“In punta di piedi in Episcopio”

 

Meditazioni di

S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello

 

Teano, 22 Dicembre 2008

 

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La composizione artistica di stasera è particolarmente complessa e ricca. Parto dalle persone che già conoscete: Maria Teresa è il nostro “jolly”, la nostra musa ispiratrice, è colei che fa da trait d’union a questi incontri di spiritualità e di arte; molti di voi conoscono anche Marianna Russo, soprano, che viene dalla Penisola Sorrentina; in più, c’è il violinista Domenico Mancino e il sassofonista Antonio Graziano. Entriamo in questa esperienza previa al Natale, vigiliare, con attenzione, con quel senso di pace che manca nelle case (a volte anche nelle parrocchie) in questi giorni. Come sempre, cerchiamo di vivere un momento di riposo spirituale, unendo piccole riflessioni con brani musicali.

 

Ave Maria (Piazzolla)

 

Abbiamo iniziato con un brano non liturgico - ma tutto è liturgico e nulla lo è – “Ave Maria” di un autore del Novecento, Piazzolla, perché – ed è il primo pensiero – Natale è “nel nome della madre”: chi ci ha insegnato Natale?, chi trasmette il Natale?, chi ci ha dato i natali? Cominciamo con questa lettura laica del Natale. Natale ha tante sfaccettature. Partiamo da quel concetto che ci accomuna tutti e che abbraccia anche coloro che non sono cristiani e che avranno una madre, perché è la madre che ti ha generato, è la donna che ti ha dato il tempo, con il battito del suo cuore, che ti ha insegnato la risacca del mare nel suo grembo: Natale è la madre. Questo lo diciamo per coloro che sono mamme, lo diciamo per tutti noi che abbiamo avuto o abbiamo una madre da visitare, da guardare, da ricordare, colei che ci ha iniziati alla vita e iniziati alla Grazia del Natale. Per questo “Ave Maria” è il tema, il ritornello, il motivo conduttore che ci pone sulla soglia del Natale: non è solo il saluto alla Madre del Redentore, ma anche a mia madre, a tua madre, a te che sei madre e che devi svolgere, nei confronti dei tuoi figli, questo ruolo di insostituibile grandezza, che è il ruolo di raccontare il Natale. Chi ti ha raccontato Natale? Tua madre, mia madre. “Ave Maria” è, non solo la preghiera rivolta alla Madre del Signore, ma è anche il saluto alla madre, a ogni donna, alla donna che mi ha partorito. Questa donna – e veniamo al secondo brano – è una donna che ti dice “Va tutto bene”, anche quando va tutto male. Leggiamo così – ma dopo ve ne darò più ampia spiegazione – il testo del Magnificat, che è il Vangelo di oggi, ed è anche la preghiera della sera della Chiesa: “L’anima mia magnifica il Signore…”. Fu un inno di vittoria, un canto alla potenza di Dio, allo sconvolgimento, alla grande rivoluzione, dove i potenti sono resi mendicanti e i mendicanti siedono sui troni. Questo Maria lo ha cantato nel Magnificat.

 

Magnificat (Frisina)

 

Le mamme devono essere intonate. Perché le mamme devono essere intonate? È un assurdo una madre stonata, perché le mamme cantano: cantavano le mamme nella nostra infanzia. Cambiano le canzoni, cambiano i motivi, ma le mamme cantano e questa cosa, cari amici, è di una importanza enorme per la serenità dei figli che crescono e che, se non hanno una mamma che canta, se hanno una mamma depressa, per esempio, accederanno alla vita con qualcosa in meno, mancherà loro una marcia, il “la”. Io credo che la maternità renda intonate anche le donne stonate, proprio per questo canto. Ognuno di noi in questo momento vada con la memoria a ciò che cantava sua madre, a partire dalla ninna nanna, per le canzoni che si cantavano per casa durante le faccende domestiche. La mia, quando cantava, dicevamo in napoletano “era cattivo tempo”. Ma anche questo è un modo bello: la donna che canta quando le cose vanno male, la donna che canta per riequilibrare una situazione che si è incrinata, le donne che cantano per dire ai bambini “Puoi addormentarti: va tutto bene”. Guai se le mamme, oggi, dovessero raccontare ai figli la grande depressione economica, dovessero trasmettere quest’ansia per il futuro, dovessero trasmettere l’immagine di un mondo cattivo dove vincono i lupi e dove Cappuccetto Rosso rimane nella pancia del lupo cattivo. Il canto delle mamme è questo grido rivoluzionario: così credo vada letto anche il testo del Magnificat. Maria  non ha molto da cantare umanamente: anche lei ha tante difficoltà, si trova davanti ad una maternità non voluta, inaspettata, misteriosa, è povera, eppure canta che “Il Signore abbatte i potenti dai troni, innalza i miseri… è venuto in aiuto a Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia”, a dire che Dio non si è dimenticato del suo popolo, dell’uomo. Se ci fate caso siamo già nel cuore del Natale. Natale è dire “Va tutto bene” quando va tutto male; quest’anno siamo anche in una condizione ideale, migliore, per vivere il Natale, perché non abbiamo tanto da spendere, perché ciò che si profila all’orizzonte ci preoccupa. Questa dimensione di povertà ti pone nella condizione di accogliere il messaggio del Natale, che è questo canto del Magnificat, quando va tutto male, che è il canto delle mamme nelle case per rassicurare i bambini, per dire “Ci sono” anche quando non mi vedi, per dire “Ti accompagno”, per dire “Sto cucinando”, per dire “Penserò a te”. Attraverso questo messaggio umano passa il Vangelo e il Vangelo è: Dio non si dimentica del suo bambino. Può una donna dimenticarsi del suo bambino? Anche se una donna si dimenticasse del suo bambino – è un’espressione del profeta Isaia – io non ti dimenticherò mai, dice il Signore. Ecco come il Magnificat lo abbiamo ascoltato anche noi: le nostre mamme non conoscevano il Magnificat, però cantavano altre cose; non è importante il testo del canto, è importante il canto in sé, come nota rassicurante della nostra infanzia. Allora in questo Natale, ripensando alle nostre mamme che ci hanno iniziati alla vita e al mistero del Natale, ripensiamo anche a quell’audio: cosa cantava mia madre? Può darsi che ti venga in mente in questo momento. Quale canzone le fioriva più spesso sulle labbra e come quella canzone, al di là delle note e al di là del testo, era la voce di tua madre che cantava il Magnificat e ti diceva: “Va bene, va bene… No problemWe can…”, cioè “Noi riusciremo”. Questo è il messaggio del Natale: “Yes, we can”, detto in un momento di grande difficoltà. Io spero che ne abbiate: guai a voi se non avete problemi. Natale non è il momento per resettare i problemi e far finta che non ci sono, ma è tuffarci nei problemi, con fede, dicendo: “Yes, we can”.

 

Adeste fideles (Anonimo)

 

C’è una forza positiva, propulsiva, enorme, nel Natale, una “grazia” di ottimismo, una “grazia” di luce, che va bene al di là anche degli orizzonti della Chiesa, perché è annuncio al mondo, a ogni uomo. Abbiamo ascoltato “Adeste fideles” che è un invito ad andare, è ciò che gli angeli dicono ai pastori e i pastori a noi: un invito a metterci in moto, a metterci in cammino (lo dicevamo ai giovani, all’Incontro in Cattedrale di venerdì scorso: “Natale è un viaggio”). Ma attenti: in cammino verso dove? E qui i termini sono due. Innanzi tutto, “Venite, adoremus Dominum” è un cammino verso Dio, forse perso?, forse tramontato nella nostra cultura?, nell’orizzonte della nostra vita? Un invito ad andare verso Dio (e questo ci è chiaro anche se va ridetto, va rivissuto): Dio non è un possesso, Dio è sempre al di là, è sempre oltre, non puoi catturarlo e quindi è un cammino senza fine quello del “Venite, adoremus Dominum”. Ma non è solo questo. Vorrei far riferimento a “La buona novella” di Fabrizio De André che fu un testo, negli anni Settanta, molto rivoluzionario e che per certi aspetti ci apparve, sul momento, trasgressivo. De André faceva una lettura secolare, umana, della vicenda di Gesù e aveva messo pezzi bellissimi in quelli che allora erano LP (adesso sono CD) - Maria nella bottega del falegname… Falegname perché fai den den sul… Il falegname che già preparava la croce…- brani anche struggenti come “Tre madri” dove De André fa dire a Maria: “Non fossi stato figlio di Dio, t’avrei ancora per figlio mio”, questa lettura umana. De André si riteneva non credente; dico “si riteneva” perché alla fine scopriremo d’essere stati tutti credenti, anche quelli che si sono detti “non credenti”, forse loro particolarmente. C’era un’espressione alla fine di quest’opera: un “Laudate Dominum” che si concludeva con un “Laudate hominem”. Allora chi dobbiamo lodare?, Dio o l’uomo? “Laudate hominem”: ma lo sapete che questa cosa non è blasfema? È nella quinta essenza del Natale: “Venite, adoremus Dominum” può anche essere cantato e tradotto con “Venite, adoremus hominem”, perché è la stessa cosa, perché in questo bambino c’è Dio incarnato, ma c’è anche l’uomo esaltato. Se si comprendesse questo, credo che tante cose, anche tante tensioni, che a volte si vivono nei confronti della Chiesa e della fede cristiana, verrebbero ad essere annullate, perché la fede cristiana è la fede del “Dio fatto uomo” e quindi dell’ “uomo fatto Dio”. Non sono termini antitetici, non si escludono, ma si concentrano in Gesù di Nazareth. Quindi i pastori vanno ad adorare Dio (Dominum), ma vanno anche ad adorare l’uomo (hominem) e guai a te se in questo Natale ti inginocchi davanti al bambino Gesù e non ti inginocchi davanti al bambino che è tuo figlio, davanti all’uomo. Sembra blasfemo questo e ci sembrò blasfema all’epoca, negli anni Settanta, la lettura di Fabrizio de André; invece siamo nel pieno della Teologia. Dio e l’uomo si sono dati appuntamento a Natale: Natale è la casa, l’attimo, la stagione, gli anni, la pienezza del tempo - dice Paolo - dove Dio e l’uomo sono andati ad abitare insieme, sono diventati finalmente – permettetemi questa parola un po’ trasgressiva – conviventi. Adesso convivono: non c’è più Dio in alto e l’uomo in basso, Dio “in excelsis” e l’uomo che scava i cunicoli come le talpe. Dio è l’uomo e l’uomo è Dio: questa è la Grazia del Natale. Salutiamo questo annuncio con un brano romantico di Elgar: “Saluto d’amore”.

 

Saluto d’amore (Elgar)

 

È bello avvicinarci al Natale liturgico – ormai siamo appena a meno tre – con la percezione di una grandezza da ritrovare, di Dio e dell’uomo, come vi dicevo poco fa. “Saluto d’amore”: probabilmente l’autore l’avrà scritto per motivi affettivi, ma c’è un’affettività che va liberata anche nel rapporto con Dio. Questa affettività tra l’altro, per noi meridionali, ha avuto anche un santo di grande rilievo: Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che, per questa affettività, ha scritto nenie natalizie, ha scritto trattati, ha predicato cercando di far ritrovare anche questa dimensione umana di Dio in Gesù. Già forse ve lo ricordavo l’anno scorso; sono due i santi patroni del Natale: San Francesco e Sant’Alfonso. L’uno e l’altro, il primo nel Duecento e l’altro nel Settecento, uno in Umbria e l’altro in Campania, sono i due fulcri della lezione del Natale, che è una lezione affettiva, cioè liberare anche gli affetti. Pensate anche a certe parole, che ci fanno sorridere, di Sant’Alfonso, ma che vanno recuperate in questa dimensione: la Ninna nanna, Quanno nascette Ninno, Tu scendi dalle stelle, Dormi dormi, Fermarono i cieli... Ci sembrano svenevolezze, in realtà sono picchi di santità, perché la vita spirituale non è “altro” dalla vita affettiva. Ovviamente l’oggetto è diverso: nella vita affettiva l’oggetto è un uomo o una donna e nella vita spirituale è Dio. Quindi Dio amante, amato, che si nasconde, che ti fa i doni, che fa i dispetti, così come avviene nella vita affettiva. Adesso ascoltiamo Concerto d'Aranjuez, nato come sapete per chitarra e orchestra; l’ascoltiamo nella trascrizione per sax che ci porta le note della nostalgia che sono importanti anche nella lettura affettiva, perché lui e lei, marito/moglie, fidanzato/fidanzata, uomo/donna, uomo/Dio, a volte hanno nostalgia l’uno dell’altro. Dio ha nostalgia dell’uomo: per questo s’incarna e l’uomo ha nostalgia di Dio, per questo celebra con gioia il Natale.

 

Concerto d'Aranjuez (J. Rodrigo)

 

Gli autori spagnoli hanno quasi sempre questa vena di tristezza, questo tormento, questa nostalgia, questa memoria che torna e tormenta, come abbiamo visto, anche sullo strumento: il tormento del sassofonista. Cos’è questo tormento? Qualcuno di voi, quando ho parlato di nostalgia di Dio, si sarà detto: “Ma io non sento nessuna nostalgia di Dio”. Certo!, perché non riesci a decodificarla, però senti che alcune esperienze chiederebbero di più. Una per tutte: l’abbraccio dell’amore. Qualcuno di voi è soddisfatto? Purtroppo no, manca sempre qualcosa. Cosa ci manca? Perché non è andata bene, stasera? Perché nonostante tutti i miei preparativi, questa festa mi ha lasciato l’amaro in bocca? Perché la preparazione a questo bacio è stata più bella del bacio stesso? Perché questo Natale – sappiatelo! – vi lascerà delusi? Perché il Natale è l’attesa del Natale, perché l’amore è l’attesa dell’amore, perché il bacio è l’attesa del bacio, perché l’incontro è l’attesa dell’incontro. Potrei continuare a lungo su questo tema, per farvi decodificare tante esperienze che viviamo continuamente e che sono balconata sull’infinito, che sono – ricordo un verso di Ungaretti – “balaustrata su Dio”. È quella insoddisfazione che sentirai il 25 sera: “Pensavo che… Mancava qualcuno a tavola… È mancato qualcuno per gli auguri… Non sono riuscito a fare un regalo a…”, cioè tante limitazioni… Corriamo in questi giorni come forsennati, ma dobbiamo correre con la certezza che pur facendo tutto, non riusciremo a fare tutto quello che vorremmo, perché Natale è l’attesa del Natale. Questa parola sembra essere pessimista: ma allora non esiste? Non esiste il bacio? Non esiste l’amore? Non esiste il Natale? No, significa che la Grazia è oltre quello che tu riesci a fare, è oltre l’abbraccio, è oltre il bacio, è oltre la festa, è oltre anche la Celebrazione Liturgica: è altro. Questa nostalgia ci viene come tormento, a ricordare che c’è un Natale da venire, c’è un bacio da venire, c’è un amore da venire, c’è un figlio da venire, c’è una pace da venire: c’è tutto più in là dello sguardo, più in là della parola, più in là del gesto, più in là della celebrazione, più in là di questo tempo. Sembra una fatica infinita, immensa, quella che vi sto descrivendo, ma è la verità. Se noi vogliamo nascondere la testa nella sabbia - siamo liberi di farlo - e pensare che sia tutto qui, comunque ti verrà questa nostalgia di Aranjuez, che è la nostalgia  di un Dio, di un luogo, di un tempo, che non è alle tue spalle, ma avanti a te. Natale, quest’anno, non sarà pienamente Natale, perché Natale non è la mia nascita, non è la mia rinascita ora ma la mia nascita in fondo alla morte. Per riprenderci e apparentemente tornare, perché siamo nel tema,… “Astro del ciel”.

 

Astro del ciel (F. Gruber)

 

Due parole credo, in questo testo di “Astro del ciel”, costituiscano i due poli del messaggio, del canto e quindi del Natale. Riguardano due aree della nostra vita di uomini e donne: “menti” e “cuori”. “Luce dona alle menti, pace infondi nei cuor”. Questa attesa di Dio, oltre ogni Natale, oltre anche questo Natale, è caratterizzata da una voglia, da un desiderio di luce e la luce deve illuminare la nostra mente, le menti di tanti uomini che non hanno compreso il segreto della felicità, che cercano altrove ciò che invece bisogna cercare in alto o in basso (“Laudate Dominum” e “Laudate hominem”); poi c’è questa dimensione del cuore, che come sappiamo è quella alla base di tanti problemi, ma anche di tanta ricchezza: una mente senza cuore è a rischio, una umanità pensante è a rischio. Ben lo sappiamo da quando l’Illuminismo, in qualche maniera, ha voluto mettere a tema la mente, la luce della mente, l’intelligenza, il pensare, la fatica del concetto: tutte cose importanti ma che vanno equilibrate, perché poi queste menti, come ci ricordava il filosofo, finiscono col partorire mostri. Ancora oggi, e forse oggi particolarmente, con gli scenari che si aprono sul piano delle possibilità della scienza, sentiamo che questa mente ha bisogno d’essere portata alle redini da quell’altra dimensione, ugualmente importante, che è il cuore. Il Natale viene come luce al pensiero, ma anche come pace al cuore, perché chi di noi è educatore come genitore, insegnante, sa che si fa una bella spiegazione, però poi il cuore va da un’altra parte. Penso a voi che siete insegnanti (ce ne sono diversi qui): facciamo una lezione, l’abbiamo preparata, è chiara, pensiamo che tutto vada bene, ma il ragazzo sta lì ad armeggiare col telefonino sotto al banco per mandare un messaggino alla sua “girl” e tu stai a fare i tuoi logaritmi, i tuoi sillogismi, inutilmente. C’è bisogno di questa fraternità. Auguriamoci in questo Natale di trovare una sinergia in noi, innanzi tutto: ciascuno di noi parli di sé, tra mente e cuore, una mente lucida, illuminata, ma anche un cuore in pace, che non abbia a sviare la mente, che non abbia a creare lacerazioni. Noi non siamo come quelli che dicono “Va’ dove ti porta il cuore”, tanto per citare un romanzo che è andato per la maggiore, anche di un’autrice stimabile, senz’altro: “Va’ dove ti porta il cuore” è molto rischioso. Anche la composizione di queste nostre serate “In punta di piedi in Episcopio”, ha queste due connotazioni: la parola, purtroppo per voi, del sottoscritto che, fondamentalmente, anche se fa leva sui sentimenti, segue un pensiero logico (almeno lo speriamo) e poi c’è l’aspetto musicale, che invece è evocativo delle emozioni, del sentimento. L’una e l’altra parte si compensano bene e noi usciamo sempre, da queste serate, più pacificati, più uomini, più donne, con un senso più equilibrato, perché la musica viene a dare timbro, a dare emozioni, a descrivere paesaggi: abbiamo fatto già un giro per il mondo tra il Sud-America, la Spagna, i paesi anglosassoni da cui ci viene “Astro del ciel”, per dire alcune provenienze. Ci sono stati descritti dalle note, dagli strumenti, dagli artisti, dei paesaggi che sono i paesaggi dell’anima, paesaggi del cuore. Chiediamo per noi in questo Natale, per il mondo e per le altre persone, questa fraternità tra mente e cuore: una mente che deve essere riscaldata, un cuore che deve essere illuminato, una mente che è fredda da sola, un cuore che rischia di distruggerci, se lasciato a se stesso. Gesù viene come luce alle menti e pace per i cuori.

 

Oblivion (Piazzolla)

 

Nelle poche battute che ci siamo scambiati, facendo questo programma un po’ strano, come concerto natalizio, ho chiesto: “Ma questo brano ‘Oblivion’ - forse tra i più belli di Piazzolla - com’è nato?”. Proprio dal sassofonista, è uscito che è stato composto per la morte del nonno. Questo mi dà la possibilità di mettere un altro tassello a questa nostra riflessione pre-natalizia. Natale è anche il momento in cui ci contiamo: ci contiamo e ci accorgiamo che l’anno scorso c’era qualcuno che quest’anno non c’è. Poi se andiamo indietro ai Natali della nostra infanzia, il nostro cuore – come dice il poeta – diventa come un cimitero, perché ci sono tante croci, tanti nomi, tanti assenti. Sembra un pensiero triste: credo che faccia parte del mistero del Natale e non dobbiamo annullarlo, resettarlo come estraneo perché ci fa commuovere o perché inclina alla tristezza la nostra riflessione. Natale è anche il momento in cui ci contiamo: quanti eravamo l’anno scorso e quanti quest’anno a pranzo? Quanti eravamo a messa e quanti quest’anno? E non per un semplice “fare l’appello”, ma per renderci conto che la vita va avanti e questo canto, come dice il Pascoli, “oltre noi dilegua”. Ci sono alcuni che sono già partiti e che hanno vissuto il loro Natale, perché non dimenticate che il “dies natalis è il giorno della morte: è Natale la nascita, ma è Natale per i credenti anche la morte. Così amavano chiamarlo gli antichi credenti e speriamo che questa cosa non sia rimasta nell’antichità, ma faccia parte anche del nostro vocabolario. Pensare ai nostri defunti a Natale è bello, perché sentiamo che per loro Natale è veramente Natale: manca qualcosa a noi, non a loro, noi non manchiamo loro. Allora se il brano “Oblivion” è stato composto da Piazzolla per la morte del nonno, significa che l’autore ha sentito che questo anziano che scompariva alle sue spalle, aveva ancora tante cose da raccontargli, avrebbe avuto ancora tante cose da dirgli, come i nostri defunti. Ci sembra che il discorso si sia interrotto: in realtà no perché faremo memoria in questo Natale del suo posto vuoto, sapendo che ci attende a  Natale. Natale è la parola d’ordine di ogni credente per ogni esperienza, è la parola della nascita, la parola delle celebrazioni che vanno svolgendosi come una teoria, come una collana, come diceva Maria Fida Moro nel suo libro “La casa dei cento natali”, ma che poi si conclude col Natale. Ci sarà un Natale alla fine. Allora è bello pensare che questo Natale 2008 ha due riferimenti: uno alle mie spalle ed è la mia nascita e nella mia nascita c’è la nascita del Signore, c’è la nascita di Gesù, l’uomo-Dio, ma poi ha anche l’altro riferimento, è il Natale verso il Natale – non vi sembri di cattivo augurio parlare di morte anche nella meditazione pre-natalizia – dove i defunti, che io ricorderò, sono già entrati e verso cui anch’io sono teso. Allora il posto vuoto – vi lascio con questa domanda – è alla nostra mensa o alla loro? Quindi “Non ci stai quest’anno…”, o forse, non è più vero che alla loro mensa manchiamo noi? Non siamo ancora arrivati, non siamo ancora maturi, siamo ancora bambini. Forse questi bambini, che ancora debbono crescere, hanno bisogno di una “Ninna nanna”.

 

Ninna nanna (Mozart)

 

Siamo ancora bambini e abbiamo ancora bisogno d’esser cullati. Abbiamo ascoltato la “Ninna nanna” di Mozart che – ed è un altro tema che attraversa la letteratura del Natale – risveglia il bambino: Natale non è per i grandi, Natale è vietato ai “maggiori di”. C’è un Natale solo per i piccoli, c’è un Natale solo per i bambini, c’è un Natale per il bambino da risvegliare, anche in te adulto, anche in te anziano, altrimenti ti sfuggirà il Natale, ti sfuggirà il messaggio. Anche la statua così dolce che abbiamo messo qui al centro, di un angelo bambino che porta un agnellino, con i colori pastello, è un invito a sognare. Attenti: sognano solo i bambini. I bambini fanno grandi sogni, i grandi fanno piccoli sogni. Dai sogni potete rilevare la vostra età, dai desideri, da certe cose che vi raggiungono - non mi riferisco solo ai sogni notturni, ma ai sogni ad occhi aperti - e vi fanno vedere ciò che non si vede, vi portano in un mondo fatato, creano concordanze, affasciano ricordi, galoppano tra un testo e l’altro, tra una musica e un’immagine… Questo fanno i bambini. Dobbiamo chiedere, come augurio di questo Natale, di ritrovare – il Pascoli direbbe – il fanciullino che è in noi. Fanno cose grandi, i piccoli, e, per riconnetterci al discorso iniziale, le mamme che cantano ai bambini, le donne che dicono Magnificat quando ci sarebbe da piangere (“Non ci resta che piangere”): siamo nella dimensione di chi, anche adulta, la madre, riesce a parlare al bambino. Le mamme sanno come parlare ai piccoli e lo sanno fare perché se stesse hanno un io-bambino, che immediatamente sente presente, avverte, riesce a trovare il canone per dialogare anche col bambino che non sa parlare. Cari amici, il Vescovo vi augura un Natale da piccoli: non un piccolo Natale, ma un grande Natale da piccoli e scavate un po’, scavate oltre le abitudini, oltre i calcoli, oltre l’economia… Per i bambini i soldi non sono importanti: per i bambini il crollo delle borse è un fatto – a meno che noi grandi non li abbiamo “sverginati” – che non toglie nulla alla possibilità d’essere felici. C’è un bambino anche in te che aspetta d’essere risvegliato in questo Natale.

Introduco il brano “Oh Holy Night” o “Santa notte” con l’incipit di un libretto[1], che riceverete come dono alla fine di questo cammino, che fa proprio riferimento a questo brano. Anch’io avevo un sogno, stasera, che si è realizzato a metà: avevo il sogno – e lo sa bene Maria Teresa – di far incontrare su queste note, che adesso ascolteremo, due voci, e cioè Marianna e Raffaele, il tenore che tante volte avete sentito qui. Tutto a puntino, poi mi telefona Maria Teresa l’altro ieri e mi dice: “Raffaele non può venire”. Ci ha dato buca, non per cattiveria, ma perché aveva un impegno artistico e ovviamente bisogna pensare anche alla propria professione. Quindi anch’io resto un po’ – come dire? – half and half rispetto a quello che avevo pensato per questa sera, perché il brano su cui poi si impernia il racconto, di cui poi riceverete il testo, me l’ero sognato qui, in questo Natale, facendo incontrare (non si sono mai incontrati) Marianna, con la sua voce da soprano, e Raffaele, tenore. Questo brano è nato come potrebbe nascere una canzone fatta scrivere dal parroco a Sparanise, a Caianello… “Mi serve un canto nuovo per Natale quest’anno” e allora magari commissioniamo a Maria Teresa un canto, pensando che la cosa si risolverà a Vairano Scalo… Così cominciò anche la storia di “Oh Holy Night”, che però era in francese originariamente: un parroco chiese ad un venditore di vini, che ovviamente faceva altro, però scriveva anche versi, di fare un testo per questa canzone di Natale. Si dà il caso che in quell’anno stavano costruendo un ponte e l’architetto, che ne aveva fatto il progetto, era marito di un soprano che, un autore affermato del tempo, Adam, aveva utilizzato per una sua rappresentazione. Ecco che avviene un incontro, una scintilla, che fa assurgere questo canto da “Scriviamo un canto per la parrocchia per questo Natale” ad un’opera che poi ha avuto una diffusione enorme, tanto da diventare, almeno per chi lo conosca, un testo particolarmente toccante. Lo è per me, quindi faccio questa premessa per creare un’aspettativa, rispetto al testo, che poi è diventato famoso nella versione inglese (noi ascolteremo la versione italiana). Il testo era Cantico di Noel in francese e doveva finire lì, ma gli inglesi presero il testo e lo trasformarono in “Oh Holy Night” o “Notte Santa” ed ebbe una grande diffusione. Quindi dall’Inghilterra, passò ovviamente negli Stati Uniti: pensate che questo è il primo brano, in assoluto, che sia stato mandato via radio. Vi leggo l’incipit di questo racconto.

 

***

 

Il resto lo leggerete da voi. Ascoltiamo questo brano, sempre senza applaudire, perché poi concludo e lo farò ripetere: allora potrete liberare l’applauso che vi sta facendo fremere le mani dall’inizio di questa serata.

 

Oh Holy Night ( A. Adam)

 

Per me la ricchezza di questa serata è nel fremito, che sicuramente vi ha attraversato nell’acuto, che è un anelito, perché si resta per un attimo senza fiato, che dice che siamo vivi, perché il fremito è un’esperienza religiosa, perché dice di qualcosa di grande, che anche la traduzione italiana esprime: questa notte dove gli uccelli, gli alberi, quindi il creato, il mondo vegetale, il mondo animale sembrano aver trovato una loro armonia. Pensate anche ai  vaticini di Isaia, poi presi anche da Virgilio anche se non si conoscevano, dove “la mucca e l’orsa pascoleranno insieme”, a dire un tempo di pace, e poi questa notte dove si sciolgono le catene degli schiavi. Questo è anche nel testo francese dove si dice: “Uomo, alzati perché è la notte della tua liberazione. È finito il tempo della tua schiavitù, sei libero, puoi andare, puoi vivere la tua vita in pace”. Cari fratelli e sorelle, il Natale è questo, è scendere nella dimensione di me bambino, di me bambino cullato da mia madre, di me che vado incontro al mondo con fiducia, senza conoscere la cattiveria e sentirsi salvato. Devi sentirti salvato perché questo bambino, Dio fatto uomo, è per me, non è per gli altri, è per me, è per te… Quindi qualsiasi siano i tuoi trascorsi da schiavo, da schiava, tu puoi credere, iniziare un cammino di libertà, di liberazione. Un cammino che dura tutta la vita, ma che deve essere accelerato, visto che il tempo ormai si è fatto breve. Ci diamo la mano  e diciamo insieme:

 

Padre nostro…

 

Benedizione del Vescovo

***

Oh Holy Night ( A. Adam)

 

Buon Natale!

 

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

 



[1] “PASSI NELLA NOTTE ovvero Miracoli a Natale” di Arturo Aiello, Franco Di Mauro Editore