IN PUNTA DI PIEDI IN EPISCOPIO

 

“L’ARTE DELL’ADDIO”

 

RIFLESSIONI DI S. E. MONS. ARTURO AIELLO

 

Vescovo della Diocesi di Teano-Calvi

 

Episcopio

 

Giovedì, 13 Marzo 2008

 

 

  Chiediamo al Signore di vivere queste due ore (speriamo di non sforare) nella tranquillità, nella pace. La preghiera è un approdo, la possibilità di guardarci dentro senza avere paura, di fermarci, di riposare nel senso bello del termine. La preghiera è l'ozio di cui parlavano i Latini, cioè dedicarsi a cose alte, smettere le cose profane, quelle volgari, quelle che ci appesantiscono, ci infangano, lasciano detriti, e dedicarci invece alle cose alte, quelle del cuore e quelle dell'anima. Chiediamo al Signore di poter realizzare questo approdo attraverso le povere parole del Vescovo e attraverso invece le alte parole della musica. Ringraziamo in anticipo Maria Teresa e Raffaele che ci aiuteranno a pregare questa sera. Adesso vi accomodate e come aperitivo spirituale ascoltiamo due Preludi di Chopin, Preludio in mi minore e in do minore.

 

Preludio in mi minore (Chopin)

Preludio in do minore (Chopin)

 

La preghiera di stasera è ovviamente di impronta pasquale ma è un po' atipica nel suo ordito, a partire dall'immagine che ci accompagnerà. Sarebbe stato più facile, e ne abbiamo anche delle copie qui in Episcopio, prendere la riproduzione di un quadro di una Deposizione, di una Pietà, di una Crocifissione e invece l'immagine che ci accompagnerà è questo volto. Questo quadro è di Pasquale Cipolletta, un nostro amico, un giovane talento. È stato pensato come un S. Francesco ma da sempre io gli ho dato altre connotazioni, soprattutto nello sguardo di Francesco che qui è colmo di nostalgia. Fin dal primo momento che ho visto questo quadro anni fa ho pensato a Gesù che guarda Gerusalemme e quindi ci accompagnerà questa immagine con dei testi anche musicali, nessuno dei quali ha connotazione attinente, però con un filo. Il filo conduttore è dato dal titolo di uno di questi testi di Paolo Tosti, per cui c'eravamo già dato appuntamento con Raffaele, che è "Chanson de l'adieu", “Canzone dell'addio” che farà un po' da motivo conduttore della nostra preghiera. Beh, innanzi tutto diciamoci qualcosa perché questo autore è poco conosciuto. Raffaele ci ha cantato una romanza due incontri fa. Paolo Tosti è un italiano ovviamente, anni '40 dell''800 è la data di nascita, e quindi metà Ottocento, parte del Novecento. È un romanziere non nel senso consueto del termine ma un autore di romanze. Giuseppe Verdi diceva che per lui era uno degli autori di romanze più in alto, più perfetto, autore preferito di romanze. La romanza è questa aria aperta, normalmente di stampo romantico, che narra di un amore, di una delusione. I testi, ma anche l'orditura musicale di Paolo Tosti, sono un po' intrisi, impregnati di un senso di nostalgia e di tristezza. Il perché di questa scelta? Come sempre è un fatto personale, perché io a questa Chanson de l'adieu sono legato da ricordi furenti, non nel senso passionale del termine, ma per l'importanza che hanno avuto nella mia vita, perché ogni qualvolta io visitavo il mio padre spirituale, che suonava al piano a  mezza coda nella sua camera alta, in alto su un castello a picco sul mare, gli chiedevo sempre di aprire o di chiudere con questo testo. Quindi la partenza vi sembrerà piuttosto di caratura bassa perché riguarda la mia infanzia, la mia adolescenza, ma su queste note si sono impigliate delle sensazioni che vorrei trasmettervi, ovviamente non semplicemente come una foto della mia vita ma piuttosto come una griglia di lettura del mistero che ci accingiamo a celebrare, perché noi in ogni Eucaristia diciamo nel momento più importante con le parole sante: Nella notte in cui fu tradito Egli prese il pane, ecc…Nella notte in cui fu tradito, perché questa notte del tradimento, che è la notte del Giovedì Santo, ha una importanza fondamentale per la vita della Chiesa e quindi del credente. È la notte dell'istituzione dell'Eucaristia, quindi del più grande dono, ma anche la notte del più grande sfregio. È  la notte in cui l'amore si dona ma è anche la notte in cui l'amore si perde, perché si consegna nelle mani di Giuda che va nell'orto, luogo che egli solo conosce, perché sono gli amici che ti tradiscono, va nell'orto con i nemici di Gesù, perché il Maestro sia catturato, e quindi in qualche maniera Giovedì e Venerdì sono giorni di addio. Ecco perché voglio lavorare su questo tema nella riflessione, nella preghiera con voi, sono giorni di addio, sono i giorni in cui Gesù sapendo (Vangelo di Giovanni Cap. XIII) sapendo che era venuta la sua ora e che stava per passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine, (ascolteremo questo prologo all'inizio del Vangelo di Giovedì Santo in Coena Domini,) prese dell'acqua, un asciugatoio, e compì il gesto della lavanda. Ecco, tutto questo nasce nel momento dell'addio. Mi ha sempre colpito che questo grande dono, che Gesù ci ha lasciato, non sia nato in un momento di esaltazione, di tranquillità, di maturità, per dire: ha fatto tutto un cammino e nel momento del trionfo ci ha donato l'Eucaristia. No, questo dono è venuto in un momento drammatico perché Gesù sapeva a cosa andava incontro, la sua ora, conosceva i dettagli di ciò che gli sarebbe accaduto. "Adesso andiamo a Gerusalemme", quindi questo canto di addio è un canto di amore che raggiunge l'apice proprio nel momento del massimo fallimento. Volete che questa cosa riguardi solo Gesù nella sua unicità e non invece anche noi? Forse anche noi possiamo fare qualcosa di grande quando stiamo male, possiamo operare una svolta, possiamo dire la parola più perfetta non quando siamo in perfetta forma, quando va tutto bene, quando i conti in banca sono gonfi, quando i figli sono riconoscenti, quando la salute è ottima, ma anche noi forse possiamo dire una parola vera e bella nel momento della massima difficoltà. Ecco così ci introduciamo e quindi ascolterete, ve la farò ascoltare più volte stasera in modo tale da trasmettervi questa passione per questo testo, neanche ve ne dico la traduzione perché è in francese, poi ve ne darò una traduzione. Cominciamo a familiarizzare e ovviamente sentiamo Paolo Tosti che canta dell'addio, del momento dell'addio ma cominciamo a pensare a Gesù che ha la percezione che è giunta la sua ora.

 

Chanson de l'adieu (Paolo Tosti)

 

Anche chi come me non conosca il francese, almeno l'intestazione è riuscito a tradurla e cioè: partire è un po' morire. La prima scena che voglio sottoporre alla vostra attenzione spirituale è la partenza di Abramo. Oggi nella Prima Lettura della liturgia della Parola si fa riferimento ad Abramo, è all'atto in cui Dio gli fa la promessa, ma prima di quel brano e di quella scena c'è la scena madre al Cap. XII del Libro di Genesi, dove Dio si rivela ad Abramo con una parola violenta ed è "Vattene!". È come se la storia della Redenzione iniziasse con un addio. Tutti riconosciamo in questa chiamata di Abramo la vera prima parola, dopo la creazione, che Dio abbia rivolto ad un uomo, iniziando quel cammino che attraversa il popolo d'Israele e fiorisce in Gesù per tutti i popoli. Non è una dichiarazione d'amore, non è una carezza, non è la chiamata ad una missione, che preveda poi anche un ritorno a casa, ma la storia della Redenzione comincia con una cacciata rivolta ad Abramo che ha la sua terra, ha le sue radici ed è anche avanti negli anni, cioè non è un giovane, i giovani sono più pronti e più allenati a partire. Abramo all'atto in cui viene chiamato è già ultrasettantenne, quindi noi diremmo oggi in età pensionabile, avrebbe diritto alla sua sedia a sdraio, alla sua pipa, alle sue pantofole e invece Dio gli si rivela dicendogli "Vattene!". Vedete questa parola è importantissima. È  come se l'Esodo, che è poi il tema centrale dell'Antico Testamento e di tutta la vita cristiana, fosse iniziato già con il primo dei patriarchi, il capostipite d'Israele: "Vattene!". E quindi nella notte, nella notte lo dico io, è una notte del cuore, ma immagino anche che Abramo abbia scelto per partire quel momento in cui tutte le cose scompaiono, perché partire di giorno, partire alle prime luci dell'alba rende la partenza più difficile, nella notte, quando quindi la sua casa, le sue radici, le sue abitudini, i luoghi che egli conosce benissimo e nei quali pensava d'aver diritto di morire tranquillamente sono abbandonati, immersi nell'ombra, ed è un'ombra che rimarrà per sempre perché Abramo non tornerà più. Ecco io vorrei stasera insieme con voi mettere su un piccolo libro degli addii, perché più volte, anche nella psicologia negli ultimi decenni, nella Letteratura ma in particolare in quella psicologica, è tornato questo termine dell'addio come momento risolutivo e riassuntivo della vita di una persona e come anche elemento madre della vita di un uomo. Perché elemento madre? Madre perché elemento matrice, ciò che poi dà l'impronta a tanti altri momenti, a tante altre esperienze del vivere. Abramo deve partire e anch'io, anche tu, anche noi siamo partiti, anche noi siamo nati imparando a dire "addio". Anche se questa parola non l'abbiamo pronunziata quando eravamo bambini noi siamo nati da un "addio", innanzi tutto dall'addio a nostra madre, al grembo di nostra madre, luogo di massima protezione, luogo caldo, luogo senza responsabilità, luogo dove siamo stati coccolati, cullati. Le coccole in fondo null'altro sono, quelle che riusciamo ad esprimere con i gesti poi da grandi, che un ricordo dell'essere stati coccolati per nove mesi nel grembo di nostra madre. "Vattene!" è la parola con cui comincia la vita, esci. La donna espelle il bambino e il bambino va via da una casa, e quindi sarà sempre in qualche maniera un esule, e le volte in cui non si ha il coraggio nella vita di dire addio comincia un'azione involutiva che può portare addirittura alla morte, financo alla morte. Le volte in cui non riusciamo a fare un passo avanti, e passare da un'età all'altra è dire addio, cambiare lavoro è dire addio, sposarsi è dire addio, avere un figlio è dire addio, cioè tante esperienze importanti della vita sono legate alla possibilità di dire addio, e se io questa parola non la dico, e non si tratta ovviamente di una parola da proferire con le labbra ma di un atteggiamento da maturare, pur tra le lacrime, tra le difficoltà, io anziché crescere comincio a morire, cioè stranamente, paradossalmente, e qui siamo nel cuore della teologia della Pasqua. Paradossalmente se io muoio, cioè dico addio, vivo, se io scelgo la vita, mi aggrappo alla vita in una maniera egoistica muoio. È il caso del bambino che non riesce a nascere nel momento opportuno, che rimane più del dovuto, è destinato non solo a morire ma anche a far morire, cioè il frutto della vita diventa nel ventre della donna un elemento di morte. Ecco vedete qui siamo già nel cuore del mistero pasquale. Quello che noi vivremo Giovedì, Venerdì e Sabato Santo fino alla Veglia Pasquale è null'altro che questo binomio, anzi questo trinomio: vita, morte, vita. Cioè la vita di Gesù, l'accettare la morte da parte sua aderendo alla volontà del Padre per il bene dell'umanità, e questa morte è vita per Lui ma è anche vita per tutti. Allora il libro degli addii, la possibilità di dire addio è non solo la prima parola della rivelazione "Vattene dalla tua casa", chiamata di Abramo, ma è anche il cuore della rivelazione, perché anche a Gesù è stato chiesto di andar via, di uscire, di accettare di chiudere con i suoi amici, con la sua terra, con gli orizzonti, con quell'ultimo tramonto del Giovedì Santo che Gesù ha portato impresso nel suo cuore, quell'ultimo tramonto è rimasto impresso nella mente di Gesù anche nei difficili momenti della sua condanna e della passione e morte. Adesso ascoltiamo "Ideale", sempre Paolo Tosti.

 

Ideale (P. Tosti)

 

Vi leggo il testo, avremmo voluto procurarvi questi testi ma non abbiamo avuto il tempo di farlo.

 

Io ti seguii come iride di pace lungo le vie del cielo: io ti seguii come un'amica face de la notte nel velo.

E ti sentii ne la luce, ne l'aria, nel profumo dei fiori: e fu piena la stanza solitaria di te, dei tuoi splendori.

In te rapito, al suon de la tua voce lungamente sognai; e de la terra ogni affanno, ogni croce in quel giorno scordai.

Torna caro ideal, torna un istante a sorridermi ancora, e a me risplenderà nel tuo sembiante una novella aurora, una novella aurora.

Torna caro ideal, torna, torna.

 

Questo ideale può essere una donna, ma può essere anche un momento, come dire, ispiratore di grande esaltazione che ha mosso il poeta, il musicista, l'uomo, il credente, facendogli intraprendere un cammino, perché si dice addio non una volta sola ma tante volte, e qui ci troviamo nel momento in cui l'ideale scende di tonalità, non si è nelle condizioni migliori. Raffaele stesso mi diceva: “Ho un po' di tracheite, non so se riuscirò a cantare”. Ecco ci troviamo, Raffaele, nella condizione che a volte l'addio bisogna darlo e dirlo nel momento in cui non ci sono tutte le prospettive per essere al top, per essere al meglio. Ecco, questo testo è in qualche maniera una preghiera, un'invocazione anche appassionata. "Torna..." cioè vorrei rigustare quei momenti, per esempio, introduttivi del mio cammino di fede, introduttivi di un amore, quei momenti in cui mi sembrava tutto facile, quando andavo incontro all'avvenire con tanta serenità. Ovviamente oggi non è così, e allora chiediamo a questo ideale che torni, forse anche Gesù avrà avuto qualche momento di calo, un momento in cui, l'ideale, l'adesione alla volontà del Padre gli è apparsa difficile, faticosa, strana. Ascoltiamo.

 

Ideale (P. Tosti)

 

Spero che vi siate già dati una risposta alla domanda con cui ho chiuso la riflessione precedente e cioè anche Gesù ha avuto un calo di tono? Anche Gesù ha dovuto dire "Torna caro ideal, torna un istante a sorridermi ancora"? E la risposta è sì, basta conoscere quello che è accaduto nell'orto. Gesù mentre si è preparato a lungo a questa partenza l'ora lo ha preso, lo ha segnato, lo ha attirato a Gerusalemme, "Donna, non è ancora giunta la mia ora", ha detto a Cana, ora che l'ora si appresta, ora che ci troviamo a un attimo dalla condanna, dalla cattura, Gesù entra in crisi. È bella questa pagina di Vangelo, cari fratelli e sorelle, perché a volte pensiamo a Gesù come superman, cioè uno che non abbia avuto difficoltà, e lo sentiamo lontano perché invece la nostra vita è piena, è irta di difficoltà, di prove, di cali, in cui dobbiamo dire "Torna caro ideal". Sentire in Gesù agonizzante nell'orto l'uomo che ha paura. Bisogna aver paura. Roosevelt, mi viene in mente in questo momento, dice: "L'unica paura vera è la paura della paura". Sembra un gioco di parole ma non lo è, a dire che non bisogna avere paura della paura, perché la paura fa parte della nostra vita. Nessuno va incontro a una difficoltà, a un intervento chirurgico, ad una prova sorridente, come se si addobbasse per una festa. Andiamo tutti con il cuore che palpita, con tante preoccupazioni. E allora l'arte dell'addio, che detta così sembra una sorta di manuale per saper dire addio, per saper pronunciare questa parola, è fatta anche di momenti in cui ciò che ci siamo preparati a lasciare, quando viene l'ora non vogliamo più abbandonarlo, non vogliamo più lasciarlo. Gesù è partito, ha chiuso i suoi giorni con soddisfazione? Come un fallito, abbandonato da tutti, il suo addio non è stato un addio trionfale ma gli addii trionfali non esistono, esistono solo addii dolorosi. Pensiamo all'addio che siamo chiamati a volte, e sono giorni terribili, a dire a una persona che parte, che parte per l'Eternità. Anche se ci abbiamo pensato mille volte quel momento ci sembra straziante. E allora chiediamo questa vicinanza con Gesù agonizzante che rende possibile il superamento anche dei nostri momenti no, dei nostri momenti di crisi. Prima scena: l'addio di Abramo. Seconda scena: l'addio dei discepoli chiamati ad una nuova dimensione. Gesù educa anche i suoi a lasciare. "E lasciate le barche lo seguirono... E lasciato il banco dove svolgeva il suo mestiere di esattore delle tasse seguì Gesù", dice il vangelo che racconta la chiamata di Levi. Qui nel corridoio c'è una riproduzione e i particolari della chiamata di Matteo del Caravaggio. Quindi anche i discepoli hanno dovuto dire addio. E non mi riferisco solo al momento della chiamata. Noi ci stupiamo sempre leggendo questa prontezza, questa risolutezza nel lasciare barche, padre Zebedeo, amici, inoltrandosi nella nuova vita che è dietro a Gesù, ma nella realtà non è stato così, anch'essi si sono girati indietro. La figlia di Lot, che si gira indietro nel Libro di Genesi mentre Sodoma e Gomorra bruciano, diventa una statua di sale. Vedete questo è un messaggio simbolico, cioè chi si volge indietro, ma non parlo del semplice voltarsi indietro che è umano, umanissimo, ma chi si volge indietro restando impigliato nel passato diventa una statua di sale, nel senso che diventa una persona amara. Noi conosciamo due tipologie di persone, verificatelo tra i vostri conoscenti, quelle amare e quelle dolci. Quelle amare che hanno sempre tanti guai da raccontare, mai una cosa buona. Stamattina ho visto, ho rivisto molte rondini, credo una bella notizia, non so se vi entusiasma. Ma non vedono... non c'è un fiore che fiorisca, non c'è... sempre, sempre tutto va male, sono le persone che sono statue di sale, perché stanno continuamente rivolte indietro, non vedono avanti, non riescono a rendersi conto, non colgono il bene. Ce ne sono altre dolci che pur avendo fatto tanti tagli, pur avendo detto tanti addii, sono riuscite a maturare una dimensione positiva della vita. Chiediti: sono una persona dolce o una persona amara? Se sei una persona amara sei una statua di sale, sei come la figlia di Lot, cioè sempre girata indietro, sempre a vedere quello che stai perdendo e non anche quello che il Signore ti sta dando. Gesù nel Vangelo dice anche che chi pone mano all'aratro e si volta indietro non è degno di Lui. Ovviamente che ci siano delle nostalgie nella nostra vita è quanto mai naturale, ma queste nostalgie non devono diventare una malattia. Non so se sapete, i ricordi mi vengono fuori così, devo soltanto a volte frenarli, non so se sapete il termine nostalgia è un termine nato in ambito medico, cioè non esisteva questa parola, adesso non ricordo bene la datazione, credo intorno, forse il ‘700, un medico austriaco, credo, trovava un malessere nei soldati che erano lontani dalla patria e non riusciva a guarirli. In altri luoghi, in altri momenti queste malattie erano facilmente superabili, lì invece addirittura mortali. Com'è? Per cui coniò per la prima volta questo termine "nostalgia", quindi nostalgia che noi adesso assumiamo come un termine bello, romantico nasce invece come parola in ambito patologico, cioè è il dolore del ritorno. Nostòs e algòs credo che siano i termini greci. Mettendo insieme il dolore del ritorno, voglia di ritornare ma impossibilitati a realizzare questo ritorno questo medico coniò per la prima volta nella storia delle lingue europee la parola "nostalgia", quindi la nostalgia quando diventa troppo forte, quando non ti fa lavorare, quando non ti fa guardare avanti è una patologia. È chiaro che c'è anche una nostalgia bella, la nostalgia dei nostri cari defunti, della nostra infanzia, ma quando questo sguardo al passato è puntuale, come dire, istantaneo, non riguarda tutto il tempo che abbiamo a disposizione. Bene, Gesù dice "Chi ha messo mano all'aratro non deve avere nostalgia del tempo di prima". Nel Libro dell'Esodo si parla di questa nostalgia negativa quando il popolo nel deserto ricorda: noi eravamo sì schiavi però avevamo la carne, c'erano le cipolle, il porro, ecc., cioè le spezie con cui fare le salse diverse il lunedì, il martedì, il giovedì, il venerdì, invece questa manna che il Signore ci manda ha sempre lo stesso sapore. E cominciano ad avere nostalgia di quello che avevano in Egitto, delle cipolle, tanto che poi è diventato proverbiale "la nostalgia delle cipolle d'Egitto", per dire: hai nostalgia di una cosa negativa, di una stagione dove eri schiavo mentre il Signore ti sta donando la Terra Promessa. Quindi, seconda scena, i discepoli sono chiamati da Gesù a dire addio alla loro vita di prima, alle loro consuetudini, ai loro affetti, per entrare in questa nuova famiglia, in questi vincoli di grazia che Egli stabilisce e quindi anch'essi sono chiamati a dire addio. Allora "addio" lo ha detto Abramo:"Vattene!". Ed egli va. Addio lo dicono i discepoli rispetto alla loro vita di prima, ma dovranno dire tante altre volte addio quando, per esempio, si disperderanno verso i quattro punti cardinali dopo la Risurrezione di Gesù per diventarne annunciatori, anche allora devono dire addio a Gerusalemme, al Cenacolo, al luogo dell'intimità. Non è un caso che l'evento della Pentecoste scardina anche le porte, questo vento impetuoso che entra, è come se cacciasse via questa nidiata, che sono i Dodici, che rischiano di vivere solo di una nostalgia chiusa invece bisogna aprirsi e dirlo ad altri. Quindi addio è anche la parola che scandisce la vita dei Dodici.  Per far riposare la voce di Raffaele, altrimenti tutte le altre Chanson de l'adieu che gli farò fare potranno trovare una voce non in perfetta forma, facciamo questo intermezzo con un brano musicale. Mascagni:Preludio dalla Cavalleria Rusticana.

 

Preludio (Mascagni)

 

Ci sono alcuni che ci guidano in un momento di addio. Non si dice addio da soli. Non voglio indicarvi qui una sorta di maestri di addio, perché nessuno può conseguire un titolo in questa arte difficilissima, ma credo che ciascuno di noi, adesso anche in margine alle parole che io sto pronunziando, stia facendo memoria degli addii, ne abbiamo detti tanti fino ad oggi, degli addii pronunziati davanti anche a una persona che lo ha aiutato, che l'ha aiutata. C'è qualcuno che ci fa compagnia, che ci dice coraggio, sorgerà l'alba, che ci mette una mano sulla spalla, o semplicemente è presente al nostro dolore, al nostro distacco. Tante volte ovviamente i sacerdoti svolgono questo ruolo di accompagnare le persone in questo pellegrinaggio dell'addio, in particolare nei momenti di lutto. Qualche giorno fa ho dovuto farlo per telefono. Un addio che non ancora è stato detto pienamente però per una persona che sta così lentamente precipitando nella morte a causa di una malattia grave, dopo aver ascoltato una telefonata piuttosto graffiante da parte di una figlia: "Perché! Perché! ecc….", ma in quel momento non ho detto nulla. Poi sono tornato in una telefonata successiva e ho detto: guarda che io devo dirti una cosa. "Tu devi trovare il coraggio di dire addio a tuo padre adesso, prima che lui muoia", perchè, e di questo sono convinto, perché a volte i malati non partono perchè c'è qualcuno ostinato tra i parenti. Io potrei dimostrarvela questa tesi, cioè che il malato ovviamente soffre e per lui la morte, parlo di una morte nella visione cristiana, quindi per quello che ci attende oltre questa vita, è una soluzione gloriosa non fosse altro che per la sofferenza fisica cui le persone sono sottoposte, a volte anche a lungo, per giorni, per settimane, per mesi, ma si fa fatica a morire perché tra i figli, tra i parenti c'è qualcuno che ha indurito il cuore, all'atto invece in cui, ricordatevela questa cosa che vi sto dicendo in qualche momento vi servirà, all'atto in cui invece il figlio o il marito o la moglie o anche il genitore, è una cosa difficilissima, voi se poteste parlare mi aggredireste subito, per questo approfitto per dirvele queste cose quando non è possibile controbattere, all'atto in cui il figlio dice: "Papà, vai, vai, puoi andare, parti, non ti preoccupare". E il padre veramente muore. Attenti, questa è un'opera, una grazia, non è che l'ha fatto morire, l'ha aiutato, lo ha aiutato, perché noi a volte con i nostri atteggiamenti di amarezza, di risentimento, sentendoci sempre perseguitati non aiutiamo la persona in quel momento e non c'è un momento più delicato del momento della morte. Speriamo d'avere accanto a noi quel giorno qualcuno che ci aiuti a morire. Voi dite: ma io ero venuto a fare la meditazione per la Pasqua e mi pare che sto facendo una introduzione per la Messa da Requiem. No, siamo in tema perché qualcuno deve aiutarci, predisporci, adesso ho parlato della morte fisica ma lo stesso valga per tanti altri passaggi, tanti altri scatti che debbono avvenire nella vita e che a volte non avvengono perché non c'è qualcuno che ci aiuta: fidati, fallo questo salto, apriti a questa nuova esperienza, chiudi questa stagione della tua vita, c'è qualcosa di bello oltre quella porta. Questi maestri a volte hanno un'influenza tale su di noi che è come se ci avessero ammaliati, è per questo che adesso ascoltiamo questa romanza di Paolo Tosti che si chiama "Malìa". Ovviamente l'ambientazione è di tutt'altro tipo, lo potete immaginare, è una malìa nel senso dell'amore, però possiamo darne anche una lettura spirituale. Vi leggo il testo.

Cosa c'era ne ‘l fior che m'hai dato?..

Forse un filtro, un arcano poter!

Ne'l toccarlo ‘l mio core ha tremato, m'ha l'olezzo turbato ‘l pensier!

Ne le vaghe movenze che ci hai?

Un incanto vien forse con te?

Freme l'aria per dove tu vai, spunta un fiore ove passa ‘l tuo pie'!

Io non chiedo qual plaga beata fino adesso soggiorno ti fu:

non ti chiedo se ninfa, se fata, se una bionda parvenza sei tu!

Ma che c'è ne ‘l tuo sguardo fatale?.. cosa ci hai ne'l tuo magico dir?..

Se mi guardi, un'ebbrezza m'assale, se mi parli, mi sento morir!..

Se mi guardi, un'ebbrezza m'assale, se mi parli, mi sento morir!..

Un bel testo che dice di questa sorta di malìa, ammaliamento no? Questo essere attratti nell'amore da una persona, ma questo vale anche per i maestri che ci hanno ammaliato. Ricordo, e sorrido, una volta un giovane dopo un Campo Scuola, dopo una settimana, entrò nel mio studio serio, pensavo che mi dovesse dire di una tragedia, si è seduto e mi ha detto: "Che mi hai fatto, che mi hai fatto?". Io, niente, non ti ho fatto niente. Era una forma diciamo forte, fosca che però raccontava di un'esperienza, cioè questa persona dopo, rileggendo quello che era accaduto, dice: Mi hai ammaliato, perchè io non ho più pace, non riesco a mettere insieme le cose. Ecco, è questo elemento perturbatore che ovviamente alla persona che viene da una situazione statica, di elettroencefalogramma piatto per dire, fa difficoltà ma che però è una presenza maieutica, è una presenza di parto che mi ha fatto partorire. "Ma che c'è ne'l tuo sguardo fatale?.. cosa ci hai ne'l tuo magico dir?.. Se mi guardi, un'ebbrezza m'assale, se mi parli, mi sento morir!..".

 

Malìa (P. Tosti)

 

Mi chiedo e vi chiedo se questi sentimenti di malìa non debbano caratterizzare il nostro rapporto con Gesù. Il problema della Chiesa oggi è che molte persone pensano la fede in una maniera cervellotica, un apparato concettuale, una serie di verità astratte, e non entrano in questa dinamica d'amore, di cui malìa ci ha appena raccontato. Come vedete in questo testo, come nell'esperienza dell'amore ammaliante, come nell'esperienza dell'amore di Gesù, ci sono sentimenti contrastanti, e cioè c'è l'attrazione, ed è espressa da "freme l'aria per dove tu vai, spunta un fiore ove passa il tuo pie'!" , cioè questa dimensione bella, dove passa la donna amata è tutto bello, si aprono le rose, e poi un sentimento, come dire, di durezza di cuore, di indispettimento perché questa persona è venuta a togliermi la pace. Sono questi i sentimenti dell'amore vero, no? Quindi si alternano momenti estatici a momenti di ribellione: ma forse stavo meglio prima quand'ero single, ma che vuole questa persona, quest'uomo, questa donna? Un intruso in casa mia, nella mia privacy. Ecco lo stesso, anzi in una maniera molto più amplia e amplificata, avviene nel nostro rapporto con Gesù, e cioè entra nella tua vita in una maniera dolce e poi a un certo punto ti senti anche un po' intrappolato e ti chiedi se non ti abbia ammaliato. Questa dimensione di ammaliamento è presente nel Vangelo quando per esempio, mi riferisco all'episodio dell'indemoniato guarito, poi con i porci che finiscono nel lago, alla fine la gente dice a Gesù: "Vattene, vattene, non ti vogliamo qui", eppure vedono l'indemoniato guarito, colui che nessuno poteva domare, nè con catene, adesso vestito, che parla, che è rientrato nella società, ma questa presenza di Gesù diventa un elemento disturbatore per cui gli dicono: vai da un'altra parte, non ti vogliamo qui. E più volte nel Vangelo troviamo questi atteggiamenti di repulsione. Ecco allora l'amore ha queste due dinamiche: attrazione e repulsione, voglia di entrare in questo dialogo e al tempo stesso desiderio d'esser liberi da tutti questi gravami: forse Gesù mi ha ammaliato. Ovviamente noi ci auguriamo che cresca il numero delle persone ammaliate, perché di gente che viene con i concetti, con le parole, con i dogmi, così da soli, capite bene che non abbiamo che farcene perché non smuovono, non creano disturbo. Allora volete persone che disturbano nella Chiesa? Sì, nel senso bello del termine, cioè persone innamorate, ammaliate, che vivono e fanno vivere anche ad altri quest'azione di disagio. Forse anche le mie parole in questo momento staranno mettendo in difficoltà alcuni di voi che dite: ma questo Vescovo che vuole? Dove vuole arrivare? Insomma noi siamo così tranquilli nella nostra fede impacchettata, nelle nostre devozioni, nelle nostre processioni, nelle nostre religiosità... No, tu o entri in questa dinamica d'amore, che richiede degli addii o non ci siamo, sei ancora sulla soglia della fede. Gesù ti ha ammaliato? E se ti ha ammaliato a volte senti che vorresti metterlo alla porta? Avverti che vorresti mantenere le distanze? E voi dite: ma perchè non sono come quelle brave signore e quei bravi uomini che di tanto in tanto vanno in Chiesa e non sono toccati? Perché io sento tutto questo subbuglio interiore? Ecco, io spero che molti di voi, ascoltando questa mia descrizione un po' strana, avvertano i sintomi di una fede che ha superato la soglia della mediocrità, la soglia del “ognuno a casa sua”, la soglia del “questa è casa mia e quella è la chiesa”, e che invece vivono questo tormento. "Cosa c'era ne'l fior che m'hai dato?". Hai forse messo un filtro, c'è una magia, c'è una malìa? Chiediamo al Signore d'essere ammaliati e se non è accaduto in passato o non è accaduto abbastanza, chiediamo d'essere ammaliati in questi giorni che sono giorni di malìa meravigliosi. Mi riferisco alla Settimana Santa, dove è possibile, guardando questo Gesù che va a morire per me, accompagnandolo nelle tappe della sua Via Crucis, raccogliendo le briciole che cadono dall'altare di quella prima ed eterna Eucaristia, perché quella che celebriamo null'altro è che collegamento a quell'ultima cena, vedendolo crocifisso e poi risorto, possiate sentirvi presi, ammaliati tanto da dire: ma che c'è, che è successo? È passato un ciclone. Quando Gesù passa nella tua vita passa un ciclone e un ciclone non lascia le cose com'erano, cambia la geografia di un luogo, cambia  (Gesù) la geografia di un cuore. Allora concludiamo questa prima parte riascoltando il motivo conduttore che è "Chanson de l'adieu". Ve ne do già una prima traduzione, in modo tale che cominciate a gustarla. Me l'ha data per telefono suor Henriette ma non so quando io sia riuscito a dirle poi quello che era scritto perché non so pronunciare il francese.

Partire è un po' morire,

è morire a ciò che si ama,

si lascia un po' di se stessi

in ogni ora, e in ogni luogo.

C'è sempre il dolore di un vuoto,

l'ultimo verso di un poema.

Partire è un po' morire,

è morire a ciò che si ama.

E si parte, ed è un gioco,

fino all'ultimo addio,

ed è l'anima che si semina,

si semina l'anima in ogni addio.

Partire,

è morire un po' partire,

è morire un po'!

 

Chanson de l'adieu  (P. Tosti)

 

Ovviamente, vi invito a non sciupare neanche questo piccolo intervallo di dieci minuti. Riprendiamo alle 20:40, ma saremo più brevi nella seconda parte. Pensate a qualche addio vissuto alla luce di quello che ho detto e che abbiamo ascoltato, quindi più che parlottare tra voi o fare il giro di perlustrazione dell'Episcopio, trovatevi un angolino e fermatevi tematizzando questo addio che è un po' morire, che è lasciare un poco di sé in ogni cosa, in ogni luogo, in ogni persona.

 

Pausa- Sottofondo musicale

 

Saremo un po' più veloci nella seconda parte sempre sul tema di Paolo Tosti. "Invan preghi" è quel momento in cui ci sembra che sia inutile anche la preghiera e che quindi nessuno ascolti. Ma c'è qualcuno che ascolta? Questa tentazione che il cielo sia chiuso, che le nostre preghiere rimbalzino e tornino su di noi, che tutto sia inutile, pervade questa romanza. Vi leggo il testo.

Invan preghi, invano aneliti, invan mostri il cuore infranto.

Sono forse umidi i cieli perché noi abbiamo pianto?

Il dolor nostro è senz'ala. Non ha volo il grido imbelle.

Piangi e prega!

Qual dio cala pel cammino delle stelle?

Abbandonati alla polve e su lei prono ti giaci. La supina madre assolve d'ogni colpa chi la baci.

In un ade senza dio dormi quanto puoi profondo. Tutto è sogno, tutto è oblio: l'asfodelo è il fior del mondo.

Dovete sapere che questo fiore, l'asfodelo, nella cultura greca era ritenuto il fiore dei defunti, era il fiore dell'ade. Quindi alla fine resta soltanto questo fiore come fiore della morte, quindi un testo, come dire, che sembra non avere speranza, ma a volte i nostri percorsi di addio sono anche attraversati da momenti, a volte anche da lunghi periodi di buio profondo. Ascoltiamo.

 

In van preghi (P. Tosti)

 

Anche in questi versi, così oscuri, così senza speranza, possiamo trovare una linea di preghiera, e in particolare in questo "abbandonati alla polvere, su di lei prono ti giaci". È questo uomo distrutto, è questo uomo che fa fatica a dire addio e si aggrappa alla terra e al tempo stesso la morde. "Dio ha morso la polvere", dice Michel Quoist nel testo della Via Crucis in una delle cadute, Dio ha morso la polvere non solo nella caduta, nelle cadute, di cui fa memoria la Via Crucis, ma nella preghiera dell'Orto. Dice il testo di Marco che gettatosi a terra pregava e se fosse possibile passasse da Lui quel calice. "Gettatosi a terra" è il gesto dell'abbandonarsi, colmo di tristezza. Dio è anche questo, e anche questo è divino, dal momento che Gesù lo ha sperimentato. La romanza, che adesso ascoltiamo "L'alba separa dalla luce l'ombra", è una sorta di ode alla sera, non di foscoliana memoria ma alla sera intesa come morte.

L'alba separa dalla luce l'ombra e la mia voluttà dal mio desire.

O dolci stelle, è l'ora di morire. Un più divino amor del  ciel vi sgombra.

Pupille ardenti, o voi senza ritorno stelle tristi, spegnetevi incorrotte!

Morir debbo. Veder non voglio il giorno, per amor del mio sogno e della notte.

Chiudimi, o notte, nel tuo sen materno, mentre la terra pallida s'irrora.

Ma che dal sangue mio nasca l'aurora e dal sogno mio breve il sole eterno,

e dal sogno mio breve il sole eterno!

Da un lato c'è questo abbandonarsi alla notte che deve chiudere il poeta come in un'urna, quindi questo amore alla notte, "forse perchè della fatal quiete tu sei l'imago a me sì cara vieni, o sera!", dall'altro poi c'è questo senso di speranza, l'orologio batte l'ora della morte, debbo morire, ma ecco, qui si apre il testo alla speranza, questa morte dura, infelice e poi sembra in qualche maniera anche invocata, dev'essere prologo di qualcosa di bello. Mi riferisco ai versi, e qui siamo in tema pasquale anche se Paolo Tosti forse non ci avrà pensato. "Chiudimi, o notte, nel tuo sen materno, mentre la terra pallida s'irrora", ed è la rugiada che viene a ridare speranza alla terra arida, "ma che dal sangue mio nasca l'aurora e dal sogno mio breve il sole eterno". Queste parole noi le possiamo mettere pari pari sulla bocca di Gesù. Gesù non invoca la morte ma va incontro a questa morte, è la morte di Dio, di un Dio fattosi uomo per noi, per vincere la morte, per cui da questa morte nasce l'aurora, ed è l'aurora di Pasqua. Gl'inni pasquali cominciano così: "Sfolgora il sole di Pasqua, risuona il cielo di canti, esulta di gioia la terra. Dagli abissi della morte Cristo ascende vittorioso insieme agli antichi padri", e quindi da una morte nasce la vita, e "da questo mio sogno breve il sole eterno". Quindi è una luce pasquale, ma questa espressione vale anche per ogni nostro addio, perché ogni addio mentre ci fa morire ad una realtà ci apre ad un'altra, per cui non c'è morte che non contenga in sé un elemento di fecondità. Anche le morti dei nostri genitori, delle persone care, una volta superato, elaborato il lutto, dice Freud, cioè superata l'immediatezza, la percezione del vuoto, a volte ci sentiamo dentro una forza che prima non avevamo, e diciamo: Da dove viene? Quella persona, che è andata via e che vive in Dio ma vive anche dentro di te, ti ha lasciato una forza. Ma chi ha messo nel mio bagaglio, nella mia bisaccia da pellegrino questa speranza, questa luce, quest'intuizione? Quella persona. Non c'è partenza che non sia legata a un dono, ad un salto di qualità, ad un salto di crescita.

 

L'alba separa dalla luce l'ombra  (P. Tosti)

 

Anche la madre ha la sua "passio". C'è una Passio Christi e c'è una Passio Mariae. E la passione di Maria non è solo nel procinto della morte del Figlio, è la passione dell'Annunciazione, degli sguardi indiscreti delle amiche, di questo grembo che lievita e che desta scalpore. La passione di Maria è l'addio di Maria ai suoi sogni, ai suoi desideri, ad una vita normale. L'addio di Maria ad un amore normale, perchè questo intervento di Dio la separa in una maniera unica da ogni abbraccio, da ogni amicizia, da ogni umana sponsalità, tanto che avrà bisogno di un protettore, anche se come donna (non vi scandalizzate) avrà desiderato un marito, ma Maria deve dire addio ad una vita normale e poi addio a questo figlio che nasce per strada, addio al sogno di una culla, di una ninna nanna, di una ritualità del parto che anche duemila anni fa, sia pure nella semplicità dei mezzi del tempo, doveva esserci, addio alla casa dell'infanzia perché c'è un esilio che ci attende in Egitto, addio a un figlio mio, perchè mentre ogni donna può dire "questo figlio non è mio ma è della vita", questo è stato vero in modo unico per Maria, addio al figlio che parte da casa inseguendo il sogno del Regno, addio ad essere ricevuta con gli onori della madre. "Ecco è qui tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti". "E chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?" dice Gesù con una durezza… Ecco i miei fratelli e indica i discepoli, ecco mia madre, e Maria ha sentito e ha dovuto dire addio anche a quel titolo di madre che gli altri le davano. "Benedetto il grembo che ti ha portato, il petto da cui hai preso il latte". Addio anche a poter esprimere un desiderio al Figlio a cui tutti chiedevano ottenendo. "Che c'è tra me e te, o donna?", cioè a dire: noi non ci conosciamo, non intercorre nulla tra noi, non è giunta ancora la mia ora. Come vedete potrei continuare a lungo. Maria ha vissuto i suoi addii fino a quando la notizia del Figlio catturato l'ha raggiunta nella silenziosa casa di Nazareth, e quindi va a dire l'ultimo addio al Figlio. È con questi sentimenti che ascoltiamo di Paolo Tosti una "Ave Maria" che è diversa da quelle che normalmente ascoltiamo dentro e fuori la liturgia. Anche questo testo è intriso di romanticismo, cioè è la preghiera rivolta a Maria nell'ora del tramonto, nel momento della difficoltà. Vi leggo il testo, molto bello, e anche la musica, sentirete di risonanze organistiche, pur nell'ordito molto semplice dello spartito musicale.

“Per le fulgenti cupole dorate la melodia dell'organo suonava; lento moriva il dì sulle vetrate; una nube d'incenso al ciel volava, e dolcemente da ogni labbro uscia: Ave Maria.

Nella blanda mestizia di quell'ora tutta serenità di paradiso, il cavaliere che sospiro ognora m'apparve, e a lungo ci guardammo in viso: fu vana allora la preghiera mia, Ave Maria.

Dall'azzurro del ciel stendi la mano a me infelice dal dolore affranta; deh! Ch'io nel pianto non t'invochi invano, arridi all'amor mio, Vergine santa: abbi pietà di me, Vergine pia. Ave Maria.”

Molto bello anche il testo. C'è questo cavaliere, io immagino la morte o comunque una prova, perché dice: "Nella blanda mestizia di quell'ora tutta serenità di paradiso, il cavaliere che sospiro ogn'ora m'apparve, e a lungo ci guardammo in viso: fu vana allora la preghiera mia". È una mia interpretazione, potrebbe anche essere altro, però sono queste tre strofe, quindi la prima di un tramonto all'interno di una chiesa, la seconda di un tramonto in un momento di difficoltà, quindi sia che sia il cavaliere la morte, sia che sia l'amato che torna ma forse non l'ama più. Ho chiesto a Raffaele di trovarmi questo testo "m'amasti mai" è una delle romanze di Tosti tutta musica e poco canto, intercalata da questo "m'amasti mai?", e poi c'è una lunga risposta del pianoforte, e mi diceva il mio maestro: "Questa è la risposta di lei lasciata al pianoforte…", e quindi poi ognuno dice: "Sì, l'ha amato" oppure "No, non l'ha amato" a seconda ovviamente dei nostri sentimenti. Quindi l'Ave Maria liturgica ecco all'interno di questa liturgia fatta d'incenso, di organo che suona, poi l'Ave Maria rivolta alla madre in un momento di difficoltà quando la donna sente d'esser sola, e poi l'Ave Maria rivolta a Maria nel momento della difficoltà del pianto: "Arridi all'amor mio, Vergine santa: abbi pietà di me, Vergine pia". Vi rileggo il testo, così lo gustate meglio.

“Per le fulgenti cupole dorate la melodia dell'organo suonava; lento moriva il dì sulle vetrate; una nube d'incenso al ciel volava, e dolcemente da ogni labbro uscia: Ave Maria.

Nella blanda mestizia di quell'ora tutta serenità di paradiso, il cavaliere che sospiro ognora m'apparve, e a lungo ci guardammo in viso: fu vana allora la preghiera mia, Ave Maria.

Dall'azzurro del ciel stendi la mano a me infelice dal dolore affranta; deh! Ch'io nel pianto non t'invochi invano, arridi all'amor mio, Vergine santa: abbi pietà di me, Vergine pia. Ave Maria.”

 

Ave Maria (P.Tosti)

 

Guidati da questa sonorità, ci diciamo una decade, una sola, di rosario.

 

Padre nostro…

 

Concludiamo questa decade, riascoltando solo la prima strofa di Ave Maria di Tosti. Avete visto, sentito anche nella introduzione, anche nell'accompagnamento c'è una , come dire, una modalità proprio da organo da Chiesa, anche con il ritardo, le volute della musica sacra. Quindi solo la prima strofa e poi andiamo alla conclusione.

 

Ave Maria (P.Tosti ) 1° strofa

 

Concludiamo questa nostra esperienza di "In punta di piedi" spero con gratitudine per non solo le suggestioni ma anche per i dolori avvertiti. Guardavo alcuni di voi che conosco e nell'inarcarsi delle sopracciglia mi tornavano memorie di addii detti, di momenti difficili. Spero che vi resti impressa questa immagine di una intensità unica nello sguardo, se la leggiamo come lo sguardo di Gesù a Gerusalemme, e quindi nella sua ultima salita a Sion, non sarebbe più tornato, abbiamo lo sguardo di chi dice addio, è uno sguardo intenso, anche se velato di tristezza, ha una intensità e vivacità, ecco nel senso come se fosse uno sguardo vivo, qualcuno che ci guarda. Vi aiuti, vi accompagni questa immagine per l'arte di dire addio, l'arte degli addii. In fondo l'ultimo addio non sarà che la somma di tanti addii, detti più o meno bene nel corso della nostra vita, la somma di tanti addendi. Speriamo di celebrarli questi addii, perché bisogna dirli con convinzione, con intensità o stringendo i denti, o addirittura per forza, ma bisogna dirli. Addio alla giovinezza, addio all'adolescenza, addio quando si va in pensione, addio all'essere sani quando cominciano i primi acciacchi, addio al figlio che va a Milano a lavorare, o va a Perugia a studiare, o va... cioè continuamente noi diciamo addio, diciamo addio ogni sera, anche la sera che è scesa, anche questa notte è un addio, all'atto in cui indosseremo il pigiama e ci metteremo a letto compiamo un gesto di congedo. Allora vi auguro, il vostro Vescovo vi augura di celebrarli gli addii, cioè di saperli dire, sentire che nell'addio di Gesù il mio piccolo addio diventa fecondo. Mi piace sottolineare concludendo il verso "si lascia un po' di se stessi in ogni ora e in ogni luogo", cioè alla fine di noi non solo che cosa resterà, ma ci sarà una parte di noi in ogni stanza dove abbiamo dimorato, nella culla della nostra infanzia, nella casa, nel cortile dove abbiamo giocato, nelle scuole dove siamo stati alunni, le vie che abbiamo percorso, attraversato, ogni tempo e ogni luogo manterrà una briciola di noi, per cui è vero quello che dice il romanziere che la campana suona sempre per tutti, non suona per il defunto, suona anche per me, non solo a ricordarmi che verrà anche per me il mio suono di campana ma perché nell'altro c'è una parte di me che va via, quindi ogni partenza è anche una lacerazione, una parte di me viene con te, una parte di me in te o in quel luogo, in quell'oggetto, in quel tempo, in quella stagione, in quel dolore, in quel frangente. È bella questa dimensione dell'addio che abbraccia tutto l'arco della nostra esistenza. Vi consoli il sapere che verrà un tempo in cui non diremo più addio ed è quando saremo in Dio, allora non perderemo più nulla, perché avremo tutto, tutti i luoghi che abbiamo attraversato, tutti i letti in cui abbiamo dormito, tutti i cortili dove abbiamo giocato, tutte le aule dove siamo stati alunni, tutte le date, tutte le persone. Allora avremo la pienezza, quella è pienezza d'essere, qui andiamo ancora seminando nelle lacrime. Vi auguro che quest'arte dell'addio vi aiuti a vivere l'addio di Gesù, che celebreremo nei prossimi giorni, con intensità. Vi anticipo anche, poi ascolteremo per l'ultima volta "Chanson de l'adieu", che il mese prossimo ho messo in programma per giovedì 24 aprile alle 19,30 diciamo un'ultima esperienza di "In punta di piedi in Episcopio", perchè poi faremo convergere giovani e adulti per l'estate per le esperienze itineranti, ma giovedì 24 per chi vuole alle 19,30, perché intanto ci sarà l'ora legale, e potremo vivere un'altra esperienza un po' più gioiosa, perchè nella luce pasquale, ma credo che vi sia servito anche conoscere questo musicista autore di romanze, Paolo Tosti, con cui abbiamo pregato, che sarà contento dal cielo che abbiamo utilizzato, allargando il senso dei suoi testi e delle sue note, per la preghiera le sue composizioni.

 

Benedizione del Vescovo

 

Abbiamo un grande appuntamento comune, corale per tutta la nostra Chiesa diocesana, ed è la Messa Crismale, che a partire da quest'anno sarà celebrata il Mercoledì sera, Mercoledì Santo proprio per dare la possibilità alle persone che lavorano di esser presenti. Quindi fate in modo da venire non solo voi ma da invitare anche altri, è un bel momento, anzi il più intenso momento di Chiesa da un punto di vista liturgico che una Diocesi possa vivere e poiché immagino che tanti di voi, tanti di voi mai siano stati alla Messa Crismale, a partire da quest'anno è possibile Mercoledì Santo ore 18,30.  Ovviamente grazie a Maria Teresa, grazie a Raffaele per questo ausilio che ci hanno offerto per la preghiera, dopo lo farete anche voi personalmente. In punta di piedi li ringrazierete.

 

Chanson de l'adieu  (P. Tosti)

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.