In
punta di piedi in Episcopio
Riflessioni
di
S. E. Rev. ma Mons.
Arturo Aiello
“Violoncello d’autunno”
Teano,
26 ottobre 2011
Salone
dell’Episcopio
~
Violoncello:
Raffaele Rigliari
Pianoforte:
Riccardo Natale
Ricominciamo questi nostri appuntamenti che hanno una
matrice un po’ romantica, che è quella dei salotti ottocenteschi, di inizio
Novecento, dove si faceva cultura, dove ci si incontrava non solo per il tè,
per i biscottini o per i pettegolezzi, ma per progettare il futuro, per
scambiarsi delle opinioni (pensate anche al salotto francese, culla del
Romanticismo). Ovviamente potrebbe essere presuntuoso quello che sto dicendo,
ma da un po’ di anni conduciamo questi momenti contemplativi all’interno
dell’Episcopio, mettendo insieme musica e riflessione spirituale. Quindi
diciamo grazie a Raffaele Rigliari e Riccardo Natale, che questa sera
costituiscono la parte musicale del nostro incontro, del nostro salotto, che è
un salotto spirituale: per questo iniziamo con un segno di croce.
Nel nome del Padre…
Quando
Maria Teresa, che è la nostra direttrice artistica, mi ha detto che aveva
invitato un duo di violoncello e pianoforte, ho pensato ad una riflessione
sull’autunno, un po’ suggeritami dal violoncello che mi dà sempre la tonalità
di voce arrochita, di chi sia un fumatore incallito o comunque di voci un po’
incrinate dal tempo. Ho messo qui anche dei versi tratti da un’opera, che sono
semplicemente delle pennellate impressioniste. Comincio con il primo quadro.
Tacciono i violini
e le viole a ciocche sfiorite
ed ecco la voce arrochita
al violoncello.
Indica
l’incrinarsi di una voce, prima squillante, splendente - quella della
giovinezza, come dirò nel prosieguo - e poi una voce da un lato più calda e che
racconta il tempo passato.
Robert Schumann
Fantasiestucke n. 1 Op. 73
***
Forse
Raffaele, nella sua esecuzione, avrà una tensione particolare, perché c’è un
anziano maestro di violoncello della Scarlatti che guarda i passaggi, l’impasto, ascolta la tonalità e
la qualità del suono. È bello questo, anche perché il violoncello, in questa
riflessione che vi propongo, avrebbe richiesto non un giovane allo strumento,
ma un anziano, perché è su questa stagione che vorrei riflettere con voi, che è
certamente la stagione del ciclo annuale, ma anche una stagione della vita.
Si fa spessa la voce
coi freddi dell’autunno
e un velo di foschia
veste le cose nude.
Per
accontentarci, il Signore, questa sera, non solo ci ha offerto un velo di
foschia, ma una nebbia fitta, per immetterci pienamente nell’autunno.
A
cosa alludono queste espressioni? Ad una voglia di rincasare. Vorrei lavorare
un po’ con voi su questo verbo: rincasare.
L’autunno
è rincasare. Gli anziani, appena comincia a far notte, non riescono a stare
fuori e hanno voglia di casa, ma questa voglia di casa non è solo frutto
dell’età che avanza, magari con gli acciacchi, ma è anche la voglia di un
giovane, spero, la voglia di un adulto, il desiderio di chi, vedendo i colori
dell’autunno, sente un desiderio di interiorità; “casa” qui non sta tanto per
il luogo che amiamo, quanto per la casa dell’infanzia intesa come patria,
intesa come luogo degli affetti, intesa come ciò che nasconde alla volgarità le
cose a noi più sacre. In questo senso, il velo di foschia dell’autunno, che
stasera è diventato una coltre di nebbia da cui siamo avvolti e in cui siamo
coinvolti, è la voglia di pudore che l’autunno porta con sé, perché l’estate ci
porta a togliere gli abiti per il caldo; invece l’autunno è la sensazione della
lana sulla pelle, è la voglia - lo dicevo già alla Preghiera Giovani di un mese
fa - di Natale, non tanto come la festività - l’albero, il Presepe, verso cui
pure ci dobbiamo mettere in cammino ai primi freddi - quanto come la voglia di
nascere. La voglia di nascere avviene nella casa, non avviene per strada, nella
piazza, non avviene nell’agorà, non avviene nel luogo dove si dibatte. Quindi
auguro a me, a voi, questa sensazione dell’autunno come richiamo ad entrare.
Gesù
utilizza un’espressione - Quando preghi entra
nella tua stanza e chiudi la porta - che significa molto di più di quello
che immediatamente a noi è dato di percepire, cioè la preghiera stessa è un
evento pudico, è un evento non pubblico, non è un evento spettacolare (a volte
si corre anche il rischio di una “preghiera-spettacolo”), ma è un evento
dell’anima e l’anima ha bisogno di questo velo di foschia, per cui la nudità
delle cose, sotto la luce accecante dell’estate, adesso è finalmente sotto un
sudario di foschia.
Cosa
devo mettere a riparo? - mi chiedo e vi chiedo in questo dialogo che avviene
attraverso gli sguardi, in questo momento - Che cosa rischia, nella mia vita,
d’essere sverginato se non lo velo? Ci sono dei sentimenti, ci sono delle
parole, ci sono delle date, ci sono delle relazioni, ci sono dei sogni, ci sono
dei progetti che hanno bisogno di questo velo di foschia, che hanno bisogno di
questo rivestimento che li vieta a occhi profani, a occhi che possono infangare
quei sogni, quei desideri, quella relazione che io desidero preservare. Ecco,
così ci introduciamo al brano di Bach.
Si fa spessa la voce
coi freddi dell’autunno
e un velo di foschia
veste le cose nude.
J.
S. Bach
Preludio
della V Suite per violoncello solo in Do min.
***
Nell’assolo
non c’è sostegno che non sia il silenzio, ed è un momento bellissimo e
drammatico per chi suoni, perché non c’è possibilità di nascondersi. In un
duetto, in un trio, in un quartetto, in un quintetto, tanto più in
un’orchestra, una nota sbagliata passerà inosservata; una disattenzione -
perdere il foglio, perdere il segno - in un’orchestra passa inosservata. Non
così in un assolo, dove il suono è nudo, non di quella nudità di cui parlavo
poc’anzi, che ha bisogno d’essere coperta, ma di quella nudità che viene fuori
nel raccoglimento, cioè l’anima nuda davanti a Dio, davanti alla storia -
potremmo dire anche con un termine più ampio; magari per alcuni di voi il
termine non avrà grandi risonanze, spero di no, ma può anche accadere), cioè
quando devo dire una parola e non c’è sottofondo, devo dire una parola e sono
solo, devo dire una parola ed è quella definitiva, devo dire una parola che
rimarrà, come le note di questo Preludio hanno, con le loro volute, riempito
questa stanza che era vuota, e questa voce arrochita del violoncello ha
parlato, ha detto. Noi, in chiesa, diciamo “Parola di Dio”: una delle tante
espressioni usurate, a cui non facciamo
più caso, ma che ha una sua solennità.
Parola
di Dio: ha parlato Dio.
Parola
del Signore: ha parlato Gesù.
Parola
di Bach: ha parlato lui, il musicista, e poi, attraverso questa riedizione,
perché come ho detto altre volte, quando si esegue un brano, lo si esegue come
se nascesse in quell’istante, senza poterci appoggiare minimamente su tutte le
migliaia di esecuzioni fatte in precedenza da noi stessi o da altri, a partire
dall’autore che ha scritto la partitura.
Mi
è parso - facciamo sempre un discorso a due voci, tra gli strumenti e il
Vescovo - che questo Preludio fosse raccolto, e spero ci abbia raccolto anche di
più. Rientra, rincasa: torna in te stesso.
Quando attesa s’allenta
preme il piede sul freno
e lentamente gustare
la vita sillabata.
C’è
un tempo per correre e un tempo per fermarsi, direbbe il Qoèlet. Il tempo per
correre è il tempo dell’estate, il tempo dell’infanzia, il tempo della
giovinezza. I giovani corrono: corrono incontro al futuro, corrono da
un’esperienza all’altra, da una storia all’altra, da una sensazione all’altra.
Abbiamo corso anche noi e i nostri artisti di questa sera sono giovani e stanno
correndo.
Poi
viene il tempo del “concorrere”, che mi sembra, almeno nella lettura che ne do
io, essere la stagione dell’età adulta, della maturità. Purtroppo adesso il
“concorrere” per noi è legato solo ai concorsi, con i drammi che provoca (10000
partecipanti per 10 posti). “Concorrere” è invece “correre insieme”, è anche
concorrere alla costruzione del mondo. Gran parte di noi sono nella fascia
adulta della vita e, dopo aver corso, magari con la presunzione d’essere da
soli, di tagliare il traguardo, d’essere vincenti ponendo gli altri in
difficoltà, siamo entrati e stiamo vivendo la stagione del concorrere dove
costruiamo insieme, marito e moglie, genitori e figli, colleghi di lavoro,
insegnanti nel collegio docenti. Prima corriamo, poi concorriamo. Non sempre è
facile, mi rendo conto, ma la maturità è concorrere: è suonare insieme, è fare
gruppo, è fare musica d’insieme,
è confrontarci e sentirci responsabili di questo mondo.
La
Lettura di oggi della Lettera ai Romani, per chi fra voi abbia il terribile
vizio di andare a Messa anche nei giorni feriali, diceva: “Tutto concorre al
bene per coloro che amano Dio”, dove “concorrere” riguarda gli adulti che
lavorano insieme, che corrono insieme, che fanno cordata, ma nel brano paolino
della Lettera ai Romani c’è il concorso di Dio che fa in modo che, anche se nel
correre insieme ci sono degli incidenti, poi va bene anche il male, nel senso
che viene volto al bene anche l’incidente, anche la disattenzione, anche il
dolore.
Tutto concorre al bene per coloro che
amano Dio: nella stagione del
concorrere, tanto più quando concorre con noi anche Dio, e allora saremo
certamente vincenti.
Come
descrivere l’età dell’autunno? Spero di consolare qualcuno di voi con in
capelli più bianchi e, mentre parlo a qualcuno, perché alcuni di voi sono già
in questa età, in qualche maniera parlo della vita a cui dobbiamo prepararci.
Quindi, dopo aver corso da soli (giovinezza, infanzia) e dopo aver concorso,
come accogliere l’età autunnale, l’età anziana nella quale sono entrato o
entrerò o, come diranno i nostri artisti o alcuni giovani presenti in sala, che
è miglia e miglia lontana? Com’è questa età di mio nonno, di mio padre? È
un’età con “i piedi sul freno”, dice questa terza pennellata.
Quando attesa s’allenta (l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza sono
all’insegna dell’attesa), l’autunno preme
il piede sul freno (l’ha tenuto finora sull’acceleratore e quindi, cercando
di assommare delle cose, delle esperienze, anche la cultura), adesso è venuto
il tempo di gustare lentamente. Mi chiedo perché ci sia un infinito (e lentamente “gustare”). Forse questo
infinito che, se volessimo fare un’analisi del testo, non ci sta bene da un
punto di vista sintattico, sta a ritardare; “gustare” è il sorso di vino che
non hai ancora inghiottito e che hai in bocca e che viene valutato nelle sue
sfumature, nei suoi retrogusti: E
lentamente gustare la vita sillabata.
So
che questa cosa non riguarda alcuni di voi, ma riguarda l’autunno e siamo tutti
in autunno. Riguarderà anche l’autunno della vita, dove non corriamo più, non
concorriamo più, perché siamo fuori, perché non abbiamo più il tempo di
concorrere, perché abbiamo impresso il nostro tocco al mondo, su qualche
pietra, su una pagina, su un pentagramma, nella vita di un figlio, nella vita
politica, nella vita ecclesiale, abbiamo piantato dei fiori, abbiamo svolto
un’azione. Adesso no. Adesso l’autunno ti fa sedere. Siediti, è autunno:
guarda, gusta… E
lentamente gustare la vita sillabata, cioè una vita gustata anche nelle
piccole cose. A-mo-re, at-te-sa, ca-sa, ro-sa…
Abbiamo imparato a parlare sillabando.
Adesso
la scienza ha esteso oltre ogni possibilità di progetto questo tempo
dell’autunno: è il tempo di camminare adagio adagio.
È proprio degli anziani non correre; magari per motivi di artrosi fanno piccoli
passi. Anche noi, in autunno, benché giovani, benché adulti, benché ancora
correnti, benché ancora concorrenti, fermiamoci. Siamo venuti qui per sederci: Ah… non ho impegni, non ho telefonini che suonano, non ho
persone che mi chiedono, non ci sono pentole che bollono, non ci sono cose che
mi mettono ansia… Sono qui a sillabare la vita, anche
se sono giovane, anche se sto ancora concorrendo.
Adesso
vi faccio una piccola introduzione che vi aiuta nell’ascolto. Un autore del
Novecento ha dipinto tre “quadri” diversi (ovviamente è una musica descrittiva
con tre scene diverse): “Promenade”, “Disputa dei bimbi che giocano”, “Balletto
dei pulcini nel loro guscio”. Quindi chiudete gli occhi e gustatevi questi tre
quadri d’impressionismo musicale.
M.
P. Musorgskij
Quadri
di un’esposizione: Promenade
Tuileries
Disputa
di bimbi che giocano
Balletto
dei pulcini nel loro guscio
***
Potere
evocativo della musica: potrebbe essere questo il commento a questi tre “quadri”,
cioè come la musica ti fa vedere, perché la musica non ha solo un suono, ma ha
anche dei colori. La musica descrive: avete sentito i bambini che giocavano
nell’atrio dell’asilo, della scuola o di casa vostra? o i pulcini che aspettano
di nascere?
Ci
sono delle cose che aspettano di nascere. L’autunno non è solo il tempo della
decantazione, dopo i toni del canto della primavera, ma c’è qualcosa che nasce
anche in questo raccoglimento dell’autunno.
Primavera che fu
estate che è già stata
ora vendemmiamo l’autunno
e lo beviamo a sorsi.
“Fermati sole!”
Ma l’astro già declina
e lascia eco di luce
ramata di carezza.
Anche
queste pennellate sono un po’ impressioniste, nel senso che descrivono una
sensazione più che un concetto. Il primo quadro, quello della primavera
passata, dell’estate ormai sfiorita e dell’autunno vendemmiato, dice delle
stagioni e delle stagioni della vita. Qui non sono solo le quattro stagioni del
concerto vivaldiano, ma una primavera lontana: è
stata, fu. Invece c’è un’estate appena conclusa (ora vendemmiamo l’autunno). Qui c’è il ribollir dei tini, che ricorderete dalle vostre reminiscenze
scolastiche, l’aspro odor dei vini.
Penso all’Autunno di Vivaldi, al canto dei vendemmiatori che portano sulle spalle
le gerle con l’uva da versare per la torchiatura. Questo per dire come una
stagione si coglie pienamente nell’altra, in quella che segue, perché l’autunno
è il tempo della vendemmia. Nella nostra cultura mediterranea c’è il tempo
della vendemmia e il tempo della raccolta delle olive. La nostra cultura
mediterranea, che è anche la cultura della Bibbia, ha due grandi frutti: l’uva
e l’olivo, il vino e l’olio. Lo troviamo anche nei salmi di benedizione, dove
l’abbondanza è indicata con “botte piena” e “olio fluente”. È il tempo della
premitura, della pressura.
Pensiamo
all’immagine dei nostri frantoi dove c’è la premitura (adesso la premitura a
freddo è particolarmente quotata rispetto all’altra), cioè si premono dei
frutti: c’è il senso del dolore, perché è una morte, perché è un gesto violento
sul grappolo dorato, abbronzato. Ai nostri tempi – magari i giovani
inorridiranno – si ponevano i piedi. La vendemmia per noi era una festa,
quand’eravamo bambini, perché venivamo ammessi in una stanza dove si poteva
calpestare l’uva con i nostri piedini. Ovviamente potete immaginare che grande
produzione di mosto possano fare i bambini, ma eravamo ammessi a questa festa,
tutti a calpestare, con i piedi nudi ovviamente ben lavati. C’era la vita, ma
era una vita che dava la morte, come è morte anche questa premitura dell’uva
perché poi, attraverso questa stanza, che era un po’ più in alto, attraverso
una tubazione il mosto veniva condotto direttamente nelle botti.
Vi
ricordo, come ho detto altre volte - ma a volte le cose vi sfuggono dalla
memoria - che Getsemani (siamo stati al Getsemani con alcuni di voi) è “luogo del frantoio”, ma
anche luogo dell’oppressione, perché il frantoio, nel frangere le olive, le
schiaccia, quindi è il luogo dove Gesù è schiacciato, dove vive la sua agonia.
Questo per dire che le immagini di vita e di morte vanno insieme. L’autunno che vendemmiamo: è come se
stessimo vendemmiando non l’uva, ma la stagione, che produce un vino che
beviamo a sorsi; è il contrario dell’ubriacarsi, proprio dell’eccesso
giovanile. Un giovane con difficoltà sorseggia il vino o sorseggia qualcosa: il
giovane beve tutto di botto. Viene un tempo per sorseggiare, come nel quadro
precedente era il tempo del sillabare; adesso la vita è a sorsi, perché
prendere un caffè è veramente un piacere immenso se fatto con calma,
sorseggiando. Bisogna imparare a sorseggiare la vita, altrimenti arriveremo
alla fine e neanche ce ne saremo accorti, a furia di bere di botto, senza
gustare, anche se abbiamo avuto a disposizione 70’anni, 80’anni. Il giovane non
gusta. Io spero che quelli fra voi che non sono più giovani non abbiano
nostalgia, nel senso deteriore del termine, della propria giovinezza, ma
possano dire: sono più contento oggi, sono più bello adesso, perché adesso
sorseggio. Beviamo a sorsi.
L’altro
quadro è sull’immagine di Giosuè che, per concludere la sua battaglia, dice: Fermati, o sole, su Gabaon / e tu, luna, sulla
valle di Aialon. Anche noi vorremmo
fermare il tempo, ma il tempo non si ferma. Quindi, “Fermati, o sole!”. Ma
l’astro già declina, sembra indulgere ad una sorta di tristezza e non
vorrei che questa mia riflessione avesse un tono dolente, perché non ce l’ha
dentro (spero non l’accogliate così), perché questa voglia di fermare il tempo,
di restare giovani, eternamente giovani, sempre quarantenni, è un’illusione. Il
tempo va, la sabbia scorre nella clessidra, ma è bello questa eco di luce (e lascia eco di luce). Le giornate che
cominciano già da tempo a tramontare presto, con la voglia di rincasare di cui
dicevo già all’inizio, hanno però una qualità di luce ramata che è come una
carezza. Allora rispetto alla voglia di fermare il tempo, c’è invece la
dolcezza della luce dell’autunno, la bellezza dei colori caldi, la bellezza di
una luce che, anziché opprimere, pressare, accarezza e quindi esalta. Una luce
che accarezza esalta, come per le lampadine (Luca lo sa, quando gli chiedo:
“Per favore, una luce calda”), perché ci sono più tipologie di lampade: luce
fredda, che è la luce del neon di una volta (adesso anche i neon sono caldi),
che dava un senso di freddezza, di disagio, ampliava i luoghi in una maniera
oppressiva, e la luce calda, che è come se ci accarezzasse i volti, le vite.
Così è la luce dell’autunno, e dunque sono gli occhi degli anziani che guardano
così: guardano con la tonalità di una luce ramata, guardano senza nostalgie
inutili, false. Sì, era bello quand’ero giovane, ma va meglio adesso, dove c’è
- direbbe un poeta latino - un’aurea mediocritas. Ricordate questo verso, almeno quelli fra
voi che hanno fatto studi classici? I nostri insegnanti si scervellavano a far
capire a noi giovani come potesse esserci una mediocrità aurea, cioè dorata;
non è la mediocrità della grettezza, del giocare al risparmio, ma mi sembra che
sia qui l’aurea mediocritas:
eco di luce ramata come una carezza.
Magari
per voi saranno solo sensazioni: il Vescovo si sta aggrappando sugli specchi,
che ha voluto dire? Aveva in mente – mi salvo così – di raccontarvi la bellezza
dei colori dell’autunno, la bellezza del taglio di luce dell’autunno, che è
sempre calda.
È
calda anche la luce dei nostri occhi? È caldo anche il modo con cui guardiamo
la vita senza fretta? È calda anche la nostra mediocrità dorata, aurea, dove
non presumiamo di noi, non partecipiamo a gare, a lotte, a concorsi, ma
guardiamo dalla finestra con una infinita riconoscenza?
J.
Brahms
Sonata
per pianoforte e violoncello
in
MI min op 38 I tempo
***
Quando
si ascolta musica, si fa musica, ognuno di noi segue i suoi pensieri e, libero
dalle sollecitazioni oggettive che vengono dalle note, fa i suoi percorsi, i
suoi viaggi. Devo confessarvi il mio viaggio durante questo brano di dialogo
tra violoncello e pianoforte. Ho pensato al Cardinale Carlo Maria Martini, che
ho avuto la gioia anche se dolorosa – può essere dolorosa una gioia? – di
rincontrare il 1° ottobre a Milano. Il Cardinale Martini, che è stato un uomo
fantastico, solenne, che ha segnato la storia della Chiesa, non solo di quella
italiana, per più di 20’anni, come arcivescovo di Milano, è ammalato da anni di
Parkinson ed è, non in
una fase terminale, ma in uno stato “pietoso”, nel senso bello del termine. È
un uomo che ha parlato, che ha affascinato le folle, migliaia e migliaia di
persone (pensate a quelle che assiepavano il Duomo di Milano, nei banchi, seduti
a terra, migliaia di giovani partecipavano alla “Scuola della Parola” negli anni ’80), ora sulla
sedia a rotelle, sempre più rigido nella muscolatura, impossibilitato a parlare
e che quindi parla sottovoce. Ovviamente è lucidissimo come ieri, ma è ridotto
proprio nell’aspetto che lo ha caratterizzato di più - a volte la vita sembra
essere crudele - ma ovviamente tutto questo è vissuto con una grande serenità.
Gesù
dice a Pietro (capitolo 21 di Giovanni): “Quando eri giovane, ti cingevi la veste
e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio, altri ti cingeranno e ti
porteranno dove tu non vuoi”, per indicargli con quale morte avrebbe reso
gloria a Dio. Quindi Gesù stesso parla dell’autunno in Giovanni 21, perché
parla della stagione in cui ci si veste da soli e si va dove si vuole, ci si
cinge - dice Gesù - perché i fianchi cinti sono gesti del pellegrino; poi viene
il tempo - dice Gesù - in cui altri ci vestono e ci portano: ci portano dove
non vorremmo andare. Dove non vorremmo andare? Nella dipendenza, ovviamente. È
chiaro che gli infermieri e tutte le persone che stanno intorno a questo uomo
fantastico hanno una devozione per lui, ma c’è una piena dipendenza. Lui
stesso, forse nell’ultimo anno in cui è stato a Milano come arcivescovo, utilizzava
un’espressione, mutuandola da un proverbio indù. Ci sono tre stagioni nella
vita: il tempo di imparare (quindi tutto l’arco evolutivo, la scuola,
l’università), il tempo di insegnare (che è la maturità, cioè il tempo in cui
quello che ho imparato lo insegno ad altri; il maestro anziano di violoncello,
che avrà avuto centinaia e centinaia di allievi, ha insegnato a tanti. Molti di
noi sono in questa stagione), poi si va nel bosco, nella foresta, si torna e si
inizia a mendicare. Viene il tempo di diventare mendicanti.
Quindi
prima si impara, poi si insegna e poi si diventa mendicanti, che è un’arte.
Attenti, che l’orgoglio, che è in ciascuno di noi, ci fa dire: “Io vorrei
morire di infarto!”. Non conosco i vostri desideri, ma certamente non vorrei
arrivare al tempo in cui i miei figli dovranno prendermi a carico, curarmi, prendermi… È il nostro orgoglio che ci fa parlare così; non
saremo noi a scegliere la possibilità, che è un’arte - perché poi è la massima
sapienza - di mendicare.
Non
è sapienza insegnare, non è sapienza imparare: è sapienza chiedere l’elemosina
(Mi aiuti? Mi sollevi? Mi metti a letto?).
Ecco,
vi trasmetto questa “gioia dolorosa” che ho vissuto stando un giorno con lui. È
un uomo nell’autunno e questo duo di violoncello e pianoforte me l’ha fatto
rincontrare.
Sono
rimaste due scene che voglio dedicare ad Angela e Luca, che oggi festeggiano 47
anni di Matrimonio:
È nata una rosa
inaspettata a novembre
regina in abito da sera
su un campo di sconfitte.
Nel
giardino del Vescovo l’anno scorso, a gennaio, è fiorita una rosa, nonostante
il freddo, e sono stato a guardarla per ore, perché era un miracolo. È nata una rosa inaspettata a novembre.
Non è maggio, non è giugno: è novembre! Ma anche su questa pianta nodosa di
rose c’è un fiore. Allora, com’è
questa rosa di novembre, questa rosa d’inverno? Una regina in abito da sera su un campo di sconfitte, perché è
bellissima in abito in lamé (immaginate i colori che preferite), che
incede, ma su un campo dove si è svolta una battaglia e ci sono tanti caduti.
Questo non riguarda la vita di Luca e Angela, ma parlo di noi, di me: c’è
questa rosa che nasce, che fiorisce in autunno, che certamente è una promessa,
è una speranza, è un segno di vita. È certamente una regina in abito da sera,
ma su un campo di sconfitte, come è sconfitto Martini, come sono sconfitti
tanti anziani, come sono sconfitti quelli che hanno insegnato e adesso
balbettano, quelli che hanno arbitrato e adesso non riescono a muovere un
passo, quelli che hanno partecipato alle Olimpiadi e ora hanno bisogno d’essere
sostenuti in tutto. Allora l’augurio che faccio loro è di gustare questa rosa.
Quello che ho detto prima vale anche per voi: sillabare, eco di luce ramata di
carezza. Vi auguro di guardarla questa rosa, anche se siamo sconfitti;
inevitabilmente siamo sconfitti dalla vita, non loro, ma tutti. Quando
affrontiamo la vita, ne usciamo sempre sconfitti; anche il Vescovo non ha la regina in abito da sera su un campo
di vittorie, ma su un campo di sconfitte.
Non l’infanzia che arride
né gioventù che corre
non nell’età matura
ma nell’autunno è vita.
Non
nella tanto cantata e decantata epoca d’oro dell’infanzia è vita, neanche nella
gioventù, perché i giovani sono più infelici di noi, oggi particolarmente, non
per colpa loro ma per l’orizzonte chiuso che hanno dinanzi. Neanche nell’età
matura - l’età d’insegnare, direbbe Martini - ma nel mendicare è la vita,
nell’autunno è la vita.
Consegno
questo piccolo bouquet ad Angela, a
proposito di rose che nascono, perché le spose hanno sempre il bouquet, anche una sposa che abbia 47
anni di tappeto attraversato (quello del giorno del Matrimonio è più semplice
da attraversare, anche se vi ha fatto battere il cuore). Quindi alla fine vi
auguro, auguro a me e a voi, di guardare la vita scandendola e raccogliendo la
sapienza che l’autunno ci svela, ci consegna.
Vai
piano, sorseggia, sillaba: guarda che bei colori, guarda che luce ramata,
perché quello che è accaduto prima era un preludio, ma la vita è adesso,
direbbe anche un cantautore che conoscete.
Benedizione
del Vescovo
C.
Saint –Saens
Allegro
Appassionato
***
Il
testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto
dall’autore.