PREGHIERA GIOVANI

 

“L’ARTE DI COSTRUIRE”

 

RIFLESSIONI DI S. E. MONS. ARTURO AIELLO

 

Vescovo della Diocesi di Teano-Calvi

 

Cattedrale di Teano

 

Venerdì, 15 Febbraio 2008

 

 

Canto: Alzati e risplendi

 

Iniziamo, cari amici, la nostra preghiera, stasera, guardando questa piccola vignetta che è a fondo pagina, per sapere noi da che parte siamo. Il tema della preghiera stasera è l'arte di costruire.  Ci sono dei giovani che stanno costruendo una dimora, un centro giovanile, un luogo, una città, un paese, una piazza e ce n'è uno che se ne sta per fatti suoi, da solo, isolato. Nella vignetta è chiaro anche il diverso stato d'animo. Il primo gruppo lavora, sembra affaticarsi ma in realtà è contento. Questo giovane ragazzo solo è piuttosto depresso, e allora mi chiedo, e ciascuno di noi se lo chieda: Io da che parte sto? Sto dando una mano a costruire il mio paese, la mia città, la mia scuola, la mia famiglia, il mio gruppo, e perché no, la mia Parrocchia? O guardo piuttosto scettico come il ragazzo che ha le mani in testa, e dice: "Non mi scocciate, lasciatemi qui a guardare, non voglio lavorare". Non si tratta qui di affaticarsi o meno ma d'esser contenti o d'esser tristi. Sono scontenti quelli che demoliscono o non costruiscono e sono contenti quelli che hanno un progetto da realizzare e si mettono insieme. Il canto, che abbiamo fatto, ci invitava a spogliarci della tristezza, è detto a Gerusalemme è vero, ma è rivolto anche a noi: "Spogliati della tua tristezza", e anche voi siete venuti stasera probabilmente con tanti cappotti e mantelli e cappelli e sciarpe di tristezza, che dobbiamo togliere, ecco, come il Vescovo adesso sta facendo, così. Togliti il tuo abito di tristezza, spogliati della tua tristezza che non porta a niente, anche se si tratta della tristezza dei tuoi errori. Alcuni restano impigliati così per tanto tempo nei propri errori o nel rimorso. Siamo invitati a spogliarci, togliere di mezzo anche il rimorso, che è quello che ci frena, perché una volta ho sbagliato; tutti possiamo sbagliare, e tutti possiamo rimetterci a costruire. E allora interrogatevi in questo istante di silenzio: io da che parte sto? In quale di queste due immagini mi sento ritratto in questo momento della mia vita? E allora via la tristezza e ripetiamo il ritornello.

 

Gerusalem, Gerusalem, spogliati della tua tristezza

Gerusalem, Gerusalem, canta e danza al tuo Signor.

 

Ci sediamo. Facciamo un grande silenzio, perché abbiamo Qualcuno che ci parla e non è un uomo ma Gesù stesso attraverso la sua Parola, creiamo un po' di vuoto, di silenzio nel nostro cuore, resettiamo ogni tristezza e preoccupazione e ascoltiamo. Si tratta di due parabole.

 

Dal Vangelo di Matteo (25, 1-30)

Il regno dei cieli è simili a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e quelle che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

 

Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

Lode a te, o Cristo

 

Non ci crederete ma questa sera vi consegno, se state attenti, una laurea in Ingegneria Edile, perché magari siete venuti solo per fare una preghiera, e invece uscite, ma non è sicuro, perché poi dovrete superare un esame, uscite con la laurea breve, o anche con la specialistica in Ingegneria. L'arte di costruire. Innanzitutto, queste due parabole, quella delle vergini stolte e delle vergini prudenti, e la parabola dei talenti, si trovano nello stesso capitolo del Vangelo di Matteo, Capitolo 25. Hanno un comune denominatore se si trovano nello stesso discorso di Gesù. Qual è il comune denominatore? Ci sono alcuni pigri che non sanno investire e non sanno costruire e non sanno tenere accese le lampade, anche se lo sposo tarda a venire. Ce ne sono altre, furbe, vergini furbe, che hanno olio abbastanza e quindi sono sagge nel mettere le riserve, come ci sono uomini saggi nell'escogitare il modo migliore per aumentare il loro capitale. Attenti che non si parla di soldi qui ma si parla di doti, di doni, che abbiamo, inizialmente pochi, che possono aumentare o possono diminuire. Io non so se avete chiaro questo, non è detto che andando avanti negli anni, 18 anni, 20 anni, 25, 30, ecc., voi automaticamente cresciate, non è scritto da nessuna parte. Noi che siamo vecchierelli invece sappiamo per esperienza che a un certo punto ci si può fermare, la crescita si ferma o addirittura si comincia a regredire. Voglio dire che l'avanzare degli anni non significa di per sé avanzare nella saggezza e nell'arte di vivere, per noi stasera nell'arte di costruire. Guardiamo per un attimo questi tre personaggi della seconda parabola. Uno ha ricevuto dieci talenti, uno ne ha ricevuti cinque, uno ne ha ricevuti uno, ci sono disparità, non siamo tutti uguali. A volte, vedete, un vostro compagno all'Università o in parrocchia o al Liceo che eccelle e vi sembra che voi non contiate alcunché. Bisogna vedere da dove si parte, questo lo sanno bene o dovrebbero saperlo bene gli insegnanti, cioè vediamo questo ragazzo da dove è partito e dove è arrivato, perché c'è anche chi è pluridotato, che invece va rimproverato perché non mette a frutto tutto quello che ha. Prima categoria, i primi due, diciamo impresari, si mettono al lavoro, escogitano un modo per raddoppiare il loro capitale; seconda categoria, ce n'è uno, che ha ricevuto un solo talento, pigro, pauroso, che decide di sotterrare quello che ha avuto e di tirarlo fuori al momento in cui deve rendere conto. Che cosa distingue i primi dal secondo? I primi sono intraprendenti e superano la paura, il secondo non riesce ad essere intraprendente e si lascia uccidere dalla sua paura, perché attenti che per esporsi bisogna superare una paura. Faccio il caso mio. Io sono venuto qui stasera, voi pensate che il vostro Vescovo tiri fuori sempre dal cilindro i coniglietti, ecc., invece venendo qui, come ogni sacerdote, come ogni insegnante, come ogni genitore, come voi all'atto in cui andate su un palco per un concerto, come Maria Teresa che sta suonando, chi comincia a parlare, o chi suona, o chi, come me, guida una preghiera deve superare una soglia di paura. La prima: magari stasera non viene nessuno. La seconda: non riuscirò a comunicare. Ci sono tante paure, anche in chi in questo momento vi sta parlando e teme di non riuscire a stabilire, come voi dite, un feeling, bisogna superare questa paura, ed esporsi, e lanciarsi. Io mi sono tolto il mantello anche se fa freddo, anche questo è un modo per lanciarmi, e per dire: io quello che ho ricevuto lo voglio trasmettere e possibilmente lo voglio aumentare. Questo è costruire. L'altra ipotesi è che, facendoci prendere dalle nostre paure ci nascondiamo. Se io fossi venuto qui: CARI FRATELLI[1], voi dopo due minuti, pian piano, magari per rispetto, per non offendere il Vescovo, ve ne sareste andati. Per comunicare e per fare qualsiasi cosa importante nella vita , ricordatevelo, bisogna superare tante paure. Allora anche il Vescovo ha paura? Certo. Anche mio padre ha paura? Anche quell'insegnante che parla così bene ha paura? Tutti. Abbiamo tutti paura di esporci, di essere bocciati, di non ricevere ascolto, di essere contestati, ma se un parroco o anche un giovane si lascia prendere da queste paure è finita, la parrocchia si chiude, la Diocesi stenta a decollare, la famiglia non va bene, il gruppo o anche il clan, chi si è messo a suonare chitarra, basso, tastiere e batteria, non andrà mai a un concerto. Allora il primo messaggio di stasera è questo: per costruire bisogna continuamente lottare con le paure che abbiamo dentro ed andare oltre queste paure dicendo “Io voglio rischiare di... e questa casa la voglio costruire, e questo ideale lo voglio realizzare, e questa laurea voglio conseguirla, e questo diploma voglio portarlo a casa”. Quando ho detto all'inizio "spogliamoci delle nostre tristezze" intendevo dire anche “spogliamoci delle nostre paure”, e in giro ce ne sono tante. Anche i giovani hanno paura. Strano, voi che siete così faccia tosta, così... sembrate non scomporvi davanti a nulla, quando riuscite ad essere sinceri con qualcuno confessate una serie interminabile di paure. Allora per costruire bisogna superare la soglia della paura ed esporsi, e dire: ho ricevuto cinque talenti, all'atto in cui li metto a frutto potrei anche perderli ma voglio rischiare. Ho ricevuto due talenti, voglio cercare di portarne a casa tre o quattro e rischio anche di perderli. Il terzo protagonista della parabola non ha voluto rischiare ed è rimasto con quell'unico talento sotterrato che gli ottiene la condanna. Domanda, pensateci in questo istante di silenzio: “Io riesco a superare le mie paure? Riesco a confessarle a qualcuno?” Perché è chiaro che se le mie paure le tengo per me, mi sovrasteranno a tal punto che io ne rimango schiacciato. Cosa dici alla tua ragazza? Cosa racconti al tuo ragazzo? Di cosa parlate quando siete insieme? Tutti a fare gli spavaldi, a fare battute, ma una volta confessiamolo: “Ragazzi, stasera abbiamo paura un po' tutti”. Sembra un gesto di debolezza, ma vi fa venire dentro una forza tale da sconvolgere i nostri paesi, le nostre cittadine, la nostra Diocesi, le nostre parrocchie, le nostre scuole. Purtroppo restiamo tutti chiusi dietro lo schermo delle nostre paure, nessuno ha il coraggio di dirlo all'altro e allora non si costruisce nulla. Questo è il grande dramma della scuola, della famiglia, della Chiesa, della società civile. Se le cose non vanno bene in giro, e non vanno bene lo sappiamo tutti, è perché siamo tutti dietro lo schermo delle paure. E poi se invece ci presentiamo sicuri, impettiti, in realtà non è così, e quello che costruiamo di giorno, lo demoliamo di notte. Domanda: “Qualche volta ho provato a comunicare ai miei amici, alla mia ragazza: Ho paura, aiutami, tienimi per mano?”. È un atto di umiltà che dobbiamo fare più spesso. Ci pensate in questo istante di silenzio.

 

Pausa musicale

 

Vi sembrerà strano che questo discorso accennato sulle paure possa diventare una forza, ed è così invece. La paura che tengo per me mi uccide, la paura, che condivido con i miei amici, con la mia ragazza, con il mio parroco, con il sacerdote da cui mi confesso, con il mio Vescovo, diventa una forza, è così. Si reggono così le comunità. Le famiglie vere non sono fondate sui meriti, sono fondate sulle difficoltà, tant'è vero che si dice: “I panni sporchi... “. Ecco, perché si lavano in famiglia i panni sporchi? Non per fare bella figura davanti agli altri, ma perché la famiglia è fatta per lavare i panni sporchi, e non ci riferiamo alla biancheria, sapete, (e qui famiglia sta per parrocchia, famiglia sta per scuola, famiglia sta per gruppo, famiglia sta per coppia) cioè tu li lavi i panni sporchi?Hai il coraggio di manifestarti così come sei davanti alle persone che ti vogliono bene e a cui tu vuoi bene, in modo tale che questa povertà possa trasformarsi in ricchezza e in forza di costruire? Pensate alle volte in cui in casa non si parla per mesi, ci si intende neanche chiamandosi per nome. Ci sono delle famiglie in cui non ci si chiama mai per nome, dei gruppi dove usiamo sempre il nomignolo, tendiamo sempre a uccidere, quello che in napoletano si chiama il "tipo soggetto". Il tipo soggetto è un ragazzo in difficoltà che non bisogna ulteriormente aggravare. Ecco, questi sono modi per fare aumentare le nostre paure, invece ci sono modi per annullare le paure. Anche il fatto che stiamo qui stasera, e ci diciamo queste cose e siamo in tanti, è un modo per fugare le paure del Vescovo, ma anche le vostre paure, perché mai come in questo luogo, che è la chiesa, noi possiamo essere noi stessi e non stare qui a vantarci delle cose che non abbiamo fatto, le cose belle che non abbiamo fatto, ma poter dire le cose cattive che abbiamo commesso e sapere d'essere accolti, ascoltati. Anche stasera uniamo a questo brano di Vangelo una canzone. È un vostro cantautore, non so se preferito, a me non piace tanto, non è tra i miei preferiti, ma questa canzone andava la pena di ascoltarla insieme. Ed è Niccolò Fabi con "Costruire". Seguite sul testo.

 

Costruire (Niccolò Fabi)

Chiudi gli occhi

Ed immagina una gioia

molto probabilmente

penseresti a una partenza

ah si vivesse solo di inizi

di eccitazioni da prima volta

quando tutto ti sorprende

e nulla ti appartiene ancora

penseresti all'odore di un libro nuovo

a quello di vernice fresca

a un regalo da scartare

al giorno prima della festa

al 21 marzo al primo abbraccio

a una matita intera alla primavera

alla paura del debutto

al tremore dell'esordio

ma tra la partenza e il traguardo

nel mezzo c'è tutto il resto

e tutto il resto è giorno dopo giorno

e giorno dopo giorno è

silenziosamente costruire

e costruire è sapere

è potere rinunciare alla perfezione

ma il finale è di certo più teatrale

così di ogni storia ricordi solo

la sua conclusione

così come l'ultimo bicchiere l'ultima visione

un tramonto solitario l'inchino e poi il sipario

ma tra l'attesa e il suo compimento

tra il primo tema e il testamento

nel mezzo c'è tutto il resto

e tutto il resto è giorno dopo giorno

e giorno dopo giorno è

silenziosamente costruire

e costruire è sapere

è potere rinunciare alla perfezione

ti stringo le mani

rimani qui

cadrà la neve

a breve

io ti stringo le mani

rimani qui

cadrà la neve

a breve

a breve...

 

Attenti a non sottovalutare questo testo che è di una incisività particolare. Il cantautore dice: "Chiudi gli occhi ed immagina una gioia". Non so se avete mai fatto questo esperimento. Chiudiamo gli occhi, immagina una gioia, ci vengono sempre in mente, lui dice e ha ragione, o momenti iniziali o momenti conclusivi, mai un momento feriale. "Molto probabilmente penseresti a una partenza,ah si vivesse solo di inizi di eccitazioni da prima volta , quando tutto ti sorprende e nulla ti appartiene ancora, penseresti all'odore di un libro nuovo a quello di vernice fresca , a un regalo da scartare, al giorno prima della festa (Sabato del villaggio) al 21 marzo, al primo abbraccio, a una matita intera , alla primavera, alla paura del debutto, al tremore dell'esordio". Queste sono le nostre gioie, ma queste sono gioie? O solo queste sono le gioie? Vedete, il grande pericolo che correte voi giovani è proprio qui. Perché pochi si laureano? Sapete che in Italia, siamo il paese all'avanguardia, nella percentuale tra iscritti all'Università e persone che si laureano, ci troviamo quasi alla stregua dei paesi del Terzo Mondo. Si iscrivono in cinquemila e arrivano al traguardo in cinquecento. Come mai? Come mai? C'è un motivo. È  che io penso che iscrivendomi all'Università, tah! Il giorno dell'iscrizione, il giorno della prima lezione ho il primo trenta, e già la laurea. No, no, ci vogliono tanti giorni, ci vuole tanto impegno, c'è bisogno di tanto studio, e anche, diciamolo, di tanto sacrificio. E allora i giovani corrono il rischio di pensare che i giorni importanti siano solo quelli iniziali e quelli finali, il giorno dell'iscrizione oppure quando sventolo il mio diploma da portare per l'iscrizione all'Università e quando sventolo la Laurea. Lo sanno bene quelli fra voi che sono laureati, abbiamo avuto voglia di sventolare, ma poi non è successo niente se non, se era d'estate, un po' di fresco immediato, perché il lavoro non c'era. Allora penseresti sicuramente a un 21 marzo, a un regalo da scartare, alla vigilia della festa dei 18 anni, al momento del debutto, oppure, seconda parte della canzone: "Così l'ultimo bicchiere, l'ultima visione un tramonto solitario, l'inchino e poi il sipario", ma la vita non è questo. Questi sono due momenti brevissimi: quando una cosa comincia, quando una cosa finisce, e di mezzo, dice il nostro cantautore, c'è tutto il resto, "tra la partenza e il traguardo nel mezzo c'è tutto il resto e tutto il resto è giorno dopo giorno e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire". Non si costruisce con la banda musicale, non si costruisce un amore, non si costruisce un futuro, non si costruisce una casa, la casa non è la benedizione della prima pietra. Forse avete partecipato qualche volta ad una cerimonia del genere: "Venite tutti che benediciamo la prima pietra! Tutti a guardare questa prima pietra e il sacerdote che benedice… Ci sembra che il palazzo sia già lì! Ma qualcuno ha mai benedetto la seconda, la terza, la centesima, la cinquecentesima? Nessuno, tutti a benedire la prima pietra o a tagliare il nastro il giorno in cui il palazzo, la piazza è pronta. Ma non è questa la vita. Costruire è tutto quello che c'è di mezzo tra la prima volta e l'ultima volta, tra l'iscrizione e la Laurea, tra il primo bacio e l'addio, tutto quello che c'è in mezzo, e per lo più sono gesti semplici, fa parte della vita. E allora vi sto dicendo tra le righe, non lo sto dicendo solo a voi giovani ma anche a noi grandi, che noi rischiamo di perdere la nostra vita a furia di pensare il primo momento e l'ultimo, il primo tema e il testamento, dice il testo di Niccolò Fabi, ma tra il primo tema "cosa farai da grande e il testamento" ci sono tante altre parole, tante cose da dire, tante cose da fare, e sono quelle cose, questo termine vi ferisce ragazzi, feriali: alzarsi la mattina, prendere il caffè, fare colazione, scendere, andare a scuola, tornare, studiare, oppure andare al lavoro. Ma tutto questo, che a volte a voi pesa, è la vita, e se uno rinuncia a tutto quello che c'è in mezzo, alla fine la vita rimarrà una scatola vuota, magari anche col fiocco, ma vuota. Una scatola vuota. E questa sera questa Laurea in Ingegneria che voglio darvi è la possibilità di farvi scoprire che forse già adesso vi state lasciando defraudare delle cose più importanti della vita, che sono quelle silenziose, che nessuno vede, non sotto i riflettori, non con le foto dove ci aggiustiamo, ma quando stiamo in vestaglia, quando stiamo in pigiama, quando abbiamo delle macchie e diciamo "Tanto nessuno mi vede…", quando facciamo delle cose che servono alla vita. Quando il muratore mette la seconda, la terza, la quinta, la centesima pietra, silenziosamente sta costruendo. E allora la vita non è fatta di feste, non è fatta di giorni di vacanza, la vita è fatta di studio, è fatta di lavoro, è fatta di giorni feriali. So di dirvi cose un po' dure, ma è importante per voi stasera dire "Io nei giorni feriali che faccio?". So cosa state pensando: "Mi annoio perché nessuno mi telefona, perché non sto a cinema, perché non sono vestito all'ultima moda, perché gli altri non mi guardano…". Ma in quel momento tu stai crescendo, in quel momento tu puoi fare qualcosa di importante, e se ti annoi è perché non hai capito che quello è il momento in cui mettere a frutto il tuo talento, quello è il momento in cui costruire. Riascoltiamo.

 

Costruire

 

Che dite, cadrà la neve a breve? Adesso sto per dirvi una cosa sensazionale, quindi attenti al massimo, perché questa cosa può sembrare strana, paradossale, o addirittura sbagliata. Lo abbiamo messo in grassetto. "E costruire è sapere, è potere rinunciare alla perfezione". Io non so, se facessi un'inchiesta, quanti di voi pensano che questa espressione sia vera, quanti alzerebbero la mano. Forse pochi, perché questa frase è difficilissima e verissima. E se voi capite questo stasera avete fatto un salto di maturità di dieci anni. Sembra una frase disfattista. Costruire è sapere, è rinunciare alla perfezione. Forse che per costruire debbo rinunciare agli ideali? No, infatti qui è scritto: è sapere, ma sapere che cosa? Io direi, facendo l'analisi logica del testo, è sapere la perfezione. Allora costruire è sapere la perfezione, e poi, costruire è rinunciare alla perfezione. Mi state seguendo? Potrei darvi il segreto della felicità stasera. Costruire è sapere la perfezione, significa: dove devo arrivare? Cosa è meglio per me? Qual è il bene più grande? Se devo costruire una casa, un castello, se devo costruire la piazza del mio paese, piazza S. Pietro, se devo strimpellare... un concerto, alla Scala. Questa è la perfezione, cioè il top, il massimo. Questo bisogna saperlo, cari giovani, a volte non lo sapete neppure. Qual è la perfezione? Cioè qual è l'ideale che deve muovere la mia costruzione? Qual è il progetto grande che io devo avere in mente?Che l'architetto deve avere in mente?Che l'ingegnere deve avere in mente?Altrimenti finirà col fare una casupola. Tutti dovete avere in mente di sposare il Principe Azzurro o Miss Mondo e di realizzare cose grandi, come d'essere buonissimi. Questo è sapere la perfezione. Costruire è sapere la perfezione, ma poi dice dopo, e sembra contraddirsi, che costruire è sapere, è potere rinunciare alla perfezione. È vero? È vero, è vero! E se questo non lo fate, se questo prima non lo capite e poi non lo realizzate, voi sarete degli infelici, perché direte: volevo costruire un castello... e ho fatto un piccolo appartamento. Avrei voluto fare Piazza S. Pietro... e ho fatto la piazza quattro per quattro del mio condominio. Avrei voluto fare... e invece mi sono ridotto a... Ma vuoi vedere che quello che viene condannato da Gesù nella parabola dei talenti non ha saputo rinunciare alla perfezione? Forse sì, perché avrà detto: "Ma io ho un talento solo, il mio compagno ne ha avuti cinque, quello ne ha avuti due, sono proprio misero!". E così si è depresso a tal punto che pensando che dovesse avere anche lui cinque da farne dieci, due da farne quattro, ecc., non ha fatto neanche quel poco che poteva fare, cioè non ha saputo rinunciare alla perfezione e ha sotterrato quel bene, quel po' di bene che avrebbe potuto rendere bella la sua vita. Continuate a sognare di sposare Miss Mondo, e voi ragazze il Principe Azzurro.  Succederà un po' meno. Non faccio il profeta di sventura, eh? Magari qualcuno di voi effettivamente sposerà Miss Mondo, povero lui… Voglio dire che dobbiamo sapere l'ideale, dobbiamo sapere la perfezione, ma poi nel giorno feriale, in tutto quello che c'è in mezzo, dobbiamo poter rinunciare alla perfezione. C'è un proverbio che esprime quello che io sto dicendo in una maniera magistrale, forse lo avrete sentito pronunciare ma non gli avrete dato tutta la sua importanza, anche morale. Il proverbio dice: "L'ottimo è nemico del bene", l'ottimo è nemico del bene. Allora  l'ottimo "voglio farmi un castello con le torri, con il lago, con i coccodrilli, con i cigni, ecc". Va bene, ma se tu questo castello ottimo non lo puoi costruire, fatti la tua casetta, fatti il tuo appartamento, il tuo villino, che non sarà il castello... "No, non posso farlo…Io voglio il castello!". E tanti fanno così e muoiono, e tanti fanno così e si dimettono, e non fanno neanche quel bene che potrebbero Tu puoi fare molto bene. Pensate se tutti voi che state qui, mi riferisco in particolare ai giovani, tiraste fuori quel bene che il Signore ha posto nel vostro cuore e lo metteste a disposizione, noi rivoluzioneremmo la nostra Diocesi! Ma non succede niente, perché tutti quanti siete innamorati del castello. Sì, dobbiamo saperlo che c'è un castello che è il top, ma dobbiamo anche poter rinunciare alla perfezione. Vedo qualche sacerdote un po'... che mi sta guardando con gli occhi un po' sospettosi: "Ma che sta dicendo questo Vescovo, ci sta scardinando tutta la nostra impostazione morale…". No, questo è il Vangelo, è il Vangelo, perché se anche hai ricevuto un solo talento non tendere ad averne cinque o due, non invidiare gli altri, sappi qual è la perfezione, ma sappi anche rinunciare alla perfezione, dicendo: "Va bene, questo ideale mi chiama e io devo continuare a farmi chiamare dal castello, ma debbo adeguarmi ad abitare serenamente la mia casa". Vorremmo una vita al top, ma devo anche accontentarmi di questa vita feriale, che forse è bella, che forse questo unico talento che ho, che non devo sotterrare, è la mia giovinezza che sta sfiorendo, perché sono troppo preso dall'ideale, diciamo meglio, dall'idealismo, perché l'ideale è un termine positivo. Allora vedete quante cose stanno uscendo da questa canzone, che sembrava una canzonetta da quattro soldi, e dobbiamo ringraziare Niccolò Fabi per averla scritta. Scrivetegli una lettera: “Grazie per questa lezione sulla vita”. Adesso la riascoltiamo l'ultima volta e vorrei che faceste attenzione agli ultimi versi che sono bellissimi, anche di una musicalità, quando dice: "ti stringo le mani rimani qui cadrà la neve a breve". Cioè chi ha capito questo stringe le mani alla persona a cui vuole bene, agli amici, ai genitori, ai figli, al marito, alla moglie, al ragazzo, alla ragazza, o anche al parroco, o al Vescovo, e dice: “Rimani, rimani in questa vita, anche se il castello non siamo riusciti ancora a costruirlo, ma prima o poi ce la faremo, rimani con noi in questo amore che non sembra il grande amore delle canzoni, ma forse merita perché stiamo resistendo già da tanto tempo, ti stringo le mani, rimani nella mia famiglia, rimani in questa classe, in questa scuola, in questa parrocchia, in questa Diocesi, ti stringo le mani, rimani”. E poi... dolcissimo: "Cadrà la neve a breve", perché quelli che sanno aspettare e che dicono: "Ah, non ha nevicato, me ne vado", si perdono lo spettacolo, lo spettacolo silenzioso eh, perché silenziosamente costruire, la neve mica fa chiasso, cadrà la neve a breve. Ascoltiamo.

 

Costruire

 

Ci avviamo verso la conclusione. Siete pronti per ricevere questo diploma di laurea? Penso che se doveste pagarmi stasera, per i segreti della felicità che vi ho trasmesso, perché sì di questo si è trattato, dovreste staccarmi assegni con un milione di euro ciascuno, a dire: "Allora, non è importante...". No, perché costruire è sapere la perfezione ma anche potervi rinunciare. Forse stasera andremo a letto più tranquilli, no? Perché degli errori li abbiamo fatti anche oggi, ma forse questi errori fanno parte anche della nostra vita, non dobbiamo averne paura, l'importante è avere ancora davanti l'ideale, e dire: "Mi addormento ugualmente tranquillo anche se non ci sono riuscito". È così bello… e quello che vi ho detto non me lo sono inventato, in qualche maniera l'ho tirato fuori da questa parabola trita e ritrita dei talenti dati da parte di un signore ai suoi servi. Poveri noi se ci facciamo vincere dalle nostre paure e non condividiamo le nostre paure con l'altro trafficando la nostra vita, anche se non abbiamo tante cose da investire. Ci mettiamo in piedi, ci teniamo per mano e diciamo insieme: Padre Nostro...

Prima di uscire stasera, in chiesa, stringete le mani a qualcuno. Ti stringo le mani, rimani. È un incoraggiamento, noi siamo così abituati a dare la mano a qualcuno che non...  lo facciamo in una maniera un po' pedante…Invece così... ti stringo le mani, rimani, a dire: “Non te ne andare, ho bisogno di te”.

Questo gesto, anche il Vescovo lo farà, vorrei farlo con il papà, ma anche con gli amici di Antonello, compagni di classe, compagni di squadra, che sono qui. È bello, è bellissimo, una grazia per voi essere stati qui stasera ma anche per noi e vi diciamo: ti stringo le mani, rimani, perché possiamo costruire delle cose insieme. E voi amici di questo ragazzo, Antonello, adesso avete il dovere di costruire anche per lui. Quindi in particolare stringerò le mani a loro ma anche ad altri che lo volessero. Ti stringo le mani, rimani. È un modo per trasmetterci una forza, perché la stretta di mano è un passaggio di energie, oltre che un gesto di affetto, di vicinanza.

 

Benedizione del Vescovo

 

Ringraziamo Maria Teresa. Anche guardando le sue mani che volano sulla tastiera dell'organo e i suoi piedi sulla pedaliera ci si chiede: ma vorrei suonare anch'io così. Eh, certo, ma Maria Teresa dice: “Guarda che ci sono tante esercitazioni nei giorni feriali, tante prove, tanta diteggiatura da seguire…”. Così valga per la vita, quello che c'è in mezzo vale, allora poi possiamo anche fare i concerti, e spero che tanti di voi possano accompagnare le nostre preghiere con la maestria di Maria Teresa.

 

Canto: E sono solo un uomo

 

Buona serata e confido in questo gesto in giro per la Cattedrale, senza utilizzare le parole.

 

 

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

 

                                                                                                                         



[1] Il vescovo si nasconde dietro il mantello