Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“Padre”

 

Teano, 29 ottobre 2010

 

Chiesa Cattedrale

~

 

Canto iniziale: Padre mio

 

Nel nome del Padre…

 

Il segno che abbiamo fatto, che facciamo tante volte e ripetiamo in una maniera, a volte, anche ossessiva ma superficiale, è la sintesi della nostra fede; dice: “Nel nome del Padre”. È questa parola che stasera vogliamo scandagliare insieme, vogliamo scovare, riscoprire, ridire, riascoltare. È una parola dolcissima - non per togliere importanza alle mamme - ed è la parola “padre”.

Papà, abbà - ci ha insegnato a dire Gesù - è il termine confidenziale del bambino nei confronti del suo genitore. Abbiamo iniziato con questo canto che ne è come la sintesi; quindi stavolta partiamo da dove dovremmo arrivare, e cioè da un atto di abbandono. Secondo questa preghiera famosissima, che appartiene alla spiritualità del Novecento, il Padre è colui al quale ci si affida comunque, sempre, in qualsiasi situazione: qualsiasi cosa Egli abbia disposto di noi - dice Carlo de Foucauld, autore di questa preghiera - è per il nostro bene. Vi ricordo ancora una volta che questo autore francese, che non riusciva a stare bene in nessuna struttura, cacciato via da tutte le scuole di Parigi e poi addirittura arruolatosi nella legione straniera e cacciato via anche di là - che è dir tutto, perché la legione straniera per antonomasia è il luogo dove vanno quelli che vogliono “una vita spericolata” - cioè anche laddove si accettano i residui delle galere, Carlo de Foucauld non trovò, si dice a Napoli “assiesto”, cioè non trovò una sua collocazione. L’ha trovata un giorno entrando in una chiesa di Parigi e chiedendo di parlare con un padre che diventerà poi il suo confessore; quello, di tutta risposta - oggi magari avremmo difficoltà, noi preti, a una proposta del genere - senza dargli udienza, gli disse: “Mettiti in ginocchio e confessati”. E così l’avventuriero, colui che nessuna struttura era riuscito a mettere “in riga”, naufragò nelle braccia del Padre. Questo canto, di cui adesso ripetiamo solo il ritornello, dice: Mi abbandono a Te; qualsiasi cosa Tu decida, so che è per il mio bene.

 

Padre mio…

 

Perdonaci, Padre, perché ci sentiamo orfani;

tanti di noi si sentono ancora sbandati perché senza radici.

Fa’ che possiamo incontrarTi questa sera, qui,

nel cuore della nostra Chiesa che è la Cattedrale,

dove ci hai convocati per dirci una cosa semplicissima: “Figli miei”.

 

Dal Vangelo di Matteo (Mt 6, 25-34)

 

25 Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? 28 E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 31 Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32 Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. 33 Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.

 

***

 

Partiamo da questa Parola di Gesù, che è una Parola sul Padre. Il Padre nutre, il Padre veste: questi sono i due verbi che Gesù ci consegna.

Innanzi tutto, il Padre nutre, perché i papà si prendono cura dei loro figli (Hai mangiato?), cercano di assicurare loro un futuro, ammassano per loro. I genitori, se potessero parlare, padri e madri, direbbero: stiamo lavorando per voi, ci stiamo sacrificando per voi. Quindi il padre è la fonte del nutrimento, ma il padre è anche colui che tesse il vestito e queste due immagini che Gesù ci presenta sono anche due universi dell’umano.

Innanzi tutto il cibo. Il cibo non è solo il pane; il cibo è la casa, il cibo è il lavoro, il cibo è la realizzazione, il cibo è l’amore. Quindi si parte dal pane materiale per arrivare al pane dell’affetto, al pane del significato della vita, del senso della gioia e del dolore. Poi il Padre Celeste non si accontenta di nutrirti, perché tu hai bisogno anche di un abito, e qui l’abito non dice solo qualcosa che ci copre. Ieri abbiamo visto per la prima volta, in questa stagione autunnale, il Matese imbiancato e quindi comincia a far freddo e sentiamo il bisogno di coprirci; magari stasera, o stamattina andando a scuola o all’università, avete tirato fuori per la prima volta il giubbino, il giubbotto, il cappotto… Certamente il vestito dice calore, dice difesa dal freddo, ma il vestito significa molto di più, perché indica la dignità, perché se il re è nudo, come dicevano gli antichi, come si fa a capire che è re? È il vestito, è la corona, è lo scettro, cioè è l’arredo del re che mi dice che quello è il re. Così anche per i sacerdoti, così per il Vescovo, per l’uomo, per la donna, cioè il vestito non è solo ciò che indossiamo, ma è anche la dignità che noi assumiamo e che ci viene data. Non è un caso che, all’atto in cui ci si laurea, ci sono anche dei cappelli (è una tradizione più anglosassone; certamente in Inghilterra, negli Stati Uniti c’è un rituale per il giorno della Laurea), il cappello del neo-laureato fa dire, se uno lo incontra per strada: Quello si è laureato oggi! Quello è un neo-laureato!

Quindi l’abito dice della persona, indica la dignità; non è solo la difesa dagli sguardi degli altri, non è solo la difesa della nudità, del pudore, ma indica anche la dignità. Allora Gesù dice che il Padre Celeste nutre - quindi dà tutti i pani per tutte le fami che segnano la nostra vita - e il Padre veste, cioè ti colma di dignità, ti corona di grazia e di misericordia, dice il salmista.

Noi sentiamo che il Padre Celeste, ma anche i nostri padri svolgono questo ruolo nei nostri confronti? cioè che sono luogo di pane e luogo di veste?

Il padre impasta il pane, ma è anche colui - e sembra un lavoro femminile - che sul telaio tesse una veste. Pensate all’episodio della crocifissione in cui Gesù viene spogliato delle vesti - dice una delle stazioni della Via Crucis - per dire: Gli togliamo la dignità. Per spiegare questo messaggio, Gesù utilizza due esempi tratti dalla natura, immediati per il suo tempo, ma anche per il nostro: il cibo e gli uccelli del cielo. Gli uccelli del cielo non hanno dispensa, non hanno conto in banca, non hanno assicurazioni sulla vita per gli incidenti, non hanno assicurazione di futuro. Gli uccelli del cielo cantano perché hanno la gioia di vivere, che proviene ovviamente dalla natura e dal non ammassare. A volte, ammassare troppo pane ce lo fa ammuffire, e non abbiamo neanche la possibilità di consumarlo noi; forse, se condiviso, quel pane avrebbe sfamato tanti. Gli uccelli del cielo – dice Gesù – non si preoccupano e non ammassano.

Dall’altra abbiamo i gigli del campo. Adesso pensate ad un fiore che a voi piace (ognuno di noi ha una predilezione per questo o quel fiore): chi lo veste? Gesù dice: Com’è bello il giglio… Adesso il giglio del campo non è il giglio di Sant’Antonio, perché non ne esistono in Terra Santa, ma sono come le nostre pratoline, i fiori che nascono spontaneamente. Gesù dice: Guardateli, non sono belli? non sono eleganti? non hanno dignità? e chi gliela dà? chi ha tessuto quel vestito che nessuno stilista riuscirà mai ad eguagliare? Bene, il Padre vostro si preoccupa di questo per voi.

Ecco, questo è il primo messaggio con cui ci introduciamo nella preghiera di stasera. Forse se ho fame, è perché non dico “Padre”; forse se ho freddo, è perché non alzo gli occhi al cielo; forse ho bisogno di senso, ma non so a chi chiederlo e Gesù sta per offrirmi un pane ogni giorno (come diciamo nel Padre nostro: “Dacci il nostro pane quotidiano”). Avrei bisogno di qualcuno che mi restituisse la dignità. A volte facciamo delle lotte per la dignità; invece la dignità ti viene dall’alto, con un vestito bellissimo che è innanzi tutto il tuo corpo. Questo è il nostro primo vestito, il vestito coperto dai vestiti: il nostro corpo, il tuo corpo di donna, il nostro corpo di maschi. Questo è il vestito che Dio ha tessuto per te, ma poi su questo vestito tesse lini meravigliosi, ricama broccati che neanche immagini, e allora - conclude Gesù - perché ti preoccupi? È come spazzar via ogni preoccupazione rispetto al cibo e rispetto al vestito, rispetto alla fame di senso, d’affetto, e rispetto alla dignità che il Padre ti assicura. Per questo motivo, nella parabola del padre misericordioso, quando il figlio prodigo torna, il padre lo riveste. Innanzi tutto lo riveste col suo abbraccio, perché il figlio porta dei cenci; gli abiti meravigliosi di dignità con cui era partito, li ha persi, se li è giocati. Torna nudo e allora il padre, innanzi tutto, lo veste abbracciandolo e poi dice: Prendete la veste bianca, la veste festiva, mettetegli l’anello al dito, i calzari ai piedi… Ecco, è un ridare dignità. Vogliamo vivere così, stasera, sentendoci accolti. Non è importante che tu abbia sperperato fino a un istante fa, fino a prima di entrare in questa chiesa, i doni che Dio ti aveva dato come cibo e come veste. Non è importante. Quello che è essenziale è che tu ti senta accolto.

Ho l’impressione che tanti giovani e non, non si avvicinano per paura d’essere giudicati, e questo discorso di Gesù sul padre che provvede, che veste, che impasta pani va perduto, perché ci sentiamo lontani mentre nella madia ci sono dei pani croccanti; ci sentiamo nudi mentre nell’armadio ci sono delle vesti sontuose.

Entra, vieni! C’è qui un pane per te, c’è qui una veste: indossala, e svestiti, invece, delle tue preoccupazioni inutili.

 

***

Sottofondo musicale (organo e violino)

***

 

 “Guardate gli uccelli del cielo” ed è comparso un usignolo: avete sentito? Si chiama Domenico, è una gloria della nostra terra, di Riardo, e per la prima volta lo vedo in abiti da giovane, perché normalmente lo vedo in abiti da concertista. Non è stato un dono richiesto dal Vescovo, ma volontariamente – e questo è bello – Domenico ha sentito il bisogno di venire e suonare per i giovani della nostra Diocesi.

Ecco, il violino è un usignolo che canta. Adesso lo avete ascoltato anche in una modulazione un po’ triste, come d’altra parte il canto dell’usignolo, e con suoni perfetti. Perché canta? Canta perché ha fiducia nel domani. E qui vengo al passaggio importante di questa sera.

Il padre, qualsiasi esso sia - il Padre Celeste innanzi tutto, ma poi anche i padri di cui facciamo esperienza, nostro padre che ci ha generato, un maestro, un educatore, il prete, il Vescovo, il Papa - ha questo compito di dire al figlio: “Abbi fiducia”. Questo è il compito dei padri, perché se i padri sono depressi, è finita. Lo dico agli uomini presenti, ma anche ai preti presenti e ai maschi presenti che domani saranno padri. Cosa deve fare un padre? Com’è che un uomo diventa padre? Diventa padre all’atto in cui riesce a dire al figlio: Non ti preoccupare, perché questa cosa la supererai, la supereremo insieme.

Il padre non è uno che aumenta ansie (questo lo fanno già abbondantemente le mamme). I padri devono dare sicurezza, i padri devono dire: “Ce la farai!”, anche quando torniamo sconfitti, anche quando ci troviamo a misurarci con un limite di salute, di studio, un fallimento a un esame, un fallimento affettivo. Il padre fa sempre il tifo per il figlio, e questo è bello sentirlo nei confronti del Padre Celeste che dice: Non ti preoccupare, non fa niente. I padri dicono sempre: “Non fa niente”, quando noi pensiamo d’aver fatto una cosa gravissima. Io spero che in confessione (sperando anche che vi confessiate), voi sentiate dire dai preti, magari non con questa parola così banale: “Non fa niente”.

Ma come?! Ho fatto tutte queste cose gravi! Non fa niente, perché quello che tu hai fatto, rispetto all’amore del Padre, è niente: si perde, è una goccia di inchiostro in un mare di latte, non si vede più. I padri sono quelli che dicono: “Non fa niente”. Ce li avete questi padri? Forti pur nella loro debolezza; grintosi pur nei fallimenti e nei vostri fallimenti. Mentre io vi sto parlando, quali immagini vi vengono sul display mentale? Di quali padri, in questo momento, state facendo una carrellata? Quella persona, quell’insegnante, quel parroco, quell’educatore di Azione Cattolica, quella guida, quel responsabile del mio gruppo mi ha detto: Va’ avanti.

Vi confesso che stamattina (io arrivo qui con tutta la mia umanità che forse è un punto di debolezza e di forza al tempo stesso) ho avuto un compito ingrato, da padre, ed è stato quello di andare a dire a un mio figlio prete, non di questa Diocesi: “Il medico mi ha detto che hai delle metastasi alla spina dorsale”. Io, per due giorni, sono stato a macinare le parole: cosa dico? come mi introduco? quale sarà la sua reazione? qual è il modo migliore per dire: “Sì, c’è questo problema, ma ce la faremo!”? La situazione non è delle più semplici, almeno in partenza.

Stamattina ho fatto un pellegrinaggio nella mia ex-Diocesi per raggiungere questo figlio nella sua parrocchia e guardarlo negli occhi, perché ho detto al medico: “Desidero che questa cosa gliela dica una persona che gli vuole bene”. È chiaro che anche il medico glielo avrebbe detto in una maniera più precisa nei termini, forse più asfittica, forse l’avrebbe ferito di meno. A volte i medici si nascondono dietro i loro paroloni, in modo tale che noi non capiamo niente e diciamo: “Chissà che ho?!”. E ce ne andiamo con quei paroloni, dietro cui a volte si nascondono dei drammi. Invece ho scelto questa strada di verità, ma anche questa strada rischiosa di dire: “Guarda, tu hai un cancro”. Non gli ho detto la parola “cancro”, però gli ho detto: “Sai, mi ha raggiunto il tuo medico e ho da dirti una cosa importante” (questo dopo la confessione, perché mi sono pian piano introdotto nel discorso).

Qual è stata la cosa più bella di questa mattinata, dolorosa per me? (e non solo per me, ma anche per lui, soprattutto per lui). Alla fine, prima di lasciarci sull’autostrada, perché andava a fare un altro esame, ho detto: “Adesso decidi un progetto bello, un progetto di vita”. Io ero andato lì come un angelo della morte, e mi sentivo un po’ così; non sono andato a portare un vangelo, una buona notizia, ma una cattiva notizia e, nonostante tutto l’affetto, di cui la mia voce ha potuto essere da tappeto, il dramma era lì, io gliel’ho consegnato. Lui mi ha detto: Ma cosa vuoi dire?

Ed io: “Progetta una cosa bella: un viaggio!”.

Adesso voi direte: il Vescovo ha tentato di mettere un po’ di zucchero in un mare di sale… 

Un viaggio? E dove andiamo?...  Andiamo in Finlandia!

“Allora pensa, perché è importante…”.

La stessa cosa ho detto ad Elisabetta, che mi sta ascoltando dall’alto, e anche a un giovane di Teano che sta affrontando una terapia durissima. Certamente c’è la medicina, ma qui deve entrare un progetto di vita. Per esempio, le due persone della nostra Diocesi sono entrambe fidanzate, entrambe progettavano di sposarsi e hanno pensato: Adesso forse conviene fermarci un po’… No – ho detto – continua a progettare questo Matrimonio!

E ovviamente a Domenico, stamattina, ho dovuto dire: “Pensa ad una cosa bella, ad una cosa che ti piaccia: un viaggio”.

Questo è stato il modo, da parte mia, di aiutare il figlio a guardare oltre questa cortina che gli era calata davanti come una mannaia, come una lama che tagliava, tranciava ogni suo sogno. Mi sembra che il padre debba fare questo.

Il padre non si rassegna mai, il padre è colui che nella notte dice: Si farà giorno… Addà passà ’a nuttata. Io spero che voi abbiate questi padri e se non li avete, cercateli, perché senza una persona alle spalle che ti dica questo, tu non andrai da nessuna parte, perché prima o poi fallirai, prima o poi ti precipiterà il mondo addosso, prima o poi ti ammalerai, prima o poi avrai una disavventura. Allora c’è bisogno di qualcuno che dica a Elisabetta, Antonio, Domenico e a tanti che ho in mente in questo momento: Non fa niente… Sì, è durissimo! Quello che stai per attraversare è un viaggio terribile, ma noi da questo viaggio torneremo! Questo viaggio non è l’ultimo!

E quello che dico di questi frangenti drammatici, vale anche per il piccolo incidente, per l’adolescente che ha preso un palo, come dite voi, vale anche per chi non sia stato trattato bene in classe, per chi abbia avuto una qualsiasi ingiustizia. Se c’è - come spero - nella vostra vita un padre così, ringraziatelo adesso nella preghiera.

Grazie, papà, perché non ti sei rassegnato mai. Grazie, perché mi aiuti a saltare.

I padri aiutano a saltare. Le mamme dicono: No, non deve saltare! Si fa male! Invece i padri dicono: Salta! Salta più in alto!, anche se l’ostacolo dovesse essere un cancro.

***

 

Sottofondo musicale: La leggenda del pianista sull’oceano (organo e violino)

 

***

Adesso Sergio Cammariere ci parla del padre.

          

PADRE DELLA NOTTE

(Sergio Cammariere)

 

Padre della notte
che voli insieme al vento
togli dal mio cuore
la rabbia ed il tormento
e fammi ritornare
agli occhi di chi ho amato
quando
è poca la speranza
che resta nel mio cuore
Padre della notte
che le stelle fai brillare
tu che porti vento e sabbia
dalle onde del mare
Tu che accendi i nostri sogni
e li mandi più lontano
come barche nella notte
che da terra salutiamo

e fammi ritornare
tra le braccia di chi ho amato
quando è vana la speranza
che resta nel mio cuore
quando è poca la speranza
che resta nel mio cuore
dammi una pace limpida
come un limpido amore

Padre della notte
ovunque è il Tuo mistero
dentro ogni secondo
come in ogni giorno intero
Tu che hai dato a noi la fede
come agli uccellini il volo
Padre della terra
Padre di ogni uomo
Padre della notte
della musica e dei fiori
Padre dell’arcobaleno
dei fulmini e dei tuoni
Tu che ascolti i nostri cuori
quando soli poi restiamo
nel silenzio della notte
solo in Te noi confidiamo
e fammi ritornare
tra le braccia di chi ho amato
Fammi ritrovare un giorno
l’amore che ho aspettato
quando è poca la speranza
che resta nel mio cuore
Dammi una pace limpida
come un limpido amore

Padre della notte
che voli insieme al vento
togli dal mio cuore
la rabbia ed il tormento
e quando un giorno sta finendo
quando scende giù la sera
fa’ che questa mia canzone
diventi una preghiera.

 

***

 

Alcuni di voi certamente già conoscono questo testo, per altri forse è una scoperta. Certamente è un testo di grandissimo spessore, che si muove nell’invocazione al padre: il padre che dà sicurezza, il padre naturale, il padre che ci ha generati, i padri di questa terra e il Padre Celeste. Alla fine si svela: Fa’ che questa mia canzone diventi una preghiera. Ovviamente non dobbiamo cercare dei trattati nei testi delle canzoni, ma ci sono una serie di immagini che innanzi tutto rimandano alla notte, cioè questa persona, come forse tanti di noi, è al buio, è in crisi, è in difficoltà, è in una situazione di disagio, in un momento di buio, forse anche della fede, e quindi cerca conforto, cerca questo padre, che è il “Padre della notte”.

I padri sono esperti della notte, sono esperti dei guai, forse perché hanno vissuto di più, forse perché, prima dei figli, hanno avuto le loro delusioni, tante cicatrici che segnano il loro corpo e il loro cuore. Si diventa padri - sappiatelo - nella sofferenza, così come le donne diventano madri nella sofferenza del parto e di tanti parti dello stesso figlio. Il padre si agita nella notte per cercare il figlio che sembra perduto, perché non ha più l’amore (fammi ritornare tra le braccia di chi ho amato). Alla fine non si comprende bene se questo amore c’è già stato o deve esserci, è un amore nuovo, un amore inedito. I due si cercano, ed è bello che questo figlio nel momento della difficoltà invochi l’aiuto del padre. Nei momenti di maggiore disagio noi diciamo “mamma”, diciamo “papà” o andiamo col pensiero a chi, nei momenti di difficoltà della nostra infanzia, ci ha dato sicurezza.

In assoluto i versi più belli di questo testo, almeno a mio parere, sono questi (innanzi tutto, questo padre viene da lontano, ci porta il vento e la sabbia dalle onde del mare): Tu che accendi i nostri sogni e li mandi più lontano come barche nella notte che da terra salutiamo. Un’immagine dolcissima, ma anche di grande suggestione, cioè il padre prende il sogno del figlio e lo accende. A volte noi padri riduciamo i vostri sogni; invece i padri veri i sogni li accendono come le mongolfiere. Ricordate l’ultima Preghiera dell’estate ad Ameglio, in cui queste mongolfiere luminose prendevano il volo? Sono sogni che si accendono, non nel senso che si bruciano, ma si accendono nel senso che prendono luminosità. E li mandi più lontano, cioè allontánati dal sogno. Il sogno non devi tenerlo nel pugno della mano; il sogno deve volare, deve andare lontano da te, deve ingrandirsi, deve allargare le ali. Questa immagine marinaresca - E li mandi più lontano come barche nella notte che da terra salutiamo - è l’immagine delle lampare a mare, in una notte stellata, dove ci sono stelle in alto e stelle a mare (le lampare di pescatori) e chi sta sul molo saluta i marinai che stanno lontano. Colui che sta lontano è il mio sogno, il sogno che era mio ma che adesso tu hai acceso, Padre, allargandolo a dismisura. E vorrei che questo vi restasse impresso: il Padre prende i vostri sogni e li allarga. Il gesto di allargare i sogni è anche legato ad una sofferenza, perché noi vorremmo il nostro piccolo sogno, invece questo sogno si allarga, cioè diventa grande perché i padri non possono avere piccoli sogni per i figli. I padri hanno grandi sogni. Allora, il figlio viene a dire: Papà, da grande vorrei… E il padre dice: Sì, però in grande!

Guai se i nostri padri ci uccidono i sogni, guai se ce li restringono e ci dicono: No, questo è troppo grosso! Fai questa cosa che è più facile… Fai questo che si guadagna di più… No, padri che mi ascoltate, o futuri padri! Prendiamo questi sogni e allarghiamoli! E il figlio dice: Mi fa male!

Ti deve far male, perché il sogno bisogna allargarlo e accenderlo; poi vedi che sale in alto e va lontano, e tu lo saluti come dal molo salutiamo le barche.

 

Ho chiesto ad alcuni giovani della nostra Diocesi di creare una coreografia su questo testo. Quindi, mentre si preparano, innanzi tutto li ringrazio anzitempo. Sono Tony, Jasmine, Federica e Federica. Li ho raggiunti appena due giorni fa, dicendo loro: C’è questa canzone… Mettete su una coreografia.

È bello che stasera ci sia Domenico, che viene da Riardo con il suo violino, poi c’è Maria Teresa, e poi questi giovani artisti invogliati dal Vescovo (ecco perché i sogni bisogna allargarli!). A loro ho detto: Questo testo come lo rappresentereste? come rappresentereste questa preghiera di uomini nella notte che cercano il padre e lo invocano e che salutano da lontano i sogni che il padre ha allargato?

Ecco un momento di preghiera nella preghiera. Guardiamoli con gli occhi affettuosi di chi dice: Se il Vescovo avesse detto a me di mettere su una coreografia su questa canzone, cosa avrei fatto? In appena due giorni questi nostri quattro eroi hanno raccontato così.

Adesso spegniamo le luci in modo da creare l’atmosfera più giusta e accompagniamoli in questi gesti che sono di preghiera.

 

PADRE DELLA NOTTE (Sergio Cammariere)

 

***

 

Restiamo al buio perché questa notte, di cui Cammariere parla, noi la attraversiamo, perché la nostra notte è la notte di ogni notte, è la notte di ogni giorno. Il padre dice che la notte finirà, il padre illumina la notte. La preghiera più bella dei discepoli nei vangeli è: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera”. Le lampade che sono sull’altare e che i ballerini hanno portato, indicano vigilanza, indicano ricerca. È chiaro che il padre ti cerca, ma è importante anche che tu lo cerchi. Nella notte ci stiamo cercando. Non è importante avere molta o poca fede (nessuno di noi può verificarne la portata, il peso, l’ampiezza, la profondità): l’importante è averne un pizzico, l’importante è avere accesa la lampada per cercare, per cercare sempre, nonostante anche tanti fallimenti che segnano la nostra vita.

Mentre stiamo al buio vorrei che facessimo gli auguri a Marcello, che nel buio sorriderà: Marcello è qui, nella sua Chiesa Cattedrale, e oggi fa 18 anni. 18 anni non sono un compleanno qualsiasi, sono il compleanno per eccellenza, il momento in cui la persona dice: “Ho tanti sogni”. Anche Marcello ha dei sogni e questa sera il Vescovo dice: allarghiamo questi sogni, accendiamoli e mandiamoli lontano, in modo tale da salutarli come barche in mezzo al mare. Non so il Signore cosa farà di questo ragazzo, adesso diciottenne, che varca la soglia della maggiore età, ma come tanti di voi può fare prodigi, perché i giovani possono tanto, quando gli adulti, noi adulti non li strozziamo, non aumentiamo, con le nostre, le loro ansie. Allora, dolcemente, gli cantiamo gli auguri: Auguri, Marcello, per i tuoi 18 anni e per questi sogni, che tu hai e che vogliamo deporre sull’altare in questo momento.

 

Tanti auguri a te… 

 

Adesso invochiamo insieme il Padre, con le parole che Gesù ci ha insegnato, perché ci dia il pane, perché ci dia vestito, ma a piccole dosi, perché non abbiamo a fare indigestione, perché non abbiamo ad avere guardarobi interi senza sapere cosa metterci, che ci dia l’essenziale, quello che veramente ci serve: Padre nostro…

 

Prima della Benedizione, vi ricordo che il prossimo appuntamento è alla vigilia delle Ordinazioni. Noi ci prepariamo ad un evento grande, che sono quattro Ordinazioni Presbiterali nella nostra Chiesa Diocesana, il 19 novembre. Quindi giovedì 18, noi ci incontreremo qui per la Preghiera: viviamo la vigilia insieme.

Ricordo anche che la nostra Diocesi sta organizzando un Campo-Scuola invernale che sostituisca, in una maniera santa, ma non per questo meno divertente, meno avvincente, il veglione di Capodanno. È un Campo che abbraccia gli ultimi giorni di dicembre e i primi di Gennaio. È il caso che vi prenotiate per questa occasione particolare dove, nella gioia e nella preghiera, si saluterà il nuovo anno in un bosco, tra tanta neve. State tranquilli: non al ghiaccio, ma avendo una casa ben riscaldata.

 

Benedizione del Vescovo

 

Grazie a Domenico, grazie a Maria Teresa. Grazie a Tony, a Federica, a Jasmine e a Federica che ci hanno aiutato, stasera, anche con la loro danza. La vita è una danza: speriamo di diventare tutti più bravi, più perfetti nel renderla un’opera d’arte.

 

PADRE DELLA NOTTE (Sergio Cammariere)

 

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.