Festival Teatri d’Anima
“LA TRAVIATA ‘TRAVIATA’?”
DIRETTA DAL MAESTRO GIUSEPPE POLESE
VOCI: MARGHERITA DE ANGELIS, LUCA
LUPOLI, VITTORIO TERMINI
Riflessioni
di
S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Cattedrale di Teano
4 marzo 2011
~
All’interno
della Rassegna Teatri d’Anima di quest’anno,
facciamo un esperimento particolare: offrire una lettura commentata di un
melodramma. Si tratta di Traviata.
Il
titolo, un po’ emblematico e, se volete, sollecitatore, intrigante di questa
serata è: “La Traviata ‘traviata’?”. Non a caso abbiamo scelto la Cattedrale,
per dare - senza battezzare Violetta - una lettura “altra”, parallela, alle
tante che sono state offerte negli anni, nei decenni, del famoso melodramma
verdiano.
Devo
però precisare alcuni cambiamenti (il diavolo ci mette sempre la coda), in
particolare per Alfredo, che era Walter Omaggio, in questo momento preso da un
grave problema familiare; quindi il maestro d’orchestra è Giuseppe Polese, Violetta è Margherita De Angelis, Alfredo è Luca Lupoli e Germont è Vittorio
Termini.
Fu
proprio il 6 marzo del 1853 che Traviata fu presentata al pubblico nella sua
prima storica mondiale. Verdi, il giorno dopo, annota: “È stato un fiasco”.
Alla Fenice di Venezia veniva presentata per la prima volta sulla scena e il
pubblico reagì manifestando un non gradimento. Mi piace ripensare a certi
fallimenti verdiani, a partire dall’esame di ammissione al Conservatorio: anche
quel giorno fu bocciato, fu estromesso (a volte, i grandi non trovano accesso,
le porte forse sono troppo piccole per loro). Quindi anche Traviata, che questa
sera riproponiamo in una lettura per così dire spirituale, partì con un grande
insuccesso, un fiasco, come ebbe a scrivere Verdi stesso.
Per
capire Traviata dobbiamo partire dalla
Signora delle camelie di
Dumas, un romanzo che fece scalpore, anche autobiografico, in cui l’autore
raccontava di un amore contrastato perché fuori delle norme vigenti, che andava
a scavalcare le classi sociali: una donna, una mantenuta dell’alta società
parigina si innamora di un giovane; questo amore è contrastato e la donna muore
giovanissima. Questo è il prologo di Traviata che poi passa attraverso una
rappresentazione, un testo teatrale del racconto di Dumas. Verdi stesso,
insieme con sua moglie, partecipò a Parigi alla visione di questa rappresentazione
scenica del romanzo e ne fu colpito.
Comincia
così la trama musicale e anche del libretto del melodramma che questa sera
commentiamo; ovviamente non sarà di seguito: prendiamo alcune romanze più
importanti per introdurci nel tema e per chiosare di tanto in tanto su questa o quella scena. Iniziamo col
preludio, l’ouverture del melodramma che, nell’aspetto struggente dei violini,
già annuncia un dramma, annuncia un pianto, una morte, che dall’inizio alla
fine attraversa i personaggi, attraversa la trama di questa storia. Cominciamo
a metterci in questo atteggiamento di ascolto e applaudiremo alla fine. Come
vedrete, sia per i maestri dell’orchestra, sia per il direttore, sia per i tre
solisti, abbiamo veramente un cast d’eccezione per questa nostra serata magica.
***
L’ouverture
serve a introdurci nell’atmosfera e avviene a sipario chiuso.
Il
sipario si apre su una nobile casa di Parigi, l’abitazione di Violetta, la
protagonista infelice, l’eroina di questo melodramma. Nella casa di Violetta si
svolge una festa a tarda notte e Alfredo, per la prima volta, dopo tante
insistenze, viene ammesso. Abbiamo l’imbarazzo di chi, proveniente da un’altra
classe sociale, quella borghese, entra nel mondo dell’alta aristocrazia. Gli
amici che si riuniscono a casa di Violetta sono amanti della gioia, del piacere
e, sottovoce, è detto a Violetta che Alfredo è innamorato di lei, ma questa
donna è troppo presa dalla sua vita mondana per pensare, come dirà tra poco, ad
un “serio amore”. Quindi, anche per dirigere altrove l’attenzione, chiede che
si faccia un brindisi, il brindisi più famoso della storia dell’arte, a cui
stasera assistiamo. Forse è il tema apparentemente più stridente in questo
luogo, ma la gioia non è fuori della fede. A volte pensiamo sempre ad una fede
dolente, crocifiggente: la fede è anche gioia. La gioia di vivere, la gioia di
godere è espressa nel brindisi di Alfredo, a cui risponde Violetta, perché la
fede ci apre al senso pieno della vita, e la vita è anche questo “libiamo”.
***
Forse
da Lorenzo de’ Medici, un po’ di secoli indietro – Chi vuol esser lieto
sia, di diman non c’è certezza – non c’era
stato un canto così spigliato e anche così ebbro di felicità, come il brindisi
famosissimo del testo verdiano. Ma immediatamente comincia a presentarsi la
crepa nel corpo di Violetta che, subito dopo, comincia ad avere un mancamento,
un malore. Alfredo, ovviamente innamoratissimo, è preoccupato della salute di
questa donna che ancora non lo ama e, mentre gli altri vanno a danzare (il
valzer attraversa tutta la trama musicale di Traviata), Violetta che sta
cercando di riprendersi, si accorge che dietro di lei c’è Alfredo. Qui
assistiamo alla dichiarazione d’amore, forse tra le più belle, dove Violetta
scopre che quest’uomo la sta guardando da tempo, l’ha vista e racconta, in
questa romanza meravigliosa che ora ascoltiamo, la prima volta in cui questa
donna è venuta fuori dall’ombra e gli è parsa come una ninfa, la bellezza
stessa.
***
Eccoci
già nel pieno, su una vetta d’arte: è il modo con cui Verdi ha dato fremito al
testo del librettista, perché questo amore, che è stato dichiarato, è gioia ma
anche croce (croce e delizia di
quell’amore che è fremito dell’universo intero). Già Virgilio diceva:
“Omnia vincit amor”, per dire che l’amore è l’anima
di tutte le cose, l’anima dell’universo, come racconta il fondale che abbiamo
posto qui a commento ulteriore di quello che si sta vivendo.
Avete
visto Violetta negarsi; lei ha desiderio di continuare questa vita libera e,
invece, un amore finirebbe con il rapirla, perché l’amore chiede tutto per sé.
Quando ad Alfredo sembra tutto perduto, riceve in dono una rosa; Violetta gliela
offre prendendola dal suo vestito e dice: “Questo è un dono”.
“Quando
devo tornare?”.
“Quando
sarà sfiorita…”.
“Dunque
domani!”.
In
questa promessa c’è come un franare già della protagonista rispetto all’amore
che gli ha appena manifestato Alfredo. Gli altri vanno via, ormai la festa è
finita, già albeggia, e c’è un brano che forse, in assoluto, è l’introspezione
del melodramma. È una pagina altissima, oltre a richiedere doti virtuosistiche
da parte del soprano, perché ora che Violetta è sola, è come combattuta.
Vedremo questo combattimento di lei che non è stata mai amata veramente; forse
ora è amore vero, ma lei
dice: “Follie! Follie!”.
Quindi
abbiamo l’alternarsi di queste due possibilità, questo andare a pendolo tra il
sì e il no, tra l’aprirsi alla novità o continuare la sua vita gaudente. Poi
sente - ma lo sente dentro di sé - la voce di Alfredo che gli ripete il tema
dell’amore ed è come se fosse ridestata, ma poi - e così si conclude la scena -
dice: No, follie! Bisogna tornare a godere e a brindare, senza essere irretiti
da un amore vero.
***
Si
chiude il sipario, al primo atto, con questo meraviglioso contrasto. Se dovessi
cercare un corrispettivo di questo alternarsi di sentimenti opposti, nel cuore
di una persona, sia pure d’altro tipo (nel caso di Violetta, tra l’amore per
Alfredo e la sua vita gaudente), parlerei della notte dell’Innominato.
L’apertura
del sipario, al secondo atto, mostra una scena diversa: non siamo a Parigi, ma
siamo in campagna, nella casa dove Violetta e Alfredo stanno vivendo da tre
mesi il loro amore. Quindi l’amore - che è palpito dell’universo intero,
altero, come
ha cantato Violetta - ha avuto il sopravvento su questa donna, ha abbattuto,
come un mare in tempesta, ogni resistenza ed ella ha ceduto a un vero amore.
D’altra parte, avete ascoltato - ed è bella anche questa immagine - che lei, al
centro delle feste, era sola e
abbandonata in un popoloso
deserto (la
bella Parigi), ad indicare già allora, nell’Ottocento, come stare vicini, in
tanti, non significa, di per sé, essere in comunicazione e in comunione.
Alfredo
è il protagonista di questo momento con due arie: nella prima, racconta come la
sua bella ha lasciato gli ozi parigini e si è dedicata a lui da tre lune, quindi da tre mesi, e poi
parla dei suoi bollenti spiriti di
giovanile ardore che hanno trovato configurazione. L’amore ha anche la
forza di incorniciare una energia che altrimenti potrebbe essere esplosiva.
***
Ma
chi paga questo rifugio così ovattato, così bello? Questa storia sembra una fiaba… Violetta, sottratta ad amori passeggeri, finalmente
si è avventurata in un serio amore; Alfredo ha trovato corrispondenza al suo
amore e adesso ci ha appena lasciato dicendo: “Io vivo quasi in cielo”, perché
l’amore ti fa toccare con un dito il cielo.
La
domanda con cui ho esordito potrebbe essere volgare: ma chi paga? chi sta
pagando questo esilio dorato? Subito dopo, attraverso Annina (la serva di
Violetta), Alfredo scopre che chi paga è Violetta, che è andata a Parigi per
vendere i suoi gioielli e per vendere le sue ultime proprietà, perché questo
rifugio ovattato, meraviglioso, ovviamente ha un costo. Allora nasce l’orgoglio
maschile di riscattarsi e Alfredo, che vuole lavare quest’onta, si reca a
Parigi per liberarsi delle sue proprietà, ma ricordatevi che si tratta di due
classi sociali diverse: Violetta appartiene all’aristocrazia e Alfredo
appartiene alla borghesia emergente dell’Ottocento. Quindi, preso da questo
impeto d’onore, si reca a Parigi per compiere anch’egli un gesto di generosità.
Qui interviene il terzo, che sembrerebbe incomodo: Germont,
la terza voce. Abbiamo ascoltato e goduto un soprano e un tenore; Germont, il baritono, è il padre di Alfredo, che irrompe in
questo paradiso a ricordare forse degli impegni, ma anche purtroppo una
prosaicità. Sulle prime, c’è un contrasto tra Violetta e Germont,
che pensa che questa donna stia traviando suo figlio, ma poi scoprendo che lei
si sta spendendo, sta spendendo anche tutti i suoi averi, non ha più da dire
“pur questo lusso”, ma scopre dei sentimenti in questa donna. Allora è proprio
su questi sentimenti che egli vuol far leva, rivelando una cosa che forse
Alfredo non ha mai detto a Violetta: d’avere una sorella. E qui c’è “Pura siccome un angelo” che
ascoltiamo da Germont, dove il padre mette sulla
scena, raccontandola, senza presentarla, la figlia, pronta per il matrimonio,
ma - ahimé – il cui prossimo marito la ricusa perché
le dicerie sulla convivenza di Violetta ed Alfredo hanno raggiunto anche la
Provenza, da cui provengono Alfredo e suo padre Germont.
Quindi se Alfredo non tornerà a casa (poi scopriremo che sotto ci sono anche
motivi d’interesse), non si farà più questo matrimonio (Deh, non mutate in
triboli le rose dell’amor!).
***
Abbiamo
assistito ad un duello terribile, perché Germont,
senza mezzi termini, chiede che Violetta si sacrifichi per il bene di sua figlia,
lasciando andare Alfredo. Lei si ribella, come avete ascoltato, perché è
l’unica persona che ha al mondo, non ha altri parenti, non ha altre persone che
le vogliano bene veramente, e Germont ricorre a tutte
le argomentazioni, anche a quelle religiose, ma sono piuttosto strumentali:
Questo legame non è benedetto da Dio… E poi, un
giorno, quando sarà passata la febbre della passione, mio figlio ti lascerà… Quindi è meglio che sia tu a troncare, per il bene
di tutti… Sii tu l’angelo consolatore per la mia
famiglia - avete ascoltato.
Alla
fine Violetta cede, perché ha un cuore grande, dando l’atto di resa nella
romanza “Dite alla vergine, sì bella e pura, che abbia una vittima”: Violetta
accetta d’essere vittima per il bene di una persona che non conosce. Ovviamente
dovrà trovare il modo per allontanarsi da Alfredo, dicendo che non lo ama, che
torna alla vita di prima. Mentre sta scrivendo una lettera (siamo ancora in
questa scena), entra Alfredo, Violetta tiene per sé la lettera e fa un’ultima
dichiarazione d’amore, ma Alfredo non può capire perché tanta passione nella
sua donna: in realtà Violetta sta dicendo addio ad Alfredo. Stiamo a questo
punto, e quindi alla conclusione del dramma, dove Violetta è andata via, il
servo è venuto a dire che la signora è partita su un calesse velocemente verso
Parigi, Alfredo trova anche il biglietto di invito di Flora, l’amica del cuore
di Violetta che la invita ad una festa e quindi mette insieme gli elementi del
puzzle e comprende che si sta celebrando una tragedia per lui. A questo punto,
abbiamo una sorta di pausa nel dramma, con la romanza “Di Provenza, il mar, il suol”. Germont dice al
figlio affranto, non riuscendo a capire perché egli soffra: “Ma chi ti ha tolto
dal cuore il sole e il mare di Provenza?”, cercando di ridestare in lui il senso
della patria, la nostalgia (qui troviamo tante pagine di melodramma: da “Va’, pensiero” a “O Signore, del
tetto natio”). In particolare i fiati - non ne abbiamo tanti, stasera,
ma bastano - servono a dare l’aria della terra natia, che il padre cerca di
ridestare - ma inutilmente - nel figlio.
***
Germont
non riuscirà a portare a casa Alfredo, che è preso - come egli stesso dice - da
mille serpi, sentendosi tradito dalla
donna amata. Quindi si sottrae all’abbraccio del padre e scappa via, perché ha
compreso dove Violetta può essere andata.
La
conclusione del secondo atto è terribile, anche se si apre la scena sulla casa
di Flora: c’è la danza delle zingarelle, quella dei mattatori,
ma in questa festa interviene anche Alfredo fuori di sé. C’è un tavolo da
gioco, comincia a puntare sfidando il barone, al cui braccio Violetta è entrata
nella sala, per nascondere quello che è il suo vero amore, per apparire
nuovamente come una mantenuta. In questa lotta al tavolo del gioco, Alfredo
vince tanti soldi, perché sfortunato - egli dice - in amore ma fortunato al
gioco, ma questi soldi gli serviranno per un gesto turpe. Quando Violetta cerca
di dire: “Va’ via, perché qui c’è un destino terribile che ti sovrasta”,
Alfredo, ascoltando dalla bocca di lei che ama il barone - ma capite bene che è
una menzogna -, chiama tutti: Venite! Conoscete questa donna? - e non dice più
“Violetta”, e neanche “donna”, ma “femmina” - Io certamente sono stato con lei
e adesso pagata io l’ho! E lancia ai
piedi di Violetta la somma che egli ha vinto al gioco.
Su
questa scena terribile si chiude il secondo atto. Intanto è intervenuto anche
il padre che non riconosce il figlio (Dov’è
mio figlio?); anche qui abbiamo un sentimento paterno, forse più sincero
perché non lo riconosce più (Più non lo
vedo), anche se è davanti a lui. Alfredo è a terra, preso già dal rimorso,
e inutilmente Violetta dice: “Amami, Alfredo, come io ti amo”.
Ma
l’amore può condurre alla morte? Forse sapete che Verdi avrebbe voluto
inizialmente intitolare Traviata “Amore e morte”, che è un tema prettamente
romantico (qui stiamo nel cuore del Romanticismo).
Può
l’amore essere spinto al punto da rinunciare per Amore all’amore? Sembra un
gioco di parole, ma è il vero messaggio che, tra le righe di una vita gaudente,
Violetta lancia ai secoli.
La
scena si chiude su questo Alfredo atterrito (e non solo fisicamente a terra).
Ma andiamo verso la conclusione.
Magari
avremmo voluto sentire tanti altri brani che avrete nel cuore come me, ma
bastano questi assaggi per
accendere il desiderio di riscoprire anche la gioia - dobbiamo dirlo - d’essere
italiani, perché quando si ascolta questa musica e si riconosce che è nostra,
fa nascere, anche nella persona più sprovveduta, l’orgoglio d’essere italiano,
perché è produzione artistica – e ce n’è tanta – della nostra patria. Verdi è
un nostro connazionale (questo, tanto per sventolare anch’io un tricolore, in
questi giorni in cui se ne sventolano tanti).
Il
terzo atto è molto dolente, anche nell’ouverture che saltiamo. Andiamo agli
ultimi tre brani.
Il
primo è “Addio, del passato”
dove i protagonisti sono due (spero che anche i maestri concordino): Violetta e
l’oboe. Sono due voci dolenti e l’oboe ha questa tonalità addolorata. Perché
addio? Perché Violetta si è guardata ad uno specchio - Ah!, come son mutata! - non si riconosce più, vede sul suo volto i
segni della tisi ormai incombente. Dopo aver letto la lettera che Germont le ha inviato, dicendo che è avvenuto il duello, il
barone è stato ferito, Alfredo è fuori della Francia, ma adesso è stato
avvertito (il padre finalmente gli ha detto la verità, cioè che Violetta ha
fatto un grande sacrificio) e sta per tornare, dice: “È tardi”. Ed è un “tardi”
che dovrebbe farci fremere, perché è sempre tardi, anche quando si è giovani. È
tardi per fare cose grandi, è tardi per amare, è tardi per realizzare ciò per
cui siamo qui. Allora nasce questa romanza addoloratissima, che è una sorta di
congedo - Addio, del passato bei giorni ridenti… Tutto
finì - come nell’acuto finale.
Già
un’altra volta ho commentato questo brano; se l’avessi scritto io, avrei messo
un grave e invece questa conclusione, in alto, già dice speranza, dice che la
fine, forse, non è la fine.
***
Questi
ultimi momenti della vita di Violetta sono ancora più accentuati dal contrasto
di quanto si vive nelle strade di Parigi, dove c’è un carnevale imperante.
Questa donna, ridotta in povertà, senza più nulla, e ormai sull’orlo della
morte, ha ancora un pensiero per i poveri, per coloro che in questa festa - da
lontano si sentono le danze provenienti dalla strada - non potranno avere il
necessario. Dico questo per aiutarvi, se è possibile e se non vi sembro
pedante, ad entrare nel cuore di questa donna che è un eroina.
Violetta,
così com’è uscita dalla musica e dal testo del librettista, è un’eroina
dell’amore, perché si è consumata: come la tisi la sta consumando, così l’amore
l’ha consumata e adesso abbiamo appena un filo di voce. Ma ecco che Annina
arriva con un fare incalzante, anche degli archi, chiedendo se la signora sta
bene perché c’è una notizia importante: Alfredo finalmente è tornato e può
professare il suo amore e chiedere perdono a colei a cui ha detto “un sì
d’amore grande”, direbbe Mia Martini.
Comincia
il duetto tra Alfredo e Violetta che si chiama “Speranza”, la speranza del futuro, anche se, in questo
momento, oggettivamente, sembra che non ci sia più nulla da fare, perché lui è
giunto troppo tardi: È tardi e le rose del volto già sono pallenti (mi piace tantissimo quest’espressione del Romanticismo
ottocentesco), cioè le gote sono impallidite. Nonostante tutto questo,
nell’abbraccio c’è un progetto: lasciare Parigi (Parigi, o cara, noi
lasceremo, insieme uniti vivremo). La speranza, a volte, si radica
nella tragedia.
***
Meraviglioso
questo percorso, come avete potuto sentire, godere, fremere, spero con il
desiderio di saperne di più, di imparare e anche di lasciarsi provocare da
questa storia.
Allora,
al titolo che ho posto - “La Traviata ‘traviata’?” -, la risposta del Vescovo è
no: è una eroina. Mi vengono in mente in questo istante i versi di De André:
dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. Non avevo neanche
pensato di citare in questo momento Fabrizio De André, ma forse questa storia
di chi, proveniente dalla vita gaudente, si è spinta in un amore vero, in un
amore serio, al punto d’esserne consumata, può essere commentato da quel
meraviglioso verso di De André, dove i fiori nascono dalla terra marcia e non dai diamanti (i diamanti che avete
nelle vostre case non fioriscono, il letame sì).
Concludiamo
assistendo all’ultimo momento del terzo atto che ha due motivi principali, due
romanze. Innanzi tutto, anche se un po’ a cadenza già di marcia funebre,
Violetta vuole uscire; dice ad Annina: “Voglio uscire”, ma proprio all’atto in
cui si mette in piedi ha un mancamento, segno che ormai la morte è imminente.
Allora deve lasciare un dono (Prendi, questa è l’immagine dei miei passati
giorni); consegna un ritratto di sé al suo amato: “Ti servirà a raccontarti colei che sì t’amò”, cioè che ti ha amato
al punto da annullarsi, ti ha amato al punto da negarsi a te, da mentirti per
un amore più grande. Poi c’è quest’aria che a me piace tantissimo, anche per i
sentimenti che esprime: “Se una
pudica vergine”. Colei che muore, a volte rischia di tirare nella morte
anche l’altro. Invece l’amore vero, anche di chi muore, promuove la vita, per
cui Violetta dice ad Alfredo: Se un giorno ti innamorerai di una ragazza, di
una pudica vergine, io ti benedico; le parlerai di me e in qualche maniera, in
questo amore puro, trasparente, che tu vivrai, io dall’alto ti benedirò e… ti libero.
A
volte, negli amori, noi teniamo l’altro legato a noi e, invece, amore è lasciar
partire, lasciar partire chi muore, ma anche lasciar partire chi resta. Per cui
quest’ultimo gesto di Violetta mi commuove particolarmente, perché è un ultimo
atto di un amore grande, di un amore folle, di cui speriamo, questa sera,
d’essere stati contagiati.
***
Il testo, tratto direttamente dalla
registrazione, non è stato rivisto dall’autore.