PREGHIERA-GIOVANI
guidata da
S.
E. MONS. ARTURO AIELLO
“Per fare un albero”
Cattedrale di Teano
Venerdì, 24 Ottobre 2008
~ ~ ~
L’acqua viva
Chi berrà la mia acqua
non avrà più sete in eterno
e quest'acqua sarà per lui
fonte di vita per l'eternità
Affannati e stanchi
voi oppressi e poveri venite
attingete con gioia a Lui
alla sorgente di felicità
Fiumi di acqua viva
sgorgheranno in colui che crederà
nel Signore che dona a noi
l'acqua di vita e di verità
Percuotendo una roccia
dissetasti il popolo in cammino
fa che sempre noi camminiam
nel tuo timore e nella fedeltà
Fonte inesauribile
pace eterna, carità perfetta
noi a mensa con te sediam
dolce, immensa, santa Trinità. Amen
Nel nome del Padre…
Ci disponiamo a incontrare Gesù, e gli incontri si preparano, agli incontri ci si prepara. Vogliamo vivere questi primi istanti della nostra “preghiera mensile” come un momento per raccoglierci: ci si raccoglie per lanciarsi. Ripensiamo a questa settimana, alle persone incontrate, ai doni ricevuti, ai fallimenti - una vita è fatta anche di questo - e presentiamo tutto al Signore che ci ha qui convocati.
***
Ti ringrazio, Signore Gesù,
perché sono qui. Grazie perché mi hai chiamato: vengo ad un appuntamento con Te
e vorrei giungerci con la trepidazione con cui vado ad un appuntamento d’amore.
Mi batte il cuore, non so cosa dire e mi chiedo: cosa mi dirai? Allarga il
nostro cuore perché possiamo ascoltare
Prima di ascoltare il brano, se qualcuno ancora vuole sistemarsi nel presbiterio, trovare una collocazione, lo faccia ora e dopo non ci si muoverà più.
Ascoltiamo.
Dal Vangelo di Matteo 13, 31-32
31 Un`altra parabola espose loro: "Il regno dei cieli
si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel
suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi
ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero,
tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami".
Parola del Signore
Lode a Te, o Cristo
Una piccola Parola, ma una
piccola Parola esplosiva, quella di stasera. Questo detto di Gesù, questa piccola parabola, è inserita nel
racconto del Regno di Dio. A che cosa paragonare il Regno di Dio? E tra tante
immagini, tra tante parabole che Gesù adotta, idea, c’è questa del seme, del
granellino di senapa. Quindi c’è un’opposizione tra un inizio piccolissimo che
non si vede e una realizzazione grande: il Regno di Dio comincia in silenzio,
comincia sottovoce, comincia senza proclami, senza gesti eclatanti, senza
attirare l’attenzione. Avete mai visto qualcosa crescere? Voi potreste
rispondermi: “Sì” - e sbagliate - o “No”, e sbagliate lo stesso, nel senso che
noi vediamo la crescita non mentre accade, ne vediamo le fasi: prima non c’è
niente, poi c’è un piccolo filo d’erba, poi c’è uno stelo, sullo stelo un
bocciolo, il bocciolo si apre ed ecco la rosa. È una crescita, l’abbiamo vista,
ma in realtà non l’abbiamo vista, tanto che un cantautore dice che i
giardinieri stanno “col naso sul gambo di una rosa” per fotografarla al momento
in cui sboccia; ma quando sboccia la rosa non se ne accorgono mai. Quindi una
crescita è sempre misteriosa ed è sempre silenziosa, anche la nostra. Anche
quest’ora va crescendo nel cuore del Vescovo che la prepara, mettendo insieme
(Bartolo, procura i foglietti per i tuoi ragazzi, senza foglietto non si riesce a seguire. Stanno sul tavolo).
Un seme, l’albero. Uno stelo, la
rosa. Il Regno di Dio all’inizio è una cosa insignificante, poi esploderà e
invaderà il mondo. Noi siamo qui, stasera, come un ennesimo frutto, segno del
Regno di Dio che era Gesù con pochi discepoli e adesso è una marea di persone:
anche i giovani che affollano
Bruno, che è il chitarrista che ci aiuta a pregare stasera, sottolinea la nostra lettura, la nostra Preghiera, con la maestria della sua chitarra.
***
Leggiamo adagio questa sequenza, mentre Bruno continua con i suoi arpeggi, a due cori: le donne e gli uomini. Le donne:
Siamo piccoli semi
ma adagio cresceremo
nelle tue mani, Padre.
Tempo dal seme al grano,
dalla farina al pane:
miracoli di attesa.
Pazienza di aspettare,
speranza per sognare,
coraggio a vincer fatica.
Nel buio cresce il seme
e il bimbo nel segreto
diventa uomo forte.
Rendici alberi forti,
provati alla tempesta
sempre verdi.
Allarga i nostri rami
per ospitare nidi
e canti nuovi di uccelli.
Grazie perché scommetti
sul poco che noi siamo
per ciò che non si vede.
Guarda la nostra chiesa
e rendila accogliente
di frutti e di aquiloni.
Eccoci al momento della canzone. Dovete fare un piccolo sforzo, perché il vostro Vescovo stasera ha scelto una canzone che ovviamente piace a lui e che non rientra nei vostri gusti ma, poiché è segnata alla mia storia, a volte uno riesce a trasmettere meglio le cose che in qualche maniera ha sofferto, perché questa canzone, per più di dieci anni, è stata il mio “inno nazionale”. Spero che anche voi abbiate qualche canzone che sia (…) la canzone della vostra vita, a dire: questa è la mia canzone. Succede sempre per gli amori: è la nostra canzone, la canzone con cui abbiamo cominciato, la canzone dell’estate in cui ci siamo messi insieme. Ma vale anche per le persone singole, cioè una canzone che dica di noi e della stagione che viviamo. Allora questa canzone vi racconta cosa sentiva da giovane il vostro Vescovo, è un po’ datata, è di De Crescenzo, ma credo che mantenga il suo valore: Ma quantu tiempo ce vo’. Adesso la ascoltiamo e poi, di volta in volta, ve ne darò qualche linea di commento.
Ma quantu tiempo ce vo’ (De Crescenzo)
Se po’ arrivà ncopp’ ‘a luna
Ma quantu tiempo ce vo’
Nuje nu vulimmo a nisciuno, nisciuno
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì
Ha da passà sta paura
Ma quantu tiempo ce vo’
Stanno criscenno ‘e ccriature
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì
Vuttammo ‘e mmane a gghìa faticà
Tanto ‘e parole nun fanno magnà
Fanno sultanto rumore e ce fanno ‘mbriacà
Vuttammo ‘e mmane e astregnimmo ‘o brodo
È fresca l’ aria int’ ‘e viche scure
Ma quanto ce vo’ ancora
Pe apparà chisti mure
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe vedè ‘o grano ammaturo, ammaturo
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun se moveno a ccà
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Quacche vota l’ aggi’ ‘a ncuntrà
Pe ce guardà dint’ a l’ uocchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe ce sanà chesti rrecchie, sti rrecchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Si ce abbastasse na musica
Ma non c’abbasta na musica
Quaccheduna s’ ha da scetà
Qui c’è tutta la mia impazienza
di quando avevo la vostra età - e forse anche qualche anno in più - ma c’è
stata, e spero che riusciate a scoprirla anche voi, stasera, una via di
sapienza. Perché, vi dicevo, è stato il mio “inno nazionale” per dieci anni?
Perché un giovane prete vorrebbe cambiare tutto, vorrebbe vedere la sua
parrocchia rinascere in un attimo, vorrebbe avere credito tra i sacerdoti più
anziani, vorrebbe mettere su una comunità giovanile, una parrocchia vivace:
tutti buoni desideri, ma quantu tiempo ce
vo’? E allora cerchiamo di raccogliere stasera questa lezione: le cose
grandi hanno bisogno di una virtù che noi non abbiamo, che si chiama
“pazienza”. “Pazienza” – come sanno quelli fra voi che studiano, non so, al
classico - viene da un verbo latino che significa “soffrire”. Cioè la pazienza
non è una sorta di sopportazione semplice: “Va be’, prendila a pazienza”. No,
è l’accettazione della sofferenza del
momento presente, in vista di qualcosa di bello che potrà accadere anche grazie
all’offerta della mia sopportazione, del mio dolore, del mio saper aspettare
quando è il mio turno, del mio saper aspettare che le cose maturino. E qui vi
do un breve scorso. Innanzi tutto, forse il verso più bello è Se po’ arrivà ncopp’ ‘a luna. Quando,
nell’Ottocento, Leopardi guardava
Allora i capofila stanno ricevendo questa bustina che contiene circa 10, 15 semi di senapa, autentici, eh? DOC! Ce li ha portati Vitaliano dalla Terra Santa. Allora chi ha ricevuto la bustina adesso, la apra facendo attenzione che non cadano questi semi preziosissimi. Apritela e date un semino ad ogni persona. Attenti: dovete aprirli nel palmo della mano perché sono così piccoli…Riuscite a capire cosa Gesù voleva dire: questi sono i semi di cui Gesù parla. Aprite e cominciate a dare un semino a persona, a quelle della vostra fila, velocemente. Le donne che hanno le unghie saranno più brave. Dovete fare fatica a vederli, tanto sono piccoli.
***
In silenzio, perché stanno dormendo i semini, non li svegliamo. Ecco, questo è un modo per fare una meditazione visiva. Allora, non ce lo siamo inventati, vengono dalla Terra Santa, quindi sono i semi cui Gesù fa riferimento. Avete mai visto un seme piccolo quanto questo? Sarà difficile. Bene, questo è il Regno di Dio, cioè una cosa che se io faccio… soffio, va via, ma se questo seme va via, non cresce questo albero. E che differenza c’è tra questo semino e questo albero? Qual è il rapporto? Uno a… Carmen, quanto è? Uno a… In maniera indescrivibile, il rapporto tra questo seme e l’albero che nasce. Cari giovani, questa è la speranza. Quella che avete in mano è la speranza, si chiama speranza, e la speranza è sempre piccola e se tu non la sai cullare, se tu non sai darle grinta, darle spazio, darle tempo, questa speranza si perde. Pensate quanti semi vanno perduti, quante piante non nascono, quante cose belle non si realizzano, perché uno dice: “Ma questo è insignificante!”. Ma intanto questo seme, con la terra e con il tempo, diventa un albero. E allora adesso, con in mano il granellino di senapa, ci riascoltiamo De Crescenzo, chiedendoci: ma queste nuvole, che sono che non ci fanno partire?
Ma quantu tiempo ce vo’ (De
Crescenzo)
Se po’ arrivà ncopp’ ‘a luna
Ma quantu tiempo ce vo’
Nuje nu vulimmo a nisciuno, nisciuno
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì
Ha da passà sta paura
Ma quantu tiempo ce vo’
Stanno criscenno ‘e ccriature
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì
Vuttammo ‘e mmane a gghìa faticà
Tanto ‘e parole nun fanno magnà
Fanno sultanto rumore e ce fanno ‘mbriacà
Vuttammo ‘e mmane e astregnimmo ‘o brodo
È fresca l’ aria int’ ‘e viche scure
Ma quanto ce vo’ ancora
Pe apparà chisti mure
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe vedè ‘o grano ammaturo, ammaturo
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun se moveno a ccà
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Quacche vota l’ aggi’ ‘a ncuntrà
Pe ce guardà dint’ a l’ uocchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe ce sanà chesti rrecchie, sti rrecchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Si ce abbastasse na musica
Ma non c’abbasta na musica
Quaccheduna s’ ha da scetà
Cosa sono queste nuvole contro
cui impreca De Crescenzo. Ma chi ce ‘e
manna sti nuvole ca nun ce fanno partì? E qui entriamo in un aspetto un po’
doloroso – e andiamo verso la conclusione del nostro incontro – ed è il
sottolineare che l’attesa non può essere un’attesa inoperosa, perché qualcuno
dice: “Vabbé, ci vuole tempo, la cosa andrà da sola. Ci vuole tempo, verrà il
tempo…”. Ma intanto io posso fare qualcosa? Tu puoi fare qualcosa perché questo
tempo venga?, perché si appresti, si accorci in qualche maniera? E la risposta
è sì, perché, cari giovani, molti di voi, con la scusa delle nuvole - ce stanno sempe sti nuvole ca nun ce fanno
partì - non partono mai, e aspettano tutto dall’alto, tutto dagli altri. È
una cosa gravissima pensare che è iniziato un anno scolastico e voi possiate
non impegnarvi; che è iniziato un anno accademico all’università e possiate dormire
fino a tardi senza andare a seguire i corsi e fare gli esami; che alcuni di voi
possano aspettare che arrivi il posto dall’alto, che qualcuno bussi: “C’è per
caso la signorina laureata in Pedagogia, Maria De Cristoforo, che potrebbe
onorarci della sua presenza nella nostra scuola?”. Non va così la vita. Le
nuvole ci sono sempre e noi, con la scusa di aspettare un cielo completamente
limpido, non facciamo quello che potremmo fare: studiare, cercare, diventare
migliori, cominciare a farla adesso
Vuttammo ‘e mmane a gghìa faticà
Tanto ‘e parole nun fanno magnà
Fanno sultanto rumore e ce fanno ‘mbriacà
Cioè un invito a fare. Questo è
un termine che non si usa più: Vuttammo
‘e mmane. Vuttammo ‘e mmane lo
usano i muratori per dire “facciamo in fretta”, cioè facciamo crescere questo
muro, facciamo in modo che la giornata inizi bene. Ma una giornata comincia
bene quando – attenti, anche questo vi fa male - quando sentiamo l’aria fresca int’ ‘e viche scure. Cosa significa
l’aria fresca int’ ‘e viche scure?
Significa alzarsi presto e sentire il fresco quando ancora deve sorgere il
sole. Ecco, questi sono uomini e donne che non aspettano tutto dall’alto.
Certo, ci vuole tempo, ma ci vuole anche impegno, ci vuole anche amore, c’è
bisogno anche che tu faccia un piccolo passo, che tu faccia una telefonata, che
tu apra un libro, che tu faccia un esame, che tu vada a seguire corsi, che tu
vada a scuola. Quando vi confessate, mai (credo, mai) dite: “Chiedo perdono
perché non faccio il mio dovere”. È un dovere morale studiare, proprio perché
sulla Luna non ci si arriva sognando, non ci si arriva aspettando un’astronave
che si apra sul cortile di casa mia: “Prego, si accomodi, andiamo sulla Luna”.
Quanta fatica nel fare tentativi, nel mandare sonde, nel fare progetti, per
rendere possibile l’allunaggio, allora. E così anche nella tua vita si
realizzerà qualcosa di grande, solo se tu metterai amore, impegno e, perché
no?, lavoro ogni giorno, sentendo anche ‘u
frisco int’ ‘e viche scure, cioè quando mi alzo e vado alla stazione che è
ancora notte. Alcuni di voi, credo che facciano questa esperienza, in
particolare all’università, perché vanno, non so, a Cassino. Lì vedo Mario: a
che ora ti svegli, Mario, la mattina? Alle sei… Non so voi a che ora vi
svegliate. Per fare bene l’iter universitario, bisogna svegliarsi alle sei. Ci sono
anche alcuni che si svegliano prima. Allora capite come questo discorso si fa
concreto? Perché certo, riguardo al Regno di Dio questo semino piccolissimo può
diventare un albero, ma non succederà con “abracadabra”, non succederà con un
colpo di bacchetta magica: accadrà attraverso un’attesa amante e operosa.
Allora per questo, prima di chiudere, devo fare uno spot pubblicitario, ma mi
dispiace, questo spot è solo per i ragazzi: vietato alle donne. Stefano è
venuto? Stefano, vieni qui, ormai sei la mascotte. Vieni. Allora le donne per
favore chiudano gli occhi, non ascoltino. Non c’entra niente con
Adesso ci teniamo per mano e diciamo insieme:
Padre nostro…
Ti ringraziamo, o Signore, per la speranza che questa sera ci hai affidato: donaci pazienza, perseveranza, testardaggine nell’inseguire i nostri sogni, nell’essere disposti a pagare anche prezzi alti, ma donaci la perseveranza nel vivere il quotidiano, perché il granellino di senapa possa diventare il grande albero e aiutaci a fare attenzione a dove mettiamo i semini, per non trovarci con in braccio una zucca, come Stefano, in questo momento.
Prima della benedizione, due avvisi: il primo. Un gruppo di giovani autonomamente ha tirato fuori un giornalino che servirà un po’da collegamento per i giovani della Diocesi. Si chiama Ghibli. Ghibli è un vento impetuoso che cambia la geografia del deserto. Voglio incoraggiare questa iniziativa veramente nata totalmente da loro e lo riceverete alla fine. Poi c’è Maria che da Calvi ha da farci un breve spot pubblicitario.
***
Il prossimo incontro è di giovedì e non di venerdì, come avete visto sul foglietto, perché così è stato programmato, quindi è meglio che lasciamo per quella data. Durante questo tempo il seme, il granellino di senapa deve diventare già un po’ più grande anche attraverso l’interscambio dei giovani cristiani della nostra Diocesi. Stasera siete anche in tanti. Ringrazio anche quelli che sono arrivati qui per la prima volta - non dico chi, ma ci capiamo – che, spero, possano tornare e ciascuno di voi deve tornare, se il granellino di senapa comincia ad attecchire, almeno con un’altra persona, in modo tale che questi appuntamenti possano segnare il nostro cammino di crescita e ovviamente avere degli approfondimenti nei singoli gruppi e nelle parrocchie.
Benedizione del Vescovo
Facciamo il canto finale e poi c’è del tempo per salutarci.
È bello lodarti
È bello cantare il tuo amore,
è bello lodare il tuo nome.
È bello cantare il tuo amore,
è bello lodarti Signore,
è bello cantare a te. (2v)
Tu che sei l’Amore infinito,
che neppure il cielo può contenere,
ti sei fatto uomo, tu sei venuto qui
ad abitare in mezzo a noi, allora...
È bello cantare il tuo amore...
***
Auguri, buona serata. Possiamo salutarci, con l’augurio che questo seme cresca. Buona serata.
Il testo, tratto direttamente dalla
registrazione, non è stato rivisto dall’autore.