PREGHIERA-GIOVANI

 

guidata da

 

S. E. REV.MA MONS. ARTURO AIELLO

 

“Pane e Cielo”

 

Chiesa Cattedrale

 

Teano, 20 novembre 2009

~

Nel nome del Padre…

C’è sempre una certa difficoltà ad incominciare a pregare, sia quando lo facciamo da soli, sia quando siamo insieme, perché ci sembra sempre che sia una “cura” che debbano fare gli altri e, quindi, ci aiuta questa piccola antifona che adesso ripetiamo insieme più volte, dove l’accento è su “io”: sono io che ho bisogno di pregare, sono io che forse debbo aprire una parentesi o fermarmi un attimo per ricordarmi chi sono.

 

Sono io, io, io, Signore,

che ho bisogno di pregar (2 volte)

Non il diacon, né il fratello,

ma sono io, Signore, che ho bisogno di pregar

non mio padre, né mia madre,

ma son io, Signore, che ho bisogno di pregar.

 

Ti ringraziamo, Signore, perché siamo qui, perché siamo in tanti. Grazie perché ci attiri e ci fai comprendere che forse la vita è più semplice di quanto pensiamo, che forse bisogna trovare il companatico giusto. Il pane ce l’abbiamo, ma il problema – che non è solo della merenda – è: pane e…? Cosa mettere insieme al pane, accanto al pane? Questo vogliamo sentircelo dire da Te.

Sono io, io, io, Signore,

che ho bisogno di pregar…

***

 

Ho già annunziato il tema che ci tiene insieme questa sera: cosa mettere nel pane? Sembra un problema delle donne, delle mamme, di chi prepara il cestino per l’asilo e, invece, è il problema della vita: pane e salame?, pane e mortadella?, pane e Nutella? (qui saremmo in tanti a dire di sì), pane e fantasia?, come diceva un film di quando il Vescovo era giovane… Lo chiediamo a Gesù: cosa mettere nel mio pane? Ascoltiamo la Sua Parola.

 

Dal Vangelo di Matteo (6, 5-15)

5 Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6 Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. 7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; 10 venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12 e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, 13 e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. 14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

 

Innanzi tutto, Gesù ci ha detto di spegnere i telefonini. “Ma non l’abbiamo ascoltato!” – qualcuno dirà. Invece era scritto: Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta… A volte, chiudiamo la porta della stanza, ma apriamo mille altre porte e anche il telefonino è una porta da chiudere: hai chiuso la porta? Controlla un attimo, in modo tale che non ci siano cinquemila suonerie diverse a interferire con le attrezzature di bordo per il nostro decollo, come dicono le hostess prima di una partenza.

Stasera vogliamo riscoprire la gioia del “Padre nostro”, ma in una maniera un po’ strana, direi anche  un po’ casual – permettetemi questa aggettivazione – nel senso che Gesù dice: Non sapete pregare, dite troppe cose, quando pregate dite… Ma prima di “dire”, mettiti tranquillo, concentrati, siediti in un altare laterale, spegni il telefonino, non pensare ad altro che a questo incontro che ti fa bene. Siamo convinti che la fede ci faccia bene?, nel senso che ci fa felici e ci evita le storture che da ogni parte ci arrivano? La preghiera è una terapia. Forse lo avete già sperimentato mentre vi guidavo in quel “io, io”, perché noi diamo sempre la colpa agli altri (È mia madre! È la mia ragazza! Lui non mi capisce!), ma probabilmente il problema siamo noi. Allora puntiamo i riflettori su di noi, a dire: Ma io mi sto costruendo? Sto utilizzando al meglio questa stagione della mia vita che è la giovinezza (per tanti di voi che sono giovani) o l’età adulta (per qualche adulto che fa capolino e viene a rubare un po’ di giovinezza ai giovani)? La preghiera serve a questo: a rimettersi nei propri panni, perché normalmente noi viviamo fuori di noi, estraniati, viviamo presi da mille smanie che alla fine non ci rendono contenti. In questo senso vi dicevo che la preghiera è una terapia, e Gesù, dando una traccia, una sorta di canovaccio per la nostra preghiera, ci ha insegnato il “Padre nostro” - che immagino sia l’unica preghiera che conosciamo veramente tutti – in cui c’è il termine “cieli” e il termine “pane”. Io vorrei unire queste due parole di cui una è all’inizio: Padre nostro, che sei nei “cieli”… Ovviamente, non si tratta dei “cieli” che sono in alto, cioè c’è un cielo dentro di te, dentro di me, c’è un cielo in questo momento nella nostra Chiesa Cattedrale, da riscoprire. E poi: Dacci oggi il nostro “pane” quotidiano… Il nostro pane è il tempo, il vostro pane è la giovinezza, il nostro pane comune è la vita, ma il problema è come dare sapore, perché nessuno di noi mangerebbe un pane senza companatico. Ve lo dicevo già all’inizio: pane e che cosa? Stasera ho voluto consegnarvi questo slogan che è più di uno slogan: “Pane e Cielo”. Immaginate un panino dove mettere dentro il cielo: perché “Pane e Cielo”? Perché il pane esprime quello che di più concreto noi vogliamo, cioè i bisogni. Noi abbiamo dei bisogni (mangiare, dormire, andare in vacanza, baciare la ragazza…), ma ci rendiamo conto, quando ci fermiamo al pane, che manca qualcosa: manca il companatico. Allora, il pane esprime la nostra realtà di uomini piantati per terra, e guai se non fosse così! A volte, pensiamo sempre che i cristiani siano angioletti che volano, stanno a mezz’aria, che non si rendono conto dei problemi: il cristiano è un uomo ben piantato per terra, ma guai se guardassimo solo a terra! Abbiamo bisogno anche di innalzarci, di sognare… Allora “cieli” sta anche per “sogni”: pane e sogni, pane e stelle, pane e libertà, pane e felicità… Potrei continuare a lungo facendovi coniugare un aspetto concreto che c’è, che vediamo: il pane è il mio corpo, è il tuo corpo, è il fatto che respiriamo, che forse mi state ascoltando (se non avete portato qualche cuffietta per sentire altro, perché succede anche questo, qualche volta), ma il pane è fatto per ricevere qualcosa che lo faccia andare al di là di sé. Gesù ci fa chiedere il pane: è bello che il “Padre nostro”, al suo centro, nel suo cuore, abbia la richiesta “dacci oggi il nostro pane quotidiano” che significa cibo, affetto, lavoro, i soldini per arrivare a fine mese, che significa tutte le esigenze. Gesù, insegnandoci questa preghiera, non ha inteso un Cristianesimo astratto; però il pane, da solo, non basta. Cosa stai mettendo nel tuo pane? Con che cosa ti stai cibando? Qual è il tuo companatico? Ecco, Gesù ti invita a mettere dentro anche la preghiera, a mettere dentro anche la possibilità che tu sia figlio di un Padre che si prende cura di te (anche se il ragazzo ti ha lasciato), di un Padre che forse ha dei sogni, dei grandi sogni su di te, mentre tu cerchi di starnazzare nell’aia. Magari il Padre pensa: “Bartolomeo dev’essere un’aquila” - chiamo lui in causa perché non si offende - e invece Bartolomeo può darsi che dica: “Ma io amo essere una gallina!”. Nella preghiera scopriamo qualcosa che è al di sopra di noi, non irraggiungibile, perché se Dio sogna qualcosa di me uomo, di te donna, ci aiuta anche a realizzarlo. Allora “pane e cielo” è la sintesi di una vita cristiana equilibrata. Diffidiamo di quelli che mangiano solo pane, ma - direi anche - diffidiamo di quelli che mangiano solo cielo: il tuo Vescovo sa che tu hai bisogno del pane, che tu hai bisogno di un amico, di un’amica, che tu vivi una solitudine… Ecco, questo è il pane, ma “pane e cielo”, “cielo e pane”. Questi due termini si sono uniti nella persona di Gesù: Gesù è pane, ma è anche il Pane che viene dall’Alto, è anche il  Figlio di Dio; è carne, ma in quella carne noi riconosciamo che Dio si è fatto presente, fruibile, lo possiamo abbracciare, possiamo ascoltare le sue parabole, possiamo vedere i suoi miracoli. Allora “pane e cielo” hanno trovato una meravigliosa sintesi duemila anni fa. Ovviamente, nessuno di noi può avere l’ardire di pensare di realizzare la stessa piena comunione, perché quella sintesi meravigliosa, quel “Pane e Cielo” che è stato Gesù, è un’esperienza irripetibile, ma gradualmente, al 10%, al 20%, al 30%, 50%, 60%, 70%, a noi è dato di poter fare questa coniugazione, cioè materia (pane) e cielo (spirito), bisogni e sogni, quello che mi tiene legato a terra e quello che, a volte, mi sorprende quando dico “vorrei volare”. Ecco come la preghiera del “Padre nostro” si apre di un significato nuovo per noi, stasera: è la preghiera per dare un companatico giusto al pane che è la mia vita. Ci fermiamo un attimo in silenzio, e ciascuno di voi si chieda: che sto mettendo nel mio pane? In questo momento, in questa settimana, come hai condito il tuo pane, la tua vita? Va bene? Sei contento? Ti senti realizzato? Ci sono delle tristezze? Ci sono delle amarezze? Forse c’è bisogno di un altro companatico? C’è posto nel tuo pane per il Cielo che, fuori metafora, significa Dio? Gesù ha avuto un posto nella tua settimana? Forse debbo pregare, debbo mettermi in contatto con Lui perché io non rischi di perdere il Cielo. E, purtroppo, chi perde il “cielo”, perde anche il “pane”. Pensateci un attimo.

 

***

 

Ascoltando qualche nota appena accennata da Giovanni, che ringraziamo (questa sera abbiamo un musicista, anche compositore, Giovanni Panozzo, che viene dal nord ad aiutarci nella preghiera), ho sentito che alcuni di voi hanno avuto un brivido. Chi? Quelli del Campo, perché c’era qualche nota che richiamava qualcosa: un’esperienza che abbiamo vissuto in 180 a Campitello e che ho pensato di richiamare questa sera, perché a volte il cielo lo conquistiamo, lo prendiamo, lo tocchiamo con un dito, ma poi finisce la magia, torniamo nella nostra quotidianità e lo perdiamo di nuovo. Non è detto che chi abbia mangiato una volta “pane e cielo” stia al sicuro per tutta la vita, altrimenti basterebbe leggere una volta un libro, sentire una volta una catechesi, partecipare una volta all’Eucarestia e sarebbe bastante per la vita. Perché ogni domenica sentiamo la voglia - spero che l’abbiate anche voi – di andare a messa? È lo stesso motivo per cui uno ha voglia di fare l’amore più volte: perché non basta. Perché quello che ho capito domenica, la grazia che ho ricevuto domenica, poi rischio di perderla e, allora, torno per riprendere il “cielo” che si stava allontanando.

“Pane e cielo” adesso ce lo racconta Renato Zero con il testo che ha fatto da punto di arrivo del Campo-Scuola. Ho voluto che questo messaggio fosse condiviso anche da quelli che non hanno avuto la possibilità di essere a Campitello questa estate, in modo tale che nessuno fosse escluso da una Grazia. Vi siete mai chiesti come mai questo cantautore abbia dedicato una canzone al cielo? È un testo strano, una sorta di “Andrò a vederla un dì” (per tirare fuori un titolo che le nonne canterebbero con tanto fervore e con tanta forza). Se un laico, un cantautore, ha pensato di riprendere il tema del cielo, è perché lo stiamo perdendo un po’ tutti: laici e credenti, credenti e non credenti.

Il cielo

di R. Zero

Quante volte,
ho guardato al cielo…
ma
il mio destino è cieco… e non lo sa!
E non c'è pietà,
per chi non prega, e si convincerà…
che non è solo una macchia scura…
il cielo!
Quante volte,
avrei preso il volo…
ma
le ali,
le ha bruciate già…
la mia vanità!
e la presenza di chi è andato, già…
Rubandomi, la libertà!
Il cielo!
Quanti amori
conquistano il cielo!
Perle d'oro, nell'immensità!
Qualcuna cadrà,
qualcuna invece il tempo, vincerà!
Finche avrà abbastanza stelle…
il cielo!
Quanta violenza,
sotto questo, cielo!
un altro figlio nasce e non lo vuoi…
gli spermatozoi, l'unica forza,
tutto ciò che hai
?
Ma che uomo, sei,
Se non hai…
il cielo!

 

Queste note ampie - perché il testo ha una sua ampiezza, e mi riferisco al testo letterario, ma anche al testo musicale - fanno parte, in qualche maniera, del nostro inconscio collettivo (per quelli almeno che erano a Campitello), perché poi quando si libera l’orchestra per intero, la mente va immediatamente ai palloncini lanciati in alto nel nostro Campo sulla libertà. Il cielo non è solo una macchia scura - dice Renato Zero - cioè non è il tetto del mondo. Questo testo è aperto a Dio quando dice che chi non prega, non può capire cosa sia il cielo, e alcuni ci hanno scoraggiato - lo dicevo anche alla fine del Campo - perché hanno tentato la scalata al cielo, ma sono rimasti feriti, anzi, ci hanno lasciato le penne in tutti i sensi. E ci riferiamo a Icaro. Non so se tutti conoscete questo mito: lo dico nelle battute essenziali. Icaro è figlio di Dedalo ed entrambi, padre e figlio, furono messi nel labirinto dal re Minosse. Da questo carcere non si poteva uscire, perché c’erano mille porte e ci si confondeva facilmente e, allora, il padre - questo è importante - cercando la libertà per sé, ma soprattutto per il figlio, pensa alla modalità di prendere le piume degli uccelli e di fare delle ali di cera, unendo le piume con la cera, e dà le istruzioni al figlio - questo non tutti lo sanno - dicendogli: Mi raccomando, Icaro, non volare troppo basso, altrimenti le piume si bagneranno nelle acque del mare o del lago, ti appesantirai, e finirai annegato; ma attento: non andare neanche troppo in alto, altrimenti i raggi del sole scioglieranno la cera e queste ali, che io ho messo su per la nostra liberazione, saranno la tua condanna.

Fanno le prove, poi pian piano cominciano a innalzarsi, tutto è meraviglioso, ma Icaro è preso da questa smania di andare verso il sole.

Torniamo un attimo indietro: perché il padre dice di non andare troppo in basso? C’è una sapienza in questo insegnamento, cioè ogni padre deve parlare al figlio del pane e dei piedi piantati per terra, ma – attenti - non troppo pesanti. Il mare è l’aspetto passionale, quindi bisogna volarci su, riconoscere le passioni e dare loro un nome, ma non lasciarsi toccare dalle acque, altrimenti ci si appesantisce. Quindi, primo insegnamento: attento alle passioni che ti appesantiscono e che ti fanno morire annegato. L’altro insegnamento è: guarda il cielo, ma non tentare la scalata al cielo, perché, come sapete, la storia, almeno dell’Occidente e anche della Bibbia, è attraversata da questo pericolo di voler arrivare al cielo. Ve la ricordate, per esempio, la torre di Babele, nel libro della Genesi? È la voglia di costruire una torre che arrivi fino al cielo. Il cielo bisogna guardarlo, bisogna invocarlo, ma non si può fare la scalata all’Olimpo, come diceva la mitologia. Il povero Icaro, preso dalla smania di volare, comincia a salire, a salire, è preso dalla superbia della mente, dall’essere eccessivamente consapevole delle sue potenzialità, ma purtroppo la vicinanza al sole, questo puntare verso il sole, lo fa precipitare tragicamente, perché si è sciolta la cera che il padre, pazientemente, aveva messo insieme con le piume. Noi, a volte, non tentiamo di innalzarci un po’ più su dell’aspetto passionale, nel senso negativo del termine. Poi ci sono delle passioni belle: anche quella che in questo momento anima il vostro Vescovo è una passione, altrimenti non starei qui e non avrei messo su, imbastito, neanche la preghiera di stasera. Innalzarci, a volte, ci fa fatica e ci scoraggiamo, anche perché qualcuno è caduto, come dice il testo di Renato Zero:

Quante volte,
avrei preso il volo…
ma
le ali,
le ha bruciate già…
la mia vanità!
e la presenza di chi è andato, già…
Rubandomi, la libertà!

Sono quelli che sono andati avanti presi da sé, che poi ho visto tornare con la coda tra le gambe e che dicono: “Forse l’ideale non esiste, forse è meglio accontentarsi… Ma che vuoi, Vescovo, con questo companatico? Io mi mangio questo panino così com’è: altro che cielo!”. Purtroppo c’è tanta rassegnazione anche tra voi giovani, e invece il giovane deve avere questa voglia di volare, sia pure nell’equilibrio: né troppo in alto, né troppo in basso (dicevano gli antichi: In medio stat virtus, cioè bisogna trovare l’equilibrio tra gli opposti). Volare tra il cielo e la terra è la condizione per essere felici, per guardare il panorama, per renderci conto che il pane è buono, che il corpo è bello ma, al tempo stesso, per non farci aggravare, appesantire, zavorrare, da abitudini che, alla fine, non rendono contenti neanche noi stessi. Vorrei che stasera con “Pane e Cielo” alcuni di voi -  mi auguro tutti - riprendessero la voglia di rischiare, di ritentare, di tornare a pregare, perché non è una macchia scura… il cielo…

Avrete notato che il punto interrogativo è mio (l’abbiamo messo in grassetto perché don Liberato ha detto: “Non è giusto che ti introduci…”): gli spermatozoi, l'unica forza, tutto ciò che hai? Il punto interrogativo ve l’avevo già messo al Campo, a dire che sono una forza, ma non è l’unica: c’è una potenza di voler bene e poi bisogna vedere anche se sono spermatozoi che volano o se sono spermatozoi che affondano nella volgarità, in abitudini negative. Quindi, non è l’unica forza: hai in te la possibilità d’essere diverso, d’essere bello, d’essere bella, d’essere equidistante tra la terra e il cielo, non appesantito, ma neanche preso da questa smania di superbia che ha fatto perdere - ci dice la tradizione cristiana - anche gli angeli, cioè anche gli angeli sono stati presi da questa voglia di essere al di sopra di Dio e sono diventati, da angeli luminosi, angeli tenebrosi. Riascoltiamo il testo, riprendendo la voglia di volare, anche se avete qualche ammaccatura, anche se ognuno di voi sarà già reduce da delusioni, ma le delusioni non debbono scoraggiarci: io, da stasera, posso riprendere a volare, così come al Campo-Scuola ci siamo detti intorno al tema della libertà.

 

Il cielo (R. Zero)

***

 

Alcuni avranno pensato: “Ma noi ci siamo già stati, non solo in cielo, ma tre metri più su: tre metri sopra il cielo!”. Ecco, anche questo è problematico! Nel romanzo che tutti avete letto - anche il Vescovo lo ha letto, ma per bisogno pastorale - non c’è nessun pregio letterario, ma c’è la voglia di scalare questa montagna… Poi, da tre metri sopra il cielo, si casca giù, e immaginate che tonfo quando si tocca terra! Qualcuno ha scritto – e questa scritta si trova in giro per tutta Italia - “Io e te tre metri sopra il cielo”. Qualcun altro ha scritto: “Io e te cinque metri sopra il cielo: a tre metri c’è troppa gente…”. Converrebbe, invece, restare un po’ più giù. Noi siamo – spero - quelli che vogliono stare con i piedi per terra e sotto il cielo, un cielo stellato, a guardarlo. In questi giorni, la natura ci ha offerto un cielo autunnale meraviglioso e anche stasera saremo accompagnati dalle stelle. Vogliamo ritrovare questo equilibrio: né troppo sopra, né troppo piantati per terra. Lo chiediamo al Padre “che è nei cieli” - come Gesù ci ha insegnato - perché possa mettere un po’ di “cielo” in questo “pane” che sono io. Il nostro musicista, che è stato ospite dell’Episcopio, ha musicato per voi questa piccola antifona che stasera fa al caso nostro:

Pane e rose,

pane e cielo,

pane e stelle…

pane e vino…

Sono espressioni molto belle che dicono: pane e… La prima espressione – dovreste saperlo - è di Karl Marx che si augurava - ed è bellissimo questo suo sogno che poi non si è realizzato -: Verrà un giorno in cui tutti avranno pane e rose. Cosa voleva dire? Voleva dire pane e cultura, pane e bellezza. Non solo pane, perché si rendeva conto che non è solo lo stipendio che rende felici, ma anche quello che è di più, che eleva l’uomo. Allora, a partire dall’espressione “pane e rose”, noi stasera chiediamo che ci sia “pane e cielo”, “pane e stelle” e poi – sono i segni centrali della nostra fede, quelli dell’Eucarestia  - “pane e vino”: Gesù.

 

Pane e rose,

pane e cielo,

pane e stelle…

Pane e rose,

pane e cielo,

pane e vino…

Gesù!

 

***

 

Adesso ascoltiamo tre reduci dal Campo, a dire: che è rimasto di quel cielo di Campitello, con gli sconvolgimenti?

Testimonianze

***

 

Ci assumiamo l’impegno di mangiare pane e cielo, pane e idealità, pane e sogni, pane e stelle, pane e vino. Nell’Eucarestia noi tocchiamo il cielo, e il cielo è dentro di noi, è davanti a noi, è nelle nostre mani. Prima della benedizione, innanzi tutto, vorrei dirvi grazie. Grazie a Giovanni per la prestazione musicale: è bello quando le cose nascono per noi. Adesso questo canto è nato per noi, è nato a Teano, ed è stato anche mandato in alto, ha preso il volo qui. Un saluto particolare vorrei darlo a don Domenico, che è venuto qui con i giovani di Moiano: vengono da molto lontano per condividere questa nostra piccola esperienza mensile.

Vi sarà distribuito, alla fine, Ghibli; troverete anche l’appuntamento che l’AC vi dà per la Festa dell’Adesione, durante la quale la compagnia nata come un fiore a Riardo rappresenterà “Scugnizzi” all’Auditorium Diocesano (ovviamente con ingresso libero). Voglio anche dirvi che, stasera, riceverete, oltre che pane e rose, anche pane e castagne, perché ci sono le caldarroste che vi aspettano fuori e che intanto si saranno bruciate, perché abbiamo tracimato nel nostro orario… Anche sentire il calore nel palmo della mano fa parte di quelle piccole e semplici esperienze nelle quali ci può essere un germe di felicità, oltre tutte le cose complicate che normalmente andiamo cercando. Adesso ci teniamo per mano, realizziamo quello che Gesù ci ha insegnato e diciamo: Padre nostro…

 

Benedizione del Vescovo

 

Antifona: Pane e rose…

***

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.