Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“Riconoscenza ad occhi chiusi”

 

Teano, 24 settembre 2010

 

Chiesa Cattedrale

~

 

Canto: Vieni, vieni, Spirito d’amore

 

Nel nome del Padre…

 

Abbiamo invocato lo Spirito perché, senza la Sua forza, nulla vi è nell’uomo, nulla è senza colpa - dice la sequenza di Pentecoste - e quindi, dovendoci disporre alla preghiera, chiediamo l’intercessione, le parole, il senso, l’ascolto, che sono tutti doni dello Spirito. Siamo qui di nuovo nella nostra “casa” abituale, dopo le navigazioni estive; ritroviamo anche il gusto della nostra Chiesa Cattedrale, segno di unità. Lo Spirito viene a rendere una la nostra Chiesa che, come tutte le Chiese, come tutte le realtà umane, tende a frazionarsi: chiediamo un’unità tra noi, ma anche un’unità dentro di noi.

 

Vieni,vieni, Spirito d’amore…

 

Come nasce l’ispirazione del tema della Preghiera? Un po’ dal tempo che viviamo, e quindi ho pensato a un tema che ci rimettesse in cammino (diversi di voi si sono un po’ dispersi durante l’estate - ma è normale - e quindi ritroviamo la via dell’unità della vita); l’altro motivo, che ha ispirato la Preghiera di stasera, è una provocazione che è venuta da uno di voi. A volte, il Vescovo si meraviglia - ed è una meraviglia santa - di ascoltare la Parola dalla bocca dei suoi giovani. C’è uno di voi che mi ha detto, un mesetto fa, e poi mi ha ripetuto quindici giorni fa, che il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei lo stava interessando, me ne ha citato anche una frase a memoria (cosa meravigliosa!) e quindi, un po’ pensando a voi, e un po’ pensando a lui, ho voluto rileggere parte di quel capitolo che ha come tema la fede, il tema più importante dopo la vita, dopo l’esistere. Lo ascoltiamo in alcuni passaggi importanti.

 

Dalla Lettera agli Ebrei

La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza. Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città. Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.

E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati - di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.

***

 

Normalmente, quando si ascolta una lettura più lunga del solito, l’attenzione non è costante e rischia di calare. Eppure questo testo - potete andarlo a rileggere per intero - è quanto mai importante e scandisce tante scene della storia dell’Antico Testamento, scoprendone il comune denominatore: perché quelle persone hanno fatto scelte strane, controcorrente? perché hanno sopportato supplizi e hanno affrontato eserciti con poche armi? La risposta è: per fede. Certamente, se io chiedessi a un giovane: “Ma, dopo la vita, cosa ti interessa di più?”, mi direbbe: la felicità… l’amore… trovare la ragazza perfetta… quel ragazzo che ho in mente… Non sto a dire che queste cose non siano importanti, ma la preoccupazione del Vescovo, ma anche di ogni sacerdote e di ogni genitore, di ogni educatore (alcuni di voi sono anche educatori all’interno dell’AC o degli Scout o di altri movimenti), dev’essere la fede; la nostra preoccupazione più seria per i miei figli, per i miei parrocchiani, per quelli che fanno parte del mio gruppo, al di là di come vada la riunione, di come vada l’anno, se un’iniziativa sortisca successo o meno, dovrebbe essere: quello che sto facendo, quello che ho detto, quello che abbiamo vissuto insieme, ha alimentato la fede delle persone che mi sono state affidate? Capisco che per voi – in particolare per voi giovani – questa domanda è ancora piuttosto astratta: ma che significa? perché è tanto importante la fede? perché delle persone si dedicano totalmente alla crescita della fede degli altri?

La prima risposta è: perché fede e felicità vanno insieme. In questa maniera si sposa quella risposta che avete visto sorgere dentro di voi istintivamente – Voglio essere felice! – con il tema della fede, che è qui rappresentato in una maniera forse semplicistica, ma bella, nel disegno introduttivo del nostro schema, con un giovane con le braccia aperte, in atteggiamento di preghiera ma anche di gioia, bendato. Voi accettereste d’essere bendati? Quando si fanno dei giochi e ci viene chiesto di lasciarci bendare, abbiamo sempre molta difficoltà, perché noi vogliamo vedere cosa sta succedendo intorno a noi. Se io vi dicessi di chiudere gli occhi, molti di voi starebbero con un occhio vigile (Facciamo attenzione! Magari il Vescovo fa un sortilegio e… chissà, mi trovo senza ragazza uscendo dalla Preghiera…); abbiamo difficoltà a chiudere gli occhi: vogliamo vedere, vogliamo toccare, vogliamo renderci conto. Alcune persone, per questo motivo, non dormono neppure o dormono male o dormono poco, perché fanno fatica a chiudere gli occhi. Invece la fede è così: è quest’uomo, questo giovane in atteggiamento di lode, bendato. Perché bendato? Avete ascoltato i nomi di molti personaggi - molti non li conoscete, ma spero li conosciate in seguito - che si sono lasciati bendare da Dio, credendo a quello di cui non avevano percezione. Ad Abramo veniva promessa una terra, una discendenza, ma non gli fu data né una terra, né una discendenza: i figli non venivano. Ma allora questo Dio le mantiene le promesse? La mantiene la parola? Ecco, la fede è questo, perché se ognuno di noi si rendesse conto, senza neanche le mie parole, senza la predicazione del vostro parroco, senza il confronto con la Parola di Dio, che quello che la Chiesa propone è una verità luminosa, non ci sarebbe bisogno di questo atto di fede. La fede è aver fiducia che Dio manterrà la promessa, anche se tarda a venire, anche se quello che mi è stato assicurato all’inizio non arriva al momento opportuno, anche se questo figlio che mi è stato consegnato, figlio unico - il riferimento è sempre ad Abramo - mi viene chiesto di offrirlo. Vogliamo crescere - è questa la domanda - in questo affidamento? Allora comincio quest’anno scolastico, cominciamo quest’anno pastorale e ricominciamo questo itinerario di preghiera in Cattedrale, per quale motivo? Per cercare di alimentare questa piccola fiamma che è la fede, che rischia di spegnersi ad ogni delusione, ad ogni lutto, ad ogni difficoltà che viviamo nella nostra vita personale, nella nostra vita familiare, nella nostra vita di gruppo.

Ho pensato questa preghiera anche per i giovani di Versano, Santa Maria Versano e Borgonuovo, per i giovani di Visciano, per i giovani - se ce ne sono - di Casafredda e di Pugliano. Ho fatto riferimento a queste parrocchie - e forse ce ne sarà ancora qualche altra - che hanno vissuto, in questa estate, un po’ di tribolazioni: parroci che girano, il Vescovo che sembra giocare con i soldati e un giorno mette un parroco di qua, un altro giorno uno di là… Allora mi rendo conto che voi, più di altri, abbiate una difficoltà: ma che sta succedendo? questo che vedo, che mi delude, che mi fa soffrire, distacchi anche difficili, delusioni, come si collocano nella nostra vita? e stiamo crescendo? ci stiamo evolvendo o ci stiamo involvendo? stiamo andando avanti o indietro? La risposta è in questa parolina, fede, che il titolo della nostra Preghiera indica così: “Riconoscenza a occhi chiusi”. È possibile essere riconoscenti a occhi chiusi?

La parola “riconoscenza” ha al suo interno la parola “conoscenza” e io conosco guardando, ascoltando, conosco attraverso i sensi. Adesso mi viene detto che la conoscenza, la riconoscenza, avviene con i sensi bendati, ma come farò a dire a Dio grazie, quando mi rendo conto, come ci dicono tutti questi personaggi che sono passati nell’elenco dell’autore della Lettera agli Ebrei, che i beni ci sono stati promessi, ma li abbiamo salutati da lontano?

Lì c’è Michela che si sposerà il 29 settembre (abbiamo già fatto gli auguri a questa coppia nell’ultima Preghiera ad Ameglio): questi giovani che stanno per sposarsi, troveranno la felicità? Maria Teresa che è in viaggio di nozze e che ci accompagna mirabilmente durante le preghiere, si è sposata con Ernesto: ha trovato la felicità? I giovani staranno pensando: Ma certo!

Quelli fra voi che sono già sposati ricorderanno che sono andati in viaggio di nozze e magari sono stati tristi. Non pensate che il viaggio di nozze sia il top del top perché, ad un certo punto, stare da solo con una persona per una lunga vacanza, può diventare addirittura un’ossessione. Ho sentito qualche racconto di coniugi che sono partiti e, dopo una settimana, dopo tre o quattro giorni, hanno detto: E adesso? Che altro ci raccontiamo? A dire che anche il viaggio di nozze (e speriamo che Maria Teresa ed Ernesto siano non felici, ma felicissimi) può essere una promessa dilazionata: siamo andati a fare il viaggio di nozze pensando di trovare il top, ma ci viene detto: un po’ più in là, adesso che tornate a casa… Poi torniamo a casa, ciascuno ha il suo lavoro e ci viene detto: tra sei mesi - oppure - quando resterà incinta, quando nascerà il bambino, quando dirà papà o mamma, quando farà il primo compleanno, quando metterà il primo dentino… Poi i figli diventano grandi, a loro volta si fidanzano, e ci sembra che questa cosa sia rimandata continuamente.

Stasera ci dovrebbero essere anche i due sposi che sono andati a piedi a Santiago, in preparazione al loro Matrimonio: l’hanno trovata la felicità? Si sono preparati mirabilmente, facendo un pellegrinaggio di 250-300 chilometri a piedi per sposarsi stanchissimi a Santiago: l’hanno trovata? Ci sono due possibilità: o è tutta un’illusione, la fede come l’amore, o amare e credere - questi due verbi li coniughiamo sempre insieme - richiedono un dono dilazionato: devi mettere in conto che quello che ti viene promesso non può esserti dato subito. E poiché voi - ma un po’ tutti - siete la generazione del “tutto e subito”, se la fede è troppo lunga, se il parroco mi chiede di fare un corso di tre mesi per ricevere il sacramento della Confermazione, allora non ci stiamo: noi vogliamo tutto e subito. Ecco, il “tutto e subito” è il contrario del credere.

Ci sono espressioni bellissime, per esempio quando si dice che queste persone hanno guardato alla salvezza, a quello che veniva loro promesso, senza possederla, ma salutandola da lontano. Allora guardate un po’ le vostre scelte, guardatevi un po’ dentro e chiedetevi: Io ho questa pazienza? Riesco a farmi bendare e quindi a credere che Dio sia buono anche quando mi sembra che la realtà lo contraddica? Riesco ad aspettare la maturazione di certi eventi che mi fanno capire che forse anche la disgrazia è una grazia, che anche l’incidente può essere un bene?

La fede è fare credito a Dio e noi, questa sera, dobbiamo avere un’attenzione particolare per Elisabetta Rotoli che stava seduta lì, che improvvisamente - ve lo dico perché fa parte della nostra comunità e noi dobbiamo pregare, dobbiamo fare una catena di preghiera - nel giro di neanche un mese, ha avuto diagnosticato un linfoma e ha iniziato l’altro ieri la chemio. Era lì, insieme con Marco! Sentiamo anche il disagio di questo posto vuoto (ovviamente Elisabetta sarebbe venuta se fosse stata in forze, ma possiamo immaginare che a lungo sarà fisicamente assente dalla nostra Preghiera) e mentre preghiamo per lei, perché dobbiamo farlo (Ma com’è possibile che una ragazza così piena di vita possa scoprire un cancro?) dobbiamo anche chiederci: ma questo cancro è per il male? questo incidente è negativo in assoluto? Elisabetta può, domani - come io le ho detto - scoprire che questo itinerario dolorosissimo a cui andrà incontro, con tutti gli effetti che conoscete, che per una donna sono ancora maggiorati rispetto a noi maschi, possa essere - adesso vi dico una parola che vi sembrerà blasfema - una benedizione? Se ci diagnosticano un cancro, diciamo: “Ecco, è una maledizione!”. Ma vale anche per malattie più piccole, di entità minore… Una maledizione può essere una benedizione? Potrà, domani, Elisabetta, raccontare ai suoi figli, sposata felicemente con Marco, di questo anno - perché sarà un anno difficilissimo - di chemio che è come un bombardamento per uccidere un topo, di stravolgimenti? La risposta è sì, anche se a voi sembra assurdo. È sì, perché Abramo si mise in cammino senza sapere dove andare, fidandosi, bendato.

Signore, io credo che Tu sei buono, anche se in questo momento non lo sento, non lo sperimento - dirà Elisabetta. E noi la sosteniamo con forza in questo itinerario. Vedete come un tema che sembra aereo, entra nelle vene della nostra storia, entra nelle vicende che stiamo vivendo. E di persone anche giovani, malate gravemente, ce ne sono tante. Allora sarà una cosa da cancellare, nella vita di Elisabetta, o potrà essere una benedizione? Vi invito a entrare in questo paradosso della fede.

 

***

 

Sento che l’atmosfera si è fatta seria, anche per il vissuto cui ho fatto riferimento. Ed è bello anche sentire che i giovani si fanno seri dinanzi a certi interrogativi della vita, della sofferenza, della morte, dell’ingiustizia. Tutte le persone che l’autore della lettera agli Ebrei richiama, hanno un sogno. Il sogno è quello che Dio ha affidato ad Abramo: avere una terra, avere una discendenza, che è espresso con il simbolo “città”; andavano in cerca di una città stabile, quindi di una convivenza serena, di un modo familiare, sociale, di vivere nell’abbondanza, senza paura dei nemici, avendo una terra propria: Questa è la nostra terra perché ce l’ha data Dio! Adesso possiamo mangiare, possiamo bere! Questo era l’ideale. Il paradosso sta nel fatto che tante persone l’hanno cercata e sono morte senza trovarla, ma hanno affidato ai figli questa speranza: Guarda, sto per morire, ma ricordati: noi dobbiamo cercare questa città! Una sorta di tesoro, una sorta di caccia al tesoro che attraversa tante generazioni. Allora dice l’autore della Lettera agli Ebrei che queste generazioni si sono date la mano e, anche se non hanno visto la città, l’hanno desiderata e l’hanno cercata. Questa città si chiama Dio; non è una città, un luogo, ma è una condizione, è una possibilità a cui tutti aneliamo e che non dobbiamo mai smettere di desiderare. È quello che cerchiamo quando diciamo: felicità, pace, casa, amici, festa. Tutti questi termini sono sostenuti dalla fede, cioè la fede è questo: abbandonarsi dicendo grazie anche quando uno ti schiaffeggia.

Della stessa persona da cui ho preso l’ispirazione di questo testo della Lettera agli Ebrei, mi è venuta una testimonianza bellissima: “Quando mi succedono delle difficoltà - è uno di voi, un giovane, non è un mistico - io torno in camera e dico: Grazie, Gesù”. Vi devo confessare che mi sono sentito piccolo piccolo, ascoltando questa testimonianza: “Quando mi sento trattato male, non reagisco, poi torno in camera e dico: Grazie, Gesù”. E mi chiedeva (perché è intelligente): “Ma, secondo voi, è come se io volessi il mio male?”. E io non gli ho potuto dire: “No, questa si chiama santità…” perché non sono cose che si dicono, ma dentro di me l’ho pensato, perché aveva anche il dubbio: Ma vuoi vedere che è come se io godessi del male che mi fanno? Pensate che questa sia una forma di piacere della sofferenza? “No, stai tranquillo” – ho detto (però, che grandezza!). Questi sono i nostri figli che a volte ci danno delle lezioni di fede, perché questa è la fede: dire grazie quando ci sarebbe da bestemmiare. Due sono le possibilità davanti a un’ingiustizia, davanti a un incidente, davanti a un cancro: o bestemmiare, ribellarsi, fare una rivoluzione, o dire grazie. E dire grazie è entrare in questa visione della vita dove ci rendiamo conto che Dio riuscirà a trasformare tutto in bene. Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio - dice Paolo nel Primo Capitolo alla Lettera ai Romani. È quello che sto cercando di dirvi.

Forse quello che stai soffrendo, forse la difficoltà che senti più grande di te, questa croce che non vorresti portare, forse è un motivo che, da lamento, bisogna trasformare in ringraziamento. Diffidate delle persone che si lamentano troppo (tutte le malattie le hanno loro, mai che dicessero: Sto bene!). Sono visioni di vita non attraversate dalla fede. La fede ci fa dire OK, anche se oggi è stata una giornata pessima. “Va bene, grazie” - diceva il vostro compagno. Riconoscenza a occhi chiusi? Ascoltiamo Morandi.   

 

Grazie a tutti

di Gianni Morandi

 

Ma chi l'avrebbe detto mai,
com'è volato il tempo,
la vita forse va cosi'
ti affianca e ti sorpassa
e tu che tiri dritto,
ti sembra sempre di andar piano
invece insegui la tua strada
e sei arrivato fino a qui,
ma chi l'avrebbe detto mai.

Grazie a tutti,
con il cuore, a tutti quanti,
a chi mi vuole bene,
a chi mi ha insegnato a guardare avanti
ed anche a chi mi ha fatto male,
mi e' servito per capire,
grazie a chi mi ha detto no,
ad un sorriso sconosciuto,
ad una donna, ad un amico
e a quella porta chiusa in faccia,
a chi non mi ha tradito quella volta.

E' una questione d' ironia,
se vuoi sdrammatizzare
e quando pensi di sapere
hai ancora da imparare,
se corri arrivi più veloce
ma forse perdi delle cose
e quando credi sia finita
un'occasione nuova avrai,
ma chi l'avrebbe detto mai.

Grazie a tutti,
con il cuore, a tutti quanti,
a chi mi vuole bene,
a chi mi ha insegnato ad andare avanti
ed anche a chi mi ha fatto male,
mi e' servito ad imparare,
grazie a chi mi ha detto no,
al sorriso di un bambino,
a una donna, alla mia sposa.

Grazie a tutti,
che date vita alla mia vita,
in questa favola infinita,
che mi ha insegnato a guardare avanti
anche se ferito al cuore,
mi e' servito per capire,
grazie a chi mi ha detto no,
alle sfide, alle salite
ed alle mani di mio padre
e a quella porta chiusa in faccia,
a chi non mi ha tradito quella volta,
per quanto ho dato e quanto ho avuto,
per quanto ho riso, pianto, sperato,
per ogni giorno che ho ricominciato,
per ogni istante regalato, voglio dire:
grazie a tutti!

 

***

 

Gianni Morandi cantava già quando io ero ragazzo “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte…”. Allora erano questi gli espedienti per incontrare una ragazza (adesso ce ne sono di più facili per voi). Comunque, alla fine della sua vita, anche questo artista canta “Grazie a tutti”. Mi sembra che questo testo sia in piena consonanza con quanto ho cercato di dirvi nella parte precedente della Preghiera, dove il ringraziamento non va solo a chi mi ha applaudito, a chi mi ha steso tappeti perché io potessi incedere solennemente, ma anche a chi mi ha fatto male, a chi mi ha fatto soffrire, a chi mi ha creato delle difficoltà. Ho sottolineato alcuni versi del testo della canzone.

La vita forse va così / ti affianca e ti sorpassa: è il senso della velocità della vita. Quando si è ragazzi si vuole diventare grandi in fretta, ma poi, ad un certo punto, la vita ti affianca e ti sorpassa, come quando in autostrada tu vai ad una certa andatura e vedi un missile che ti passa accanto e dici: Ma questo a quanti chilometri sta andando? Così è la vita e, allora, se la vita mi affianca e mi sorpassa, forse sarà il caso di viverla appieno, bene, adesso, subito, senza rimandare le scelte e gli impegni fondamentali a quando sarà.

A chi mi ha insegnato a guardare avanti: grazie a chi non mi ha chiuso nel presente, ma mi ha aperto degli orizzonti, mi ha disegnato dei fondali. In fondo, uno degli obiettivi dei nostri incontri diocesani è di aprire dei sipari dove poi voi, nelle parrocchie, nella vita delle vostre associazioni, dei gruppi o anche personale, di coppia, possiate disegnare, su questi fondali, delle storie da vivere. Ci sono troppe persone che ci invitano a guardare indietro o al massimo ci dicono: “Guarda bene dove metti i piedi”, cioè renditi conto del tuo presente. Sono poche le persone che ci lanciano, che ci dicono: “Guarda che c’è anche questo, ma c’è anche questa possibilità diversa di intendere la vita”.

Grazie a chi mi ha detto no: io non sono cresciuto - e quello che dico di me, ovviamente, lo dico per ciascuno di voi - per i sì che le persone, in particolare quelle significative, quelle che ci hanno voluto bene, genitori, insegnanti, preti, ci hanno detto; siamo cresciuti grazie ai no, grazie a momenti, a situazioni, dove qualcuno ci ha messo il veto, ci ha frenato e noi abbiamo sofferto. Oggi, in particolare per le giovani generazioni di genitori, la parola “no” è scomparsa da ogni pedagogia; non bisogna dire no, altrimenti il bambino si complessa e, a furia di dire sì, questi ragazzi non hanno più una spina dorsale. Grazie a chi mi ha detto no, “non ora, non qui” - per dire il titolo di un romanzo di Erri De Luca che alcuni di voi stanno leggendo - non adesso, più in là, forse…

È una questione d’ironia, anche questo è importante: riuscire a sdrammatizzare la difficoltà ci aiuta a guardare oltre. Quasimodo, nella lettera alla madre, dice: Ti ringrazio, questo voglio, di quella dolce ironia che ho appreso da te, che mi ha salvato da tanti dolori. Noi abbiamo bisogno, anche nel momento più tragico, di tirar fuori una battuta, di ironizzare sul presente perché c’è un futuro. Se i personaggi che sono passati nella rassegna dell’autore della Lettera agli Ebrei si fossero fermati e fondati nel presente, sarebbero morti di infelicità. Invece hanno ridimensionato il presente, anche con le sue difficoltà, guardando avanti. Questo è il dono dell’ironia. Allora vedete come la fede diventa scuola di umanità, perché la fede fa ironizzare anche su una tragedia, fa trovare un aspetto risibile anche in un dramma.

Se corri arrivi più veloce ma forse perdi delle cose: è l’invito a camminare con lentezza saggia, perché non abbiamo a bruciare le tappe, cioè vivi guardando avanti, ma non correre eccessivamente perché altrimenti perdi delle cose. A volte i genitori si lamentano di aver perso l’infanzia del figlio perché troppo presi dalla carriera, troppo presi dal problema dell’educazione, dal problema economico (L’ho visto crescere, è diventato grande, ma quando è stato? Non me lo sono goduto…). Questo accade spesso nella vita. Se corri arrivi più veloce ma forse perdi delle cose. Sono quelli che vanno sempre in auto, in motorino, mai a piedi (per fare un riferimento ai mezzi di trasporto) e quindi non vedono (È cambiato quel negozio! C’è una vetrina nuova! C’è una nuova insegna!), così lanciati nella corsa da perdere anche il senso delle piccole cose.

“Riconoscenza a occhi chiusi” con l’autore della Lettera agli Ebrei e con questo testo cantato da Morandi, vuole essere un invito a dire: Signore, aumenta la mia fede.

 

Grazie a tutti (Morandi)

***

 

Per le mani di mio padre: non vengono evocate le mani della madre ma quelle del padre, e potete immaginare perché: sono quelle che abbiamo sperimentato, almeno noi di una certa generazione, pesanti. Le mani di mio padre non sono solo le mani che hanno lavorato per me, ma anche le mani che ho sentito in uno schiaffo, in una sberla; quello che da piccoli ci sembra essere un’ingiustizia diventa motivo di benedizione.

 

Adesso mettiamo insieme in un canto quello che abbiamo scoperto. Dovete semplicemente ripetere quello che, nella prima parte, dico io.

 

Canto: È la mia strada…

 

Si possono dare gli avvisi anche cantando: quindi, tra meno di due mesi, il 19 novembre, questi quattro diaconi saranno presbiteri. È bello ufficializzare questa data, l’hanno scoperta con voi, in questo istante, alla Preghiera-Giovani, perché sono giovani come voi e dunque è bello incoraggiarli e portarli nella vostra preghiera: anche loro vanno bendati verso un futuro che non conoscono e verso cui si lasceranno portare per mano da Gesù.

Ci teniamo per mano e diciamo insieme: Padre nostro…  

Il 19 novembre è l’antivigilia di Cristo Re. È un venerdì per dare la possibilità ai sacerdoti d’essere più liberi e di poter convergere, senza impegni di messe prefestive, alla celebrazione dell’Ordinazione.

Prima della benedizione, vi ricordo la data del prossimo incontro: il 29 ottobre. Voglio mettere in evidenza anche gli Esercizi Spirituali per le ragazze, dal 18 al 21 ottobre: mantengo la promessa. Bisogna prenotarsi in fretta presso Dolores.

 

Benedizione del Vescovo

 

Grazie a tutti.

 

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.