“Teano chiama Barbiana”
DUE GIORNI
SU
Don Lorenzo Milani
A cura
di
S. E. Rev.ma
Mons. Arturo Aiello
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“Quando un prete fa storia”
Teano, 21 Gennaio 2009
Auditorium Diocesano
Innanzi tutto vi saluto, vi accolgo, ci accogliamo, visto che questa è casa nostra, non appartiene ad una persona ma alla comunità. Salutiamo Mons. Leonardo che, benché non abbia nulla da imparare, ci dà lezione di umiltà, venendo ad ascoltare; saluto tutti voi per questa due-giorni, due sere, spero stimolante, nella riscoperta di questo personaggio ispido, scomodo, come chi lo conosce già sa, e come gli altri scopriranno nel corso di questo nostro “pellegrinaggio”. È come se volessimo metterci in ascolto di Don Lorenzo Milani, della sua esperienza, ma ovviamente in questa due-sere vogliamo anche cercare degli addentellati: forse che Barbiana sia una esperienza conclusa? C’è una lezione? Adesso pongo una serie di interrogativi che possano stimolare la nostra attenzione: quello che è accaduto in quegli anni a Don Lorenzo e a Barbiana, come luogo geografico e luogo affettivo, luogo umano, ha qualcosa da dire, oggi, a noi, qui?, ha qualcosa da dire alla scuola? Vedo anche diversi insegnanti, che credo siano venuti con la loro professionalità, ma quello che più mi preme è chiedermi e chiederci se ha qualcosa da dire alla Chiesa. Lo ha detto alla Chiesa del suo tempo, negli anni ’50-’60: forse il suo messaggio ha qualcosa da dire anche alla nostra Chiesa di Teano-Calvi. Benché siano cambiate tante cose, siano maturati tanti percorsi, siano cambiate delle prospettive, l’uomo rimane lo stesso, con gli interrogativi che in una maniera radicale, e ripeto, graffiante, Don Milani ha posto.
Ho voluto che ci fosse anche Aldina, qui alla mia sinistra, oltre il Vicario Generale, perché l’Azione Cattolica merita un posto d’onore nella nostra Chiesa e ho pensato di visualizzarvi in questa maniera: non sta qui a fare la “bella statuina”, ma a dire che il Vescovo tiene all’AC e ovviamente il Presidente rappresenta l’intera associazione.
Iniziamo questo nostro cammino che avrà, come sapete, due sere: una un po’ discorsiva e legata alla comunicazione, speriamo non inducente al sonno, del Vescovo e domani sera, invece, c’è un approccio teatrale al personaggio Don Milani, attraverso un monologo che utilizza solo testi “milaniani”: per tre quarti d’ora, l’attore Angelo Maiello terrà banco, come vedrete. Allora iniziamo, e poiché questa non è una conferenza (non ho la presunzione d’essere in grado di farne una), procediamo su vari livelli, come oggi si ama dire, utilizzando anche qualche scena della realizzazione televisiva su Don Milani che qualche anno fa è stata realizzata. Quindi ci saranno tre spot dal “Don Milani” di Castellitto e poi il Vescovo interloquisce (e speriamo, a un certo punto, anche voi). Buon ascolto.
***
Queste immagini che hanno aperto
il nostro incontro, come ho già detto all’inizio, fanno parte della riduzione
televisiva della vita di Don Milani. Possono aiutarci queste immagini, come le
foto che, man mano che parlo, scorreranno. Ovviamente il televisivo ha
utilizzato degli attori, invece qui abbiamo le foto autentiche, quelle poche
foto in bianco e nero che sono residuo visibile e sensibile della vita e
dell’avventura di Don Lorenzo Milani. Lo abbiamo visto arrivare a Barbiana e
ovviamente dobbiamo fare un po’ di passi indietro per sapere perché questo
sacerdote è stato relegato in una parrocchia inesistente, di quale colpa in
qualche maniera si era macchiato o quale passo falso aveva fatto per indurre
Facciamo conto che abbiate dimenticato tutto quello che ho
detto fino adesso e diamo le coordinate temporali della vita di quest’uomo.
1923-1967: 44 anni di vita. In questo arco di 44 anni si svolge l’avventura
umana (innanzi tutto Don Milani è un uomo), ma anche l’avventura del popolo
italiano, che in quegli anni, attraversa il periodo precedente
Come si ha questa conversione?
Non c’è un fatto decisivo, eclatante, ma ci sono due scene che vale la pena
ricordare. Una è ambientata a Milano, quando il giovane Lorenzo era anche
alunno della scuola di Brera: Don Lorenzo Milani è
stato, da giovane, anche da un maestro pittore, poi si è iscritto alla scuola
di Brera. Contro quanto andrà a fare nella vita (il
maestro), è stato un pessimo alunno. Succede a volte così: un pessimo alunno –
questo lo dico a conforto degli insegnanti presenti – può diventare domani un
grande maestro. Pessimo alunno, lo capite per quali motivi: perché aveva la
vita facile e quindi non si dedicava allo studio. È degli anni in cui è a
Milano, questa scena di Lorenzo che va bighellonando per le strade dei poveri,
anzi non si accorge neanche di essere in un quartiere povero, e sta
sbocconcellando un pane bianco (per chi abbia una certa età, pane bianco e pane
nero hanno un significato), cioè un pane doc, un pane
che era sulla mensa dei ricchi e si sente rimproverare da una madre
(evidentemente i suoi figli stavano a guardare questo signorino che mangiava
senza voglia questo pane bianchissimo): “Non si mangia il pane dei ricchi nelle
strade dei poveri!”. È un flash, non riguarda il cammino di fede, ma dice
dell’affacciarsi di Lorenzo rispetto ad una realtà, ad una situazione, che è
quella di gran parte della gente, che è la condizione dei poveri. Chi sia nato
in una famiglia ricca, benestante, chi ha avuto tutti gli agi - come la regina,
nel raccontino (non si sa se storico, ma senz’altro “fiorito”) precedente
Dopo i vent’anni, ci sono i quattro anni di Lorenzo Milani come seminarista. Abbiamo, nel seminario di Firenze, delle testimonianze della vita seminariale di Don Lorenzo, o del futuro Don Lorenzo, che già parlano di una radicalità. Ho chiesto al Cardinale Piovanelli personalmente, che ricordo avesse di questo suo compagno di seminario e di Ordinazione e mi ha risposto: “Già allora, già in seminario, era di una durezza e di una radicalità…!” e mi ha fatto anche un esempio. Il Cardinale Piovanelli dice che allora - non vi scandalizzate, nei seminari ci sono tante norme che poi cambiano - c’era anche la norma di non varcare la soglia della stanza del compagno e su questo, mi diceva il Cardinale Piovanelli, Lorenzo non ammetteva eccezioni e quindi parlava con i suoi compagni, ricevendoli sulla soglia della sua stanza. Sembrano aneddoti, ma già dicono della radicalità e dell’aspetto decisionale, decisivo, che accompagnerà tanti aspetti della vita di Don Lorenzo Milani.
Vent’anni nelle tenebre, quattro anni di seminario: a ventiquattro anni, Lorenzo Milani è ordinato, insieme col Cardinale Piovanelli (ancora in vita, Vescovo Emerito di Firenze). Si pone il problema di una collocazione pastorale e il Cardinale che lo ha ordinato, Della Costa, al parroco di Calenzano che gli chiede: “Io avrei bisogno di un vice-parroco ma non ho come mantenerlo” (tutto il mondo è paese e i problemi di ieri sono anche i problemi di oggi), dice: “Guarda, ho uno che fa per te: un seminarista, un giovane appena ordinato, amante dei poveri, rigido, austero, che non ti costerà neanche una lira”. Così cominciano dieci anni di vita, insieme con Don Pugi (si chiamava così questo parroco), che sono anche gli anni in cui Don Milani si è sentito appoggiato, perché c’era questo sacerdote anziano, ovviamente di idee diverse dalle sue, ma molto paterno nei suoi confronti. Credo che sia la stagione un po’ più “equilibrata”, rispetto agli estremismi che vedremo in seguito, dovuti probabilmente proprio a questa presenza di Don Pugi. (Ho dimenticato di dirvi che oltre alle foto, sullo schermo, di tanto in tanto, compariranno delle frasi che magari potrete ricordare più di tutte le cento parole che ha utilizzato il vostro Vescovo; ovviamente sono tutte tra virgolette perché sono tutte parole “milaniane”.)
A Calenzano, Don Milani comincia come qualsiasi vice-parroco, utilizzando gli strumenti che si avevano a disposizione allora. Quelli un po’ più avanti negli anni tra voi, ricorderanno (perché sono più o meno i nostri anni, quando eravamo ragazzi) che le parrocchie erano munite di sale-giochi, di ping pong, di flipper (allora c’erano i primi flipper, non so se a questo nome, nella vostra mente, oltre il gelato che poi è venuto dopo, si unisce l’immagine di questo gioco) e quindi anche lui, come i suoi confratelli prende questa strada. Ma poi avviene la conversione nella vita presbiterale di Don Milani, ed è il momento in cui comprende che non può stare – lasciatemi questa espressione – a perder tempo con i pochi che la parrocchia raccoglie, accarezzandoli e organizzando per loro i giochi, ma c’è un problema in Calenzano, che è il problema dei giovani lavoratori, tutti lontani. Adesso i giovani non potranno comprendere, ma noi che abbiamo vissuto quegli anni, ricordiamo anche tempi di grande contrapposizione sul piano ideologico: siamo dopo la grossa vittoria (tra virgolette) della Democrazia Cristiana, c’è il Partito Comunista che freme… La zona della Toscana e dell’Emilia Romagna sono state sempre a forte “componente rossa” e quindi anche con una conflittualità che noi non abbiamo conosciuto, in quelle forme nelle quali si è trovato Don Milani; penso anche a Don Mazzolari e ad altri sacerdoti di quelle regioni. Ovviamente ci troviamo a Calenzano, che è un paese di tremila abitanti allora (oggi ne ha, credo, ventimila), alle porte di Prato. A Prato ci sono le industrie tessili, i giovani vengono assunti (tra virgolette assunti) senza assicurazione e possono essere licenziati in qualsiasi momento. Don Milani si rende conto che per aiutare questa fascia enorme di persone, il ping pong va demolito. Attenti che io non condivido questa cosa, però ve la devo raccontare così: Don Milani, per quell’austerità e per quella radicalità di cui sopra, un giorno, fisicamente, demolisce il ping pong e getta tutto nel pozzo che è al centro del cortile della parrocchia e comincia la sua esperienza, quella che poi durerà quasi vent’anni, di prete-maestro. Ed eccoci al secondo spot.
***
Entriamo un po’ più nel vivo di questo prete-maestro. Attenti: la figura di Don Milani ha avuto fasi alterne e quasi mai (spero non in questa sede) si è messo insieme il prete e il maestro: Don Milani rivoluzionario, Don Milani che mette le bombe sotto la scuola, sotto l’esercito (per dire le due istituzioni che, in qualche maniera, in vita ha combattuto), Don Milani in odore di “rosso” e poi anche ovviamente strumentalizzazioni politiche di questa persona… Ciascuno ha cercato di tirarlo dal suo canto. Negli ultimi anni, negli studi – perché c’è una letteratura immensa su quest’uomo e sul suo operato – sta riemergendo l’identità presbiterale di Don Lorenzo Milani. Questa scelta non è di ripiego: visto che mi trovo a Barbiana, che ha ottanta persone (anche noi abbiamo qualche parrocchia qui in Diocesi di cento persone), visto che mi trovo qui e non ho niente da fare, allora mi industrio e metto su una scuola. Non è stato un modo per impiegare il tempo, non è stato tirare fuori una vocazione nascosta - ognuno di noi ha un sogno da qualche parte che poi non si è realizzato: “Sognavo di diventare maestro e dunque adesso ne ho l’opportunità!” -, né tantomeno rendere ancora più acuita la lotta che in quegli anni si viveva: tra la classe operaia, chi aveva il potere, tra i ricchi, tra la borghesia. La vocazione a diventare maestro è scritta nel DNA della vocazione presbiterale di Don Lorenzo Milani, cioè è il prete. Non è un caso che io abbia intitolato questo intervento: “Quando un prete fa storia”. Di storie ne facciamo tante, ma a volte facciamo anche storia e Don Lorenzo Milani, insieme a tanti altri, ha fatto storia, nel senso che partendo dalla sua vocazione, quindi dalla sua scelta di fede, ha rivoluzionato un luogo che in qualche maniera, per lui doveva essere il luogo della punizione. Non è neanche vero che Don Lorenzo sia stato un disobbediente per quanto abbia scritto. Uno degli slogan più conosciuti è: “L’obbedienza non è più una virtù”, ma è scritto ai cappellani militari e ci arriveremo. Don Lorenzo è stato obbedientissimo, lo avete visto anche nel dialogo con la madre che dice: “Ma tu che ci fai qui relegato con la tua intelligenza?”. Appena arrivato a Barbiana, pochi giorni dopo, appartenendo ad una famiglia dell’alta borghesia, la madre avrebbe trovato i modi per far arrivare indirettamente all’arcivescovo una qualche pressione: “Ma questo figliolo – come dicono i toscani – ha probabilmente bisogno di uno spazio maggiore…”. Lui risponde con quella lettera che avete ascoltato e dice: “La grandezza di un uomo non si misura dal luogo dove ha dimorato, ma da ben altre cose”.
Cosa accade a Barbiana e, prima
ancora, a Calenzano? Questo luogo è angusto, problematico e, guardando negli
occhi i miei preti, in questo momento, quale parrocchia, Roccaromana,
Rocchetta, non è problematica? Io avrei voluto mettere “Rocchetta chiama
Barbiana”, ma ho detto: “Si offenderanno”. Allora ho messo Teano – e certamente
non si offenderà il sindaco, che ringrazio per la sua presenza – per dire
Torniamo alla storia. Eravamo
rimasti a Calenzano. A Calenzano, Don Lorenzo inizia una scuola serale e –
questo è il tema centrale del nostro incontro – perché una scuola? Perché si rende
conto che il problema della civiltà del popolo italiano, da un lato, il
problema del Cristianesimo, dall’altro per quanto concerne il cammino della
Chiesa, è legato alla comunicazione. Questa è la grande intuizione di Don
Milani che adesso, detta così, sembra una banalità, ma è una grossa intuizione.
Io posso fare una predica meravigliosa, nel caso sia un prete, o una lezione
universitaria, nel caso sia un docente, ma (problema!): i miei alunni, i miei
ascoltatori, quello che io dico, lo capiscono? Questo problema vi sembrerà
banalissimo ma, ieri come oggi, è il problema di ogni gruppo sociale, sia esso
un partito, uno Stato, una Chiesa. Il problema è che il messaggio è valido - e
Don Lorenzo ne è convintissimo! -, è valido anche secondo lui il messaggio
della Costituzione Italiana: cerca di suscitare in questi ragazzi montanari il
senso della sovranità (“La sovranità appartiene al popolo!”…). Ancora oggi,
dopo tanti anni, questa sovranità noi non la sentiamo. Evidentemente forse il
termine stesso “sovranità” non dice nulla, bisogna tradurlo. L’insistenza sulla
scuola ha due finalità: di liberazione sociale, perché questa classe di giovani
sfruttati non sa neanche difendersi, non conosce i sindacati, non conosce la
facoltà di votare, non sa leggere - questo è un tema su cui Don Milani
dibatteva – non sa leggere la prima pagina di un quotidiano, l’articolo di
fondo, e dunque c’è un cortocircuito nella comunicazione. Questo cortocircuito
bisogna bypassarlo creando un linguaggio comune:
questo è il motivo per cui nasce la scuola di Calenzano, e poi quella di
Barbiana, ma è anche un motivo spirituale. Probabilmente qualcuno di voi,
soprattutto qualche presbitero, avrà detto: “Ma il Vescovo non aveva nessun
santo di cui raccontarci ‘le gesta’ che va a tirar
fuori questo prete in odore di rivoluzione per darci un input pastorale?”. Al
di là, ripeto, del “porcospino” che è Don Lorenzo Milani, che dovunque lo
tocchi ti fai male (e fa male anche a me), quest’uomo ha avuto una grande
intuizione: l’intuizione è il problema del linguaggio. “È la lingua che fa uguali”, dice lui. Allora mi viene da chiedere:
noi, nelle nostre parrocchie, parliamo una lingua comune? Il prete che predica
e l’assemblea che ascolta hanno la stessa lingua? E voi che insegnate, che
siete docenti, parlate una lingua, ma i vostri alunni vi intendono? Noi
conosciamo la lingua dei nostri ragazzi? Tra l’altro – e ciò riemerge di tanto
in tanto nella storia, anche per queste assonanze – oggi si parla di un
analfabetismo di ritorno: quelli erano i tempi dell’alfabetizzazione, del
maestro Manzi – ve lo ricordate? – che faceva i disegnini…
Adesso ci sembra che quel tempo sia del tutto superato, che le persone parlino,
che capiscano, che intendano. Se andate per un attimo ad affacciarvi sui
messaggi dei vostri figli o dei vostri adolescenti, voi sacerdoti, scoprirete
un’altra lingua, non solo per la contrazione (perché questi messaggi, al posto
di “più” hanno il segno più, è un linguaggio contratto il più possibile):
stiamo tornando ad una situazione di analfabetismo e poi, su un altro piano, di
analfabetismo affettivo. Avete visto prima “Il problema della scuola è più un problema di educazione che di
istruzione”. Ciò è ancora vero e questa frase la possiamo prendere come
proclama e come tema di un piano pastorale. Che significa che “Il problema
della scuola è più un problema di educazione che di istruzione”? Significa che
la scuola da un lato, allora come oggi, e
Vado verso la conclusione. Don Lorenzo Milani ha avuto queste grandi intuizioni e le ha vissute. Attenti, le ha vissute anche, non solo facendo scuola, ma facendo scuola in una maniera che a noi sembra da aborrire, tipo: niente ricreazione - noi che aspettavamo il “sollievo”, come amavano dire le suore -, poi dodici ore di seguito! Se oggi ci fosse un Don Milani così, immediatamente il Telefono Azzurro verrebbe a prelevarlo e ad ammanettarlo, perché sta a creare delle turbe nella mente dei ragazzi, ma – adesso lo cito – uno dei ragazzi di Don Milani, quando dicono “Ma tu stai dodici ore qui: non ti ribelli?”, dice: “Meglio dodici ore a scuola qui, che dodici ore a spalare la merda”. È subito detto, a dire “dove stavo” e “dove sto”. Quindi una scuola continua, una scuola a trecentosessantacinque giorni, anche a Natale!, anche a Pasqua! Non c’è vacanza nella scuola di Barbiana dove poi approda Don Milani, dopo i primi dieci anni di Calenzano. Ma quello che è più importante - e qui raccogliamola, almeno noi preti, questa sollecitazione - alcuni di questi ragazzi vivono nella canonica, vivono con lui. Non solo, ma i testi hanno avuto delle sofferenze immani: “Esperienze pastorali” bocciata da Civiltà Cattolica e poi ritirata dal commercio con intimazione di non pubblicarsi più, perché era un testo che poteva sconvolgere gli equilibri; gli altri due testi che rimangono, “Lettera ai cappellani militari” e “Lettera ad una professoressa”, sono testi di “insieme”. Oggi si farebbe grande fatica a scrivere un libro insieme. Lo si fa con “copia e incolla”, ma è un’altra cosa. È diverso “copia e incolla” dal fare un libro dicendo cosa pensa Michele, cosa pensa Francuccio… poi mettiamo i pensieri… tu come diresti questa cosa?… E anche i libri nascono insieme. Ma quello che ci tengo a dirvi è che questi ragazzi, a Barbiana, sono cresciuti insieme al loro maestro, insieme al loro parroco. Questo fatto anche di dover dormire lì per motivi oggettivi, perché alcuni facevano un’ora e tre quarti per arrivare alla scuola (la parrocchia di Barbiana ha dei casolari sparsi sul Monte Giovi, quindi bisogna camminare ore ed ore), vuoi per questo, vuoi per una scelta educativa, questi ragazzi, poi diventati giovani, vivono insieme con il loro prete. Adesso non so, poi lo diremo alla fine, o domani, se questo può trovare una qualche esplicitazione, ma voglio dire: la lezione che comincia e finisce dopo mezz’ora, lascia il tempo che trova, come tutte le istruzioni. L’educazione chiede che Don Luigi - faccio un esempio, perché ha la canonica più capiente della Diocesi - ad tempus, ovviamente per una settimana, decida di ospitare dieci, quindici giovani, che stanno lì, dicono le Lodi con lui, pranzano, cenano, fanno colazione, istruzione... Questo stare insieme crea l’atmosfera dell’educazione, altrimenti finiamo sempre nella secca dell’istruzione. “È solo la lingua che fa uguali”. Allora “Esperienze pastorali” ha avuto l’esito che vi ho detto. “Lettera ad una professoressa”, avete visto la scena, nasce alla fine degli anni di Don Milani in questo mondo, è stata pubblicata un mese prima della sua morte: è la reazione del prete che vede i suoi ragazzi della scuola, si diceva allora dell’avviamento, l’attuale scuola media, bocciati quando si presentano alla scuola pubblica, perché non possono frequentare a Vicchio, perché non hanno i mezzi di trasporto per andarci; fanno lezione da Don Lorenzo e poi a fine anno vanno a fare gli esami per essere ammessi e per vedere riconosciuto il loro iter. Ovviamente abbiamo programmi diversi, Don Lorenzo dice “I miei ragazzi sanno di più” ed era vero, perché erano stati per un anno intero, dodici ore al giorno, a cercare, ad ascoltare musica, magari anche a fare dei viaggi, a guardare il problema a 360 gradi, ma la signora giustamente dice che vuole sapere chi è il padre di Minerva, sennò non si va avanti: “Io devo essere ligia ai miei programmi”. Questo genera “Lettera ad una professoressa”, che in qualche maniera è un’accusa alla scuola che lascia qualcuno dietro, e più di qualcuno. Una scuola che penalizza anche una sola persona e la mette ai margini, non la cerca più, una parrocchia che penalizza una sola persona, la mette ai margini e non la cerca più, non è degna di questo nome. Questa è l’anima di “Lettera ad una professoressa”. Uno o due anni prima era stata pubblicata “Lettera ai cappellani militari”, che nasce dalla lettura comunitaria del giornale. Quindi il ragazzo legge che i cappellani della Toscana si sono riuniti e hanno affermato che l’obiezione di coscienza, che tiene tredici giovani nel carcere di Gaeta, è un atto di viltà e un attentato allo stato. Questa è la notizia: tutti l’hanno letta, nessuno l’ha commentata. A Barbiana si commenta: ma è vero questo fatto?, forse non bisogna difendere l’obiezione?, forse questi tredici sono veramente persone che attentano allo Stato o – dice Don Milani nella lettera ai giudici per difendersi – mettono in pratica l’articolo 11 (se ricordo bene, posso sbagliarmi) della Costituzione che dice “Lo Stato Italiano rifiuta la guerra”? Allora comincia un’altra diatriba di quest’uomo che dovunque mette mano, fa polemica. Per questo io mi sento lontanissimo caratterialmente, da Don Lorenzo - se mi avete conosciuto in questi due anni e mezzo, sono di tutt’altra pasta – però non posso non leggere, in questo “tenzone” continuo di Don Lorenzo, un valore che va a mettere il pungolo laddove c’è il problema. Per questa lettera, che la scuola di Barbiana coralmente scrive, in risposta all’articolo, Don Lorenzo Milani è citato in tribunale per apologia di reato. Viene assolto in prima istanza, ma poi il Pubblico Ministero fa ricorso e viene condannato, per fortuna, quando è già morto - ma viene condannato! - e quindi il suo intervento, e quello che lui insegna, viene ritenuto all’epoca, siamo nel 1967, un attentato allo Stato. Don Lorenzo muore - chiudiamo con le immagini della morte e dopo vi do la parola - muore di cancro a 44 anni, muore avendo raccolto poco. Ovviamente, oggi, i ragazzi di Barbiana sono delle persone affermate (io ne ho incontrate anche alcune), hanno svolto un ruolo. Questa provocazione nata in quegli anni, in una parrocchia insignificante, fa ancora scuola, genera congressi, interessa persone, fa scrivere libri in Italia e all’estero. Chiude da fallito fondamentalmente, come d’altra parte tutti coloro che si mettono alla sequela del Cristo Crocifisso. Perché muore da fallito? Perché ovviamente si rende conto che la scuola finirà con lui. Ho letto con i miei occhi nel cimitero di Barbiana, dove sono stato tanti anni fa, in questi luoghi dove si può scrivere qualsiasi cosa, una di queste frasi – anche questa è condivisibile - di uno dei visitatori che dice: “Don Lorenzo, con te è morta la scuola italiana”. Per fortuna è ancora viva, anche se, di riforma in riforma, non sappiamo dove approderemo: due maestri, tre maestri, poi torniamo indietro, poi uno, poi tre… Non stiamo qui a parlare della scuola, ma della Chiesa che ha gli stessi problemi. Muore da fallito, perché muore a casa sua e la sua casa comunque è la casa di un ricco. Infatti l’ultima espressione che dice a Michele è: “Stai assistendo ad un miracolo e il miracolo è che un cammello sta passando per la cruna di un ago” nel senso che comunque resto un ricco, muoio a casa di mia madre, ma questo è un miracolo, perché il ricco è salvato. Da questo fallimento, nascono tutte le provocazioni: alcune ve le ho dette, altre le ho saltate ovviamente per motivi di “spazio”, perché mi sono fatto prendere dalla foga del parlare… Da questa morte nasce una vita e nasce anche il nostro essere qui stasera. Guardiamoci queste ultime scene: questa è la piscina (anche questa ho visto), sarà cinque metri per due al massimo, fatta perché i montanari non sanno nuotare e dunque devono prendere contatto con l’acqua. Vediamo queste ultime scene e poi, se c’è possibilità di dirci qualcosa, di interloquire brevemente, lo facciamo.
***
Potremmo tentare, sia pure per
qualche minuto soltanto, un primo mini-dibattito. Perché mai il Vescovo ci ha
voluto raccogliere intorno a questa figura? Quanto Teano debba chiamare
Barbiana? Quanto Barbiana di ieri ci sia anche oggi qui? Quanto io possa essere
un Don Lorenzo? Io, intendo io parroco di Roccaromana, io parroco di – non so,
penso a qualche parrocchietta piccolissima – Orchi mi
viene in mente in questo momento. Devo dirvi che io prego, perché ci sia
qualche Don Milani. Mons. Leonardo starà pensando:
“Eh! Poi vedrai! Non ti conviene fare questa preghiera, perché poi ti darà filo
da torcere!”. I rapporti sono stati molto tesi, ma anche molto belli. Tra
l’altro, alla fine, sul letto d’ospedale credo, arriva una lettera
dell’arcivescovo: c’è una sorta di pacificazione esterna, perché quella
interiore c’era già. Lui è rimasto lì nell’obbedienza del Vescovo. A proposito
di questo legame con
***
(…) Oggi che
Certamente nel mio cuore c’è
questo sogno, ve lo dico con molta semplicità, che da questa due-sere non ci si limiti a “Il Vescovo ha avuto la stramba
idea, come suo solito, di tirare fuori Don Milani” e poi chiudiamo qui. Il mio
sogno, Peppe, e lo dico a tutti, è che tra oggi e domani, non dico così come
una formula, nasca un “novum”. Attenti che non deve
nascere niente di nuovo, perché è tutto già scritto rispetto alla Verità, ma un
“novum”, rispetto alla pastoralità,
sì. Peppe faceva riferimento anche ai suoi trascorsi politici. Tra l’altro,
vedete, quei tempi - Mons. Leonardo è stato anche un
protagonista di quelle battaglie - erano di gran lunga migliori di questi,
perché c’era un pensiero, c’erano delle idee che si contrapponevano, c’era una
dialettica. Adesso c’è il trasformismo, per dirla col buon Giolitti,
ma il trasformismo giolittiano è niente rispetto a
certi trasformismi che vediamo: oggi è bianco, domani è nero, no? Allora è il
caso di tornare a pensare. Poi, rispetto a questo fatto di Don Milani
battezzato e tirato dalla sinistra di allora, c’è una lettera molto bella a
Pipetta, spero la ricordiate. Pipetta è un giovane di Calenzano, un agit-prop
del PC. Dice: “Pipetta, ricordati: adesso stiamo insieme perché io devo stare
dalla parte dei poveri. Ma il giorno in cui noi varcheremo i cancelli di una
casa nobile e tu entrerai, io ti tradirò, perché, adesso stiamo insieme, perché
c’è un comune denominatore del mio ‘essere con i poveri’,
ma quando tu non sarai più povero, ma avrai il potere, io ti tradirò perché
sarò coscienza critica anche allora”. Questo è un sensus
Ecclesiae molto bello:
Allora forse è il caso di chiudere, a meno che non ci sia qualcuno che voglia attizzare un po’ di fuoco, ma immagino che tra poco dovremo chiamare i pompieri, per tutto quello che ho già attizzato da me, e andranno in azione anche i sensori dell’antincendio dell’auditorium. Prego…
Non si sappia in giro che qui si fanno queste cose (…) Le faccio una
domanda solamente: “Maestro è colui
che non ha nessun interesse quando è solo”, perché “quando è solo”?
Perché il maestro è tale quando ha gli alunni. Quando il sapere diventa conventicola e quindi io so, e mi impettisco per quello che so, e sono solo, non sono più maestro, perché il maestro ha sempre degli alunni, il maestro nasce nel rapporto con la scolaresca, per dirla con un termine oggi non più in voga, nasce nella relazione. Quindi non un sapere chiuso e quindi “Ce l’ho e guai a chi me lo tocca” (perché diventa anche un elemento per tenere nell’ignoranza il resto) ma un sapere condiviso.
***
Benedizione del Vescovo
Buona serata. A domani sera.
***
Presentazione
dello spettacolo teatrale
“A Don Lorenzo Milani”
con l’attore
Angelo Maiello
Teano, 22 Gennaio 2009
Auditorium Diocesano
Ci sono due modi per comunicare: c’è il modo discorsivo, che è sempre più difficile ma un po’ pedante, quello che ha utilizzato il Vescovo ieri sera (anche se i linguaggi di ieri erano su vari livelli), e poi c’è questo modo di comunicare, il teatro, che ha il suo fascino, ha la sua presa diretta, non ha bisogno di spiegazioni. Se di qualche spiegazione c’era bisogno, sono bastate quelle di ieri, per cui questa sera, con la perizia, la competenza, di Angelo Maiello, noi accediamo direttamente al personaggio, non in una ricostruzione, ma attraverso i testi. Questo spettacolo, che ha girato l’Italia, che è stato anche a Barbiana, in un prestigioso convegno a Firenze a Palazzo Pitti, è null’altro - ovviamente dire “null’altro” non vuole ridurlo - che un’imbastitura di testi di Don Milani presi da “Esperienze pastorali”, dall’epistolario, da “Lettera ad una professoressa”, da “Lettera ai cappellani militari”. Quindi dalla letteratura di Don Milani è stato tirato fuori questo spettacolo a tuttotondo sul personaggio. Innanzi tutto ringraziamo Angelo, che ha avuto quest’idea anni fa e ha messo su questo tracciato. Angelo Maiello fa l’attore, diciamo, non di professione: è baccalaureato e licenziato in Teologia a Posillipo, ma è sposato felicemente con due bambini (se ricordo bene), è laureato in Filosofia, è insegnante di Religione al “Pontano”. Questa è la sua missione ufficiale e poi ha la passione del teatro, che coltiva come un hobby, nel senso più alto del termine.
Lo spettacolo dura un’ora, senza applausi, se non alla fine. Immergiamoci in Don Milani, dopo la presentazione pedante del Vescovo, nell’accattivante realizzazione teatrale con l’attore Angelo Maiello. Lo ringraziamo con un applauso ora.
***
Intervento conclusivo
A mo’ di conclusione, già ho detto
prima dello spettacolo, che non c’è una virgola in questo testo che non abbia la
firma di Don Lorenzo Milani. Probabilmente, durante lo spettacolo, soprattutto
ascoltando la storia di Mauro, a cui è dedicato un largo spazio in “Esperienze
pastorali”, vi sarete chiesti: ma veramente questo prete era così agguerrito,
così aggressivo, diciamo, santamente aggressivo? Veramente si è messo a contare
quanti colpi di telaio dia al giorno, con tutti quei calcoli…? Don Milani ha
fatto questo. È un messaggio per noi, per tutti: per noi preti qui presenti, ma
anche per gli insegnanti, per chiunque abbia a cuore l’uomo. E il messaggio è
questo: l’uomo non va suddiviso. Non ci sono competenze sull’uomo: io mi occupo
dell’anima, tu ti occupi della scuola, lui fa il medico e si occupa della
salute, l’altro lo guida in palestra e si occupa della prestanza fisica… L’uomo
non è divisibile. L’uomo, quando c’è, è un mistero e bisogna accompagnarlo,
conoscerlo e imparare da lui nella sua interezza. Questo mi sembra, oltre
quello che ho detto ieri sera, una grande lezione, poiché a noi l’uomo
interessa, e ci interessa su due livelli. Ci interessa perché siamo uomini e
non possiamo disinteressarci di quello che siamo e di quello che gli altri
vivono, ma ancora di più ci interessa come credenti, perché
Voglio concludere anche dicendo: dopo questa suggestione
teatrale, ce ne torniamo a casa, ma finisce qui? Potremmo chiudere qui, il
Vescovo d’altra parte ha fatto il suo, ha creato un’opportunità, ha messo
insieme delle persone, ha lanciato dei messaggi, spero abbia perlomeno fatto
venire, a chi non conosceva in precedenza Don Milani, il desiderio di leggere
qualche testo: già questa è un’opera non di secondaria importanza. Ma questa due-sere deve avere un seguito, io non so quale, nel farci
generare qualcosa, nel mettere in circuito delle idee nuove o nel riprendere
vecchi sogni che avevamo del tutto accantonati. Ma c’è anche un segno, che io
voglio consegnarvi stasera, per la nostra Chiesa locale. Questo segno è il
Centro Giovanile, che nei prossimi mesi si aprirà a Calvi, diciamo in primavera
(per non dare una data: magari il Vescovo si impegna, poi i lavori…, poi l’organizzazione…,
non riusciamo…). Un dono - non è un dono mio, ma è il dono che ci viene fatto a
conclusione di questa due-sere - è dire: se io debbo
avere a cuore quaranta ragazzi o dieci (Don Milani dice “Non si possono amare
tutti”, ed è vero, nel senso che poi la relazione è con un numero ristretto di
persone), se questa è la nostra missione, se dobbiamo tornare a educare e
raccogliere la sfida dell’educazione che
Diciamo insieme, tenendoci per mano
Padre nostro…
Benedizione del Vescovo
Buona Barbiana!
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Il testo, frutto di registrazione, non è stato rivisto dall’autore.