Preghiera-Giovani

guidata da

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

“Un fremito di speranza per un mondo stanco”

 

Teano, 17 dicembre 2010

 

Chiesa Cattedrale

~

 

Canto: Giovane donna

 

Nel nome del Padre…

 

Ci ritroviamo in pochi, al freddo, al gelo: queste sono le condizioni necessarie per il Natale, che non è un evento di massa, ma che riguarda pochi pastori, Maria e Giuseppe. I grandi, le folle, sono altrove: sono alla “città-mercato”, sono nei palazzi del potere… Anche la voce del Vescovo, che rischiava di non esserci per niente - ieri ero completamente afono -, è un elemento di povertà.

La preghiera di stasera vuole accordarci col Natale. Perché la povertà è importante?

Perché Maria e Giuseppe sono due poveri, perché Dio ha scelto un luogo lontanissimo da Roma, lontanissimo da Atene, lontanissimo anche da Gerusalemme, quindi dalle città importanti di duemila anni fa, per individuare una ragazza del tutto normale, un’adolescente, una donna (tutti elementi che dicono povertà, “non considerazione”) e un luogo (Nazaret) per visitarci.

 

Natale è un grembo, Natale è il ventre di Maria - per dirla in una maniera forse cruda, ma bellissima per una donna -, Natale è un luogo piccolissimo, perché prima che nella grotta di Betlem, è nella grotta del ventre di Maria, di un’adolescente che sta appena fiorendo - Maria forse aveva dodici anni, quattordici al massimo -, che Dio ha voluto abitare la storia e nella storia. E quello che è accaduto duemila anni fa, accade anche adesso, ma ha bisogno delle stesse coordinate, delle stesse condizioni e cioè povere persone, persone che si dicono – e l’ho sentito dire più volte, me lo ha scritto anche Chiara, ieri, su un bigliettino - non pronte per questo Natale, perché pensiamo che ci sono dei problemi, pensiamo di non essere scintillanti, di non essere al top, ma Natale “al top” non è Natale. Quindi, ritrovarci stasera qui, in pochi, è una esperienza natalizia e, allora, vogliamo chiedere l’intercessione di Maria, che non ha guardato alla sua inadeguatezza, al suo non essere pronta… (Non sono pronta per sposarmi, non sono pronta per un uomo, non sono pronta per diventare madre: voglio ancora giocare, voglio ancora divertirmi! Oggi lo si dice, addirittura, a quaranta e a cinquant’anni).

Chiediamo la sua disponibilità per entrare nel mistero di questo Natale e diciamo insieme: Ave, o Maria…

 

***

 

Anche se il brano che stiamo per ascoltare, e che riascolterete la notte di Natale, è dell’evangelista Luca, vogliamo sentirlo da Maria, anche se probabilmente legge un ragazzo. Chiediamo a Maria di raccontarci: Raccontaci, Maria, non “cosa hai visto sulla via”, ma cosa è accaduto dentro di te.

 

Dal Vangelo di Luca 2, 1-14


In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".

 

***

 

Ho pensato che potrei parlare anche a Francesco, o solo a lui, e dire: “Francesco, questo Natale sarà difficile per te: lo sai bene, lo sappiamo bene…”. Probabilmente ti sarai chiesto (non sapevo neanche che avresti letto tu): “Ma questo è un Natale? Sarà un Natale? È possibile vivere un Natale quando la mia giovane moglie se n’è andata?”. Succede. E forse è il caso che ci prepariamo e ci equipaggiamo al peggio, perché i tempi sono difficili dovunque.

Non so, Francesco, se hai fatto l’albero di Natale e il presepe – spero di sì – come se la tua donna, quella con la quale hai camminato, anche nei nostri gruppi scout, ci fosse. La Preghiera di stasera potrebbe anche essere solo un dialogo tra noi due, e gli altri non ci sono, si assentano, si distraggono. L’ho già detto prima che tu leggessi: esiste un solo Natale, quello dei poveri. Non esiste il Natale dei ricchi; il Natale dei ricchi è una menzogna, una maschera; quelli che pensano di fare un Natale scintillante, troveranno un barattolo vuoto: il Natale è solo dei poveri.

Io spero che stasera possiate sbandierare – Francesco in primis – una povertà che abbiamo nascosta, pensando: “Sono sfortunato: è andata male”.

Magari Francesco, da buon ingegnere, aveva pensato che la vita si potesse programmare, come si programmano i computer, come quando si fa un progetto e i conti tornano sempre: così è nella scienza, ma non nell’umanità. L’umanità ha delle variabili indipendenti - si dice in sociologia e in statistica - e questa variabile indipendente si chiama “libertà”: Dio ce ne ha voluto dotare, da folle qual è, perché la libertà è la causa di tutti i mali, ma anche la causa di tutti i beni. Quando Dio ha messo sulla bilancia il bene e il male, i depravati e i santi, ha scelto la libertà come grande possibilità che noi abbiamo e ha detto: Sì, anche se è rischioso, anche se accadranno delle cose terribili, anche se ci saranno delle separazioni, anche se ci saranno delle guerre, anche se ci saranno delle ingiustizie, delle uccisioni, io voglio rischiare e dotare l’uomo della sua libertà.

 

Questo brano, che ascolteremo la notte di Natale, parla di due che, pur nella loro povertà, avevano preparato una culla al loro bambino, perché anche i poveri sanno mettere su una culla, un corredino, quel minimo che serve per accogliere un bambino. Ma anche questo è negato; attenti, non è negato a Gesù, ma a Maria e a Giuseppe: Gesù è ancora troppo piccolo per rendersi conto che non ha la stufa – non ancora inventata – o che non ha una culla. La sofferenza non è dei piccoli: la sofferenza è dei grandi, la sofferenza è dei genitori, la sofferenza è di chi ha percezione di quello che sta accadendo.

Dunque, prima nota di povertà: Maria e Giuseppe sono mandati per strada da un qualsiasi Cesare Augusto che ha ordinato un censimento da Roma (la Palestina è una regione del grande impero romano). Ma sta nascendo un re: Erode ne avrà paura, cercherà di ucciderlo, mentre Augusto neanche viene raggiunto dalla notizia che nasce un re, perché un re pezzente non è un re, secondo la logica umana.

 

Immaginate questa donna incinta, che cammina con fatica nell’ultimo mese della gravidanza (con o senza asino non è importante: è sempre un viaggio sconveniente per chi debba partorire). Dice il testo che per loro non ci fu un posto: non c’è un posto onorevole, non c’è un posto adatto e allora i poveri si adattano.

Riuscirò ad adattarmi a questo Natale, a quello che non ho o a quel poco che ho? Riuscirò ad accogliere anche gli imprevisti della vita - a volte dolorosissimi come il tuo, Francesco - come delle opportunità?

 

Una volta ho detto: la sapienza sta tutta nel trasformare il “purtroppo” in “nonostante”.

“Purtroppo” se n’è andata… “Nonostante” se ne sia andata…

“Purtroppo” ho il cancro… “Nonostante” abbia il cancro…

“Purtroppo” sono povero, non ho tante possibilità… “Nonostante” io non abbia tante possibilità…

Oggettivamente non cambia niente, ma dentro di noi e anche fuori di noi cambia tutto.

 

Anche Maria e Giuseppe non si sono lamentati. Noi siamo bravi nelle lamentazioni (Mi manca questo… Fa freddo…), abbiamo tante cose di cui lamentarci… E se queste cose diventassero uno scalino per salire, anziché per scendere? un’opportunità per volare, anziché per lamentarci? per danzare, anziché piangere?

Trasformare il “purtroppo” in “nonostante” è la grande sapienza dei poveri ed è la grande sapienza del Natale.

Nonostante tu non abbia una culla, nonostante siamo in viaggio, nonostante ci manchi il necessario, nonostante faccia freddo, tu sei il nostro bambino, noi ci vogliamo bene, tu sei nostro figlio, noi ti accogliamo.

 

Pensate a quello che vi pesa di più in questo Natale, a cosa non vorreste avere: è proprio là che bisogna addobbare il presepe; là, nel luogo della tua povertà, nel luogo dove tu ti senti mancante, fosse anche sul piano morale. Anche la povertà morale può diventare, da luogo di lamentazione, luogo dove facciamo delle scelte radicali, controcorrente, in altra direzione.

 

È possibile che tu, Francesco, possa dire: Questo Natale 2010, che vorrei cancellare dal calendario - avrai sicuramente, tra le tante cose, pensato anche questa -, può essere il Natale più bello della mia vita, dove Tu, Gesù, mi incontri senza orpelli e senza compagnia, nell’estrema solitudine e nell’abiezione…

Queste note negative possono diventare note positive? Pensateci un attimo.

 

***

 

Povertà è anche notte. Nei racconti del Natale – mi riferisco ovviamente a quelli canonici, ai Vangeli – non c’è un riferimento specifico in cui si dica che Gesù sia nato di notte; si dice, piuttosto, che gli angeli annunciano di notte ai pastori che è nato il nuovo re, il Re d’Israele. Però la simbologia della notte è affascinante, perché la notte fa paura, perché la notte è scura, perché nella notte cerchiamo delle luci, perché vorremmo che la notte passasse presto (Questa notte - dice De Gregori in “Bellamore” - passerà o la faremo passare): tutti aspettano l’alba, il giorno (luogo della gioia), non certamente la notte. La notte è il luogo dei ladri, è il tempo in cui ci sorprendono gli incubi, ma la tradizione ci ha consegnato il simbolo della notte, trasformandolo in “notte santa”.

Stasera doveva esserci Raffaele - che ha il colpo di strega - che avrebbe cantato dal vivo “Holy night”, con Marianna, che ci ha mandato un fax: anche qui siamo nei termini della povertà. Ma noi che non ci accontentiamo, abbiamo chiesto a Celine Dion di sostituire degnamente questi due magnifici assenti.

 

Holy night

 

O Holy night, the stars are brightly shining
It is the night of our dear Savior's birth
Long lay the world in sin and error pining
Till He appeared and the soul felt it's worth

A thrill of hope the weary world rejoyces
For yonder breaks a new and glorious morn
Fall on your knees
O hear the angel voices
O night divine
O night when Christ was born
O night divine!
O night, O night divine!

A thrill of hope the weary world rejoyces
For yonder breaks a new and glorious morn
Fall on your knees
O hear the angel voices
O night divine
O night when Christ was born
O night divine!
O night, O night divine!

 

[Oh Notte Santa
Le stelle stanno splendendo brillanti
Questa è la notte della nascita
del nostro caro Salvatore
Per tanto tempo il mondo è rimasto
nel peccato e nell'errore
finché Lui apparve e l’anima sentì il suo valore

Un fremito di speranza
allieta il mondo stanco
perchè laggiù comincia

un nuovo e glorioso mattino
cadi in ginocchio

Oh, ascolta le voci degli angeli
Oh, Notte Divina
Oh, la notte quando Cristo nacque
Oh, Notte Divina
Oh, Notte, Notte Divina

Un fremito di speranza
allieta il mondo stanco
perché laggiù comincia

un nuovo e glorioso mattino
Cadi in ginocchio

Oh, ascolta le voci degli angeli
Oh, Notte Divina
Oh, la notte quando Cristo nacque
Oh, Notte Divina

Oh, Notte, Notte Divina]

***

 

Basterebbe questa tonalità di voce, il fremito che questo canto trasmette sempre, per metterci subito sul sentiero giusto.

“O night divine”: può essere divina una notte? può essere divino un dolore? può essere divino un esilio? può essere divino un tradimento? può essere divina una caduta? può essere divina una disgrazia?

Il Natale ci dice di sì: “divine” può essere detto non solo di una bella donna, non solo di una bellissima coppia affiatata, non solo di una famiglia unita, non solo di una persona in perfetta salute, di un atleta alle olimpiadi, ma anche di un ragazzo in carrozzella, anche di un malato terminale.

 

Innanzi tutto vorrei trasmettervi questo aggettivo – divine – perché se la tua vita non è divine, sei su una cattiva strada. È divina la tua vita?, cioè è bella, pur con le sue mille contraddizioni?

Questa canzone, come tutte le canzoni natalizie, è nata per caso. Anche “Tu scendi dalle stelle” di Sant’Alfonso - di cui dovremmo essere fieri, come napoletani, perché appartiene al patrimonio natalizio di tutto il mondo - è nato per caso: Sant’Alfonso doveva trasmettere l’emozione del Natale; si mette all’organetto e tira fuori “Tu scendi dalle stelle”, “Quanno nascette ninno”... Pure “Astro del ciel” è nato per caso, come anche questo canto: l’ho spiegato in un racconto, due anni fa.

Nell’Ottocento un Pastore dice: “Cantiamo sempre le stesse cose a Natale! Tiriamo fuori una canzone nuova!”. È come se Don Tommaso dicesse: “Per il concerto del 6 gennaio tiriamo fuori un canto nuovo!”.

Ovviamente nessuno era in grado… C’era un venditore di vini - tra l’altro senza un braccio, se ricordo bene - che scriveva delle poesie e il Pastore gli chiese di scrivere un testo. “Holy night” non sarebbe mai nata se non ci fosse stato un uomo sofferente, se non ci fosse stato un Pastore povero che dicesse: “È possibile che la nostra Chiesa debba essere così fredda e non si riesca a trasmettere un fremito?”. Quindi scrive un testo in francese, molto semplice, di cui questa che avete ascoltato è la versione inglese. Poi, per caso, cadde un ponte poco lontano da quella parrocchia protestante, e l’ingegnere che stava curando la ricostruzione di quel ponte aveva una moglie soprano, ovviamente a Parigi, che cantava per un grande autore di testi musicali, soprattutto di testi di musica da ballo, e così si creò un incontro tra questo venditore di vini - che ha tirato fuori un testo che avreste potuto scrivere anche voi, forse anche più bello - e questo ingegnere che conosceva, attraverso la moglie, un musicista famoso che magari, pressato, mise le note a questo canto francese.

Ma fin qui non sarebbe successo niente, se qualcuno non lo avesse tradotto in inglese e se, con l’invenzione della radio, non avessero trasmesso sulle onde sonore, nella notte di Natale, come primo canto in assoluto, “Holy night”.

Questa è la storia di “Holy night”. Perché è diventato così importante? Perché è nato da una povertà.

La povertà spesso è visitata dalla fortuna, che per noi si chiama grazia, e la povertà visitata dalla grazia diventa un poema. Così, quello che era nato episodicamente, poveramente, per una piccola parrocchia della Francia, diventa uno dei canti forse più emozionanti del Natale.

 

Questa vita dev’essere divine.

 

Io spero che i giovani presenti non si rassegnino: Non voglio una vita mediocre! Combatterò tutte battaglie perché sia “divine”! E anche la notte dev’essere divine, anche la malattia... Questa “notte divina” è visitata dalla luce: è Dio stesso che si precipita nella notte, come un astro, e la illumina a giorno. E noi, dopo duemila anni, siamo ancora qui e ci chiamiamo cristiani perché una stella – non la stella cometa dei Magi, che non era neanche cometa –, la stella che è Gesù, ha rischiarato una notte.

 

Il verso che vorrei sottoporvi è sulla stanchezza: Un fremito di speranza – dice la traduzione italiana – allieta il mondo stanco. Forse questo verso, quest’anno, per noi, ha un significato particolare, perché ci troviamo in un momento difficilissimo da un punto di vista economico, sociale, politico… I giovani non sanno dove sbattere la testa: che ne sarà di voi? ci sarà un lavoro per voi? Sembra che l’età pensionabile vada verso i cento anni e, la possibilità di lavoro, dai cinquant’anni in su. Insomma ci troviamo veramente pressati da tanti problemi, oltre quelli personali a cui ho fatto riferimento prima, ma in questa notte, che diventa divine, c’è un fremito di speranza per il mondo stanco. Quanta stanchezza anche nella nostra vita politica!

Non sto qui per scoraggiarvi, beninteso, ma per dirvi che proprio qui, proprio adesso, proprio ora, proprio in questa notte, dove il giorno sembra lontanissimo, proprio nelle condizioni della nostra Chiesa, che stenta a camminare, proprio nelle condizioni strazianti di diverse parrocchie della nostra Diocesi, di tante famiglie, di tanti singoli, c’è un fremito di speranza. Ecco, questo fremito di speranza sentiamolo, perché c’è, c’è!

Poi il testo dice: Cadi in ginocchio… Ascolta gli angeli che cantano. È quello che è detto ai pastori.

 

Adesso, proprio per metterci nella notte, spegniamo le luci e riascoltiamo la nostra Celine.

Anche qui c’è una povertà da sottolineare, perché Tony, con tanta buona volontà (io l’ho chiamato due giorni fa, all’ultimo momento) ha “messo su” una coreografia meravigliosa, che ho visto dopo pranzo, ma le sue ballerine sono state segregate dai loro genitori (C’è la neve!) e Tony è rimasto solo. È venuto in Episcopio e mi ha detto: “Che devo fare, Eccellenza? Sono io solo…”. Ho detto: “Va bene, Tony: danza lo stesso, anche da solo”. Ecco, anche il fatto che Tony ora sia solo, per noi è un ulteriore elemento di povertà, ma anche questo per te, Tony, è divine, divino.

Ascoltiamo questo fremito e ascoltiamolo nella notte.

 

Holy night

***

 

Poi ci sono gli angeli, perché senza angeli non si fa Natale. Non mi riferisco alle tante statuine e ai regali, che pure in questa dimensione potrebbero avere un significato, ma agli angeli veri, quelli che annunciano, quelli che dicono a Francesco: “Beato te, Francesco!”. Vengono a visitare una povertà e ci dicono: “Puoi farcela, può farsi giorno anche in questa storia!”. Siamo vivi, siamo ancora insieme, ci sono ancora degli amici e delle persone che ci vogliono bene, posso ancora compiere qualcosa nella mia vita…

Nella tradizione del Natale - perché il Natale arriva a noi attraverso duemila anni e, in duemila anni, è andato ampliandosi di canti, di consuetudini, di suggestioni - c’è San Francesco nel 1200 e Sant’Alfonso nel 1700… San Francesco fa il presepe e anche lui, casualmente, a Greggio, ha organizzato questa cosa pensando di farla e che nessuno ne saprà mai niente; invece segna un solco che noi ancora percorriamo e, a partire dall’esperienza francescana, fino a noi, ci sono i pastori (c’erano già nel Vangelo perché a loro, ai poveri, è annunziata la buona novella), ma nel nostro immaginario infantile - perché il Natale è dei piccoli, e il nostro Natale è vero nella misura in cui ci sono dei residui della nostra infanzia - ci sono dei suoni che accompagnavano la Novena dell’Immacolata e la Novena di Natale: il suono delle zampogne, delle ciaramelle.

Sul foglietto c’è il testo del Pascoli che descrive molto bene la scena di un silenzio, quello di un’alba - o meglio - di un tempo precedente l’alba, dove per la prima volta le persone sentono il suono delle zampogne. Anche da noi venivano dal Molise, dall’Abruzzo, e compivano dei giri per le famiglie, davanti ai presepi e, prima, davanti a un’immagine mariana per fare la novena.

Vi leggo questo testo, colmo di sensazioni, dove c’è un paese insignificante che si sveglia al suono delle ciaramelle.

 

Le ciaramelle

(Giovanni Pascoli)

 

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.

Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne' suoi tuguri
tutta la buona povera gente.

Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

 

Tu scendi dalle stelle (eseguito dagli zampognari)

***

 

Vorrei sottolineare il “suono” che compare nell’ultima strofa della poesia, che quelli della mia generazione imparavano a memoria:

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

 

Cosa vuole dire il poeta?

Innanzi tutto, anche le ciaramelle sono strumenti poverissimi (la zampogna è fatta con la pelle di pecora); sono gli strumenti che i pastori utilizzavano per le loro feste, per accompagnare il cammino del gregge di cui D’Annunzio e tanta letteratura pastorale ci hanno tramandato: sono i suoni dell’infanzia. Alla fine il Pascoli, in questa poesia, che sembra non avere alcun riferimento esplicito al Natale - ma ne porta i profumi, il suono -, vuole dire una cosa fondamentale che è bene ripetere stasera: il Natale è quello dell’infanzia. Il “suono di culla, suono di mamma, suono del nostro dolce passato pianger del nulla” è il suono di cose passate. In fondo anche noi faremo memoria liturgica di un evento, che è già stato duemila anni fa, ma faremo anche memoria dei nostri Natali: anche noi ne abbiamo e sono quelli dell’infanzia. Per cui il Natale, oggi, ha senso, ha suono e ha sapore nella misura in cui, dentro di te, si risveglia il bambino, la bambina che eri. Solo i bambini possono capire il Natale.

I bambini si entusiasmano, i bambini hanno occhi grandi a Natale, i bambini – come dice De Gregori in “Generale” – non vogliono andare a dormire, perché è una notte importante, è una notte magica. I bambini, davanti al presepe, davanti all’albero di Natale, sarebbero capaci di starci ore ed ore; noi, invece, vi passiamo così distratti!

 

Vorrei sottolineare l’ultimo verso: “suono del nostro dolce e passato pianger del nulla”. Da bambini abbiamo pianto, ma di cose inutili (non nel senso dispregiativo del termine), e il poeta – lo conoscete bene: non è certamente un ottimista, come d’altra parte tutti i poeti - fa capire che ora ha motivi per piangere; allora piangeva per niente, perché i bambini piangono per niente, i bambini piangono di “cose da nulla”, ma poi, quando si cresce, si piange per cose vere, per cose serie, per cose travagliate, per cui, anche il suono della culla fa pensare, con nostalgia, alle lacrime dei bambini che a volte piagnucolano per ore, e tu dici: “Ma perché sta piangendo?”. Per niente, per niente...

Nella canzone “Holy night”, l’autore dice “cade in ginocchio”: forse devi cadere in ginocchio per diventare più piccolo, per farti di nuovo bambino, per riprendere quello che eri.

 

Cari fratelli e sorelle, cari figli, forse la verità della nostra vita è già passata: non è in quello che stiamo facendo adesso, in quello che faremo domani. Le cose più importanti della nostra vita le abbiamo già vissute, quando eravamo bambini, per cui il Natale ci riporta quei sentimenti, ci riporta quei sapori, ci riporta quelle emozioni.

 

Adesso il nostro piccolo gruppo - che ringraziamo - suona un altro brano, mentre voi, cercando gli accendini (Don Tommaso già vi sta guardando, torvo, nel buio e dice: “Mi raccomando: non fate cadere neanche una goccia di cera!”, e mi raccomando anch’io…), accendete i vostri lumini in silenzio.

 

***

 

Mettiamo insieme il piccolo itinerario che abbiamo percorso: Natale dei poveri, Natale lungo la strada, Natale dove un fremito attraversa anche un mondo vecchio, un cuore vecchio, una vita stanca, una vita delusa; Natale annunziato ai pastori che credono, ai bambini che credono, che sognano. I bambini hanno sogni grandi e i grandi hanno sogni piccoli, gretti: torniamo volentieri alla nostra infanzia.

 

Vi ricordo che il prossimo appuntamento “In punta di piedi” è il 26 gennaio, mentre il 28 gennaio c’è la Preghiera-Giovani (ci sarà un coro gospel ad animare la preghiera, tra un mese).

 

Benedizione del Vescovo   

    

Canto: Astro del ciel

 

Ti ringraziamo, Signore, perché visiti le nostre notti.

Grazie perché rendi divino ciò che noi vorremmo buttar via.

Grazie perché trasformi in fiabe le nostre tragedie.

Grazie perché anche Francesco, come altri che vivono momenti di grande sofferenza,

ti sentiranno loro compagno e si sentiranno candidati privilegiati per il Natale che viene.

Aiutaci a capire che dobbiamo togliere, anziché aggiungere,

e che il Natale vero è nudo. 

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.