PREGHIERA-GIOVANI

 

guidata da

 

S. E. MONS. ARTURO AIELLO

 

“Custodire la Grazia

 

Chiesa San Francesco

 

Teano, 30 Gennaio 2009

 

~ ~ ~

 

Solo un attimo per metterci sulla giusta lunghezza d’onda, cioè spengo il telefonino, mi metto in contatto, faccio il prefisso della preghiera, metto da parte le altre cose, le altre preoccupazioni per un momento di crescita.

Nel nome del Padre…

 

Sei grande Dio

C’è una vita

che respira in tutto l’universo,

è il cuore del mondo

delle sue creature

che grida forte

questa sua canzone.
Sei grande Dio
sei grande come il mondo mio
sei immenso come il cielo
come il cuore di ogni madre della terra.
(2v)

Io ti porto

il mio cuore pieno di problemi

ti porto il mio cuore

anche se nel mio dolore

ti grida forte

questa sua canzone.

Sei grande Dio…

Le speranze

noi ti offriamo Dio dell’universo

le attese del mondo

del tuo popolo o Signore

che loda e canta

questa sua canzone.

Sei grande Dio…

 

Siamo qui, Signore, per Te, per naufragare nel Tuo mare. Il Tuo cuore è grande come il mondo, come il cuore di una madre, dove non abbiamo paura di entrare. Ciascuno di noi si sente e si senta accolto da Te: nonostante il freddo, nonostante l’essere un po’ pigiati, aiutaci ad accogliere la Tua Parola. Grazie, perché ci doni questa pausa, grazie perché ci parli e se ci parli Tu, il nostro cuore arde.

Prima di ascoltare il Vangelo, ultimo avviso prima che parta “l’aereo”: tutti quelli che sono in fondo possono venire qui avanti, perché tra cinque minuti arriveranno altri cinquanta ritardatari. Don Maurizio, spingi avanti questo popolo, coraggio! Ci sono anche i gradini per chi abbia qualche problema alle ginocchia. Ok, da questo punto in poi, silenzio. Ascoltiamo.

 

Dal Vangelo di Luca (17, 11-19)

 

11 Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. 12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13 alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!". 14 Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16 e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18 Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all`infuori di questo straniero?". E gli disse: 19 "Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!".

 

Cominciamo il nostro viaggio mensile: un viaggio gratuito, viaggio perché si cammina, anche se state fermi, e molti di voi anche in piedi. Facciamo questo viaggio a partire dal titolo della Preghiera di stasera: “Custodire la Grazia”. Parto da una considerazione: i giovani hanno tanti doni, a partire dalla giovinezza, ma insieme con la giovinezza e nella giovinezza ci sono tanti altri doni di alcuni neanche vi rendete conto. Rischiate di perdere il 99% dei doni che ricevete: mi riferisco a doni legati al corpo, doni legati alla mente, doni legati al cuore, doni che sono gli altri, le amicizie. A volte, i giovani - e hanno ragione - fanno un dramma per un’amicizia che si perde, ma c’è un modo per conservare? C’è un modo per custodire? È questo l’interrogativo che io mi sono posto pensando alla Preghiera di stasera: insegnare l’arte di custodire a chi, avendo tanti doni, rischia di sperperarli, rischia, tra dieci anni, di non averne neppure uno. Facciamo questo viaggio a partire dalla Parola che avete ascoltato, che normalmente viene commentata come l’importanza di dire grazie: di questi dieci lebbrosi tutti sono stati guariti, ma ne torna indietro uno solo. “E gli altri nove dove sono?”, si chiede Gesù, cioè “Che ne è del resto?”. Il problema non è che i nove che non sono venuti sono scostumati (come direbbero i vostri genitori): non è questo il problema, sarebbe un problema di forma. Il vero problema è che questi nove hanno perso il miracolo, tanto che Gesù dice all’unico che è tornato: “La tua fede ti ha salvato”. Quindi sono inizialmente guariti tutti e dieci, ma alla fine resta “guarito dentro” uno solo. Che cos’è accaduto per gli altri nove? Non hanno saputo custodire il miracolo e quindi sono tornati alla lebbra e si chiedono: ma com’è che sono tornate le chiazze e la putrefazione sulla mia pelle? Non mi ha guarito Gesù? Sì, ti ha guarito, ma il miracolo che tu avevi ricevuto, il dono che tu avevi ricevuto l’hai perduto. Per aiutarvi nella memoria, ho messo qui sette verbi che scandiranno questo nostro viaggio.

Diventa più interessante se ve lo presento così. Ho una ragazza bellissima, o un ragazzo meraviglioso col quale sto: come fare  a conservarlo? C’è un modo? Riuscirà Stefano a conservare Noemi, per esempio? Ce li ho qui, ai miei piedi. Riuscirà Noemi a tenere al cappio Stefano? È un amore adolescente; magari Stefano neanche si pone il problema “vorrei che Noemi fosse la compagna della mia vita”, ma qualche volta lo sogna e, vedendo tante coppie che scoppiano, si chiede: “Ma succederà anche a noi? Anch’io perderò Noemi?”. E Noemi dice: “Stefano, che è così carino, così bellino, che fa l’attore, che è un po’ iljolly’ – il Vescovo lo tira sempre in ballo ad ogni Preghiera in Cattedrale – riuscirò a conservarlo?”. Questo è un amore adolescente; tra voi ci sono giovani più avanti nella giovinezza, che hanno un amore più consistente e si chiedono: ma come fare a conservarlo, visto che oggi vediamo franare tanti affetti? Vi ho posto il problema da due versanti diversi, ma è lo stesso identico problema: è possibile custodire una cosa importante? Seguiamo un attimo questi verbi.

Innanzi tutto bisogna riconoscere, perché se io un dono non lo riconosco, non riesco a capire che valore ha e quindi dove devo metterlo. Se vi regalano un anello falso, voi dovete riconoscere che è falso e che quindi potete anche lasciarlo in giro per la casa. Ma se vi regalano un anello con un brillante vero, quindi con la montatura in oro bianco (perché pare che sia ancora di moda), e poi dice il gioielliere: “Guardi che questo è di tot carati” (per dire che è un brillante), dove lo metti? Per sapere dove metterlo, devi riconoscerlo e dire: questo è un anello vero, questo è un anello falso. L’anello vero lo metto in cassaforte, quello falso posso metterlo anche tutti i giorni e se dovesse cadermi dal dito, sfilarsi mentre cammino e non me ne accorgo… “Va be’! Tanto era falso”.

Dal verbo “riconoscere” viene la parola “riconoscenza”: in fondo, questi nove non hanno saputo riconoscere e per questo non sono riconoscenti. Sono riconoscenti solo quelli che riconoscono. A volte, anche nei confronti dei vostri genitori, voi non sapete riconoscerli e quindi non riuscite a dire grazie, ma anche nei confronti degli amici o delle persone che si occupano di voi. Allora devo innanzi tutto imparare a “riconoscere”, che significa “distinguere”: questo è un amico vero, questo è un amico “così-così”; questo è un amico, questo è un compagno; questa è una ragazza di passaggio, questa è la ragazza della mia vita. Sai riconoscerlo? Sai renderti conto di quello che ti sta accadendo? Spesso vediamo nei giovani una sorta – non è colpa vostra – di superficialità, cioè “viviamo come viene”. No!, perché potresti buttar via un diamante, perché potresti conservare gelosamente un anello falso, perché potresti investire in una relazione inutile, perché una relazione, che potrebbe poi essere decisiva nella tua vita, puoi perderla. Innanzi tutto bisogna riconoscere e quindi se uno riconosce, ringrazia.

Il secondo verbo è ringraziare, una cosa che difficilmente si fa. Per esempio: ringraziare per il fatto che siamo vivi. A voi sembra un fatto scontato che siamo vivi: voi siete giovani, scattanti, pieni di vita, ma avete mai visto un manifesto – e non vi toccate – con “È morto… anni venti”? Si muore anche a vent’anni: significa che la mia vita non è scontata, è una cosa bella, è un dono. Tu stamattina ti sei svegliato ed è un dono. Forse è il caso di dire grazie, perché se riconosci che è un dono, tu certamente impari a ringraziare. Avete mai detto grazie? Stefano ha mai detto grazie a Noemi? Noemi ha mai detto grazie a Stefano? Tu hai mai detto grazie per un dono? Ma anche grazie per un sorriso, grazie perché mi tieni per mano, grazie perché mi vuoi bene… Sembra scontato che ci vogliamo bene. No, è un miracolo! È un miracolo! Normalmente la gente si detesta, lo vedete nel mondo degli adulti i quali dicono: “Eh! Adesso che sei giovane… Poi vedrai! Quando sarai adulto non troverai neanche uno che ti presta un euro!”. Gli adulti sono scottati e sono chiusi, gretti per lo più (non tutti per fortuna, ma molti). Imparate a dire grazie, perché se tu riconosci, conservi, se tu ringrazi, conservi, perché ringraziare è come fissare un evento, fissare un’amicizia, fissare un’esperienza. Se io non dico grazie, quella cosa va via: se io dico grazie metto un punto per cui quell’esperienza rimane nel ricordo. Noi non ricordiamo più le cose per cui non abbiamo mai ringraziato.

Terzo verbo, e poi mi fermo per ora, è – vi sembrerà un po’ strano – raccontare. Se io ho fatto un incontro interessante, mi viene una voglia matta di dirlo a qualcuno, o no? Se mi è andata bene una cosa, mi viene voglia di raccontarla: telefono immediatamente alla mia amica, al mio amico, faccio in modo che si sappia (adesso dico questo in una maniera superficiale). Il mio raccontare ha un significato più profondo: se tu non vuoi perdere una cosa, la devi raccontare. Allora direi di diffidare di quegli amori… “Non lo dire a nessuno… Stiamo insieme, ma non si sappia… Stiamo insieme, ma mi raccomando, se ci incontriamo per strada, non ci salutiamo nemmeno…”. Un amore così non è un amore, perché una cosa bella mi viene voglia di raccontarla sia per condividerla – attenti – sia per non perderla, perché raccontare è il verbo della memoria. Se tu non vuoi dimenticare una cosa, la devi raccontare una volta, due… Per questo il nonno dice sempre le stesse cose? Oltre all’Alzheimer, è anche per questo motivo. Il nonno dice sempre le stesse cose perché è fissato su alcuni fatti (“Nonno già me l’hai detto una volta! Me l’hai detto cinque minuti fa!”). Se uno racconta una cosa molte volte, non la perde. Sapete che questo verbo, per noi cristiani, ha un sapore particolare? Perché se – come spero – domenica scorsa avete partecipato alla Messa nella vostra parrocchia, cos’è la Celebrazione dell’Eucaristia se non il fatto che ogni Domenica ci raccontiamo? Sembra la stessa cosa, ma ce la raccontiamo per non perderla. Dice San Paolo: “Io vi ho trasmesso – cioè vi ho raccontato – quello che a mia volta ho ricevuto”, cioè un altro mi ha raccontato e io te lo racconto. Cari giovani, la vita e la fede camminano così, cioè ti racconto la vita: così sei nato tu. Sapete come siete nati? Siete nati da un racconto: vostro padre e vostra madre si sono detti una cosa, si sono raccontati, e siete nati voi, sono nato io. Io sono nato da un racconto: “Adesso ti racconto una bella cosa: c’era una volta…” e sono nato io. Forse nessuno vi ha mai fatto un’educazione sessuale così, ma è bella: la vita nasce da un racconto. Il giorno in cui nessuno ha più da raccontare l’amore, non nascono più bambini e la vita finirà. Quello che accade per la vita, accade anche per la fede, cioè se tu la fede non la racconti, la perdi. Quando una persona non va più a Messa, non frequenta più il gruppo parrocchiale, e quindi non sente più questo racconto che noi ascoltiamo da quando eravamo bambini, perde la fede. “Uh! Avevo la fede: dov’è?” (non l’anello). Dov’è? L’hai persa, perché non l’hai più raccontata e nessuno te l’ha più raccontata. C’è un bellissimo proverbio spagnolo (ve lo traduco) legato al Natale, in cui il bambino dice alla mamma: “Mamma, raccontami ancora, perché non finisca la speranza”. Il bambino chiede alla mamma di raccontare. Scommetto che l’avete fatto anche voi da bambini; le nostre mamme sono state angariate dal fatto che ogni sera noi chiedevamo loro lo stesso racconto: “Raccontamelo ancora”. Dovreste dirlo anche ai vostri preti, dovreste dirlo anche a me, vostro Vescovo, dovreste dirlo ai vostri parroci:

-         Sono venuto qua.

-         Perché sei venuto?

-         Sono venuto perché mi devi raccontare ancora quella cosa…

La fede, la vita, un’amicizia, la Grazia - ma questo lo diremo alla fine - le conserviamo solo se le riconosciamo, ne facciamo oggetto di ringraziamento, le raccontiamo. Chiedetevi, in questo istante di silenzio: io ho mai raccontato la fede a qualcuno? Come si racconta la fede? “Sai sto in questo gruppo, è interessante…”. Oppure: “Vieni all’oratorio!”. Questo è un modo per raccontare. “C’è un prete nella nostra parrocchia che sta rivoluzionando…! Quello che prima era tutto piatto, adesso è pieno di fervore. Vieni anche tu!”. L’hai mai fatto? All’atto in cui tu sei riuscito a portare un altro, non so, alla preghiera mensile al centro Diocesi o all’incontro in parrocchia, tu hai sentito immediatamente più forte la tua fede. Quello che non si racconta, indebolisce; quello che si racconta, diventa forte. Hai mai raccontato a qualcuno la tua fede? Chiedetevelo. 

 

***

 

Questi verbi, che sto cercando di descrivervi, sono importantissimi anche se qui ci fossero dieci, venti, cinquanta giovani atei e che dicono: questa cosa non ci interessa, perché noi non crediamo. Sì, ma sei interessato a custodire questa amicizia?, a custodire questo amore?, a custodire la vita?  Io penso di sì: allora riconoscila e quindi sii riconoscente, ringrazia, raccontala.

Mi fermo sul verbo affidare e poi ascoltiamo il nostro cantautore di turno. “Affidare” significa che se io ho una cosa preziosa, non me la tengo per me. Vi sembrerà un po’ assurdo quello che sto dicendo. Ma come? Se una cosa mi interessa, non la conservo? No, perché io posso distruggerla. Allora l’affido a un altro. Chi è quest’altro? Innanzi tutto è un amico: “Guarda ti devo raccontare questa cosa, perché te la voglio affidare”. Io spero che quando avete qualcosa di importante, bussiate alla porta della canonica del vostro parroco, per dire: “Don Luigi, mi sono innamorato!” (spero ti capiti). “Vieni, siediti, raccontami...”. E perché andate a raccontare a Don Luigi che vi siete innamorati? Voi dite: perché è il mio parroco, è anche il mio Padre Spirituale… Forse non ci hai mai pensato ma è come se tu volessi affidare al tuo parroco una cosa importante, dicendogli: “Mi raccomando, custodiscila”, che non significa solo, come voi pensate “Non lo dire a nessuno”, cioè “Custodisci un segreto”, ma “Custodiscila”, cioè “Custodiscici”. Ma questo vale per un amore un po’ più denso. Magari vado io e lei e dico: “Ti presento questa ragazza: sono quasi certo che è l’ultima, definitiva, non perché sto per suicidarmi, ma perché è la ragazza più bella,più più più’ che io abbia incontrato. Te l’affido, Don Luigi, perché tu possa tenerci, portarci nella preghiera, portarci sull’altare. Spero che domani, tra un po’ di anni, sia tu a benedire le nostre nozze”. Andrei un po’ troppo per le lunghe, ma credo che sposarsi in chiesa, fondamentalmente, sia questo: affidare a Dio il mio amore. Ma perché lo affido a Lui? Perché io temo di distruggerlo. Vi ricordate quand’eravate bambini, il giorno dell’Epifania arrivava il giocattolo bello, da smontare nel giro di poco tempo e la tristezza – io spero ve la ricordiate – di non saperlo più rimontare? Era bello, l’ho rotto. E perché l’ho rotto? Non me ne sono accorto. E così si rompono anche le amicizie, si rompono anche le cose belle della vita se io non le affido, se io non le do a un altro dicendo: tu che mi conosci, tu che sai di me e di lei, tu che sai che io ho questo dono, prendilo e tienilo al sicuro, perché io temo di metterlo sotto i piedi, temo di calpestarlo, temo di fargli male. È come un bambino che temo di stringere: lo stringerei così forte, potrei farlo morire, allora lo do ad una persona più grande. Quando eravamo bambini e ci regalavano un ciondolo, qualcosa d’oro, la prima cosa che facevano le nostre mamme – ed era una cosa terribile, ma saggissima -: “Va bene, dammelo, poi te lo do”. Ve lo ricordate? Voi restavate male: “Ma come? È mio!”. “Sì, mamma te lo conserva”. Adesso potete capirlo di più: perché le nostre mamme ci rubavano il laccetto d’oro, la crocetta d’oro, gli orecchini? Perché? Perché erano preziosi, perché noi li avremmo persi, perché noi non eravamo in grado di conservarli. Allora c’è bisogno che un altro, un amico, uno più grande, uno di cui ho fiducia, un prete, Dio, prenda quello che per me è importante, in modo tale da averlo al sicuro e chi, più di Dio, può tenere al sicuro un amore? Quelli fra voi che sono già sposati (c’è anche un piccolo gruppo di adulti), devono confessare: io sto ancora con mia moglie, io sto ancora con mio marito, perché il nostro amore non è più nostro, lo abbiamo dato, lo abbiamo affidato, perché nostro figlio lo abbiamo battezzato. Sono tutti gesti di affido: ti do questa cosa ma sappi, te la do, non perché non mi serve, ma perché mi serve molto e per questo tu me la conserverai. Adesso ascoltiamo un cantautore un po’ strano (che voi certamente conoscete meglio di me, ma che il Vescovo ha scoperto da poco), che ha tirato fuori una canzone, anche se un po’ lenta, sbalorditiva nel testo. Ascoltiamo.

OVUNQUE PROTEGGI

(Vinicio Capossela)

Non dormo, ho gli occhi aperti per te.
Guardo fuori e guardo intorno.
Com'è gonfia la strada
di polvere e vento nel viale del ritorno...

Quando arrivi, quando verrai per me
guarda l'angolo del cielo
dov'è scritto il tuo nome,
è scritto nel ferro
nel cerchio di un anello...

E ancora mi innamora
e mi fa sospirare così.
Adesso e per quando tornerà l'incanto.

E se mi trovi stanco,
e se mi trovi spento,
sei meglio già venuto
e non ho saputo
tenerlo dentro me.

I vecchi già lo sanno il perché,
e anche gli alberghi tristi,
che il troppo è per poco e non basta ancora
ed è una volta sola.

E ancora proteggi la grazia del mio cuore
adesso e per quando tornerà l'incanto.
L'incanto di te...
di te vicino a me.

Ho sassi nelle scarpe
e polvere sul cuore,
freddo nel sole
e non bastan le parole.

Mi spiace se ho peccato,
mi spiace se ho sbagliato.
Se non ci sono stato,
se non sono tornato.

Ma ancora proteggi la grazia del mio cuore,
adesso e per quando tornerà il tempo...
Il tempo per partire,
il tempo di restare,
il tempo di lasciare,
il tempo di abbracciare.

In ricchezza e in fortuna,
in pena e in povertà,
nella gioia e nel clamore,
nel lutto e nel dolore,
nel freddo e nel sole,
nel sonno e nell'amore.

Ovunque proteggi la grazia del mio cuore.
Ovunque proteggi la grazia del tuo cuore.

Ovunque proteggi, proteggimi nel male.
Ovunque proteggi la grazia del tuo cuore.

 

Spero che non vi sia rimasto solo il ritmo (“Questo lo metto alla prossima festa, perché è un buon lento”). No. Oltre al lento, che torna utile in certe feste, dopo che abbiamo fatto un ballo sfrenato, speriamo con buoni propositi, questa è anche una buona realizzazione. Ovviamente, per chi l’abbia ascoltata per la prima volta, non dice granché: come tutti i testi interessanti, bisogna ascoltarli e riascoltarli più volte. Può essere anche una preghiera, questo testo, di un cantautore un po’ lontano, almeno ufficialmente lontano, dai nostri canoni. Innanzi tutto è una richiesta di amore - cerco di riassumerlo in questa maniera - perché lui non riesce a dormire (Non dormo, ho gli occhi aperti per te), aspetta che lei torni, ma non torna, non torna subito. È difficile aspettare: Com’è gonfia la strada/ di polvere e vento nel viale del ritorno… / Quando arrivi, quando verrai per me / guarda l’angolo del cielo / dove è scritto il tuo nome. Ciascuno di voi avrà pensato: “Dentro il mio anello è scritto il nome di…”. Mi raccomando non fatevi fare i tatuaggi con il nome della ragazza di turno, perché poi per cancellarlo, ci vuole un intervento chirurgico. Va bene l’anello col nome scritto dentro o la medaglina, ma il tatuaggio non è proprio il massimo per quello che poi significa cancellarlo. Quindi spero che Stefano non abbia tatuato “Noemi” da qualche parte... Allora è scritto questo nome – dice - in cielo, è scritto nel ferro, nel cerchio di un anello. E ancora mi innamora / e mi fa sospirare / adesso e per quando tornerà l’incanto, perché adesso l’incanto non c’è. C’è sempre l’incanto nella tua coppia? No, non sempre. Anche questo, un giovane deve capire: l’incanto, per dire il momento in cui … uhhhh…, dura poco, è un attimo, è un’esperienza episodica, poi restiamo insieme in attesa che l’incanto torni e quante volte nella vita c’è l’incanto? Poche volte, per cui lui si è messo in attesa adesso e per quando tornerà l’incanto. È questo che fate fatica a capire: l’amore non è fatto di incanti continui, ma di un incanto ogni tanto, e tra un incanto e l’altro passa del tempo e bisogna stare attenti, bisogna conservare l’amore, altrimenti anche quando arriva l’incanto siamo già separati, non ci conosciamo più, ci siamo già distribuiti… “Questo è mio! Questo è tuo! Ridammi la mia roba! Dammi le mie lettere! Dammi i miei messaggini! Dammi il ciondolino che ti avevo regalato!”. Aspetta! Aspetta, perché l’incanto potrà tornare. È così difficile capire che l’amore non è l’incanto continuo! Allora lui ha paura che lei torni e lo trovi stanco, spento, o addirittura è già venuta e lui non ha saputo riconoscerla. Questo verso è il più bello: i vecchi già lo sanno… (ve lo commento alla fine). Poi comincia questa preghiera: proteggi la grazia del mio cuore, cioè proteggi questo amore, conservalo, raccontalo, dillo a qualcuno, affidalo a Dio, altrimenti non resterà niente, perché l’incanto viene ogni tanto. Fa anche rima: l’incanto viene ogni tanto.

Facciamo un esempio diverso. Qui c’è don Pietro, c’è don Luigi, qui c’è don Enzo: ma secondo voi, i vostri preti, sono sempre incantati? “Sì, qualche volta li vediamo sempre con la testa fra le nuvole…”. No, non questo, “incantati” nel senso “sempre innamorati di Gesù”. Loro a volte perdono l’incanto, lo aspettano e dicono: “Speriamo che torni l’incanto”. Io sono reduce da un Corso di Esercizi, predicato ad un gruppo di preti, e ho cercato di aiutarli a ritrovare l’incanto, ma l’incanto è difficile mantenerlo sempre, anche per noi. Quindi anche i vostri preti a volte si svegliano la mattina e dicono: “Uhhhh… Devo andare in parrocchia…”, come i vostri genitori si svegliano e…: “Uhhhh… Oggi è lunedì, ricomincia il lavoro…”. A voi sembra una cosa terribile e invece è la vita: è la vita! L’importante è capire che vengo da un incanto e vado verso un incanto e devo saper conservare la Grazia del mio cuore, la Grazia del tuo cuore, in modo tale che la prossima volta che ci incontriamo sia una serata eccezionale, la prossima volta che ci vediamo ci sia un incanto, la prossima Eucaristia che celebro mi senta in una dimensione mistica. Vedete, faccio questi esempi che sembrano di cose diverse, ma è la stessa identica cosa: un incanto che viene ogni tanto. Allora se l’incanto viene ogni tanto, ed io non so capirlo, non so aspettarlo, non so custodire l’incanto di ieri, dell’altro ieri, accade che chiudo le storie e quindi il mio parroco se ne va, io lascio questo ragazzo, il marito lascia la moglie, e ognuno se ne va per la sua strada, pensando: “Ormai è finita”. Ma è veramente finita questa storia?, o è semplicemente che adesso non c’è l’incanto? Allora conserva la grazia del tuo cuore.

Tornate un attimo ai verbi di prima. Questa Grazia devo riconoscerla, questa Grazia devo farla oggetto di ringraziamento, questa Grazia la devo raccontare, questa Grazia la devo affidare, questa Grazia la devo custodire. Chi fra voi abbia letto “Il piccolo principe” – non lo consiglio agli adolescenti, ma a quelli più grandi, perché è un libro piccolissimo ma profondissimo – chi lo ha letto ricorderà questo episodio: il piccolo principe ha messo un paravento davanti alla rosa, altrimenti la rosa prende il raffreddore. Ma tu sai mettere un paravento davanti al tuo amore? Sai mettere un paravento davanti alla tua fede, perché non si raffreddi? Sai mettere un paravento quando vai a scuola rispetto all’insegnante di filosofia, per quelli fra voi che stanno allo scientifico o al classico, che ogni tanto ti mette il dubbio? Sai mettere un paravento? E se qui non sappiamo mettere i paraventi, siamo perduti tutti: perdiamo la fede, perdiamo l’amore, perdiamo certe occasioni. Ho bisogno di custodire: custodire è il paravento per non prendere il raffreddore, perché ci sono le correnti d’aria. Se io metto il mio amore al centro di una corrente d’aria, si ammala; se io metto la mia fede al centro di una corrente d’aria, si ammala. Poi celebrare (sono i verbi del proteggere): ogni tanto questo amore bisogna celebrarlo.

Come si celebra un amore? Con un bacio.

Come si celebra un amore? Usciamo insieme stasera. 

Come si celebra un amore? Ti faccio un dono.

Come si celebra un amore? Ti scrivo una lettera.

Come si celebra un amore? Ti faccio trovare una scritta sul ponte di Teano: TI AMOOO! (Non lo fate perché è un po’ pericoloso…)

Come si celebra la fede? “Ho perso la fede!”. Certo! Perché tu non la celebri. Per questo ci sono le chiese, esistono le comunità, le parrocchie, i gruppi, le associazioni… L’Azione Cattolica, alla fine, ci inviterà per una veglia qui a San Francesco, per la pace. Sono occasioni per celebrare la fede, perché se io non la celebro, la perdo, come rischio di perdere l’amore. Adesso vi commento questo verso bellissimo e terribile: I vecchi già lo sanno il perché / e anche gli alberghi tristi. Perché questa vicinanza: “i vecchi” e “gli alberghi tristi”? Perché i vecchi ormai sono alla fine. E gli alberghi tristi che c’entrano? Sono quegli alberghetti dove magari una coppia si incontra, però poi quando è finito l’amore, quell’alberghetto è una cosa squallida! Bellissima prima ad andarci, ma dopo tristissima. E perché i vecchi e gli alberghi sono tristi? Ce lo dice questo cantautore, che non è proprio un mistico, però in questa canzone c’è riuscito. Sono tristi perché – attenti, potreste scoprire una cosa importantissima - il troppo è per poco e non basta ancora / ed è una volta sola! Dovreste già aver capito… Il troppo è per poco e non basta ancora / ed è una volta sola… Cos’è questo troppo? È l’incanto. Allora questi alberghi tristissimi, dove passano tante coppie, sono invecchiati con le loro stanze, con i loro letti. Renato Zero cantava una volta che il motel era diventato un grand hotel e il letto brutto era diventato col baldacchino, ma poi quando finisce l’incanto è triste. A dire: attenti ragazzi, perché vi sfugge di mano la vita. Attenti, perché invecchio. Attenti, perché gli alberghi tristi e i vecchi, mi raccontano che l’incanto è per poco e non basta ancora / ed è una volta sola. Se è così, allora questo incanto non va protetto?, non va riconosciuto?, ringraziato?, raccontato?, affidato?, custodito?, celebrato?, protetto? Non vi addormentate e non pensate al prossimo lento, alla festa danzante, ma riflettete perché qui c’è un messaggio.

 

OVUNQUE PROTEGGI

(Vinicio Capossela)

Non dormo, ho gli occhi aperti per te.
Guardo fuori e guardo intorno.
Com'è gonfia la strada
di polvere e vento nel viale del ritorno...

Quando arrivi, quando verrai per me
guarda l'angolo del cielo
dov'è scritto il tuo nome,
è scritto nel ferro
nel cerchio di un anello...

E ancora mi innamora
e mi fa sospirare così.
Adesso e per quando tornerà l'incanto.

E se mi trovi stanco,
e se mi trovi spento,
sei meglio già venuto
e non ho saputo
tenerlo dentro me.

I vecchi già lo sanno il perché,
e anche gli alberghi tristi,
che il troppo è per poco e non basta ancora
ed è una volta sola.

E ancora proteggi la grazia del mio cuore
adesso e per quando tornerà l'incanto.
L'incanto di te...
di te vicino a me.

Ho sassi nelle scarpe
e polvere sul cuore,
freddo nel sole
e non bastan le parole.

Mi spiace se ho peccato,
mi spiace se ho sbagliato.
Se non ci sono stato,
se non sono tornato.

Ma ancora proteggi la grazia del mio cuore,
adesso e per quando tornerà il tempo...
Il tempo per partire,
il tempo di restare,
il tempo di lasciare,
il tempo di abbracciare.

In ricchezza e in fortuna,
in pena e in povertà,
nella gioia e nel clamore,
nel lutto e nel dolore,
nel freddo e nel sole,
nel sonno e nell'amore.

Ovunque proteggi la grazia del mio cuore.
Ovunque proteggi la grazia del tuo cuore.

Ovunque proteggi, proteggimi nel male.
Ovunque proteggi la grazia del tuo cuore.

 

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Andando verso la fine, vi riassumo la lezione, per chi si fosse addormentato, estraniato, distratto. Ci sono delle cose importanti che non si possono perdere. Queste cose importanti vanno custodite: custodire la Grazia. Per esempio, noi ci siamo visti un mese fa: vi ho parlato della Grazia del Natale. Potrei chiedervi: dov’è?, dov’è la Grazia del Natale?, che hai raccolto?, dove l’hai messa?, che è rimasto? Fate mente locale e vi accorgete che avete perso la Grazia del Natale, una cosa terribile! Significa che poi perderemo la Quaresima, la Pasqua, la giovinezza, perderemo la vita, se non impariamo a mettere le cose a posto, al posto giusto, cioè a custodirle. Vorrei che coglieste questo aspetto di lezione di vita, dove custodire la fede è anche custodire la vita, è anche imparare a custodire un’amicizia, è anche imparare a custodire un amore. Se lo vuoi custodire, lo devi riconoscere; se lo riconosci, ne fai oggetto di ringraziamento: grazie, grazie della vita, grazie perché sono giovane, grazie perché ancora sono autonomo, grazie perché ho delle opportunità. Lo devi raccontare: i muti perdono tutto, dobbiamo riprendere a raccontarci le cose. Il vostro Vescovo quando parla vi racconta tante cose: dovete farlo anche voi, perché più le racconti, più le conservi; meno ne parli, più ti impoverisci. Qui ci sono anche delle persone che insegnano: cos’è insegnare, se non raccontare? Un insegnante, dopo una lezione, è stanchissimo, ma è pieno perché quella cosa che ha detto, che ha raccontata, l’ha posseduta di nuovo, ne ha compreso altri aspetti. Io stesso, reduce da un Corso di Esercizi, stasera posso essere stanchissimo, ma anche maggiormente confermato nella fede, che ho raccontato nuovamente. Non solo raccontare, ma la devi affidare. Mi raccomando d’avere anche un prete di riferimento: andate ad affidare cose importanti al vostro parroco. E se ha ottant’anni e novanta? Ci sono anche altri sacerdoti qui presenti, con qualche anno in meno, che possono raccogliere queste cose e ve le conservano. Stefano a chi hai raccontato? Spero a Luca o a qualche altro. Bisogna affidare, bisogna mettere il paravento, custodire, bisogna celebrare. C’è anche il momento di festa, anche il nostro incontro qui è celebrare la fede, perché voi vi guardate intorno e dite: “Ma allora non sono l’unico cretino di questo territorio! Ci sono tanti giovani che credono come me!”. Questa celebrazione ci aiuta a conservare la fede, ci aiuta a conservare la Parola di Gesù e conservando, noi la proteggiamo.

Prima di concludere voglio dirvi che l’incontro di stasera lo dedico a quattro giovani (venite qui, così vi fate anche vedere). Questi quattro, che io ho visto arrivare in Episcopio un quarto d’ora prima della Preghiera, vengono da Ischia. Adesso questo è un miracolo: un po’ di tempo fa, un mio amico di Seminario mi ha invitato nella sua parrocchia e mi sono accorto che sapevano tutto di noi! Non solo di me, ma anche di voi! E in particolare, Francesco, che è stato il mio interlocutore, che mi ha accompagnato: “Voi avete fatto questo, avete fatto quello…”. Ma che ne sai, Francesco? “Ma sì! Avete fatto l’incontro e poi hai detto…”. Miracolo di cui dobbiamo dire grazie a C., che è là in fondo, e a quanti mettono in rete certe cose, per cui si crea una famiglia che uno manco lo sa. Io sono andato ad Ischia, precisamente questa parrocchia si chiama Panza d’Ischia (fatevi invitare, c’è un bel mare, ci sono anche le correnti d’acqua calda alla spiaggia di Panza, quindi si può fare il bagno anche d’inverno) e cosa han fatto questi quattro? Io non ci avrei creduto: han preso l’auto, si son messi sul traghetto, sono arrivati a Napoli, poi sono arrivati a Teano (e Dio sa come sono riusciti ad orientarsi!), sono arrivati sotto l’Episcopio, han bussato, e stasera, dopo la preghiera, si rimettono in macchina, vanno a Napoli, prendono il traghetto a mezzanotte, e arriveranno a Panza, se tutto va bene, alle due. Facciamogli un applauso.

Adesso questo significa due cose:

1)      ci sono dei messaggi che passano, ed è bello condividere. Francesco mi ha detto: “Ho stampato il Campo-Scuola che è arrivato lì: ne faremo tutto un mese…”. Significa che i doni li stiamo condividendo. C’è una famiglia allargata di cui a volte ci sfuggono anche le dimensioni.

2)      (Questo messaggio è per voi) Ma vuoi vedere che questi arrivano da Panza e quello che sta qui, sul corso a Teano non è arrivato? È una considerazione un po’ amara: a volte vengono i Magi e Erode (è la simbologia che mi è venuta in questo momento) non si è accorto che il dono sta lì ed è per lui! Quindi attenti, ragazzi: custodite questi doni, altrimenti da lontano qualcuno ne può usufruire, e noi, che siamo vicino al fuoco, moriamo di freddo.

Dopo li salutate, li incoraggiate, li invitate a mangiare una pizza… Lo dico a Enzo - paga il Vescovo, sta’ tranquillo! - per non farli andar via digiuni. Li inviterei anche in Episcopio, ma forse è più bello che si incontrino con i giovani. Magari la prossima volta prendete il traghetto, andate ad Ischia-porto, poi salite a Panza e facciamo un gemellaggio con la loro parrocchia che cammina con la nostra Diocesi, senza che noi ce ne fossimo accorti.

Ci mettiamo in piedi.

Raffaele, vuoi fare tu l’avviso della Veglia per la pace, tu che sei pimpante?

 

Benedizione del Vescovo

 

Prima del canto finale, vi ricordo che il prossimo appuntamento è Mercoledì delle Ceneri, alle ore 20:00 in Cattedrale, per tutti, anche quelli assenti: iniziamo la Quaresima insieme come negli altri anni. Concludiamo con il canto “Custodiscimi” che raccoglie bene quel cammino che abbiamo fatto.

 

CUSTODISCIMI

 

Ho detto a Dio senza di te

alcun bene non ho,

Custodiscimi.

Magnifica la mia eredità

Benedetto sei tu

sempre sei  con me.

Rit.:     Custodiscimi, mia forza sei tu.

            Custodiscimi, mia gioia Gesù. [2 volte]

Ti pongo sempre innanzi a me

al sicuro sarò,

mai vacillerò!

Via , verità e vita sei;

Mio Dio credo che

Tu mi guiderai.

Rit.

 

 

 

 

Buona serata!


 

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.