“Madre, ora scendono le nebbie…”

 

Meditazioni

di

S. E. REV. MA MONS. ARTURO AIELLO

 

sagrato della chiesa di Terracorpo

 

Marzano, 18 Settembre 2009

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Canto: Vieni, vieni, Spirito d’amore

 

Nel nome del Padre…

 

Anche stasera, come all’inizio di questo “pellegrinaggio”, nel mese di luglio, recitiamo un Rosario un po’ diverso: sono cinque tappe che chiudono questo nostro cammino. Cosa abbiamo voluto fare in queste tappe diverse, da luglio a settembre? Abbiamo voluto dare un’anima all’estate. Ovviamente, ogni credente, ciascuno di voi, giovane o adulto, ci avrà provato: do un’anima a quest’estate, cioè non basta andare al mare, andare in vacanza, sopportare il caldo, ma c’è bisogno anche che questo tempo, in qualche maniera, ci aiuti, ci strutturi in senso positivo. Poi, abbiamo cercato di farvi passare attraverso luoghi belli e anche questo luogo, probabilmente, è sconosciuto a tantissimi di voi. C’è una terrazza meravigliosa davanti la chiesa di Terracorpo, chiesa mariana, che domina la valle e dove è possibile per noi, questa sera, chiudere l’estate (questa, per noi, è una preghiera conclusiva). Lo facciamo nella preghiera con tre elementi: piccole riflessioni da parte del Vescovo, l’arte (brani musicali di chitarra classica eseguiti da Bruno che si è reso disponibile come sempre) e poi una decade di Ave Maria.

 

1° Riflessione

 

Il primo pensiero va a quello che abbiamo vissuto. Per un attimo, andate con la mente ai giorni di giugno, luglio, agosto e questa prima parte di settembre: cosa ho vissuto?, cosa è successo?, quale evento mi ha segnato?, quale dono ho ricevuto? Cominciamo, in una maniera molto ampia e apparentemente generica, a ripensare: se noi non ripensiamo, perdiamo. Della nostra vita rimane quello di cui abbiamo almeno un ricordo, perché quello che dimentichiamo del tutto è come se non lo avessimo vissuto. Quindi, questo sforzo di memoria - e di memoria grata - vuole darci la possibilità di riappropriarci di un incontro, di una parola, di una nota, di un panorama, di un’amicizia, di un’illuminazione, di un’esperienza spirituale vissuta nel corso di quest’estate.

 

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2° Riflessione

 

Questa serata, nel cartellone che l’annunciava all’inizio dell’estate, aveva - ed ha - un titolo: Mater dulcissima, ora scendono le nebbie… È un verso di Quasimodo, ma a noi serve semplicemente come incipit, come inizio. Non commento la poesia (rimando ad una serata fatta a Pignataro, la scorsa primavera, su alcune poesie dedicate alla madre), ma “ora scendono le nebbie” significa che è il momento in cui cominciamo a sentire i primi brividi alla schiena (qualcuno di voi ha già portato una maglia…). Questi giorni di settembre sono legati al piacere della lana, cioè quello che appena quindici giorni fa era una cosa impensabile, quando eravamo ancora nel pieno della calura, adesso ci fa piacere. È una sensazione tattile: ci fa piacere sentire la lana sulla pelle. E questa è la sensazione di settembre. “Ora scendono le nebbie” significa che l’estate è finita. Io aggiungo: per fortuna! - e non mi riferisco al caldo -, perché l’estate rischia di demolire quello che noi abbiamo costruito durante l’anno. Sul piano scolastico, per esempio, gli insegnanti rivedono le loro scolaresche e dicono: “Dobbiamo ricominciare daccapo”, nel senso che questi mesi di ozio sul piano culturale possono aver azzerato tanti sforzi compiuti nel corso di un anno. Lo stesso dicasi per i parroci, nel caso che si sia interrotta l’attività pastorale e si ricominci: i nostri giovani ci sono ancora?, sono quelli che abbiamo lasciato? E quello che dico del prete vale anche per il genitore: a volte, basta che non ci si veda una sera, perché tuo figlio non sia più quello che tu conosci. Quindi, “per fortuna” è l’espressione che sempre mi è venuta dal cuore al primo fresco di settembre, per dire che adesso torniamo ai pensieri alti, torniamo oltre la divagazione. Ovviamente, il riposo è una cosa bellissima, ma mi riferisco a quella dimensione gaudente che, purtroppo, attraversa l’estate.

Le nebbie, che nella poesia sono le nebbie del nord, per noi sono protettive, cioè l’inverno ci protegge, l’autunno ci protegge. È vero che tornare a scuola, all’università, al lavoro, dalle vacanze non è piacevole per nessuno, ma dobbiamo riconoscere che il lavoro ci mette al sicuro, sia da un versante che dall’altro, sia dal punto di vista dell’insegnante che dell’alunno, sia dal punto di vista dell’operatore pastorale che dell’utente. Dobbiamo riconoscerlo: se stessimo in vacanza un giorno in più, probabilmente ci perderemmo anche noi, mi perderei anch’io. Quindi, non parlo di voi, pensandovi particolarmente deboli e peccatori, parlo di me: una vacanza protratta di un giorno o di un’ora o di un minuto o di una settimana, potrebbe essere deleteria. La vacanza è utile nella misura in cui è breve e, quindi, scandisce un momento e l’altro del lavoro, ma capite da voi che una vita di vacanza è una vita disperata, è una vita quanto mai piatta che inclina al suicidio. Ecco, questo è il senso di “adesso rimetto la maglia di lana”: è un rito, come tirar fuori la coperta, come cambiare il guardaroba… Sono tutti rituali che hanno il loro valore, che stanno a scandire un tempo che è finito e un tempo che comincia.

Nuntio vobis gaudium magnum: il tempo che comincia è più produttivo del tempo che si conclude, anche se per noi, diversi di noi, l’estate è stata ugualmente un tempo di lavoro.

Mater dulcissima, ora scendono le nebbie… Queste nebbie che scendono sono l’inverno che viene, sono “rientro in casa”. Chiudo dandovi questa immagine che, forse, può essere riassuntiva di queste sensazioni che vi ho descritto. Domenica prossima i nostri seminaristi tornano in seminario: questo fatto di tornare in seminario, per loro, vale anche per noi come rientro in casa. E se “casa” è l’interiorità, se “casa” è “torno a lavorare su di me”, se “casa” sono gli affetti, le relazioni importanti, le amicizie costitutive, il lavoro produttivo (in senso umano, non in senso economico), allora il  “rientro in casa” dev’essere celebrato. Noi siamo qui per questo, stasera: per affidare a Maria, presente qui anche con questa immagine antica, il nostro rientro in casa. E speriamo che rientrino in casa tutti, speriamo che ora che scendono le nebbie e siamo contati come il pastore conta le pecore, non ci siano pecore disperse, non ci siano persone che si sono perse nel caldo dell’estate, nella confusione delle lingue.

Mater dulcissima, ora scendono le nebbie… Grazie, perché mi dai la possibilità di rientrare.

 

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3° Riflessione

 

Questo terzo momento vorrei dedicarlo al tempo. Ovviamente, sarà una riflessione brevissima, telegrafica, perché sul tempo si possono dire tante cose. Non parlo del tempo atmosferico - beninteso - ma del tempo che passa, del tempo che ci struttura, del tempo che lascia le tracce sul nostro volto, le rughe, del tempo che ci fa dire “sto invecchiando” o “sto diventando grande” o “non sono più adolescente”, il tempo che si misura con i capelli bianchi o con i capelli che cadono, a dire che il tempo passa. Chiudere l’estate e aprirci a questa stagione del “lavoro interiore” (l’ho definita così e spero che sia così per voi) significa anche renderci conto che stanno passando degli anni e se non ci fermiamo a riflettere un attimo, il tempo ci sfugge di mano: passano anni, decenni, e noi arriviamo a conclusione dei nostri giorni senza che ce ne rendiamo conto. Il tempo va celebrato dicendo: è passata un’altra estate. Questa riflessione sembra essere un po’ terroristica e uno può dire: Non ci vogliamo pensare!, sono ancora giovane! Poi ci penserò… Poi verrà il tempo…

Quelli fra noi che sono più avanti negli anni sanno bene che chi va avanti in questa maniera, arriva a 80’anni e non si è reso conto di nulla. Quindi, dirci che è finita l’estate significa anche dirci che è finita un’altra estate della nostra vita, cioè un’altra possibilità che ci è stata offerta e che noi, forse, abbiamo sciupato o non valorizzato abbastanza. E, se questo è accaduto, come perlopiù accade, dobbiamo renderci conto che è il caso di recuperare. La ricerca del tempo perduto è, come sapete, un tema che attraversa la letteratura del Novecento, ma direi di ogni tempo. C’è anche un tempo che si può recuperare, c’è anche un tempo perduto che si va a raccogliere. Dice il Qoèlet che c’è un tempo per ogni cosa: c’è un tempo per gettare le pietre e un tempo per passare a raccoglierle. La ricerca del tempo perduto è il tempo dove tu puoi andare a raccogliere i sassi che hai gettato e che, magari, erano delle pietre preziose. E, allora, torni indietro e dici: Ho perso una perla, ho perso uno smeraldo, vado alla ricerca di un diamante, vado alla ricerca di un’ametista di cui non mi sono reso conto… Non vorrei che pensaste che questa riflessione ci debba portare alla flagellazione o a un senso di tristezza, tutt’altro. Deve, invece, aiutarci a rimboccarci le maniche dicendo: Devo lavorare di più, perché non so quanti altri autunni, inverni, primavere, cioè quanti altri anni ho ancora a disposizione nel deposito che Dio ha stabilito per me. Questo, prima che sentiate la campana che suoni a morto. La campana suona a “svegliatevi!”, suona a “impegniamoci!”, suona a “voglio utilizzare al meglio le possibilità che il Signore mi offre”: questo è il senso. Quindi, celebrare un passaggio da una stagione all’altra (una volta c’erano le rogazioni, processioni che si facevano in campagna per impetrare il dono della pioggia e i benefici per il lavoro agreste) ci aiuta anche a tematizzare che stiamo vivendo. Noi non lo sappiamo che stiamo vivendo, che questa è la nostra vita, che non staremo qui per sempre, che siamo di passaggio e questo, anziché indulgere a sentimenti di tristezza, mi fa dire: Se sono di passaggio, allora lascio una traccia, vorrei che non andasse perduto tutto di me. Questi ed altri sentimenti si affasciano quando si tematizza il tempo.

 

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4° Riflessione

 

In questo quarto momento, vorrei ripercorrere insieme con voi la geografia spirituale di quest’estate, perché c’è una geografia oggettiva e poi c’è una geografia spirituale (è come se noi ne avessimo disegnata una). Quand’è che un luogo diventa un luogo dello spirito? Non esistono dei luoghi “abilitati”, con la “patente del luogo spirituale”, ma sono gli eventi spirituali che noi viviamo che rendono un luogo, luogo dello spirito. Faccio prima riferimento ai luoghi per i quali siamo passati e poi ad alcune esperienze forti di quest’estate.

Siamo partiti dalla Chiesa del SS. Salvatore, quindi in alto, anche mettendo a dura prova alcuni di voi, anche i giovani stessi che vennero a quel primo incontro sul Monte Maggiore. Se ricordate, dissi: In alto i nostri cuori, cioè saliamo, lanciamo i cuori in alto. Siamo stati sul bacino superiore di Presenzano a meditare sul Vangelo del giorno dei pani che possono bastare per tanti, quando abbiamo il coraggio di condividere quello che abbiamo. Sul Monte La Frascara ci siamo fermati sui versi di Turoldo “A Terza” dove al poeta bastano poche cose, la certezza di vivere, quella che, come vi dicevo poc’anzi, ci è mancata, perlopiù ci manca. Siamo passati attraverso luoghi (come il sagrato della Chiesa di Torano, 15 giorni fa) a cui d’ora in poi sono legati dei messaggi, luoghi che hanno assunto un significato ulteriore, un plus di significato, tant’è che quando ci ritornerete, se avrete un tantino d’attenzione, riceverete di nuovo il messaggio (il Monte La Frascara, d’ora in poi, sarà legato ai versi di Turoldo). Questi sono alcuni luoghi, poi ci sono alcune esperienze significative.

La prima esperienza, in ordine di tempo, l’hanno vissuta solo i seminaristi, però vorrei dirla qui, perché non si è trattata di una vacanza. Il Vescovo li ha portati - e loro, per la verità, hanno un po’ protestato - a camminare per ore ed ore sui sentieri delle Dolomiti. La nostra estate ha avuto anche quel luogo come modo per esercitarci, per conquistare una vetta, per arrivare ad un rifugio, per camminare in silenzio.

Poi, il Campo-Scuola Giovani: un vero evento di Grazia. Adesso ce ne sono pochi di giovani, ma avere 180 giovani universitari ad un Campo-Scuola è quello che oggi si chiama miracolo.

Terzo momento: gli Esercizi Spirituali aperti ai Lattani per gli adulti, che hanno interessato circa 100-120 persone, con una buona attenzione, intensità, sia pure in due giorni e mezzo, ma comunque una esperienza di Grazia.

San Paride by night (si cercano i termini semplicemente per rilanciare il discorso) ha costituito una possibilità, un modo di riappropriarci del Santo Patrono della nostra Diocesi vivendo tre esperienze. Ricordo la più significativa, a mio parere, che è il concerto di organo e due trombe in Cattedrale sulla regalità.

Vi ho disegnato il cammino che abbiamo fatto. Qualcuno ha detto: Ma il Vescovo ci impegna anche d’estate!, non possiamo andare neanche in vacanza! Ovviamente, nessuno è stato mai costretto a venire a La Frascara, a salire o a scendere, ma quello che è importante è capire che la vita spirituale non va in vacanza (cosa semplicissima, ma tanto disattesa), non posso aprire e chiudere parentesi nella vita spirituale: o è continua o è scadente, per essere molto duri e anche veri, quindi non ci sono parentesi e non ci sono vacanze. Questo è il messaggio di questi appuntamenti dell’Estate contemplativa: tu puoi anche andare in vacanza, però utilizza questo tempo per ricaricarti, non per scaricarti, non per svuotarti, perché devi tornare arricchito. Spero che questo piccolo itinerario ci abbia arricchito e ci abbia fatto riprendere la scuola, gli esami universitari o il lavoro con maggiore grinta e, soprattutto, con maggiore consapevolezza.

 

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5° Riflessione

 

Vorrei chiamare qui Fra’ Pasquale. Avendolo visto, all’inizio della preghiera, ho pensato che non doveva passare inosservata questa presenza. Fra’ Pasquale viene da Calvi e due sere fa, a Santa Chiara, ha fatto la prima Professione Religiosa tra i Frati Minori. Questo è importante per dire che  avvengono dei miracoli anche da noi, ci sono delle novità e fioriscono delle radicalità anche da noi, perché a furia di dire che siamo brutti, sporchi e cattivi, perdiamo di vista quello che il Signore ci dà da vivere.

Io vorrei dire qualcosa su questi tre nodi. Quando i nostri nonni dovevano ricordarsi qualcosa, facevano un nodo al fazzoletto e si ricordavano. Era un modo per ricordarsi: fare un nodo era fare memoria. Cosa è cambiato nel look di Pasquale da due giorni a questa parte? Solo questo: si sono formati tre nodi. Noi normalmente pensiamo al nodo come a qualcosa da sciogliere (“sciogliamo questo nodo” si dice anche in senso metaforico) e, invece, ci sono anche dei nodi da fare. Questo, per esempio, è un nodo che è stato fatto e che speriamo non si sciolga. I tre nodi sono tre promesse: povertà, castità e ubbidienza. Fino a tre giorni fa, Pasquale aveva il saio e il cordone snodato, adesso ce l’ha annodato. Sembra che non sia cambiato niente, ma questi tre nodi sono tre collegamenti, tre promesse, tre impegni. Allora, prima di dargli la parola, nel caso, come spero, voglia dire qualcosa, questa estate deve concludersi con un nodo, altrimenti è inutile.

Cos’è un nodo? Un nodo è una promessa, un nodo è un legame. I giovani pensano che la libertà è poter fare quel che si vuole, ma – l’abbiamo detto e stradetto al Campo Scuola – è l’esatto contrario: la libertà è legarsi, liberarsi è legarsi. Ci si lega al matrimonio, ci si lega nella vita presbiterale, ci si lega nella vita religiosa attraverso la Consacrazione. Pasquale, da due sere a questa parte, è legato. Ovviamente, noi riconosciamo in lui una testimonianza di libertà, perché nessuno lo ha costretto a fare i nodi o a indossare il saio o a dire quelle parole impegnative che ha pronunciato davanti al suo Ministro Provinciale. L’ha fatto liberamente. Certamente, il Signore l’ha chiamato a questo – starete pensando -, ma libero. Io vorrei che questa estate finisse con qualche nodo, perché di nodi che si sciolgono, oggi, ce ne sono tanti, troppi. Invece, di nodi da fare ce ne sono pochi e pochi si impegnano a fare nodi (è bello anche che il nodo sia una misura per la navigazione…).

 

Intervento di Fra’ Pasquale

 

Aver visto questo volto vi impegna anche a pregare per Pasquale che, anche se andrà altrove e continuerà il suo cammino, è partito da questa Chiesa e, quindi, in qualche maniera vi appartiene, appartiene alla Chiesa intera. È un impegno, a dire che forse devo pregare per questo giovane che si è legato con tre nodi.

Questa è un’estate da chiudere con un nodo.

 

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Conclusione

 

Prima di sciogliere la nostra assemblea, vorrei dirvi cosa abbiamo fatto. Qualcuno potrebbe dirvi: “Ma che avete fatto a Terracorpo? Avete detto delle Ave Maria?”. Dice il Curato d’Ars che se c’è la paglia sparsa, uno l’accende, fa un po’ di fuoco e si spegne subito. Ma se si mette insieme un po’ di paglia, il fuoco dura di più. Questo – egli dice con la semplicità che lo contraddistingue - è il senso della preghiera insieme. Perché ci si riunisce in un posto per pregare? Ognuno potrebbe pregare per fatti propri in casa, in modo tale da non fare tutti questi giri che abbiamo fatto durante l’estate, ma una cosa è pregare da soli, altro è pregare insieme, come Chiesa. E noi siamo qui come Chiesa: c’è il Vescovo, ci sono dei presbiteri, dei diaconi, delle religiose, tanti laici. Questa è la nostra Chiesa: è la Chiesa di Teano-Calvi che ha pregato. E questa esperienza è di gran lunga più efficace di una preghiera singola. Quindi, quando potete, convergete, chiamate la vicina di casa (Vieni a recitare il Rosario con me, andiamo insieme a messa), perché l’unione fa la forza anche in questo campo, cioè essere insieme visualizza la Chiesa, ci incoraggia gli uni gli altri, ci dà la possibilità d’essere più efficaci.

 

Benedizione del Vescovo

 

Salve Regina…

 

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Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.