San Paride “by night”

Rosario meditato

Giardino dell’Episcopio, 3  agosto 2009

Meditazioni

di

S. E. REV. MA MONS. ARTURO AIELLO

 

1° meditazione

 

Reciteremo queste cinque decadi del Rosario, a partire dal mistero della cattedrale. L’avremmo potuto fare in piazza, ma sarebbe stato troppo distrattivo. È come se recitassimo questo Rosario bussando alle porte della Cattedrale: perché bussiamo alle porte della Cattedrale? Perché è il punto visibile, più importante di una Chiesa Diocesana e perché, oggi, ricorre il 52-esimo compleanno della Dedicazione della nostra Chiesa Cattedrale. Nel 1957, oggi, la nostra Chiesa Cattedrale veniva riaperta e riconsacrata, perché distrutta dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale. È qui, alla vostra destra e, quindi, ci troviamo comunque nello spazio sacro, è come se questo fosse, in qualche maniera, il chiostro della nostra Chiesa Cattedrale. Vogliamo capire di più di queste mura, che per noi sono importanti, che parlano, che raccontano una storia con le varie stratificazioni, almeno quelle rimaste. È importante sentire anche il respiro di tante generazioni che han fatto parte della nostra Chiesa, e ne fanno parte tuttora, anche se, adesso, nella dimensione invisibile, perché defunti, perché nella Gerusalemme del Cielo. Ecco, allora, cominciamo così: col bussare alle porte. Due anni fa, iniziando il Giubileo per il 50-esimo della Cattedrale, noi facemmo un piccolo pellegrinaggio: da San Francesco arrivammo davanti alle porte chiuse e il Vescovo le aprì. Il gesto delle porte che si aprono indica le braccia che si aprono. La cattedrale ti abbraccia, come ogni chiesa d’altra parte, ma quello che vale per ogni chiesa, vale ancora di più per la chiesa cattedrale: ti abbraccia. Ci sono porte che si aprono, perché tu possa essere accolto, perché tu possa sentirti parte di questa famiglia. Cominciamo così, con la celebrazione di un Rosario, con 52 candeline per il 52-esimo compleanno della nostra Cattedrale.  

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2° meditazione

 

Vi ricordo cose che dovreste conoscere benissimo, ma conviene non dare nulla per scontato. Mi riferisco, innanzi tutto, al nome: cattedrale. Perché una chiesa è cattedrale, un’altra è basilica e un’altra è una chiesa parrocchiale? Che cosa distingue una chiesa cattedrale? - ci chiediamo oggi, nel giorno della consacrazione della nostra Cattedrale - Ovviamente, la presenza di una cattedra. Nell’antichità, i vescovi educavano il popolo. Voi dite: “Ma oggi non lo fanno più?”. Per fortuna, si è tornati a farlo, ma per un lungo periodo si è rischiato di trasformare l’Episcopato in un aspetto solamente burocratico. Pensate, nell’antichità, a Sant’Agostino (le sue opere non sono altro che delle omelie), a San Giovanni Crisostomo e ad altri Padri della Chiesa: tenevano dei cicli di catechesi alla gente, anche alle persone più semplici e, anche se erano dotti, riuscivano a  parlare semplicemente - d’altra parte, questo è il carattere delle persone veramente colte - e lo facevano da maestri. Adesso, il maestro siede su una cattedra. Per noi la cattedra, nel nostro immaginario, da quando eravamo bambini alle elementari, è un tavolo. Nell’architettura, fin dall’antichità, la cattedra era ed è, ancora oggi, una sedia, perché i maestri e i vescovi antichi sedevano su una sedia (ancora oggi, noi diciamo “siede in cattedra” per dire una persona che parla dall’alto della sua autorevolezza), una sedia che poteva essere brutta, scalcinata, comune quanto volete, ma, per il fatto che in quel luogo c’era la sedia del Vescovo (maestro, insegnante), quel luogo veniva indicato come cattedrale. Quindi, la cattedrale è il luogo dove il Vescovo insegna, e ha un segno: ogni cattedrale ha un segno che è, appunto, una sedia più o meno artistica. La nostra, quella che attualmente utilizziamo, fu commissionata da Mons. Sperandeo ed è intarsiata. Ci sono cattedre di marmo, cattedre di pietra e, per esempio, la cattedra della Concattedrale di Calvi è una sedia, una cattedra medioevale di grande valore, ma non è importante il valore artistico o venale, ma l’aspetto simbolico. Quindi, se una chiesa è cattedrale, è perché c’è una cattedra; e se c’è una cattedra, c’è un maestro, c’è un Vescovo. L’importante è recuperare questa dimensione di volere scoprire una direzione. Perché ci sono i maestri? E perché ci sono le cattedre e, quindi, le cattedrali? Perché le persone rischiano di perdersi, perché le tempeste della vita sono tante, perché sbandiamo a destra e a sinistra, perché in certi momenti abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica: “È questa la strada - oppure - Hai fatto bene - o anche - Hai fatto male”. Sulle prime, una spiegazione così banale, o apparentemente banale, semplice, o addirittura semplicistica, può crearci disagio, ma pensate alla situazione di persone che non hanno più nessuno riconosciuto come maestro. Allora i vescovi sono i maestri - non parlo per me, ovviamente - sono i maestri di una Chiesa, e il loro compito è di insegnare: insegnare quando parlano, insegnare quando tacciono, insegnare col loro esempio (non basta parlare), insegnare in una maniera persuasiva, insegnare con dolcezza, insegnare con autorevolezza. Nel riappropriarci nella nostra Cattedrale, in questo 52-esimo anniversario della consacrazione, significa riscoprire che non siamo soli, che non siamo sbandati, che non siamo come pecore senza pastore. Penso che ricordiate i mesi che avete vissuto senza Vescovo. Io ricordo la morte del Vescovo che mi ha ordinato, Mons. Zama, e anche del Vescovo precedente. È un’esperienza, per chi abbia un minimo di sensibilità, di grande disorientamento, perché la sera in cui muore il Vescovo si va a casa dicendo: La porta è chiusa, non c’è una voce, possiamo sbandarci, ci manca il punto d’incontro, di coesione. Ripensate ai giorni, anche alle sensazioni che hanno accompagnato la morte del Vescovo Francesco. Forse alcuni di voi ricorderanno anche la morte del Vescovo Matteo, anche se non era più qui, non era nell’esercizio del Ministero pieno, perché c’era già Mons. Cece: una sensazione di disorientamento, come quando muore il padre e noi avvertiamo d’avere freddo alle spalle. Non so se avete fatto esperienza della morte del padre, di avere le spalle scoperte, sguarnite, cioè nessuno mi guarda le spalle, non ho più nessuno alle spalle, e alle spalle c’è qualcuno che ti dà sicurezza, che ti dice “vai avanti”. Ecco, in questa seconda decade, pensiamo alla cattedrale come all’aula dove ci sono i maestri che si susseguono nel tempo, a partire da San Paride, e che indicano la strada, che educano, che catechizzano, che annunciano il Vangelo. Pensate anche che le parrocchie sono nate come un’espressione pratica, come la soluzione pratica ad un problema: sono tanti i cristiani che il Vescovo non può parlare a tutti e, allora, affida a un sacerdote la cura di Mignano, la cura di Sant’Agostino, la cura di Sparanise. Il sacerdote sta lì, come parroco, a occuparsi di quell’aiuola più o meno grande, a nome del Vescovo. Contempliamo la cattedrale, come luogo dove venire nei momenti di sbandamento, anche quando vivete una crisi. Abituiamoci anche a questo: anziché andare dallo psicoterapeuta, vado in cattedrale, anche se non c’è nessuno. Magari il Vescovo non c’è, ma vado in cattedrale, vedo quella sedia e dico: Ho una guida, il Signore non mi ha abbandonato, il Signore mi aprirà una strada. Mi faccio alunno per ascoltare il maestro attraverso cui parla il Maestro per eccellenza che è Gesù.

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3° meditazione

 

Nell’elenco dei vescovi legati ad una cattedrale e, quindi, alla guida di una diocesi, c’è sempre un vescovo fondatore, una sorta di Pater Patriae. Per la nostra Chiesa di Teano-Calvi è San Paride. Voglio trasmettervi un ricordo, che dovrebbe essere anche di don Maurizio e di qualche altro fra di voi (credo di Liberato), quando al convegno di Verona di 2-3 anni fa eravamo nell’Arena di Verona per una grande celebrazione. Questo convegno vedeva riuniti alcuni rappresentanti di tutte le diocesi d’Italia (più di duecento). Durante questa celebrazione, ad un certo punto, cominciò la Litania dei Santi e c’erano tanti cartelloni coperti, 220 cartelloni enormi sulle gradinate di fronte a noi, sul palco, sulla scena dell’Arena e, man mano che si nominavano i Santi protettori di una diocesi, si illuminava il quadro del santo che si invocava in quel momento. Ricordo l’emozione - credo anche loro - di sentire, in quella Litania, invocato San Paride e lo scoprirsi di quel cartellone e sentire che San Paride faceva parte della storia della nostra Diocesi e, quindi, della storia della cristianità in Italia. È un ricordo che abbiamo solo in pochi, ma che adesso diventa di tutti. Che cosa si voleva celebrare, in quel momento, attraverso la Litania, attraverso lo scoprire di tutti quei volti? (Nomi, spesso, anche strani: infatti, per altri che non stanno a Teano, Paride, al massimo, è un personaggio dell’Iliade) Cosa si voleva celebrare? Si voleva celebrare il senso di appartenenza, cioè a dire: la Diocesi di Teano Calvi ha in San Paride il suo protettore, il suo fondatore, il suo maestro. Per noi, in fondo, queste tre serate sono state pensate per questo motivo: avvicinarci in punta di piedi, pian piano alla Festa di San Paride. È un tentativo umile, povero, ma esigito, importante, doveroso, perché c’è una sorta di scollamento. Se io non so chi è il padre di una famiglia, probabilmente, questa famiglia è sbandata e vale così anche per una Chiesa. Adesso, che posto ha San Paride? Voi siete un nucleo di eletti e vi chiedo: che posto ha San Paride nella vostra vita, nella vostra devozione, nella litanie dei Santi preferiti, dei Santi più gettonati? Chiedetevelo. Vedrete che sta all’ultimo posto, addirittura mai invocato, mai chiesta un’intercessione: è segno di un tessuto ecclesiale smagliato, non dalle trame strette, ma dalle trame larghe, e quando le trame sono troppo larghe, voi sapete che un tessuto più facilmente può lacerarsi. Questa è la malattia della nostra Chiesa. Vedrete – e non vi annuncio nulla di nuovo, perché lo sapete bene, e non solo i residenti a Teano della nostra Diocesi - che la processione di San Paride, il giorno della festa e la Celebrazione Eucaristica solenne alle 10:30 non smuoveranno chissà quali folle. Questa è una cosa che ci interroga, perché è come la perdita di una memoria storica, di una memoria di fede, e se perdiamo la memoria, noi non sappiamo più neanche chi siamo. Il nostro cognome ci dice l’appartenenza alla famiglia; l’essere componenti della Diocesi di Teano-Calvi, che trova nella Chiesa Cattedrale il suo punto visibile di unità, indica un’appartenenza, ma quest’appartenenza bisogna anche celebrarla. Nella nostra Cattedrale ci sono anche le ossa di San Paride e potrei chiedere a don Tommaso: sono venerate?,  visitate?, ci sono persone che vengono a pregare nel cappellone, dove c’è l’urna con le ossa? Don Tommaso dice: “Ogni tanto vedo qualcuno che gira, ma avrà più attenzione per questa o quella statua, che non per le reliquie di San Paride…”.

Questo nostro tentativo, e anche questo nostro Rosario, stasera, nel compleanno della Dedicazione della Cattedrale, vuole essere un tornare alle origini, tornare al padre, tornare al fondatore. C’è stato un primo maestro da cui sono discesi tutti gli altri, anche il sottoscritto che vi sta parlando in questo momento, che è l’ultimo dopo tanti maestri, e nell’elenco comparirà poi anche il Vescovo Arturo. Ma, adesso, dimenticate che sto parlando io, e pensate a questa teoria ininterrotta di vescovi che hanno insegnato. Giustamente, San Paride non ha insegnato in questa Cattedrale costruita dopo. La Cattedrale più antica è quella che si trova alle porte di Teano, poi, per sicurezza, furono portate le ossa all’interno della cinta delle mura, perché anche le ossa dei Santi diventavano motivo di furto e di ricatto.

Allora, questa è la mia Cattedrale, la mia Chiesa, la mia Diocesi, e – ritorno, concludendo, all’immagine con cui ho iniziato - il santo che, nell’Arena di Verona, quella sera, noi abbiamo visto scoprirsi, era San Paride. Non so quanti eravamo della nostra Diocesi (7-8) ma, ovviamente, eravamo gli unici a riconoscerlo; gli altri avranno detto: “Ma chi è questo San Paride?”. Il problema è che se qui dicessimo “San Paride”, anche i teanesi direbbero: “Ma chi è questo San Paride?”. E se lo chiediamo a Mignano?, o se lo chiediamo a Carbonara? Chi è?, da dove è uscito?, da quale libro epico? Invece, è una persona veramente esistita: è un confessore, un vescovo, un predicatore, uno che ha dato avvio alla nostra Chiesa. Chiediamo di poterci riaffezionare.

 

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4° meditazione  

 

In questo quarto momento, vorrei rispondere a questa domanda: perché si costruisce una cattedrale? Ciascuno di voi cerchi una risposta. Perché si costruisce una cattedrale? Anche quelle grandi: pensiamo al Duomo di Milano, alla Cattedrale di Milano, alla Cattedrale madre di tutte le cattedrali, che è San Giovanni in Laterano (Cattedrale della Diocesi di Roma). Prima di rispondere, visitiamo le piaghe della nostra Cattedrale perché, la nostra, è una Cattedrale piagata. È piagata, nel senso che ci sono delle parti antiche, restate in piedi, e altre demolite e ricostruite; ci sono dei punti dove le pietre nuove (nuove di 50’anni fa, 52 anni fa, all’atto della Consacrazione, ma poi probabilmente di 60’anni fa) si uniscono con quelle antiche e avete - credo – una foto, almeno in mente vostra, della Cattedrale distrutta. Questa distruzione della nostra Cattedrale - è capitato anche ad altre cattedrali - è proprio una disgrazia? È un incidente terribile? No, perché una cattedrale si costruisce – attenti – per demolirla. Sembra un assurdo: com’è?, prima si costruisce e poi si demolisce? Questo lo capite guardando la luna, anche se, questa sera, è nascosta come una vedova, è abbrunata. Guardate un attimo la luna sulla vostra sinistra: c’è la luna piena, sia pure con un velo scuro. I Padri antichi, i Padri della Chiesa, facevano delle catechesi sulla luna: Crisostomo, per esempio, si chiamava così perché in greco significa “bocca d’oro”, cioè era un vescovo che parlava in una maniera mirabile. I Padri antichi dicono: Vedete la luna? Capite la Chiesa… La luna ha le sue fasi. Innanzi tutto, abbiamo la luna crescente, quindi, una falce di luna, uno spicchio di luna, mezza luna, tre quarti di luna, luna piena, come adesso. A partire dai prossimi giorni, comincerà la fase decrescente, la luna calante, come si dice, e vedremo il cerchio sempre più imperfetto, poi ne vedremo tre quarti, poi metà, poi un quarto, poi una falce, poi scompare. Quando scompare, cosa diciamo noi? Com’è la luna? Nuova. Paradossalmente, la luna nuova è la luna che non si vede, è la luna senza più riscontri. E, quindi, invitando a guardare la luna, i Padri antichi dicevano: così è la Chiesa, cioè la Chiesa è nella fase crescente (la Chiesa visibile, ovviamente), una falce, un quarto, mezza luna, tre quarti, luna piena, fino a che scomparirà. Ma quando scomparirà, sarà luna nuova: che significa luna nuova? Significa una Chiesa pienamente santa, veramente gloriosa, per cui la luna nuova è la luna che non si vede più, tanto che un Padre della Chiesa dice: “Voglio cantare un canto di morte alla Chiesa”. Magari, qualche fedele si sarà scandalizzato: “Questo Vescovo vuole che la Chiesa muoia!”. Voleva dire proprio questo: vorrei che la Chiesa diventasse nuova più in fretta, perché la Chiesa muore all’atto in cui non si vede più, all’atto in cui è tutta in Paradiso, all’atto in cui è tutta perfetta, è tutta santa. Ecco, allora, perché una cattedrale si costruisce: una cattedrale si costruisce per essere demolita, perché una cattedrale è una segno, non è eterna. Pensate alle cattedrali antiche… Penso a quella di Milano, che noi ammiriamo, ma forse pochi sanno che la facciata è recentissima, è stata iniziata nel Medioevo, tanto che si dice la “Fabbrica del Duomo”, perché non finisce mai. “Sembra la Fabbrica di San Pietro!”, diciamo nel linguaggio comune, a dire: è cominciata e non finisce mai. Bene, anche queste grandi cattedrali, costruite attraverso secoli e secoli, un giorno saranno demolite. Certamente noi, nell’evento bellico, abbiamo sperimentato dolorosamente la demolizione della Cattedrale, ma qualcuno avrebbe dovuto dire, in quel giorno terribile, drammatico, dove morirono anche delle persone: perché vi meravigliate? È demolita, perché una cattedrale si costruisce per essere demolita, perché è un segno temporaneo, è un segno nel tempo, non è eterna: è eterno quello che significa, cioè la Chiesa, perché la Chiesa non finisce mai, la Chiesa durerà anche nell’Eternità, la Chiesa sono anche i nostri defunti. Quindi, il segno dura 100, 200, 500, 1000 anni, ma quello che il segno significa durerà per sempre. Quando si consuma il vostro anello nuziale - mi riferisco a quelle fra voi sposate da più anni - a furia di lavare, di usare i detersivi, pian piano, quella fede che era bella, massiccia, si assottiglia, si assottiglia, si assottiglia, fino a scomparire: forse che viene meno l’amore? Speriamo di no, nel caso dell’amore. Si assottiglia la fede e aumenta l’amore. Don Tommaso starà dicendo: “Ma il Vescovo vuole mettere una mina sotto la Cattedrale?”. No, passerà questo e altri cento vescovi, e duecento, e cinquecento, prima che questo succeda, ma è bello sentire che l’edificio, per noi, è importante come segno, come la luna, e quando non ci sarà più, ci sarà la Cattedrale nuova, cioè la Chiesa nuova, la Chiesa purificata. Adesso stiamo ancora a un quarto, mezza luna, tre quarti, in fase crescente, in fase calante (diciamo che qui da noi siamo un po’ in fase calante, purtroppo), ma, all’atto in cui dovesse scomparire tutto… Chiesa nuova, Cattedrale nuova, Diocesi di Teano-Calvi nuova, cioè pienamente convertita. Preghiamo per questo: preghiamo perché si assottigli questo tempo, che è ancora tanto, tra la Cattedrale che vediamo e la Cattedrale che scompare.

 

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5° meditazione

 

Recitiamo quest’ultima decade, chiedendo una maggiore affezione, almeno noi che siamo qui. In occasione della Festa di San Paride, in occasione del 52-esimo compleanno della Cattedrale ricostruita, devi chiedere un’affezione più forte, e ci chiediamo: come si concretizza un’affezione? Si concretizza in tanti modi: innanzi tutto, nel guardare la propria Cattedrale con orgoglio santo. Qual è la cattedrale più bella? Non dobbiamo fare dispute: è la nostra, ovviamente, perché è la mia, è la nostra. L’affezione cresce con lo sguardo. Adesso, guardo questi archi che danno sull’altare del Santissimo e dico: anche questo fa parte della Cattedrale. Anche la zona che normalmente voi non vedete, anche queste mura sono della Cattedrale. Quindi, un’affezione ha bisogno di sguardi; poi, un’affezione cresce con le visite. Se io, una persona, non vado mai a visitarla, non posso dire “è mia amica”; sarà una mia conoscente, ci siamo visti casualmente, ma sono le visite, sono gli incontri che aumentano il legame affettivo, l’affezione e, quindi, dovremmo venire, anche da soli, qualche volta: mi trovo a Teano e faccio una visita alla Cattedrale, mi fermo a pregare nella mia Cattedrale. Un’affezione cresce anche quando io vivo, in quel luogo, un’esperienza forte, un’esperienza significativa e, quindi, capite che per tanti della nostra Diocesi, che non sono mai venuti e che non hanno mai vissuto una celebrazione diocesana, la Cattedrale sta a Teano, ma non significa nulla, non ha alcuna valenza. Ma se io, tra queste mura, ho vissuto un’esperienza significativa (penso a Vitaliano che è stato ordinato il 14 maggio), l’essere stati ordinati nella Cattedrale, genera un’affezione particolarissima, perché è la chiesa dove mi sono prostrato. Per cui, anche a distanza di 50’anni, Vitaliano, come gli altri sacerdoti ordinati in Cattedrale, visitando la Cattedrale, sentirà un battito cardiaco più forte, più veloce, come accade quando riviviamo delle emozioni, quando visitiamo dei luoghi per noi significativi, quando riandiamo a spazi che hanno fatto da cornice a eventi importanti della nostra vita. Poi, c’è un altro modo - ma questo lo dico sottovoce, perché non sembri Cicero pro domo sua -: credo che un’affezione cresca anche con un dono, cioè se io sono affezionato ad una ragazza, per esempio, ed è un’affezione speciale, mi viene naturale fargli un dono. C’è qualcosa di tuo in questa Cattedrale? Ve lo chiedo e chiedetevelo: nella mia Chiesa Cattedrale c’è un tassello, un angolino, un gioiello che mi apparteneva e che, poi, ho dato, perché è la mia Cattedrale? Un’affezione cresce anche così. Allora, chiediamo, in quest’ultima decade, di aumentare l’affezione: un’affezione di sguardi, un’affezione di visite, un’affezione di momenti importanti vissuti coralmente in celebrazioni particolarmente significative (penso alla Messa Crismale, per esempio, che dovrebbe diventare sempre di più un appuntamento per tanti) e, poi, un’affezione cresce anche con un dono. Magari, domani, don Tommaso vedrà una serie di persone che bussano: “Don Tommaso, vogliamo fare un dono alla Cattedrale!”. Almeno uno, speriamo che venga, don Tommaso… Ecco, chiediamo che cresca questa affezione.

 

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Uscendo, fate una carezza alle mura della Cattedrale. E non vi sembri una svenevolezza o un fatto poetico: è la nostra Chiesa Madre. Oppure, sul piazzale, giratevi e dite: “Buon compleanno, Cattedrale!”.

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.