PREGHIERA-GIOVANI

 

guidata da

 

S. E. REV.MA MONS. ARTURO AIELLO

 

“Bellamore, Bellamore, fatti cantare”

 

Chiesa Cattedrale

 

Teano, 18 Dicembre 2009

~

 

Canto: Innalziamo lo sguardo

 

Nel nome del Padre…

La preghiera di questa sera deve aiutarci a ridestare l’attesa. Il ritornello che abbiamo cantato, e che tra un po’ ripeteremo, ci invita ad alzare lo sguardo ed è tratto da un testo del profeta Isaia: Alzate lo sguardo e contemplate. Avere lo sguardo per terra è segno di tristezza; avere lo sguardo in alto è segno di speranza: la Chiesa è chiamata a vivere questo, non solo in questo tempo di Avvento liturgico, ma per tutti gli anni in cui pellegriniamo in questo mondo, nella storia. Chiediamo di intensificare l’attesa, perché solo ciò che si attende, si riceve. Quelli che ricevono poco, attendono poco; ricevono molto quelli che attendono molto e, oggi, in particolare i giovani - ma non solo i giovani - hanno difficoltà ad attendere, quasi che l’attesa sia un tempo morto, sia un intermezzo. Quando noi eravamo bambini, spesso le trasmissioni televisive venivano meno, e allora compariva la sequenza delle foto turistiche con l’arpa… Era l’intervallo, per dire: poi ci rimetteremo a raccontare. Ma l’attesa non è un intervallo: l’attesa fa parte del dono che riceverai. Questo vale per l’amore, per la vita, per il diploma, per la laurea, per un’amicizia, per la fede: vale per Gesù. Allora, innalziamo lo sguardo, rinnoviamo l’attesa:

Rit. Innalziamo lo sguardo,

rinnoviamo l’attesa:

ecco viene il Signore,

viene, non tarderà.

 

Ascoltiamo il Vangelo di Natale, non per anticipare, ma per preparare il cuore; è il brano che riascolteremo nelle nostre parrocchie, durante la celebrazione della notte. Adesso lo ascoltiamo per cominciare a gustare l’attesa del Natale.

 

Dal Vangelo di Luca (2, 1-20)

1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. 3 Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. 4 Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, 5 per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. 6 Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. 8 C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, 10 ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. 12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». 13 E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: 14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama». 15 Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16 Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 17 E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18 Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. 19 Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
20 I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

 

Il Natale mette in movimento tante persone. Un impero intero è messo a soqquadro per il desiderio di Augusto di contare i suoi sudditi. Se ricordate, l’anno scorso, nella Preghiera pre-natalizia con voi giovani, abbiamo messo “a tema” il viaggio e il partire, come esperienze del Natale: i pastori si mettono in moto, Maria e Giuseppe vanno a Betlemme… C’è un viavai. Qualcuno si pone anche questo interrogativo: Gesù è entrato in questo elenco? Tra i sudditi di Cesare è stato registrato anche un certo Gesù, figlio di Giuseppe? (Maria non l’avranno menzionata perché le donne, allora, purtroppo non contavano) Secondo alcuni, Gesù è sfuggito alla “maglia” dell’impero di un grande che, smanioso di sapere il numero dei suoi sudditi, ha deciso di contarli. Quando Maria e Giuseppe sono andati a registrare il loro nome, Gesù era ancora cieco nel grembo di sua madre.

Adesso riascoltiamo, ma in una maniera poetica, quello che il Vangelo ci ha raccontato, attraverso le riflessioni di un grande romanziere italiano, Luigi Santucci, forse uno dei più grandi romanzieri cattolici del Novecento. Ascoltiamo alcuni brani e li intercaliamo con Maranatha. Maranatha significa “il Signore viene” e, al tempo stesso, “vieni, Signore Gesù”: è un’attestazione - ma anche un’invocazione - che utilizzavano frequentemente i primi cristiani nella loro preghiera.

Maranatha! Maranatha!

Maranatha! Vieni, Gesù!

 

Lettura dei brani tratti dal libro di Luigi Santucci “Volete andarvene anche voi?”

 

***

Santucci, in questo brano, ci ha invitati a fare un lungo pellegrinaggio di 2000 Natali, andando indietro per essere contemporanei di quella notte; questo, che umanamente sembra impossibile, è possibile nella liturgia, perché, quando noi celebriamo un evento nella liturgia, diventiamo contemporanei di ciò che ascoltiamo, di ciò che leggiamo: non è un “c’era una volta”, ma “c’è adesso”. Santucci sottolinea che il Presepe è fatto di queste parole: E trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva in una mangiatoia. È tutto qui: il resto è cornice. Questo è il cuore del Natale: trovare una donna, un custode - che dicono essere il Padre, ma il padre non è - e un bambino che giace in una mangiatoia.

Ho pensato, quest’anno, di trovare un testo (ovviamente, nel repertorio delle vostre canzoni) che potesse essere, da parte nostra, una ninna nanna e ho deciso di riproporvi un testo di Francesco De Gregori che è una canzone d’amore, ma che, adesso, noi utilizziamo come una sorta di ninna nanna. Il Bambino che è qui, che nasce adesso, che nasce in questo Natale, è come tutti i bambini: piange, ha bisogno d’essere riscaldato, ha bisogno che qualcuno gli canti la ninna nanna… Pensiamo a  “Bellamore” come ad una ninna nanna a Gesù.

 

Bellamore

(F. De Gregori)

Bellamore Bellamore non mi lasciare,
Bellamore Bellamore non mi dimenticare.
Rosa di Primavera, isola in mezzo al mare,
lampada nella sera, Stella Polare.
Bellamore Bellamore, fatti guardare,
nella luna e nel sole fatti guardare.
Briciola sulla neve, lucciola nel bicchiere,
Bellamore Bellamore, fatti vedere.
E vieniti a sedere, vieniti a riposare,
su questa poltroncina a forma di fiore.
Questa notte che viene non darà dolore,
questa notte passerà, senza farti del male.
Questa notte passerà, o la faremo passare.
Bellamore Bellamore, non te ne andare.
Tu che conosci le lacrime e le sai consolare.
Bellamore Bellamore non mi lasciare,
tu che non credi ai miracoli ma li sai fare.
Bellamore Bellamore fatti cantare,
nella pioggia e nel vento, fatti cantare.
Paradiso e veleno, zucchero e sale,
Bellamore Bellamore, fatti consumare.
E vieniti a coprire, vieniti a riscaldare,
su questa poltroncina a forma di fiore.
Questo tempo che viene non darà dolore,
questo tempo passerà, senza farci del male.
Questo tempo passerà o lo faremo passare.

 

Questa canzone vi sembrerà un po’ strana per essere una ninna nanna, ma lo è, soprattutto nella cadenza del tempo, nella cadenza musicale, ma anche nelle immagini. Vorrei dividere in due parti l’esame di questo teso. La prima parte riguarda i verbi: sono i verbi che rivolgiamo a Gesù.

Non mi lasciare.

Questo lo dice ogni persona che ama, ma lo dice anche la mamma al suo bambino. Lo diciamo noi a Gesù e Gesù dice: “Non ti preoccupare, non sono venuto di passaggio”. Questo è importante che lo comprendiate: Gesù non è venuto per “passare” da noi, nella nostra storia, nelle nostre vite, ma è venuto per rimanere. Per cui, l’invocazione “non mi lasciare” riceve immediatamente una risposta: “Sono qui, sono qui per te”.

Non mi dimenticare.

Il dolore di ogni persona che ama è che l’altro possa non pensarlo o, addirittura, dimenticarlo. Ma – dice il profeta Isaia – può, una donna, dimenticare il suo bambino? Anche se una donna dovesse dimenticare il nato dalle sue viscere, io non ti dimenticherò mai.

“Non mi dimenticare” e Gesù dice: “C’è una sola possibilità, ed è che tu possa dimenticarmi”.

Fatti guardare.

Ogni ninna nanna è una contemplazione. Il Natale è guardare il Presepe; trovate un attimo, cari giovani, tra i regali da scartocciare, tra i veglioni da fare, tra i mille presepi viventi che ci sono sul territorio della nostra Diocesi, tra le tombolate - che non sono cose negative! - trovate il tempo per fermarvi davanti al Presepe, magari davanti a luci soffuse, se non spente. Fatti guardare, a dire: ma è vero?, è vero che ci sei?, è vero che sei il Dio-con-noi?

Dio è venuto per farsi guardare, per dire: “Eccomi, sono qui, sono uno di voi”. Per farsi guardare, ha preso la nostra carne: usa le nostre parole, ha i nostri sentimenti, piange, ride, gode, è triste, proprio perché noi non avessimo solo un’idea. È bello che la nostra fede non si basi su un’idea, ma su un fatto, e questo fatto è Dio-carne. Quelli che conoscono il greco, che fanno il classico, sanno che l’espressione

significa: la Parola (il Verbo) si fece (divenne) carne, proprio per farsi vedere. Fatti guardare nella luna e nel sole, non perché bisogna guardarLo in alto, ma perché bisogna guardarLo di giorno e di notte; non da guardare una volta, ma da guardare continuamente, come fate voi quando siete innamorati.

Vieniti a sedere, vieniti a riposare.

Vieni tra noi, su questa poltroncina a forma di fiore. Io vorrei che questa poltroncina a forma di fiore fosse il mio cuore, dove meglio posso deporre Gesù: se pensiamo a una culla, nulla è più dolce e più caldo del cuore. Allora, questa poltroncina a forma di fiore, in cui Gesù dev’essere deposto, è la mia vita; in particolare, è il mio cuore.

Questa notte che viene non darà dolore.

La notte che viene è la notte di Natale, ma è anche ogni notte dell’uomo. Magari, qualcuno di voi sarà qui con qualche pena sul cuore, di tipo affettivo o di altro tipo. Questa notte che viene la supereremo insieme - dice il testo della ninna nanna - questa notte passerà o la faremo passare.

Non te ne andare.

Nel brano dei discepoli di Emmaus è detto: “Allora egli entrò per rimanere con loro”. Non entrò per prendersi un aperitivo, per poi passare alla locanda vicina, ma entrò per rimanere con loro. Non te ne andare: succederà anche voi, stasera, quando vi saluterete tra amici. Perché, a volte, ci si saluta dicendo “ciao, ciao…” e non ce ne andiamo mai? Soprattutto, poi, col ragazzo o la ragazza, quando si è fidanzati… Perché ci sembra che l’altro che va via, che va a dormire in un altro letto, in un’altra casa, in un’altra via, possa non tornare più. Per cui, le invocazioni della ninna nanna sono, fondamentalmente, invocazioni d’amore: Non te ne andare e, quindi, non mi lasciare.

Tu che non credi ai miracoli, ma li sai fare.

A chi, meglio di Gesù, può essere attribuita questa espressione? Forse, inizialmente, sembra un po’ strana e anche un po’ blasfema: Tu che non credi ai miracoli, ma li sai fare, anzi, sei tu “il miracolo”! Noi possiamo chiedere tanti miracoli a Gesù, ma dobbiamo comprendere che il miracolo è Lui e, al tempo stesso, il miracolo siamo noi davanti a Lui.

Fatti cantare.

Fa’ che io possa cantarti una ninna nanna, non solo oggi, ma anche cantarTi nel corso della mia vita: i bambini lo fanno, lo fanno quasi naturalmente (i bambini del catechismo, i bambini della Prima Comunione…) e lo avete fatto anche voi quando eravate piccoli. Magari, ricorderete delle canzoncine di Natale che la maestra vi avrà insegnato alla scuola materna o alle elementari, ma oggi riesci a “cantare Gesù”? Oggi da giovane, poi da adulto e da anziano, perché bisogna cantarLo in tutta la nostra vita. Sant’Agostino dice che bisogna camminare e cantare (canta e cammina). Camminare significa vivere, significa che un giorno non è un altro, che passano le settimane, passano i mesi. Io sono già invecchiato e invecchierete anche voi, purtroppo; l’importante, però, non è il trascorrere degli anni, ma che io possa, qualsiasi sia la mia età, innalzare, modulare un canto.

Fatti consumare.

È proprio un’espressione d’amore. “Ti consumerei di baci! - dice la mamma al suo bambino - Ti mangerei!”. Da quanto tempo non consumate Gesù? - mi verrebbe da chiedervi - Da quanto tempo non fai la Comunione? E non solo in termini materiali… Spesso andiamo a fare la Comunione “intruppati”, come se andassimo a prendere una bibita o un panino. Fatti consumare, cioè entra dentro di me. Questo è il desiderio di ogni amante: entrare nell’amato, nell’amata, o fare in modo che l’amata, l’amato, entri. Fatti consumare significa “fatti mangiare” e non è un verbo di violenza, ma un verbo dolcissimo: un verbo d’amore.

Vieniti a coprire, vieniti a riscaldare.

Questa notte è fredda - e stasera fa freddo sul serio – e, quindi, sentiamo anche il bisogno di stare un po’ più gli uni accanto agli altri per riscaldarci.

Questo tempo che viene non darà dolore, questo tempo passerà, senza farci del male.

Cari giovani, è possibile che un tempo passi senza graffiarci?, che un tempo passi senza farci del male, mentre di male ce n’è tanto? Viene prodotto continuamente, a iosa, ma chi guarda Gesù e lo accoglie, cammina anche in mezzo al fango, senza esserne intaccato.

Adesso riascoltiamo e, poi, nel secondo momento mi fermo sulle immagini.

 

Bellamore

(F. De Gregori)

Bellamore Bellamore non mi lasciare,
Bellamore Bellamore non mi dimenticare.
Rosa di Primavera, isola in mezzo al mare,
lampada nella sera, Stella Polare.
Bellamore Bellamore, fatti guardare,
nella luna e nel sole fatti guardare.
Briciola sulla neve, lucciola nel bicchiere,
Bellamore Bellamore, fatti vedere.
E vieniti a sedere, vieniti a riposare,
su questa poltroncina a forma di fiore.
Questa notte che viene non darà dolore,
questa notte passerà, senza farti del male.
Questa notte passerà, o la faremo passare.
Bellamore Bellamore, non te ne andare.
Tu che conosci le lacrime e le sai consolare.
Bellamore Bellamore non mi lasciare,
tu che non credi ai miracoli ma li sai fare.
Bellamore Bellamore fatti cantare,
nella pioggia e nel vento, fatti cantare.
Paradiso e veleno, zucchero e sale,
Bellamore Bellamore, fatti consumare.
E vieniti a coprire, vieniti a riscaldare,
su questa poltroncina a forma di fiore.
Questo tempo che viene non darà dolore,
questo tempo passerà, senza farci del male.
Questo tempo passerà o lo faremo passare.

 

Male che vada potete utilizzare una di queste frasi per il prossimo messaggino alla ragazza, ma spero che la mia riflessione serva ad altro. Ci sono delle immagini bellissime che, ovviamente, nella canzone, De Gregori dedica a lei, e che noi, adesso, applichiamo a Gesù.

Rosa di primavera.

Attenti, non è una qualsiasi rosa, ma è la prima rosa. Chi faccia attenzione ai primi germogli, alla prima fioritura, segue con attenzione questo bocciolo che si apre e dice: “Ecco, la primavera è vicina”. Rosa di primavera è la sentinella della primavera e Gesù, in mezzo a noi, è rosa di primavera, perché dice: “È finito l’inverno”. Potrei dire, col Cantico dei Cantici: È passato l’inverno, se n’è andata la pioggia, sono apparsi i fiori nei campi, è tornato il tempo del canto. Badate che la primavera, annunciata 2000 anni fa, è ancora verso l’estate. Sono passati tanti anni, ma noi ancora sentiamo il profumo di quella rosa che è germinata e fiorita nel grembo di Maria.

Isola in mezzo al mare.

Debbo dirvi che, ogniqualvolta ascolto e commento questo testo - perché non è la prima volta -, isola in mezzo al mare non mi fa venire in mente un’isola qualsiasi, ma Lampedusa, perché, se ci siete stati, sembra di essere in Africa, tanto è lontana dall’Italia. Quest’isola è effettivamente lontana da qualsiasi sponda, sia dell’Africa che della Sicilia, e non è un caso che coloro che cercano una terra, che cercano la libertà, che cercano un mondo migliore, sbarcano in tanti a Lampedusa. Quando stetti a Lampedusa, ebbi l’idea di cosa significa isola in mezzo al mare, soprattutto nella tempesta, perché se viene una tempesta, ho bisogno di un porto, e Lampedusa ha il suo porticciolo che, anche nell’antichità, avrà salvato chissà quante navi che venivano raggiunte dalla tempesta. Quando tu pensi di stare per affondare, vedi Lampedusa - e, ripeto, provate a guardarla con gli occhi dei profughi che arrivano su quelle barche che non avrebbero neanche il diritto d’avere questo nome - un’isola in mezzo al mare che è la salvezza, è la libertà e, quindi, non sei perduto. Così è Gesù: isola in mezzo al mare, in mezzo a un mare di guai, in mezzo alla tempesta del male, in mezzo all’imperversare della morte.

Lampada nella sera.

Ovviamente, è una sera buia, una sera in cui non ci sono punti di riferimento e, finalmente, vedo lontano lontano una lampada: c’è qualcuno che può accogliermi. Ciascuno di noi dovrebbe essere lampada nella sera per gli altri: lo è Gesù per tutti, cioè nella tua sera c’è una lampada. Alza il tuo sguardo, perché c’è Qualcuno che ti aspetta. Qui l’immagine è di una tormenta di neve: voi state salendo verso un rifugio e, ad un certo punto, quando proprio si stanno per gelare i piedi, vedete un luccichio, un rifugio. Lampada nella sera è il segno di un luogo dove posso approdare, un po’ come isola in mezzo al mare.

Stella polare

Le stelle, da sempre, hanno fatto da traccia per i naviganti, per coloro che camminavano nel deserto, ma, tra queste stelle, ce n’è una che mi indica il Nord, cioè che mi indica Dio: questa stella si chiama Gesù. Non è un caso che, nel Cantico di Zaccaria e in tanti testi, si dica: Luce che viene dall’alto, luce che viene da Oriente. L’Oriente è la terra di Gesù, è il luogo da cui è venuta la luce.

Briciola sulla neve.

Per comprendere la bellezza della briciola sulla neve, immaginiamo un passerotto affamato che non può trovare sostentamento e che trova, sulla neve, delle briciole: avrà un futuro. Questo passerotto sono io, sei tu, che non potendo beccare da nessuna parte, trova una briciola sulla neve.

Lucciola nel bicchiere.

È un’immagine che si addice molto bene all’evento dell’incarnazione. Le lucciole facevano più parte della geografia e dei paesaggi di maggio della nostra infanzia e della nostra adolescenza: i paesaggi di maggio erano tempestati di lucciole, di sera, ed erano meravigliosi. Ovviamente, noi bambini avevamo la mania di prenderle e poi di metterle sotto un bicchiere, a dire: “Adesso questa lucciola è mia”. In che senso, questa immagine, che sembra violenta, può farci capire l’incarnazione? La lucciola, che doveva essere libera, che doveva brillare, ha accettato d’essere catturata da me e la tengo sotto il bicchiere: è mia, perché Gesù è a portata di mano e, in Lui, è a portata di mano Dio stesso. Lucciola nel bicchiere è Dio che si fa catturare, che si fa prendere, che si fa toccare, che anziché risplendere, accetta di entrare nella tua cucina fuligginosa. 

Paradiso e veleno, zucchero e sale.

Sono due immagini che mettiamo insieme, in cui la presenza di Gesù è bella, ci entusiasma, ci edifica, ma anche costa, perché capite che tenere questo Bambino in braccio, e poi tornarsene a casa come se nulla fosse accaduto, è la più grande disgrazia. Tanti nostri Natali sono dei veri aborti. Forse, l’anno corso, hai abortito a Natale: che ne è stato del Natale dell’anno scorso? Natale 2008 vi dice qualcosa? Natale 2007? Natale 2005? Natale 2000? Sono tutti Natali che abbiamo vissuto e che, forse, sono abortiti, e sapete perché? Perché questa presenza è dolcissima, ma anche amarissima. Zucchero e sale: lo zucchero lo capiamo, ma perché il sale? Perché è un sale sulle ferite, perché Gesù è venuto a salvarmi, ma vuole che anche io mi faccia salvare, cioè dica sì a Lui. Questo significa cambiare e ognuno di voi sa, benché siate giovani, quanto sia difficile cambiare: ecco perché c’è anche veleno. Paradiso e veleno, zucchero e sale: è l’ambivalenza dell’amore. In un testo che voi non conoscete, perché appartiene al vocabolario del melodramma, l’amore è cantato nell’ambivalenza: mi rende contento, ma anche mi cattura.

 

Adesso facciamo un attimo di silenzio, e il nostro chitarrista, Bruno, che ringraziamo, fa un sottofondo (Bruno, all’ultimo momento, viene chiamato dal Vescovo e, dall’alto dei monti, scende per allietare la nostra Preghiera). Ripercorrete i verbi scegliendone uno (fatti guardare, fatti riscaldare, fatti cantare…) oppure scegliete una di queste immagini e dite: “Adesso sta per fiorire questa rosa: la voglio guardare a lungo; sta per comparire quest’isola in mezzo al mare: voglio approdare non come un turista”. Attenti che a Natale non si va da turisti (faccio un giro per le bancarelle, compro qualcosa e me ne torno a casa…): Natale è un viaggio senza ritorno (ve lo dicevo l’anno scorso nella versione 2008 “Con te partirò”). Dunque, ciascuno di voi trovi il suo verbo o la sua immagine per avvicinarsi a questo Natale, col desiderio di cantare una ninna nanna a Gesù e di riscaldarLo: Voglio offrirTi quello che ho, quello che sono.

 

***

Spente le luci in cattedrale, si accendono le candeline distribuite ai giovani

 

Natale è questo: una notte illuminata. Nella notte di Natale ci si raccoglie insieme come famiglia, come comunità parrocchiale; prima intorno alla mensa della famiglia in festa, poi intorno alla mensa eucaristica, perché questa è una notte speciale, è una notte illuminata. Natale è poter avere una lampada per sé e per gli altri: questa lampada è segno della fede che Gesù è venuto ad alimentare e a portarci; questa fede dice “salvezza”.

Canto: Astro del ciel

 

Ti ringraziamo, Signore Gesù, che ci convochi intorno alla Tua nascita.

Aumenta la nostra fede, perché possiamo esserne consolati.

Ti affidiamo le persone più in difficoltà che vivranno con disagio questo Natale,

perché abbiano ad incontrarTi come pastori privilegiati chiamati alla grotta.

Padre nostro…

Benedizione del Vescovo

Buon Natale!


***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.