una disgrazia, ma una grazia? Vuoi vedere che nel fatto che le cose non vanno più tanto bene nella mia vita si nasconde una traccia di infinito? Può esserci l’infinito dietro un fallimento? Sì, ci dice il brano che abbiamo ascoltato.

Pensateci un attimo. Pensa ad un fallimento, ad una cosa andata male ultimamente, a una battuta d’arresto nella tua professione, nel tuo studio, nei tuoi esami, e chiediti: ma è veramente solo colpa mia o c’è di più? Forse c’è di più.

***

 

Le sentite le onde del mare? Queste sono onde… È una cosa bellissima vedere le onde che arrivano sulla spiaggia o guardarle da una barca, e non lo dico perché sono un tifoso del mare... Vanno da qualche parte queste onde? Hanno un senso? C’è un vento?

Il titolo della nostra Preghiera questa sera è “Naviganti”, perché siamo tutti naviganti, anche quelli fra voi che non sanno nuotare e che pensano che il mare sia pericoloso. “Naviganti” è ciò che Simone, Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo e gli altri diventeranno; “Naviganti” è anche il titolo, anche se laico, della celebrazione di domani: è come se io, a nome della Chiesa, dessi a questi quattro ordinandi la possibilità di essere capitani di lungo corso, cioè di poter guidare una nave, di poter navigare. Starete pensando che Simone già navigava; ma in brutte acque: adesso deve prendere il largo, deve commutare la sua perizia di nauta verso una nuova dimensione… Deve diventare navigante del Regno di Dio.

Non ti preoccupare! – dice Gesù a Simone, che adesso sta già diventando Pietro – Non aver paura dei tuoi limiti: d’ora in poi… Questa parola, per noi preti, ha un valore enorme: ci commuove anche a distanza di venti, trenta, quaranta, cinquant’anni. Non temere! – dice Gesù a Simone – D’ora in poi… Quando noi sentiamo “d’ora in poi”, ci sobbalza il cuore, perché pensiamo a un profumo, a una stagione, a un anno, a un momento, a una chiesa, ad un vescovo, cioè pensiamo al momento in cui siamo stati ordinati, in cui è accaduta una cosa rivoluzionaria. “D’ora in poi” significa “fino adesso sei stato”. “D’ora in poi” significa che prima eri qualcosa; dopo, d’ora in poi, sarai qualcuno.

Naviganti: persone che solcano i mari, persone che non hanno paura della notte, persone che guardano le stelle, persone che sanno partire. I naviganti sembrano duri perché salpano sempre: soffrono il mal di mare, non nel senso consueto del termine. Il mal di mare è il male che prende quelli che si innamorano del mare. Sapete che c’è il mal d’Africa? Quelli che vanno in Africa, prendono il mal d’Africa, che non è la malaria, ma è il fascino dell’Africa che ti prende e ti ci fa tornare (vedo qualche volto di quel continente – ce n’è più di uno qui – che dice: Magari tornassi!). Il mal di mare è l’attrazione che il navigante ha per il mare, per cui torna a casa - ne ho esperienza perché nella parrocchia dove sono stato parroco c’erano tanti naviganti - e dopo un po’ ci sta male, deve riprendere il mare, deve rimettersi in cammino. Ma adesso sei tornato! – dice la madre, dice la ragazza, dice la moglie. No, devo andare! Non solo perché sono finiti i soldini che aveva guadagnato nell’imbarco precedente, ma perché c’è il mal di mare: il mare ti chiama, ti attira.

Mirko, Stefano, Antonio e Angelo stanno per diventare naviganti.

 

Ascoltiamo Ivano Fossati, che abbiamo “invitato” alla nostra Preghiera, stasera. Un giorno questi cantautori ci ringrazieranno di averli invitati a Teano a pregare con noi; ci ringrazieranno, magari non qui ma nell’eternità, per aver tradotto in senso spirituale i loro testi, nati per tutt’altra lezione e in tutt’altra direzione.

 

Naviganti (Ivano Fossati)

 

Siamo stati naviganti
con l'acqua alla gola
e in tutto questo bell'andare
quello che ci consola
è che siamo stati lontani
e siamo stati anche bene
e siamo stati vicini
e siamo stati insieme.

Siamo stati contadini noi due
senza conoscere la terra
e piccoli soldati
senza amare la guerra,
ci hanno mandati lontano
senza spiegarci bene
e siamo stati male,
ma siamo ancora insieme.

Grandi corridori di corse in salita
che alzavano la testa dal manubrio
per vedere se fosse finita,
allenati alla corsa
allenati alla gara
e preparati a cadere
e a tutto quello che s'impara,
innamorati della sera
innamorati della luna
conoscitori della notte
senza averne paura,
innamorati di quel fiore
che non vuole mai dire:
ecco, è tutto finito
e bisogna partire.

Ma ora è il momento
di mettersi a dormire
lasciando scivolare il libro che
ci ha aiutati a capire
che basta un filo di vento
per venirci a guidare
perché siamo naviganti
senza navigare
mai.

 

È da un po’ di giorni che ascolto per voi questo testo (deve entrarmi nelle vene altrimenti non riesco a commentarlo) e ho pensato che facesse al nostro caso, per noi che ci prepariamo alle Ordinazioni di domani. Ovviamente Fossati, nei suoi testi, che sono belli, è anche un po’ ermetico, soprattutto in quel “senza navigare mai”: sembra aver cancellato tutto quello che ha detto in precedenza. Ma lasciamoci suggestionare, lasciamoci prendere dalla vena che questo testo sui naviganti evoca. È una canzone d’amore ovviamente, ma adesso noi la applichiamo ai quattro e ai preti, che sono naviganti e che sono - speriamo - navigati (loro non ancora).

Siamo stati naviganti con l’acqua alla gola, perché ci sono stati anche dei naufragi, perché non tutto va bene nella vita di un prete.

E in tutto questo bell’andare, quello che ci consola è che siamo stati lontani e siamo stati anche bene, e siamo stati vicini e siamo stati insieme. Il navigante parte: dove andranno questi quattro? La destinazione, che hanno già ricevuto, è solo quella iniziale: da Cave o da Pietramelara si andrà altrove, in seguito, ma anche restando lì per 50’anni, attraverseranno mari e oceani.

Quello che ci consola è che siamo stati lontani e siamo stati anche bene, perché il navigante soffre la nostalgia, ma in qualche maniera è una malattia, come la malaria per i missionari, cui si abitua. È come se la nostalgia fosse una seconda pelle; a noi fa soffrire, il navigante ce l’ha dentro, soffre, ma dice che è tutto normale. Quindi questi preti vanno lontano e voi dite: Ma dove andranno? Non avete capito: lontani da sé. Non lontani in un orizzonte diverso dal nostro: sono preti ordinati per la nostra Diocesi, ma sono andati lontano da sé. Dice Turoldo, in una poesia che mi avete sentito citare agli Esercizi: “Oggi mi sono detto addio, spero per sempre, come un nauta dai remi spezzati”. Quindi, siamo stati lontani: lontani da noi, lontani anche da quello che sognavamo. Pietro andrà lontano da Simone ed io sono lontano da quello che avrei desiderato, da quello che da giovane ho pensato essere il mio bene, essere il mio approdo, il mio porto. Quindi, tutti quelli che sono chiamati vanno lontano: lontano da se stessi. Dice Gesù: Se uno vuole venire dietro a me e non smette di pensare a se stesso… Questo è andare lontano da sé, allontanarsi da sé.

Questa è l’ultima sera per loro. Si dicono addio: Ciao Mirko! Ciao Antonio! Ciao Stefano! Ciao Angelo! Ciascuno lo dice a sé: mi saluto, saluto la mia giovinezza, saluto quello che sono stato. Pietro saluta Simone: Ciao Simone! Siamo stati bene insieme, ma non sapevo d’essere dentro di te; adesso ti devo lasciare, sono un altro…

 

Siamo stati contadini, noi due, senza conoscere la terra e piccoli soldati senza amare la guerra. Ci hanno mandati lontano senza spiegarci bene e siamo stati male, ma siamo ancora insieme.

Il prete è un contadino che non conosce la terra, perché la terra è la donna. Lo diceva molto bene Cocciante in una canzone della nostra giovinezza: l’uomo riconosce la donna come la sua terra e allora il prete è un contadino della donna, ma non la conosce. Siamo stati contadini senza conoscere la terra e piccoli soldati senza amare la guerra, perché il prete è un soldato, un terrorista. Io, continuamente, da questa Cattedra, lancio bombe su di voi e voi arrivate qui con i corpetti antiproiettile, con gli scudi antiatomici, perché io sono un soldato, un piccolo soldato anch’io. Siamo tutti piccoli soldati: non amiamo la guerra, ma la facciamo. “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? – dice Gesù – No, ma la spada”.

Ci hanno mandati lontano senza spiegarci bene. Potreste dirmi: Eccellenza, ci spieghi bene dove dobbiamo andare, cosa dobbiamo fare… Ed io debbo dirvi: No, ragazzi! - anche se ragazzi non sono: questi sfiorano, e qualcuno sfora anche, i quaranta - Non ve lo posso dire, non ve lo voglio dire.

Ci hanno mandati lontano senza spiegarci bene e anche a me, quando mi hanno mandato qui, non mi hanno spiegato bene - per fortuna! - e quando sono stato ordinato non mi hanno spiegato niente. E questa è una santa ignoranza, perché se sapessimo bene cosa significa essere prete, se io glielo spiegassi stasera, domani sera nessuno di loro si presenterebbe. Non lo dico perché dubito della loro bontà, ma è importante che noi facciamo delle cose senza saperle, e quindi voi vi sposate senza sapere ciò a cui andate incontro e noi siamo ordinati diaconi, presbiteri senza sapere dove andiamo.

E siamo stati male, ma siamo ancora insieme. Questo “insieme” è importante per noi: significa “presbiterio”. Domani sera vedrete una cosa bellissima, e cioè l’imposizione delle mani non solo da parte del Vescovo, ma di tutti i preti; tutti passeranno a mettere le loro mani sul capo dei quattro per dire: siamo insieme, siamo il presbiterio di questa Chiesa. Guai quando un prete smette d’essere “insieme”: insieme ai fratelli, ma soprattutto insieme a Gesù.

Siamo stati male, perché a volte soffriamo anche noi di una delusione pastorale, di un progetto che abbiamo fatto senza che la gente ci venisse dietro: Siamo stati male, ma siamo stati insieme. Spero lo pensiate anche voi sposati: Siamo stati male, ma siamo ancora insieme.

Grandi corridoi di corse in salita. Qui ovviamente si unisce all’immaginario del navigante quello del ciclista, che vuole arrivare al traguardo e suda e soffre e alza la testa solo per vedere quant’altro manca: siamo gregari a squadra che pedalano in salita.

Allenáti alla corsa, allenáti alla gara e preparati a cadere e a tutto quello che si impara. E poi la parte più bella di questo testo: Innamoráti della sera, innamoráti della luna, conoscitori della notte senza averne paura… Innamoráti di quel fiore che non vuole mai dire: ecco, è tutto finito e bisogna partire. I preti sono innamorati dell’umanità - uomini e donne -, sono innamorati della vostra vita e se un prete non è innamorato della storia, delle vicende, dei bambini che crescono, degli attriti tra marito e moglie, delle vicende, dei tradimenti, non è un prete.

Innamoráti della sera: perché? Perché la sera intristisce tutti, e intristisce anche i naviganti (Era già l’ora che volge il disio ai naviganti e intenerisce il core), perché la sera abbiamo gli occhi lucidi, perché siamo soli, perché siamo in tanti, perché la sera dice che questo giorno è finito e, come questo giorno, anche la vita. Ma c’è la luna e allora questo prete è anche un poeta, è un romantico: guarda la luna e vede che cresce, come voi uomini vedete crescere il ventre di vostra moglie; e il prete ne è innamorato, è innamorato di questi segni che dicono che si sta facendo notte, ma anche che si sta facendo giorno.

Innamoráti di quel fiore che non vuole mai dire: ecco è tutto finito e bisogna partire. Noi siamo innamorati del limite, nostro ma anche vostro, quel limite che voi non volete accettare; quel limite, che avete cancellato dal vostro vocabolario, noi lo amiamo, ecco perché questa parte - il navigante ama un fiore inorgoglito di sé che non vuole morire - mi appassiona. Forse vi aiutiamo anche a questo, vi aiutiamo a morire, ma non nel senso cui state pensando: vi aiutiamo a vivere il tempo, a vivere la giovinezza che finisce, l’adolescenza che finisce, la maturità che finisce, a vivere una cosa bella che finisce.

La conclusione la vedo molto legata a questa sera e quindi mi rivolgo a loro: Ma ora è il momento di mettersi a dormire, lasciando scivolare il libro che ci ha aiutati a capire che basta un filo di vento per venirci a guidare, perché siamo naviganti senza navigare mai. Quando capite tutte queste cose è giunto il momento di metterci a dormire. Domani sera li vedremo qui e noi staremo a cantare loro la ninna-nanna: addormentatevi, non ci pensate troppo, non ragionate troppo, altrimenti scappereste. State qui a dormire: non ci pensate, sognate. Viene un momento in cui bisogna smettere di pensare. Se voi fidanzati non smettete di pensare, non vi sposerete; una coppia che si sposa smette di pensare e fa una pazzia, una follia: ci sposiamo!

Loro smettono di pensare, chiudono il libro di Teologia, che ha detto loro tante cose e bisogna mettersi a dormire, perché se inseguiamo tutte quelle cose che ci hanno insegnato, non ci presenteremo domani sera. Se teniamo presente tutto quello che dice la scienza, tutto quello che dicono le persone, quello che ci suggeriscono gli amici, non verremo.

Ora è il momento di metterci a dormire, lasciando scivolare il libro che ci ha aiutati a capire. Questa scena dolcissima vi sarà capitata tante volte: voi state leggendo un romanzo e ad un certo punto il romanzo vi scivola sul naso e vi addormentate. Lasciati andare. Noi stasera diciamo questo a loro quattro: lasciatevi andare.

Lasciati andare all’Amore, perché uno che non si lascia andare, non ama; uno che non si lascia andare, non si addormenta; uno che non si lascia andare, non si affida, non stabilisce un’amicizia. Per fare tutte queste cose – addormentarsi, amare, stabilire delle relazioni – bisogna lasciarsi andare e dire: Ma sì! Mi fido, mi affido. E così comincia quella vera, grande navigazione a cui Mirko, Stefano, Antonio e Angelo sono invitati come pescatori di uomini.

Adesso riascoltiamo con una coreografia. Il corpo di ballo ora è diventato più nutrito: c’è anche un seminarista, perché Alfonso, prima di entrare in seminario e prima di lavorare in banca, faceva danza. È bello che i nostri giovani provengano da tutte le esperienze. Allora riascoltiamo, aiutati anche da chi riesce a tradurre in gesto - è questa la danza - le parole di una canzone.

 

Naviganti (Ivano Fossati)

***

 

Questa canzone è stata “allungata” per noi con una variazione sul tema di Giovanni Panozzo, proveniente dal Veneto. Come vedete, nella nostra Preghiera, si impastano anche storie che vengono da altrove, persone che sono passate da qui, in qualche maniera innamorate della sera, innamorate della luna e innamorate anche di quello che si va impastando nella nostra Diocesi: a un colpo di telefono riescono anche a collaborare da lontano.

Adesso, prima di andare verso la conclusione, sentiamo il bisogno d’essere condotti dai naviganti. Invochiamo – invocatelo stanotte, invocatelo domani, ma anche nei giorni che verranno – che tanti possano condurci lontano: portami lontano, portami via da me, portami via dal mio egoismo. In fondo è una navigazione anche la Confessione, quando riceviamo l’assoluzione e il sacerdote ci porta lontano dai nostri fallimenti. Non c’è sacramento che non possa essere riletto, rivisto a partire dalla categoria del navigante e della navigazione. Siamo tutti naviganti, ma poi nell’ordine della navigazione abbiamo bisogno di un capitano (Capitano, mio Capitano!); abbiamo bisogno di qualcuno che ci metta insieme, che ci renda ciurma, che ci faccia corpo: è il nostro parroco, quello che sa tutto di noi, che battezza i bambini e che ci conduce fino alle soglie dell’eternità. Quindi stiamo per collegarci con i quattro che balbettano qualcosa nell’ultima sera.

Per noi quest’ultima sera è la sera della spinta.

Non so se vi ho raccontato che il mio papà, nella guerra di Spagna (quindi parliamo del secolo scorso), faceva il paracadutista. Quando si trattava di buttarsi nel vuoto, si aveva paura e raccontava a noi figli, bambini, che al momento in cui bisognava buttarsi, se non ci fosse stato dietro il compagno, che dava la spinta per buttar fuori dalla carlinga il soldato, sarebbero rimasti tutti aggrappati. Allora si offrivano questa carità: una spinta. Poi il vuoto e si apriva il paracadute.

Quella spinta, nel mio immaginario di bambino - tra l’altro in uno dei pochi, veri racconti raccolti dalla bocca di mio padre - si vestiva e poi si è andata vestendo, nella vita, di tanti significati. Quindi stasera dobbiamo dare questa spinta, perché non vogliono lasciare la spiaggia, non vogliono prendere il largo, anche se si sono preparati per questo, anche se lo vogliono con tutte le forze, ma quando si apre lo sportellone e i paracadutisti devono lanciarsi, allora è un’altra cosa.

Noi stasera diamo loro un colpo dietro la schiena, perché possano trovarsi fuori, fuori dalle sicurezze, dalle certezze e cominciare a cadere (Allenáti a cadere – dice il testo della canzone che stiamo pregando insieme).

Ascoltiamoli, con il ritornello che già conoscete: Pane e rose, pane e cielo, pane e stelle…

Come vi ho detto già un’altra volta, utilizzando questo ritornello, nato in Episcopio, “Pane e rose” è l’espressione di Marx. È bello che, da un autore non certamente allineato e vicino alla nostra cultura, alla nostra sensibilità, ci venga questo messaggio, per me meraviglioso. Se anche avesse fallito tutto il resto, basta questo verso per salvare Marx: “Pane e rose”. Cosa significa? Significa, come dice alla fine del Manifesto del suo partito, che tutti i lavoratori avranno pane e rose, non solo pane. Si fanno le battaglie, le rivoluzioni per il pane, ma il pane non basta: ci vogliono le rose. Le rose significano: pane e cultura, pane, amore e fantasia, pane e poesia, pane e Teologia, pane e Gesù, pane e senso, pane e famiglia. “Rose” è tutto quello che va al di là del bisogno; “rose” è tutto quello che vuoi quando sei sazio ma non sei felice. Allora non basta il pane, ma ci vogliono anche le rose: pane e rose, pane e cielo, pane e stelle, pane e vino.

Da domani, tra i riti esplicativi, c’è la consegna del pane e del vino agli ordinati; da domani la vita dei nostri quattro sarà legata al pane e al vino indissolubilmente, più di un Matrimonio, perché il pane e il vino li costituirà, darà sapore alle loro giornate, ai loro fallimenti, alle loro glorie, alle loro avventure. E allora cantiamo insieme:

Pane e rose

Pane e cielo

Pane e stelle

Pane e rose

Pane e cielo

Pane e vino… Gesù

 

***

Testimonianze di Angelo, Antonio, Stefano e Mirko.

 

***

 

Ti ringraziamo, o Signore, per questa notte che ci prepara a un grande giorno, per tutte le notti che si aprono sempre in un’alba meravigliosa, anche per le notti disperate, come ci ha ricordato Mirko, dove tu poni il seme della speranza di una vita nuova, il seme di un amore, di un matrimonio, di una vita da consacrare a te interamente.

Grazie perché muovi i cuori dei nostri giovani verso la follia. Grazie perché non si adeguano, non accettano d’essere fotocopie di altri, ma cercano nella notte strade nuove, cercano nella notte di guardare in alto, di avere “de-sideri”, cioè sogni, cose che vengono dall’alto, dalle stelle.

Grazie per Mirko, grazie per Stefano, grazie per Angelo, grazie per Antonio.

Grazie per i sei che mercoledì partiranno per l’anno previo: quattro arrivano e sei partono per l’anno previo. Grazie per questa speranza che semini, per questi movimenti che crei nella nostra Chiesa: tutto viene da Te, non c’è bene che non Ti veda come regista, ma grazie anche per quelli che si lasciano forgiare da Te.

Ci teniamo per mano e diciamo insieme: Padre nostro…

 

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Prima della benedizione, vi ricordo che l’appuntamento è per domani sera alle 19:00, ma a partire da domani mattina, appena aprite gli occhi dite: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore per noi”. Cercate di andare a scuola, all’università, con un viso in cui si colga che il giorno ha il suo appuntamento in serata, qui in Cattedrale, con un miracolo.

 

Vi ricordo che il Winter Camp aspetta ancora delle adesioni. Mi riferisco al Campo invernale a Canneto, a cavallo col Capodanno, con un veglione in cui si alternerà la preghiera con la festa, in un paesaggio da favola. Ci sono ancora pochi posti disponibili; quindi chi, giovane, voglia aderire a questa iniziativa davvero bella e non vuole portarsi il rimorso per tutto il 2011 di aver detto no ad una bella esperienza, si prenoti.

 

Benedizione del Vescovo

 

Riascoltiamo per l’ultima volta “Naviganti”, la colonna sonora di questa Ordinazione. Poi, alla fine, anche se l’avete fatto già prima, diciamo grazie con un applauso, in una maniera più corale, a questo corpo di ballo che ci aiuta a pregare.

 

Naviganti (Ivano Fossati)

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.