“Preghiera della sera”
Meditazioni
di
S. E. REV. MA MONS.
ARTURO AIELLO
Torano, 4 Settembre 2009
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Canto: Gerusalemme
Nel nome del Padre…
Ringraziamo di essere qui, per la
parete verde che è alle mie spalle e davanti a voi, e che fa da sfondo a Gesù
crocifisso, per questo fresco che, per noi che veniamo dal caldo, dall’afa, è
un dono. Il Signore ci convoca qui per un altro piccolo appuntamento di questa
“Estate Contemplativa”. Abbiamo bisogno di riprendere ossigeno, fiato, forza
sul piano spirituale, e la preghiera serve per questo. Abbiamo cantato con le
parole parafrasate del profeta: “Alzati, Gerusalemme, spogliati della tua tristezza - è
Questo è il mio figlio prediletto: ascoltatelo - ascoltano i tre convocati sul monte della Trasfigurazione. È un invito ad ascoltare Gesù. Ebbene, noi vogliamo ascoltarti, Gesù: siamo qui per questo.
Dal Vangelo di Luca
(5, 33-39)
Questo è il Vangelo di oggi e ho pensato, stamattina, leggendolo all’alba, che era opportuno che ci fermassimo su questa Parola, stasera. Lo dividiamo in tre parti, come se fossero tre scene. Ovviamente, tutti questi detti di Gesù sono provocati da un’obiezione. Potremmo dire che non va mai bene - partiamo da questa considerazione banale, ma anche molto reale - cioè comunque si fa, si sbaglia. Ci sono alcuni che portano avanti uno stile austero (al tempo di Gesù sono i farisei, sono i discepoli di Giovanni), che si sottopongono ad una serie di digiuni. Il gruppo di Gesù, invece, sembra un po’ gaudente, meno austero, più improntato alla gioia e, allora, nasce questa polemica: come mai…? In un altro momento, Gesù dirà: È venuto Giovanni il Battista che digiunava, che era austero, e avete detto “è troppo…”; è venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve e dite “va sempre in pizzeria”. Insomma, non va mai bene: questo valga per i parroci, per i mariti, per le mogli, per gli insegnanti (alcuni di voi sono appena rientrati in servizio). A partire da questa obiezione, poi, Gesù dà un insegnamento, che è innanzi tutto legato al “perché non si digiuna” da parte dei discepoli. Gesù dà una risposta, come sempre, un po’indiretta e, all’interrogativo, risponde con un interrogativo: Possono forse digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro? La risposta è no, perché se uno va a nozze, va anche per mangiare, non va certamente a fare la dieta (come sapete, la dieta si comincia sempre il giorno dopo: dopo le feste, dopo la vacanza, dopo Natale…). Quindi, non si presenta lì dicendo: Sto facendo questa dieta. No, sei invitato e, allora, partecipa pienamente alla gioia. Poi, Gesù aggiunge: Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno.
Cerchiamo, in questo primo
momento, di scandire i due aspetti di questo primo detto. Il primo, molto
bello, è che Gesù è lo Sposo. “Gesù è lo Sposo” significa che è venuto il tempo
delle nozze per l’umanità, per
L’altra espressione è: Ma verranno giorni quando
lo sposo sarà loro tolto. A che cosa si riferisce Gesù? Si riferisce
immediatamente ai giorni della Passione, cioè verranno anche per i discepoli
giorni difficili in cui non avranno più lo Sposo e, allora, quelli saranno i
giorni del digiuno. Voi potreste dirmi: Ma noi viviamo già nella gioia della
Resurrezione! È vero, ma il nostro non è né un tempo in cui è tolto lo Sposo,
né un tempo in cui chiaramente lo Sposo è con noi. Allora, com’è questo nostro
tempo? È un tempo verso le nozze. Le nozze sono già avvenute, sono qui -
l’immagine del crocifisso è l’immagine delle nozze, il Venerdì Santo è il
giorno nuziale - ma queste nozze aspettano d’essere
vissute pienamente da me, da te, da tutta l’umanità. Questo tempo è anche il
tempo in cui tu aspetti lo Sposo, aspetti il giorno delle nozze in cui lo Sposo
dirà: Ecco, questo è il giorno: vieni, vestiti bella, mettiti l’abito migliore, andiamo a sposarci.
Come vedete, già qui ci sono varie piste. La prima è che la vita cristiana è
una vita di gioia e, quindi, Gesù ci invita anche a diffidare di percorsi
austeri che non conducano alla gioia, un’austerità fine a se stessa. Il
cristiano non è così, ma è l’uomo della gioia anche nella difficoltà, anche
nella sofferenza, anche il Venerdì Santo, anche nel fallimento. Quindi, la vita
cristiana è vita di gioia, perché è vita nuziale: è Cristo il tuo Sposo.
Questo, per le persone sposate, significa: non ti preoccupare se il marito non
si è rivelato così come pensavi quando eravate
fidanzati. E lo stesso dicasi per le donne nei
confronti del marito: non ti preoccupare se la donna che hai sposato non è
quella che tu pensavi; non sarà un’altra a renderti contento, perché anche se
tu ti sposassi cinquanta volte, non saresti mai soddisfatto. Ma, allora, sei un
incontentabile? No, tu hai il desiderio dello Sposo con
Poi, ci sono i giorni, i tempi,
in cui lo Sposo è tolto, non si vede, non è visibile. Dov’è lo Sposo, adesso? È
qui. Gesù è qui, innanzitutto nel fatto che voi siete venuti alla Preghiera, e
qui costituiamo una comunità: c’è il Vescovo, ci sono dei sacerdoti, c’è un
diacono, ci sono dei laici e delle suore. È
Maria Teresa - che non avrà bisogno dello spartito perché lo suona sempre - farà un tema nuziale per dire: questo è il matrimonio. Il Matrimonio non è solo il sacramento che riguarda l’uomo e la donna, ma è la dimensione più profonda della vita cristiana per sposati, per fidanzati, per preti, per suore, per tutti.
***
Con il sottofondo dei grilli che prendono il posto delle cicale, questo secondo momento lo dedichiamo alle toppe e al vino. Sono detti di Gesù, che altrove sono posti in altri contesti, ma che qui l’evangelista lega al messaggio “cambiate mentalità”: voi che volete digiunare per il digiuno fine a se stesso, cambiate mentalità. Per dire “cambiate mentalità” e per evitare quegli accomodamenti e quei pasticci che siamo soliti fare, mettendo insieme delle cose che non riescono ad amalgamarsi, Gesù utilizza due immagini: l’una femminile, l’altra maschile. La prima immagine è legata all’arte, adesso ormai perduta del tutto, del rattoppo. I giovani, di toppe, conoscono solo quelle finte, cioè quelle dei jeans rattoppati o consumati. Ricordo che, qualche anno fa, i jeans super consumati costavano un’ira di Dio… Perché si potesse avere quell’effetto ci volevano vent’anni di jeans indossati. Invece, quando noi eravamo bambini, le toppe erano un’arte. Mi piace anche comunicarvi, e ricordare anche a qualche persona della mia età qui presente, che cosa significava rattoppare gli abiti: era un’arte. Lo sapevano fare le nonne che erano come delle “Michelangiole” in miniatura; certi rattoppi sembravano delle opere d’arte perché non si vedevano, cioè una maglia rattoppata, o un pantalone rattoppato, era così finemente camuffato, che non si distingueva se era nuovo o rattoppato. Dov’era la toppa? Dov’era quel pezzo? Non si vedeva più, perché le nonne o le mamme erano così brave a trovare innanzi tutto la toppa giusta, poi a metterla e a “rinacciarla” con arte, che non si distingueva più la “cicatrice”. Questo richiedeva – le nonne e anche le mamme di una volta lo sapevano bene – che bisognava avere da parte dei tessuti vecchi. Quindi, non si gettava niente: ecco perché non avevamo il problema dei rifiuti. Purtroppo, adesso, c’è il problema dei rifiuti legato al fatto che bisogna comprare continuamente: per comprare bisogna consumare, per consumare bisogna buttare… Allora non c’era il problema dei rifiuti degli abiti, perché un abito poteva durare cento anni - non dico sciocchezze - passando da una forgia all’altra, da un fratello all’altro, fino alla terza e quarta generazione, attraverso l’opera del rattoppo. E Gesù se ne intendeva, perché i rattoppi si facevano anche alla sua età (queste cose le ricordo io, che non ho l’età di Matusalemme, tanto più accadevano 2000 anni fa) e, quindi, per il rattoppo – dice Gesù – c’è bisogno che la frangiatura, che si è creata non ad arte come per i jeans dei giovani, sia chiusa con una toppa non nuova, ma di un panno grezzo, di un panno vecchio, più o meno che si avvicini anche come gradazione di colore. Magari le persone più inesperte dicono: Ma non ci posso mettere una toppa nuova? No, non puoi, perché il tessuto nuovo - dice Gesù - finisce con lo strappare ancora di più e si apre una falla più grossa di quella che c’era prima. Quindi, se tu vuoi rattoppare con arte, devi prendere un tessuto vecchio, non puoi mettere una toppa nuova su un vestito vecchio. È questa la contraddizione che Gesù vuole mettere in evidenza e che dice di certi pasticci, anche di vite a metà, di vite “un po’ a Gesù e un po’ al mondo”: metto insieme il mio impegno di catechista con l’amante da qualche parte… No, queste sono vite impasticciate, pasticciate. Se tu vuoi far parte di questo gruppo che va verso le nozze, dobbiamo - pur con tutte le difficoltà del caso, non sto dicendo che sia facile – impegnarci ad una vita nuova totalmente. Quindi, questo è il messaggio della toppa nuova sul vestito vecchio. Il vestito vecchio, adesso, è la mentalità del Vecchio Testamento, la mentalità del digiuno fine a se stesso; poi ci metto la toppa nuova, che è Gesù di Nazareth, e succede il finimondo! Hai bisogno di un abito nuovo, che significa un cuore nuovo, una vita senza compromessi e senza contraddizioni.
La stessa cosa vale per l’esempio, tratto dalla cultura maschile, degli otri e del vino. Le botti hanno il fasciame e i cerchi (la cerchiatura), tant’è che si dice “un colpo al cerchio e un colpo alla botte”. C’è bisogno di una botte robusta, perché il vino nuovo è forte, bolle, va in fermentazione. Non pensare che il vino vecchio sta lì, tranquillo, che invecchia nelle bottiglie messe in orizzontale nella tua cantina. Il vino nuovo è in evoluzione, è una rivoluzione. Spero che qualche volta, almeno da piccoli, abbiate ascoltato il ribollir dei tini di cui parla il poeta, quando la nebbia agli irti colli piovigginando sale… Quel ribollir dice vita, dinamismo, forza, trasformazione e, quindi, se io metto il mosto nella botte vecchia (“vecchia” non nel senso di “antica”, ma nel senso di “sgangherata”), perderò l’uno e l’altro, perché il vino novello, o il mosto in fermentazione, comincerà a dibattersi, la botte non regge, e perdo il vino e le botti. Questo è un esempio di cultura maschile, ma con lo stesso messaggio: c’è bisogno di una novità radicale, che non è “mettiamo un po’ d’acqua santa su questa cosa vecchia o sulla vita di prima, sulle abitudini che avevo…”. No, se tu ti sei convertito - e noi siamo sempre in questo atteggiamento, anch’io lo sono – tu, da stamattina, devi cominciare daccapo, azzerando tutto quello che era prima. Questo è il messaggio di una novità che non riesce a stare negli schemi vecchi, negli schemi del “si è fatto sempre così”. Chiudo questo secondo momento dicendovi che nella vita, purtroppo, la voglia di novità piena fa a pugni con la nostra struttura. E qui faccio ricorso al romanzo Il Gattopardo. È un romanzo minore, ma è rimasto nella cultura italiana, soprattutto, purtroppo, in quella politica, perché, alla fine, questo vecchio signore siciliano dell’aristocrazia d’un tempo, che fa i conti con il nuovo stato che è venuto fuori con la spedizione dei Mille - e noi siamo parte in causa - ad un certo punto, quando parla con uno che è arrivato - diremmo noi, in napoletano – fresco, fresco da Roma, dice: Sì, cambiamo qualcosa, ma facciamo in modo che tutto resti come prima. Questa è l’etica, se così si può dire, de Il Gattopardo: facciamo che cambi qualcosa, un po’ di verniciatura, facciamo una pulitina, gettiamo sotto al letto l’immondizia, in modo tale che chi viene non vede niente, però poi, alla fine, facciamo finta di cambiare. Tutto cambi, perché nulla cambi. Questa è l’etica de Il Gattopardo, che poi, purtroppo, è diventato uno stile politico, uno stile di inciviltà: facciamo le leggi, ma poi ognuno faccia come vuole. Vi è sembrato che io abbia aperto troppo gli orizzonti? In realtà, è la stessa cosa che Gesù ci sta dicendo: tu devi cambiare, e con l’uomo vecchio (vestito vecchio, botte sgangherata) non ci devi avere niente a che fare. Devi cambiare, altrimenti questa novità ti fa più male che bene, ti sganghera tutto. Invece, devi entrare in una dimensione nuova (“uomo nuovo”, dice San Paolo). Chiediamoci: sto facendo anch’io un po’ Il Gattopardo?, cioè questa sorta di compromesso? Cambio qualcosina, faccio vedere che cambio, però non cambio. Accetto il vino nuovo, che è Gesù, però poi lo metto nella botte vecchia. Prendo la toppa nuova, che è Gesù, e ho la presunzione di metterla sul vestito vecchio. Forse sto facendo anch’io di questi impiastri che non risolvono nulla? Adesso è calato anche il buio, ed è bello, così non ci guardiamo e ciascuno può rientrare in se stesso e dire: ma come sto vivendo? Ho fatto una scelta decisiva, piena, definitiva per Gesù, lasciando quello che ero, dicendomi addio? “Oggi mi sono detto addio, spero per sempre”, dice Padre Turoldo.
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Il Vangelo, oggi, si concludeva così: Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è gradevole!
Cosa vuole dire Gesù in questa relazione “nuovo-vecchio”? Nuova mentalità?, nuova vita?, nuova visione delle cose? È la paura del nuovo. Noi abbiamo paura del nuovo e qui, di nuovo, c’è solo Gesù di Nazareth, morto e risorto: questa è l’unica novità della storia. Diceva il Qoèlet: Niente di nuovo sotto il sole. Ma questo è valso fino all’evento dell’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Gesù, perché, da allora, noi siamo i portatori dell’unica novità. Avete letto inutilmente i giornali con le beghe e le dimissioni dei direttori (tutte cose che non ci dovrebbero far stare tranquilli, per la verità), ma quali sono le novità? Una sola: Gesù. Questa novità fa paura, perché chi beve il vino vecchio si abitua e non pensa che possa esserci un vino nuovo, robusto, dolce. Allora, stasera chiediamo di aprirci al nuovo: forse Gesù può essere la risposta alla mia sete di felicità? Forse Gesù può rispondere alle domande che io mi porto dentro? Ma forse questa novità che io cerco inutilmente nelle novità della moda, o nelle notizie, è la ricerca della novità che è Lui?
Non vi meravigliate: adesso, nel più assoluto raccoglimento, riceverete un bicchierino e poi passeranno a mettervi una goccia di vino dolce, buono, nuovo. Vuole essere una preghiera che riguardi il gusto. Lo prendano anche quelli fra voi che sono astemi, anche perché si tratta di un sorso. Mentre aspettiamo che arrivino i bicchieri e le bottiglie da versare, pensiamo: Ma io mi sono aperto a questa novità che è Gesù?, o sto continuando - come si dice in psicologia - a vivere il copione? Dicono gli psicologi che ognuno ha il suo copione, sempre con le stesse frasi, con le stesse attese, con la stessa progettualità, cioè senza aprirci alla novità.
Tutto questo non è per fare la
prima scena del primo atto de
Potete bere adagio, adagio.
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Nel capitolo 2 del Vangelo di Giovanni (le nozze di Cana), il maestro di mensa dice: Perché hai conservato fino ad ora il vino buono? Il vino buono, il vino nuovo, il vino abbondante, il vino che viene a togliere l’amarezza nella nostra vita - e sono solo le amarezze del peccato - è Gesù. Stasera, chiediamo d’essere rafforzati nella fede in Lui. Ci teniamo per mano e diciamo insieme: Padre nostro…
Confermaci, Signore, nella fede che la nostra vita è una festa,
al di là dei dolori, delle apparenze,
al di là dei 100 interventi che suor Sabina ha subito,
al di là delle incomprensioni che ciascuno di noi vive.
Dacci la certezza che la vita è una festa in Te.
Donaci il coraggio di saper scegliere il nuovo,
donaci la sapienza di saper distinguere
ciò che è vecchio da ciò che è nuovo e ciò che non si abbina.
Liberaci da ogni compromesso col male, con la vita di prima e con l’uomo vecchio.
Benedizione del Vescovo
Prima del canto finale,
ringraziamo don Pasqualino, il parroco che ci ha ospitati in questo
meraviglioso luogo. Questa chiesa, che quelli che sono arrivati più tardi, dopo
visiteranno, è stata ricostruita, non dico ex-novo, ma al 70%, e riaperta al
culto, ridata alla gloria di Dio solo da qualche mese: è
Canto: Resta qui con noi
Potete gustarvi ancora la
dolcezza di questo fresco. Buona serata. Grazie a Maria Teresa e a tutti voi.
Buona novità.
***
Il testo, tratto
direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.