PREGHIERA-GIOVANI

 

guidata da

 

S. E. MONS. ARTURO AIELLO

 

“Per fare un albero”

 

Cattedrale di Teano

 

Venerdì, 24 Ottobre  2008

 

~ ~ ~

 

 

L’acqua viva

 

Chi berrà la mia acqua
non avrà più sete in eterno
e quest'acqua sarà per lui
fonte di vita per l'eternità

Affannati e stanchi
voi oppressi e poveri venite
attingete con gioia a Lui
alla sorgente di felicità

Fiumi di acqua viva
sgorgheranno in colui che crederà
nel Signore che dona a noi
l'acqua di vita e di verità

Percuotendo una roccia
dissetasti il popolo in cammino
fa che sempre noi camminiam
nel tuo timore e nella fedeltà

Fonte inesauribile
pace eterna, carità perfetta
noi a mensa con te sediam
dolce, immensa, santa Trinità. Amen

 

 

Nel nome del Padre…

 

Ci disponiamo a incontrare Gesù, e gli incontri si preparano, agli incontri ci si prepara. Vogliamo vivere questi primi istanti della nostra “preghiera mensile” come un momento per raccoglierci: ci si raccoglie per lanciarsi. Ripensiamo a questa settimana, alle persone incontrate, ai doni ricevuti, ai fallimenti - una vita è fatta anche di questo - e presentiamo tutto al Signore che ci ha qui convocati.

 

***

 

Ti ringrazio, Signore Gesù, perché sono qui. Grazie perché mi hai chiamato: vengo ad un appuntamento con Te e vorrei giungerci con la trepidazione con cui vado ad un appuntamento d’amore. Mi batte il cuore, non so cosa dire e mi chiedo: cosa mi dirai? Allarga il nostro cuore perché possiamo ascoltare la Tua Parola, l’unica che non passa. Ci sediamo.

Prima di ascoltare il brano, se qualcuno ancora vuole sistemarsi nel presbiterio, trovare una collocazione, lo faccia ora e dopo non ci si muoverà più.

Ascoltiamo.

 

Dal Vangelo di Matteo 13, 31-32

 

31 Un`altra parabola espose loro: "Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami".

 

Parola del Signore

Lode a Te, o Cristo

 

Una piccola Parola, ma una piccola Parola esplosiva, quella di stasera. Questo detto di Gesù,  questa piccola parabola, è inserita nel racconto del Regno di Dio. A che cosa paragonare il Regno di Dio? E tra tante immagini, tra tante parabole che Gesù adotta, idea, c’è questa del seme, del granellino di senapa. Quindi c’è un’opposizione tra un inizio piccolissimo che non si vede e una realizzazione grande: il Regno di Dio comincia in silenzio, comincia sottovoce, comincia senza proclami, senza gesti eclatanti, senza attirare l’attenzione. Avete mai visto qualcosa crescere? Voi potreste rispondermi: “Sì” - e sbagliate - o “No”, e sbagliate lo stesso, nel senso che noi vediamo la crescita non mentre accade, ne vediamo le fasi: prima non c’è niente, poi c’è un piccolo filo d’erba, poi c’è uno stelo, sullo stelo un bocciolo, il bocciolo si apre ed ecco la rosa. È una crescita, l’abbiamo vista, ma in realtà non l’abbiamo vista, tanto che un cantautore dice che i giardinieri stanno “col naso sul gambo di una rosa” per fotografarla al momento in cui sboccia; ma quando sboccia la rosa non se ne accorgono mai. Quindi una crescita è sempre misteriosa ed è sempre silenziosa, anche la nostra. Anche quest’ora va crescendo nel cuore del Vescovo che la prepara, mettendo insieme la Parola, una canzone, un’idea, un messaggio. Forse i giovani della mia Diocesi hanno bisogno di capire questo passaggio. Come nasce questa Preghiera? Nasce misteriosamente. Poi voi arrivate qui e trovate un foglietto già fatto: Liberato lo ha battuto al computer, lo ha scritto al computer (purtroppo la stampante ha fatto i capricci e c’è qualche macchia d’inchiostro), ma è là, già bello e fatto, ma non è ancora la Preghiera che comincia adesso e che comincia misteriosamente. Attenti: tutto parte da zero e arriva a cento. Tutto comincia da niente e arriva a tanto.

(Bartolo, procura i foglietti per i tuoi ragazzi, senza foglietto non si riesce a seguire. Stanno sul tavolo).

Un seme, l’albero. Uno stelo, la rosa. Il Regno di Dio all’inizio è una cosa insignificante, poi esploderà e invaderà il mondo. Noi siamo qui, stasera, come un ennesimo frutto, segno del Regno di Dio che era Gesù con pochi discepoli e adesso è una marea di persone: anche i giovani che affollano la Cattedrale, stasera. Come avviene questa crescita? E la risposta è: avviene lentamente. Su questo avverbio ci fermiamo un attimo, perché vi fa molto problema, e non solo a voi, ma anche a noi, anche a noi grandi. Le cose che avvengono lentamente… L’avverbio è fatto in modo tale da esprimere anche col suono che ci vuole molto tempo: len-ta-men-te. Subito. Len-ta-men-te: ha tanti accenti, ha delle sillabe che si prolungano. Tutto quello che avviene lentamente a noi fa problema. Ha sempre fatto problema, oggi, in modo tutto particolare, perché abbiamo un’idea e la vogliamo realizzare, esprimiamo un desiderio e vorremmo che fosse Natale e il dono già pronto sotto l’albero. Vorrei avere quel ragazzo con gli occhi celesti… tah!, eccolo ai miei piedi! Vorrei quella ragazza bionda con gli occhi castani… ecco! No, il mondo non va così. Il mondo – dicevano i nostri nonni – è fatto a poco a poco. A proposito di “a poco a poco” mi viene sempre in mente… Il giorno dell’Immacolata io facevo la predica a Pignataro e volevo spiegare che la Madonna è la casa che Dio si è fatta e allora partivo da lontano, come è il mio solito, e cercavo di far capire che Dio, avendo avuto la possibilità di scegliersi una madre, si era scelta la più bella: se l’era fatta, se l’era forgiata. Allora, cercando un po’ di attirare l’attenzione, come faccio con la gente, dico: “Scusate, ma voi, se aveste la possibilità di farvi una casa, come ve la fareste?”. Mi aspettavo che dicessero: “Bellissima! Un castello!”. Un vecchietto al primo banco, anziano, anziano, dice: “…a poco, a poco” e mi fece cadere le braccia, perché tutto quello che io avevo argomentato, me lo fece crollare, perché nella sua sapienza… Era un anziano: un giovane non l’avrebbe detto. “A poco a poco” per dire: le cose che si fanno subito non sono buone. Se la ditta ti presenta la casa in tre mesi, probabilmente qualche imbroglio l’avrà fatto: il cemento c’è, ma non è armato. Invece, una casa “a poco a poco” significa che uno se l’è fatta bene. “A poco a poco” è la sapienza degli anziani. Invece, i giovani vogliono tutto e subito ed è questo quello che vi fa fare tanti errori. Allora prendiamo innanzi tutto questa parabola, capendo che le cose grandi avvengono a poco a poco, lentamente. Un amore cresce lentamente, una vita cresce lentamente, una professione, una progettualità cresce lentamente, così anche una famiglia, una comunità, un’amicizia: cresce lentamente. E quando tu cominci una storia, un’amicizia per esempio, a guardarla, quella sera, quel momento, quell’incontro a quel Campo-Scuola, sembra una cosa piccolissima, ma se tu hai l’accortezza di far crescere quel seme, allora avrai un albero. E allora qui abbiamo anche un albero. Non è finto, eh? È un albero vero. Tra l’altro quest’albero qui c’è già stato una volta: era più piccolino. Un po’ di anni fa, con il Vescovo Francesco, si pose questo segno che doveva essere un segno della Diocesi e quindi da ogni parrocchia arrivò un sacchettino di terra: da Pastorano, da Pignataro, da Vairano, da Mignano, da Roccamonfina, ecc… ogni parrocchia. Quindi le settanta parrocchie arrivarono con un sacchettino di terra per riempire questo grande vaso dove fu piantato un piccolo albero che adesso è cresciuto. L’ho messo qui innanzi tutto per ricordare che anche questo albero era piccolo e adesso è grande (è stato piantato con il Vescovo Francesco e adesso, in qualche maniera, se lo gode il Vescovo Arturo, nel giardino dell’Episcopio), ma anche perché aveste davanti l’immagine di un albero. Questo albero respira, questo albero, la mattina, riceve anche delle visite. In particolare in primavera, benché piccolo, ci sono degli uccelli che vanno a visitarlo. Questa immagine, che a voi sembra poetica, è scritta nella parabola, perché dice Gesù che questo granellino di senapa, piccolissimo, quando cresce diventa quasi un albero - dice un ortaggio, ma diventa quasi un albero - a tal punto che ha i rami e gli uccelli vanno a nidificare tra i suoi rami: un’immagine di fecondità, a dire che quello che era piccolo è diventato grande, e una cosa grande è un dono per tutti. Un grande amore non è solo il dono per la coppia, ma diventa un dono per i figli, per gli amici. Una cosa bella che è cominciata da niente, che è diventata formidabile, diventa un segno per tanti. Forse anche qualcuno dei vostri gruppi è cominciato in una maniera sparuta. “Nella mia parrocchia vengono tre giovani, quattro giovani spelacchiati: che posso fare?”. È una cosa piccola: questi quattro giovani spelacchiati possono diventare una marea. Bisogna avere questa fiducia che il piccolo diventa grande e all’atto in cui diventa grande, diventa ospitale, cioè accoglie anche altri. In fondo, se ci pensate – e mi fermo per questo primo momento – questa è la parabola della vita: c’è un bambino che ha bisogno di tutto, di cure, poi c’è un ragazzo, poi c’è un adolescente, poi c’è un giovane, poi c’è un adulto, ma quando raggiungiamo la maturità, non solo quella degli anni, noi ci diciamo: “Ma io cosa posso fare per gli altri? Ma questa vita, questo bene che ho, questa casa che abito, questa giovinezza che vivo, non può servire ad altri?”. E allora la persona finisce col diventare un albero dove arrivano tanti uccelli a nidificare. Gli uccelli sono i figli, gli uccelli sono gli amici, gli uccelli sono le persone anche che, sia pur brevemente, vengono a rinfrescarsi all’ombra dell’albero della tua vita e poi ripartono con maggiore speranza. Ecco, allora voi siete ancora un piccolo albero. Non dico un seme, perché siete già giovani, ma non siete ancora adulti: volete diventare grandi? Lo so che la risposta non è scontata. A volte voi non volete crescere. Vorreste restare adolescenti, diciottenni, quindicenni - ancora meglio – ventenni. A 25 vi sembra d’aver già finito la vita e invece dovete sentire questa voglia di diventare grandi che significa offrire quello che ho scoperto ad altri. Voglio diventare come questo albero? Voglio crescere? Voglio prendere, ma anche dare?, perché l’albero prende, ha bisogno di respirare, ma poi produce ossigeno. E noi ne abbiamo bisogno. Quanti di voi producono ossigeno già adesso? Quanti di voi producono solo anidride carbonica? Non voglio buttarla a lezione di chimica, ma capite: è importante che io produca qualcosa di buono per gli altri, già oggi, in classe, in famiglia, in parrocchia. Allora, rileggetevi personalmente questa piccola parabola di Gesù e chiedetevi: sto crescendo?, sto già producendo un po’ di ossigeno?, o sono uno che prende soltanto dalla vita?

Bruno, che è il chitarrista che ci aiuta a pregare stasera, sottolinea la nostra lettura, la nostra Preghiera, con la maestria della sua chitarra.

 

***

 

Leggiamo adagio questa sequenza, mentre Bruno continua con i suoi arpeggi, a due cori: le donne e gli uomini. Le donne:

 

Siamo piccoli semi

ma adagio cresceremo

nelle tue mani, Padre.

 

Tempo dal seme al grano,

dalla farina al pane:

miracoli di attesa.

 

Pazienza di aspettare,

speranza per sognare,

coraggio a vincer fatica.

 

Nel buio cresce il seme

e il bimbo nel segreto

diventa uomo forte.

 

Rendici alberi forti,

provati alla tempesta

sempre verdi.

 

Allarga i nostri rami

per ospitare nidi

e canti nuovi di uccelli.

 

Grazie perché scommetti

sul poco che noi siamo

per ciò che non si vede.

 

Guarda la nostra chiesa

e rendila accogliente

di frutti e di aquiloni.

 

Eccoci al momento della canzone. Dovete fare un piccolo sforzo, perché il vostro Vescovo stasera ha scelto una canzone che ovviamente piace a lui e che non rientra nei vostri gusti ma, poiché è segnata alla mia storia, a volte uno riesce a trasmettere meglio le cose che in qualche maniera ha sofferto, perché questa canzone, per più di dieci anni, è stata il mio “inno nazionale”. Spero che anche voi abbiate qualche canzone che sia (…) la canzone della vostra vita, a dire: questa è la mia canzone. Succede sempre per gli amori: è la nostra canzone, la canzone con cui abbiamo cominciato, la canzone dell’estate in cui ci siamo messi insieme. Ma vale anche per le persone singole, cioè una canzone che dica di noi e della stagione che viviamo. Allora questa canzone vi racconta cosa sentiva da giovane il vostro Vescovo, è un po’ datata, è di De Crescenzo, ma credo che mantenga il suo valore: Ma quantu tiempo ce vo’. Adesso la ascoltiamo e poi, di volta in volta, ve ne darò qualche linea di commento.

 

Ma quantu tiempo ce vo’ (De Crescenzo)

 

Se po’ arrivà ncopp’ ‘a luna
Ma quantu tiempo ce vo’
Nuje nu vulimmo a nisciuno, nisciuno
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì

Ha da passà sta paura

Ma quantu tiempo ce vo’ 

Stanno criscenno ‘e ccriature
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì

Vuttammo ‘e mmane a gghìa faticà
Tanto ‘e parole nun fanno magnà
Fanno sultanto rumore e ce fanno ‘mbriacà
Vuttammo ‘e mmane e astregnimmo ‘o brodo
È fresca l’ aria int’ ‘e viche scure
Ma quanto ce vo’ ancora

Pe apparà chisti mure
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe vedè ‘o grano ammaturo, ammaturo
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun se moveno a ccà
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Quacche vota l’ aggi’ ‘a ncuntrà

Pe ce guardà dint’ a l’ uocchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe ce sanà chesti rrecchie, sti rrecchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Si ce abbastasse na musica

Ma non c’abbasta na musica

Quaccheduna s’ ha da scetà

 

Qui c’è tutta la mia impazienza di quando avevo la vostra età - e forse anche qualche anno in più - ma c’è stata, e spero che riusciate a scoprirla anche voi, stasera, una via di sapienza. Perché, vi dicevo, è stato il mio “inno nazionale” per dieci anni? Perché un giovane prete vorrebbe cambiare tutto, vorrebbe vedere la sua parrocchia rinascere in un attimo, vorrebbe avere credito tra i sacerdoti più anziani, vorrebbe mettere su una comunità giovanile, una parrocchia vivace: tutti buoni desideri, ma quantu tiempo ce vo’? E allora cerchiamo di raccogliere stasera questa lezione: le cose grandi hanno bisogno di una virtù che noi non abbiamo, che si chiama “pazienza”. “Pazienza” – come sanno quelli fra voi che studiano, non so, al classico - viene da un verbo latino che significa “soffrire”. Cioè la pazienza non è una sorta di sopportazione semplice: “Va be’, prendila a pazienza”. No, è  l’accettazione della sofferenza del momento presente, in vista di qualcosa di bello che potrà accadere anche grazie all’offerta della mia sopportazione, del mio dolore, del mio saper aspettare quando è il mio turno, del mio saper aspettare che le cose maturino. E qui vi do un breve scorso. Innanzi tutto, forse il verso più bello è Se po’ arrivà ncopp’ ‘a luna. Quando, nell’Ottocento, Leopardi guardava la Luna, la definiva “Terra inaccessa”, nei Poemetti Conviviali. “Terra inaccessa” ma non solo nell’’800, ancora nel ’900, ’950. Insomma, era un progetto, un sogno: l’uomo potrà mai arrivare sulla Luna? Ebbene - voi non lo ricordate, ma noi sì, più vecchierelli - credo che avessi 15 anni quando vidi l’uomo approdare sulla Luna. Se po’ arrivà ncopp’ ‘a luna? Sì, ma ci vuole tempo. Anche qui “luna” intendila una cosa bella che vuoi raggiungere, tu come persona o che vuoi che l’umanità raggiunga, vuoi che la chiesa raggiunga, che la tua parrocchia, il tuo gruppo, la tua associazione… C’è bisogno di tanta pazienza e c’è bisogno che tu sappia aspettarla questa cosa, perché a volte, questa cose vengono, ma tu sei già andato via, perché non hai saputo aspettare. Per esempio, aspettare che un amore maturi, richiede una forza d’animo in un giovane non indifferente: all’atto in cui magari anche lei si decide, tu te ne sei già andato, ti sei – come diciamo noi – scocciato, sei già passato ad altro. Ecco, non hai avuto la pazienza di aspettare, perché ci vuole del tempo. Ci vuole del tempo in ogni cosa, per tutte le cose grandi, allora ci vuole tempo per arrivare sulla Luna, ci vuole tempo per essere autonomi. Questo “ma nuje nun vulimmo a nisciuno” non è un’espressione egoistica: si riferisce alla situazione di Napoli, sempre sotto il giogo di qualcuno. E allora vorremmo essere liberi, vorremmo non essere soggiogati da questo o quello, dagli Angioini, dai francesi, dai Borboni – per dirla con la storia antica, ma ci sono cose ancora oggi, bandiere che ancora oggi pesano – e allora qui De Crescenzo dice: “Nuje nun vulimmo a nisciuno”, cioè vorremmo essere liberi, non essere sotto il giogo di nessuno, ma ci vuole tempo. Ma quantu tiempo ce vo’? Sulle nuvole vi dirò dopo. Addà passà sta paura. Quanti di voi hanno paura? Prima indicavo una paura, quella di crescere, ma adesso mi riferisco alla paura di non essere belli. Ebbene, questa è una paura che attraversa il mondo giovanile, di non essere attraenti, di non essere come quello lì che basta che passa e tutte le ragazze gli vanno dietro, come quella lì che fa girare tutti i ragazzi. Questa paura addà passà, cioè anche tu hai la tua dignità, anche tu hai la tua bellezza, anche in te il Signore ha posto dei doni, ma perché questa paura passi ci vuole del tempo, devi saper aspettare anche che maturi qualcosa di bello in te. Stanno criscenno ‘e ccriature? Ma quantu tiempo ce vo’? E permettete che io pensi a questi sette che stanno in seminario, che sono ccriature, perché anche il Vescovo vorrebbe che questi sono entrati e… tah!, facciamo l’Ordinazione! Chissà chi li ordinerà… A volte me lo chiedo. Per esempio, avrò la gioia di imporre le mani ai cinque che stanno al primo anno, vederli qui stesi in fila tutti e cinque? Se ne scenderà la Cattedrale quel giorno dalla gioia perché, insomma, mo’ attendiamo l’Ordinazione Presbiterale di Vitaliano e uno già ci sembra tanto. Quando saranno cinque il Vescovo arriverà con la coramina. Il cerimoniere: “Eccellenza, prenda un po’ di gocce di coramina, prima di imporre le mani a questi cinque”. Stesi qui, sarà un miracolo! Ma quantu tiempo ce vo’? Primo anno, secondo, terzo, quarto, quinto… e queste ccriature che hanna crescere, stanno criscenno? Ci vuole tempo, devi saper aspettare, anche tu Vescovo, anche tu Chiesa. I genitori devono aspettare che i figli crescano. A volte li vorremmo già responsabili, già pronti e tu vorresti che il tuo ragazzo, la tua ragazza, i tuoi amici… Ma quantu tiempo ce vo’? …e pe apparà chisti mure? È una immagine da carpentiere, cioè per levigare questa parete piena di buchi - quindi tu con il cemento, a riempire, a mettere su una chiesa bella, senza buche, senza calcinacci che pendono - quantu tiempo ce vo’? Quello che dico della Chiesa vale anche per le nostre case: per costruire qualcosa di bello, quanto tiempo ce vo’? Pe vedè ‘o grano ammaturo, ammaturo… Si sta seminando il grano in questi giorni da qualche parte. È stato arato il terreno, si semina il grano, quanto tiempo ce vo’? Ci vogliono nove mesi per vedere il grano maturo, ci vogliono nove mesi perché nasca un bambino, ci vogliono 9 anni, e a volte 18, 24 e più per vedere una persona finalmente nel pieno della maturità. Per tutte le cose grandi, c’è bisogno di tempo e allora perché questo messaggio e questa Parola stasera possa avere anche un segno, quelli che stanno al centro, e solo loro, riceveranno una bustina. State tranquilli: non è da sniffare o da mettere sul cucchiaino.

Allora i capofila stanno ricevendo questa bustina che contiene circa 10, 15 semi di senapa, autentici, eh? DOC! Ce li ha portati Vitaliano dalla Terra Santa. Allora chi ha ricevuto la bustina adesso, la apra facendo attenzione che non cadano questi semi preziosissimi. Apritela e date un semino ad ogni persona. Attenti: dovete aprirli nel palmo della mano perché sono così piccoli…Riuscite a capire cosa Gesù voleva dire: questi sono i semi di cui Gesù parla. Aprite e cominciate a dare un semino a persona, a quelle della vostra fila, velocemente. Le donne che hanno le unghie saranno più brave. Dovete fare fatica a vederli, tanto sono piccoli.

 

***

 

In silenzio, perché stanno dormendo i semini, non li svegliamo. Ecco, questo è un modo per fare una meditazione visiva. Allora, non ce lo siamo inventati, vengono dalla Terra Santa, quindi sono i semi cui Gesù fa riferimento. Avete mai visto un seme piccolo quanto questo? Sarà difficile. Bene, questo è il Regno di Dio, cioè una cosa che se io faccio… soffio, va via, ma se questo seme va via, non cresce questo albero. E che differenza c’è tra questo semino e questo albero? Qual è il rapporto? Uno a… Carmen, quanto è? Uno a… In maniera indescrivibile, il rapporto tra questo seme e l’albero che nasce. Cari giovani, questa è la speranza. Quella che avete in mano è la speranza, si chiama speranza, e la speranza è sempre piccola e se tu non la sai cullare, se tu non sai darle grinta, darle spazio, darle tempo, questa speranza si perde. Pensate quanti semi vanno perduti, quante piante non nascono, quante cose belle non si realizzano, perché uno dice: “Ma questo è insignificante!”. Ma intanto questo seme, con la terra e con il tempo, diventa un albero. E allora adesso, con in mano il granellino di senapa, ci riascoltiamo De Crescenzo, chiedendoci: ma queste nuvole, che sono che non ci fanno partire?

 

Ma quantu tiempo ce vo’ (De Crescenzo)

 

Se po’ arrivà ncopp’ ‘a luna
Ma quantu tiempo ce vo’
Nuje nu vulimmo a nisciuno, nisciuno
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì

Ha da passà sta paura

Ma quantu tiempo ce vo’ 

Stanno criscenno ‘e ccriature
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun ce fanno partì
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Chi nun se riesce a capì

Vuttammo ‘e mmane a gghìa faticà
Tanto ‘e parole nun fanno magnà
Fanno sultanto rumore e ce fanno ‘mbriacà
Vuttammo ‘e mmane e astregnimmo ‘o brodo
È fresca l’ aria int’ ‘e viche scure
Ma quanto ce vo’ ancora

Pe apparà chisti mure
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe vedè ‘o grano ammaturo, ammaturo
Ma quantu tiempo ce vo’
Ce stanno sempe sti nuvole
Ca nun se moveno a ccà
Ma chi ce ‘e manna sti nuvole
Quacche vota l’ aggi’ ‘a ncuntrà

Pe ce guardà dint’ a l’ uocchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Pe ce sanà chesti rrecchie, sti rrecchie
Ma quantu tiempo ce vo’
Si ce abbastasse na musica

Ma non c’abbasta na musica

Quaccheduna s’ ha da scetà

 

 

Cosa sono queste nuvole contro cui impreca De Crescenzo. Ma chi ce ‘e manna sti nuvole ca nun ce fanno partì? E qui entriamo in un aspetto un po’ doloroso – e andiamo verso la conclusione del nostro incontro – ed è il sottolineare che l’attesa non può essere un’attesa inoperosa, perché qualcuno dice: “Vabbé, ci vuole tempo, la cosa andrà da sola. Ci vuole tempo, verrà il tempo…”. Ma intanto io posso fare qualcosa? Tu puoi fare qualcosa perché questo tempo venga?, perché si appresti, si accorci in qualche maniera? E la risposta è sì, perché, cari giovani, molti di voi, con la scusa delle nuvole - ce stanno sempe sti nuvole ca nun ce fanno partì - non partono mai, e aspettano tutto dall’alto, tutto dagli altri. È una cosa gravissima pensare che è iniziato un anno scolastico e voi possiate non impegnarvi; che è iniziato un anno accademico all’università e possiate dormire fino a tardi senza andare a seguire i corsi e fare gli esami; che alcuni di voi possano aspettare che arrivi il posto dall’alto, che qualcuno bussi: “C’è per caso la signorina laureata in Pedagogia, Maria De Cristoforo, che potrebbe onorarci della sua presenza nella nostra scuola?”. Non va così la vita. Le nuvole ci sono sempre e noi, con la scusa di aspettare un cielo completamente limpido, non facciamo quello che potremmo fare: studiare, cercare, diventare migliori, cominciare a farla adesso la Chiesa, adesso una parrocchia più viva, una famiglia più bella. Questa canzone è bella anche perché ferisce quelli che aspettano che le cose arrivino da altrove, e lo dice anche il testo centrale: 

 

Vuttammo ‘e mmane a gghìa faticà
Tanto ‘e parole nun fanno magnà
Fanno sultanto rumore e ce fanno ‘mbriacà

 

Cioè un invito a fare. Questo è un termine che non si usa più: Vuttammo ‘e mmane. Vuttammo ‘e mmane lo usano i muratori per dire “facciamo in fretta”, cioè facciamo crescere questo muro, facciamo in modo che la giornata inizi bene. Ma una giornata comincia bene quando – attenti, anche questo vi fa male - quando sentiamo l’aria fresca int’ ‘e viche scure. Cosa significa l’aria fresca int’ ‘e viche scure? Significa alzarsi presto e sentire il fresco quando ancora deve sorgere il sole. Ecco, questi sono uomini e donne che non aspettano tutto dall’alto. Certo, ci vuole tempo, ma ci vuole anche impegno, ci vuole anche amore, c’è bisogno anche che tu faccia un piccolo passo, che tu faccia una telefonata, che tu apra un libro, che tu faccia un esame, che tu vada a seguire corsi, che tu vada a scuola. Quando vi confessate, mai (credo, mai) dite: “Chiedo perdono perché non faccio il mio dovere”. È un dovere morale studiare, proprio perché sulla Luna non ci si arriva sognando, non ci si arriva aspettando un’astronave che si apra sul cortile di casa mia: “Prego, si accomodi, andiamo sulla Luna”. Quanta fatica nel fare tentativi, nel mandare sonde, nel fare progetti, per rendere possibile l’allunaggio, allora. E così anche nella tua vita si realizzerà qualcosa di grande, solo se tu metterai amore, impegno e, perché no?, lavoro ogni giorno, sentendo anche ‘u frisco int’ ‘e viche scure, cioè quando mi alzo e vado alla stazione che è ancora notte. Alcuni di voi, credo che facciano questa esperienza, in particolare all’università, perché vanno, non so, a Cassino. Lì vedo Mario: a che ora ti svegli, Mario, la mattina? Alle sei… Non so voi a che ora vi svegliate. Per fare bene l’iter universitario, bisogna svegliarsi alle sei. Ci sono anche alcuni che si svegliano prima. Allora capite come questo discorso si fa concreto? Perché certo, riguardo al Regno di Dio questo semino piccolissimo può diventare un albero, ma non succederà con “abracadabra”, non succederà con un colpo di bacchetta magica: accadrà attraverso un’attesa amante e operosa. Allora per questo, prima di chiudere, devo fare uno spot pubblicitario, ma mi dispiace, questo spot è solo per i ragazzi: vietato alle donne. Stefano è venuto? Stefano, vieni qui, ormai sei la mascotte. Vieni. Allora le donne per favore chiudano gli occhi, non ascoltino. Non c’entra niente con la Preghiera, però poiché ho visto questa zucca, questa mega-zucca… (Prendi quella zucca più grossa…). Le donne, occhi chiusi e orecchi chiusi: vietato alle donne. Allora, Stefano, questa zucca mi ha un po’ provocato, perché Tonino una mattina è salito dal giardino che è sotto l’Episcopio con questa mega-zucca e… “Tonino, da dove arriva questa zucca?”. “Eccellenza, io per caso, ho buttato dei semi di zucca… Sono nate un sacco di zucche che camminano per…”. Stefano, lo dico a te, e lo dico ai maschietti: stiamo anche attenti a dove buttiamo i semini, perché ci sono dei semi che hanno bisogno di tanta pazienza e di tanto amore per crescere; ce ne sono altri, come questo che pesa, che crescono come … Tonino ha fatto questa mossa per dire: stanno camminando le zucche sotto il giardino dell’Episcopio, ed io passando ho buttato qualche seme di zucca, ma non pensavo che ne uscisse questo zuccone che adesso, Stefano, fa tanta fatica… Lo dovrai mantenere fino alla fine della preghiera, Stefano, altrimenti non capiscono, non capiscono i tuoi compagni cosa significa anche fare attenzione a tutti i tipi di semi, anche a quelli che non diciamo. Ci mettiamo in piedi.

Adesso ci teniamo per mano e diciamo insieme:

 

Padre nostro…

 

Ti ringraziamo, o Signore, per la speranza che questa sera ci hai affidato: donaci pazienza, perseveranza, testardaggine nell’inseguire i nostri sogni, nell’essere disposti a pagare anche prezzi alti, ma donaci la perseveranza nel vivere il quotidiano, perché il granellino di senapa possa diventare il grande albero e aiutaci a fare attenzione a dove mettiamo i semini, per non trovarci con in braccio una zucca, come Stefano, in questo momento.

Prima della benedizione, due avvisi: il primo. Un gruppo di giovani autonomamente ha tirato fuori un giornalino che servirà un po’da collegamento per i giovani della Diocesi. Si chiama Ghibli. Ghibli è un vento impetuoso che cambia la geografia del deserto. Voglio incoraggiare questa iniziativa veramente nata totalmente da loro e lo riceverete alla fine. Poi c’è Maria che da Calvi ha da farci un breve spot pubblicitario.

 

***

Il prossimo incontro è di giovedì e non di venerdì, come avete visto sul foglietto, perché così è stato programmato, quindi è meglio che lasciamo per quella data. Durante questo tempo il seme, il granellino di senapa deve diventare già un po’ più grande anche attraverso l’interscambio dei giovani cristiani della nostra Diocesi. Stasera siete anche in tanti. Ringrazio anche quelli che sono arrivati qui per la prima volta - non dico chi, ma ci capiamo – che, spero, possano tornare e ciascuno di voi deve tornare, se il granellino di senapa comincia ad attecchire, almeno con un’altra persona, in modo tale che questi appuntamenti possano segnare il nostro cammino di crescita e ovviamente avere degli approfondimenti nei singoli gruppi e nelle parrocchie.

 

Benedizione  del Vescovo

 

Facciamo il canto finale e poi c’è del tempo per salutarci.

  

È bello lodarti

È bello cantare il tuo amore,
è bello lodare il tuo nome.
È bello cantare il tuo amore,
è bello lodarti Signore,
è bello cantare a te. (2v)

Tu che sei l’Amore infinito,
che neppure il cielo può contenere,
ti sei fatto uomo, tu sei venuto qui
ad abitare in mezzo a noi, allora...

È bello cantare il tuo amore...

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Auguri, buona serata. Possiamo salutarci, con l’augurio che questo seme cresca. Buona serata.

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.