IN PUNTA DI PIEDI IN EPISCOPIO

 

“SETE DI DIO”

 

RIFLESSIONI DI S. E. MONS. ARTURO AIELLO

 

Vescovo della Diocesi di Teano-Calvi

 

Episcopio

 

Giovedì, 28 Febbraio 2008

 

 

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Amen.

 

Nostalgia di una sorgente (G. Cento)

 

Vivremo la preghiera di stasera e anche quella Giovani di domani sera  (alcuni di voi vengono anche ad orecchiare quello che il Vescovo dice ai giovani ) sullo stesso tema, ovviamente da angolazioni diverse, cioè sarà lo stesso brano del Vangelo di Domenica scorsa che adesso vi leggerò e che avete sul foglietto, che farà da motivo ispiratore, sia stasera, ovviamente in una dimensione più alta e più articolata, domani sera in una maniera un po' più immediata, e diciamo sbarazzina, per i nostri giovani. Leggo il testo e poi ascoltiamo già il primo brano. Per chi sia venuto la prima volta mettiamo insieme nella preghiera riflessioni e contemplazione artistica. Questa sera, oltre Maria Teresa che già conoscete tutti, c'è Gianfranco, come violinista, e quindi abbiamo la possibilità di gustare la musica e di pregare al tempo stesso, ascoltando e imbastendo contemporaneamente i nostri pensieri con questo duetto. Leggo il testo.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: "Io non ho marito". Le dice Gesù: «Hai detto bene: "Io non ho marito". Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Parola del Signore

Lode a te, o Cristo

 

Già siete in movimento rispetto a questa Parola, spero, perché era la Parola di Domenica scorsa, che non va consumata, perché la Parola non è un oggetto di consumo, e quindi la lettura che abbiamo fatto già vi trova in qualche maniera preparati e con dei temi già svolti. Il primo brano che ascoltiamo è "Meditazione" da "Thais" di Massenet.

 

***

Ho messo qui dei capoversi per avviare delle riflessioni. Ripeto, questo testo ci trova già in qualche maniera in ebollizione se, come dovrebbe accadere, la Parola della Domenica continua nella ruminazione dell'anima. Il termine "ruminazione" è dei Padri antichi. Il pozzo crocevia di stanchezze. Io ovviamente comincio da una parola, non so mai bene dove arrivare rispetto a quello che ho pensato, e anche per voi in fondo si tratta di un'imbastitura. Chi parla, chi guida la preghiera, semplicemente imbastisce. Chi cuce siete voi. Quindi a me il compito di imbastire, voi potete anche tirare il filo e sistemare la stoffa in modo diverso. Perché il pozzo crocevia di stanchezze? Perché è bello che questo brano, capitolo 4 del Vangelo di Giovanni, inizi con la stanchezza di Gesù. Gesù, stanco, sedeva nell'ora più calda del giorno presso questo pozzo, i discepoli sono andati in paese a comprare da mangiare, allora abbiamo il caldo, abbiamo il cammino che Gesù ha fatto per giungere a questo pozzo, abbiamo anche la vita, cioè quello che è accaduto prima nella vita di Gesù che gli pesa sulle spalle. Ci sono dei momenti, cari fratelli e sorelle, nei quali è come se sentissimo la stanchezza della vita. Non so se capita anche a voi. Al Vescovo è chiesto di evocare delle cose, non si tratta solo della stanchezza di un giorno, di una vicenda, di un momento, di una crisi, ma ci sono dei momenti particolari dove è come se si dessero appuntamento tutte le delusioni, tutte le stanchezze, tutte le asperità, che magari volta per volta noi abbiamo anche affrontato e superato, ma è come se si dessero l'appuntamento. Stavolta l'appuntamento ha un luogo geografico, che è anche un luogo simbolico: un pozzo. Perché un luogo simbolico? Perché il pozzo dice che c'è l'acqua, ma l'acqua non è immediatamente fruibile, bisogna scendere in profondità, c'è bisogno che qualcuno tiri giù il secchio e poi riesca a farlo riemergere. È quello che faremo anche stasera, come in ogni preghiera, gettiamo il secchio in fondo all'anima e poi tiriamo a fatica e non sappiamo che cosa verrà su.

Perché crocevia di stanchezze? Perché è stanco Gesù, e anche se non lo dice, ma lo confesserà di qui a poco, è stanca anche la donna, anche lei, stanca e delusa, dirà: "Ho avuto cinque mariti, non mi hanno soddisfatto (e non pensiate soltanto all'aspetto meramente affettivo-sessuale ) , adesso sto con il sesto, ma neanche va bene". Quindi stanchezza di Gesù, stanchezza della donna, e dobbiamo aggiungere nostre stanchezze, perché immagino che anche voi non siate reduci da una vacanza, almeno presumo. Ma guardandovi e conoscendo alcuni di voi, conoscendo le storie, i dolori, le sofferenze, veniamo tutti da un lungo cammino nel deserto, e nel deserto l'acqua, il grido, l'esigenza, l'emergenza dell'acqua si fa ancora più forte, ancora più vitale. Ecco, in questo primo momento semplicemente accostiamo le stanchezze. È  bello anche che non ci conosciamo, perché provenite da parrocchie diverse, da situazioni diverse. Conosciamo Gesù, Gesù conosce tutti noi e sa qual è la stanchezza di ciascuno o le stanchezze o la somma delle stanchezze; noi non sappiamo le stanchezze gli uni degli altri, ma siamo invitati, in silenzio peraltro, cioè nessuno deve raccontare la sua storia, siamo invitati a deporre vicino a questo pozzo, immaginate qui un pozzo, è il pozzo della preghiera, è il pozzo della Parola di Dio, è il pozzo di questo nostro convenire. Ma perché siamo venuti qui? Perché siamo stanchi, perché il dolore aggiunto al dolore a volte sembra insopportabile, perché, come a volte direi ai miei figli con una canzone di De Crescenzo, "Sembrava così facile e non è". Forse vi ricordate questa canzone di De Crescenzo di un po'..., è rivolta al padre, dice: "Padre, sembrava così facile quando eravamo piccoli, quando sognavamo la vita, quando ci siamo avventurati, siamo partiti per un matrimonio, per un lavoro, ci sembrava di avere in mano la bandiera della felicità, ma poi ci accorgiamo che la vita come non è stata facile per i nostri padri, così non ha sconti per noi". Adesso ci sono due possibilità: che le nostre stanchezze restino a parte, e la stanchezza di Gesù non abbia a toccarle, e allora staremo qui, assisteremo a un concerto, ma non avverrà quel tocco, quella scintilla di grazia che permetterà a ciascuno di noi di tornarsene alla sua tenda, alla sua casa, al suo dolore, rinfrancato. Se invece con semplicità... adesso immaginate che ciascuno di voi si tolga la giacca, il cappotto, così come facciamo entrando in casa, e si senta a suo agio, e a volte sentirsi a proprio agio è poter piangere. Qui non dice il testo che Gesù ha pianto, che abbia pianto la donna, ma tra le righe ci sono tante lacrime, ci sono anche le lacrime, e non sto qui ad aprire questa parentesi, altrimenti vi porterei lontano, anche del perché Giacobbe ha fatto qui questo pozzo e che cosa è accaduto a Sicar tanti secoli prima, sangue, violenze, non farei altro che aggravare il quadro, quello che è importante invece è accostare le vite, è accostare le stanchezze. Il pozzo crocevia di stanchezze, perché quando c'è una fontana ci si ritrova, quando c'è un fuoco acceso ci si ritrova e ci si avvicina, il fuoco lo si vede anche da lontano. "Ah, il Vescovo ha acceso un fuoco in Episcopio! Andiamoci a riscaldare", forse avrete pensato, e qui c'è un fuoco anche se non lo vedete. Ecco, venite, deponete i vostri fardelli, non sono io risolutivo, ma questa Parola che ci dice che forse è divina anche la stanchezza se il Figlio di Dio ha voluto essere stanco? E viene da lontano. Perché è stanco? È stanco di noi, è stanco dell'umanità, è stanco dei fallimenti, è stanco anche dei discepoli, che sembrano essere i primi della classe, ma non rendono, come direbbe un insegnante, non rendono per l'investimento che stiamo ponendo, che Gesù sta ponendo in essi, quindi è stanco di tante cose. Allora nella preghiera dico: "Gesù, sei stanco?". E Lui dice: "Sì, sono stanco". E io: "Anch'io". Mi sembra che questo dialogo non sortisca nulla, e invece è l'inizio di una redenzione di stanchezza. Cominciamo così. Il pozzo crocevia di stanchezze.

 

Brano musicale

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Non vi preoccupate se questa musica vi ha richiamato delle immagini. La musica ha questo grande potere evocativo quando è unita, come nel caso, a delle scene, e la colonna sonora di un film sottolinea certi momenti. Perché non vi preoccupate? Innanzi tutto non erano immagini, non ho visto il film ma mi faccio sempre raccontare per essere un tantino aggiornato, non erano immagini romantiche, ma era l'evocazione di una pagina di storia tremenda. Forse Gesù quel giorno era stanco anche per quel tempo che sarebbe venuto, non era il suo tempo, sarebbero accadute queste atrocità dopo duemila anni, ma Dio vede tutto, e la sua stanchezza è l'accumularsi dei peccati, dei drammi, delle violenze degli uomini di tutti i tempi. "Dammi da bere!": un Dio mendicante. È il secondo punto di questa imbastitura. È sempre per me provocante questa pedagogia di Gesù che si avvicina chiedendo, che non si presenta affermando. Anche la Chiesa, e qui faccio un mea culpa, dovrebbe imparare molto da questo stile di Gesù. Cosa significa presentarsi affermando? Gesù conosceva questa donna, conosceva anche il suo passato, glielo dirà tra poco, quando saranno entrati un po' più in dialogo, adesso la donna ha tirato fuori gli aculei, quando Gesù le dice "Donna, dammi da bere". Il Maestro avrebbe potuto dirle subito: "Stai sbagliando, sei per una strada d'errore, convertiti, credi al Vangelo", ma non serve, vi assicuro che non serve, serve solo a indispettire. Non so, forse evoco anche situazioni che avete vissuto, che abbiamo vissuto, dove prima ancora che ci dicessero "Come ti chiami?" ci han detto come bisognava comportarsi, o il danno che dovevamo pagare, e invece è importante prima chiedere "Come ti chiami? Qual è il tuo nome? Da dove vieni?". Ma Gesù fa di più, non solo non afferma, non solo non aggredisce questa donna fuori strada, che è su un binario morto fin dalla sua adolescenza, posso immaginare , ma le si pone accanto chiedendole aiuto. Vedete, se noi volessimo accostare questo brano, da atei, e potremmo farlo, avremmo molto da imparare.  Ma come si approccia una persona? È difficile. Ma forse questo voi già lo fate, perché molti di voi sono genitori, e quando bisogna entrare in dialogo con un figlio, che ha sbagliato, non è vincente dirgli, buttargli in faccia la verità, come vorremmo, come siamo tentati di fare, ma sempre è più opportuno accostarci a lui con dolcezza, addirittura chiedendo: "Mi dai una mano?". Forse l'avete fatto qualche volta, ma scoprite qui che quello che avete fatto è, come dire, fondato, fondato nella pedagogia di Gesù. "Donna, dammi da bere". Qui Gesù chiede, qui Gesù è un mendicante, e Gesù è Dio, quindi Dio è mendicante. La storia dell'amore di Dio è la storia di un amore che lo ha reso povero. Noi diciamo: Dio ha tutto, Dio non ha bisogno di nessuno, Dio sta bene da solo. Non è vero, non è vero! Non si sarebbe incarnato… L'amore lo ha portato ad aver bisogno, perché l'amore, qualsiasi amore, anche il più squallido, nasce da una richiesta, nasce da un mendicare, nasce da un chiedere all'altro, nasce da un dire: ho bisogno di te. Gesù in questo momento ha bisogno di questa donna, del suo recipiente, del suo cuore infangato, per bere, perché ha sete. Come sapete, questa Parola di Gesù torna poi alla fine, nel momento clou della sua vita, sulla Croce. Una delle ultime sette parole ( su queste sette parole anche i musicisti hanno intessuto oratori e pagine indimenticabili, come i predicatori di un tempo) una di queste parole è "sitio”. Ho sete. Di che cosa aveva sete Gesù in quel momento? Una lettura immediata e banale dice: "Chi è febbricitante ha sete, chi sta per morire dissanguato ha sete", ma questa è una lettura pedante, perché in questa sete, "ho sete", c'è il desiderio che Dio ha dell'uomo, e detto così è ancora generico, ciascuno di voi dica, e non è esagerato, Dio ha sete di me. Di me? Com'è possibile che io possa dare qualcosa a Dio? Mentre scendevo da Roccamonfina e pregavo in macchina questo pomeriggio, un'oretta fa, ho così utilizzato questa preghiera: "Signore, usami…Anche stasera, usami…". In questo momento io vi sto parlando, non è importante e non è, diciamo, determinante che a parlarvi sia il Vescovo. C'è un uomo, un credente che vi sta parlando e che in questo momento è utilizzato da Dio, perché Dio ha bisogno di me in questo momento per voi, ed io non so di chi particolarmente, per chi particolarmente è fatta questa imbastitura, non lo saprò mai, ma quelli fra voi che si sentono letti dentro, quelli che sentono fremere qualcosa dicano: "Dio sta utilizzando il mio Vescovo per parlarmi". Vi ho detto che non è importante il ruolo, perché Dio usa anche te, cioè ha bisogno anche di te, ha bisogno anche del tuo amore, per cui il titolo di tutta questa serata è: "Sete di Dio". E allora facciamo un po' di reminiscenze scolastiche, noi le possiamo fare, non le chiediamo ai nostri figli. "Di Dio" è un genitivo, lo ricordate? Ecco, questo genitivo può essere soggettivo e oggettivo, cioè "sete di Dio" in senso soggettivo, Dio ha sete, di chi? Di me. Oppure "sete di Dio" genitivo oggettivo, Dio ha sete, e questa sete è rivolta ad un oggetto, sete di Dio, allora qui è la sete importante, che Dio avverte come bisogno vuoto, sembrano parole blasfeme, ma è così , come vuoto, finché io non lo riempia. Allora "sete di Dio" in senso di genitivo soggettivo, poi genitivo oggettivo è che io, stavolta il soggetto sono io, ho sete di Dio, oggetto, in qualche maniera, anche se tra virgolette, perché i tuoi desideri, perché quello che tu ti porti dentro, perché i tuoi sogni null'altro sono che voglia di bene, e dunque voglia di Dio. Domanda: Vogliamo accogliere questo Dio mendicante che viene, passa davanti a ciascuno di voi e tende la mano? È bello un Dio così, anche se scandaloso, anche se ci scomoda, perché noi vorremmo un Dio che viene a risolvere i nostri problemi, ma se Dio mi chiede, mi tende la mano, allora ha bisogno anche Lui, e sono capovolte le categorie, ed io posso dare qualcosa a Dio. Cosa posso dargli? Gli posso dare il mio tempo, posso dire "ti faccio compagnia", posso dirgli "ti do da bere", anche se sono indegno. Dio ha sete di ogni uomo, anche del più depravato. Dio ha sete dell'umanità, e finché un uomo Gli si nega, la sete di Dio non sarà saziata. Basterebbero queste cose per tenerci in ginocchio per cinque ore di seguito. Preghiamo adesso con l'"Improvviso" di Schubert.

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Cos'è un improvviso? Adesso ne avete ascoltato uno. È un genere (ci sono i generi anche nella musica ), è una cosa che nasce in un attimo e anche muore in un attimo, è come una tromba d'aria che si forma e poi sbollisce. Quello di cui stiamo parlando invece non è un improvviso, ma è un tema costante, è il tema della storia della salvezza, è il tema del senso della vita, è il tema per cui stamattina ci siamo svegliati, per cui valga vivere, per cui la vita può esser bella, anche una vita provata, anche una vita piagata. Quando Gesù dice alla donna "Dammi da bere", come avete ascoltato e sentito anche Domenica a Messa, la donna Gli risponde con molta durezza nascondendosi dietro gli schemi, perché noi siamo bravi a nasconderci dietro gli schemi: io sono uomo, tu sei donna, io appartengo a questo partito, tu a quell'altro, io appartengo a questa schiera, a questo club, tu all'altro, io seguo questo genere musicale, tu invece... E poiché a un mendicante che ti chiede la carità di una goccia d'acqua tu se non vuoi rispondere devi nasconderti, ecco che arrivano gli schemi dei Samaritani, degli Ebrei: chi ha ragione, chi ha torto, dei partiti, delle divisioni, ci sono sempre delle divisioni, perché le divisioni sono dentro di noi. Gesù, anche qui grande pedagogo, non risponde alla provocazione, d'altra parte qui per far nascere nel cuore di questa donna e in noi stasera una sorgente d'acqua viva, come abbiamo cantato all'inizio, e allora esce in quest'espressione che mi ha sempre commosso profondamente: "Se tu conoscessi il dono di Dio...", perché, vedete, un dono per apprezzarlo bisogna conoscerlo. Se io non so proprio niente, niente, niente di musica, sì, stasera avrò una qualche carezza uditiva, ma non di più. Se io invece conosco gli autori è diverso, se io questi brani li ho già sentiti... Voglio dire che il dono per essere apprezzato dev'essere conosciuto, per cui Gesù si insinua con molta dolcezza e anche con un filo di tristezza. Io ho sempre colto molta tristezza negli occhi di Gesù mentre dice "Se tu conoscessi il dono di Dio...", cioè tu stai ad aggredirmi mentre io ti ho chiesto semplicemente un po' d'acqua, ma se tu conoscessi... Vedete è un'insinuazione, una santa bellissima insinuazione, che apre come uno spiraglio nella chiusura di questa donna, che è chiusura di cuore, che è paura. In fondo questa donna ha paura degli uomini, e ha ragione, ha ragione. Voi starete pensando che forse anche gli uomini hanno paura di lei, mah, forse, forse ha paura degli uomini, e Gesù, che le dice "Dammi da bere", forse, che so, vuole altro, dice questa frase alludendo ad altre realtà, con doppi sensi, e quindi si è chiusa, si è chiusa a riccio. "Se tu conoscessi il dono di Dio...". Lasciatevi cullare, accarezzare da questa parola, perché se tu lo conoscessi il dono di Dio, tu non lo lasceresti cadere. Penso a Gianfranco, che forse tra noi è quello che, diciamo, è arrivato da Aversa all'ultimo momento, tirato qui da Maria Teresa, che dice: "Mah!, mio fratello stasera dirige l'orchestra a Sanremo, (cosa vera!) è direttore d'orchestra a Sanremo, io sto qui a perder tempo in questo Episcopio, mi ci ha tirato Maria Teresa". Può darsi che le mie parole,  dico a lui, ma ovviamente parlo di ciascuno di voi, sono ancora dei suoni, non sono ancora una melodia, una sinfonia, perché, altro sono i suoni, altro è la musica, la musica è fatta di suoni, ma i suoni per diventare musica devono essere armonizzati. Ecco, vedete, perché dico di Gianfranco? Perché quale,  mi sono chiesto mentre sentivo, lo vedevo suonare, chi dei due fratelli è più fortunato stasera? Mio fratello che dirige a Sanremo sotto gli occhi , non so, dei tanti telespettatori, di quelli delle signore impellicciate e ingioiellate all'Ariston ( si fa ancora lì?, sono ricordi della mia adolescenza) o la mia condizione qui, che sono stato catapultato in questo strano concerto dove non si applaude, dove tutti sono presi da un silenzio così fuori del normale? "Se tu conoscessi il dono di Dio...". Ecco, vorrei che questa parola bussasse al cuore di ciascuno di voi, a dire: "Forse non lo conosco questo dono", e ovviamente, se non lo conosco, lo sciupo, perché il dono non conosciuto è il dono perduto, è il dono non valutato, non valorizzato, di cui non si percepisce la preziosità. E allora dovremmo sempre dire nelle nostre chiese, nelle nostre liturgie: "Se voi conosceste il dono di Dio..." non guardereste l'orologio, non stareste a dire: Facciamo in fretta che devo andare a cucinare, non avreste altri grilli per la testa, ma direste al vostro Parroco: "Dicci, dicci ancora, non ti preoccupare, vai avanti, continua, perché questo dono è preziosissimo, questo dono avvalora la mia vita, e senza questo dono io muoio di sete, anche se ho la Ferrarelle in casa, muoio di sete", perchè noi siamo tutti assetati, c'è un'arsura. Cari fratelli e sorelle, cari figli e figlie, c'è un'arsura in giro terribile, stiamo in un deserto, si sta desertificando tutto. Non ne parliamo dei sentimenti. Ecco, questo…[1]  è un fuori programma... In questa desertificazione generale ecco che qualcuno mi dice: "Se tu conoscessi il dono di Dio...".  Ho scritto: "Evocare il magis", che è un'espressione di S. Ignazio. S. Ignazio dice che uno nella vita può fare tante cose, posso scegliere questo o quello, nelle grandi scelte come nelle piccole, ma siamo invitati a dare il "magis", cioè il di più. Per esempio, posso fare un concerto discreto, posso fare un ottimo concerto. Allora Ignazio dice: devi fare un ottimo concerto. Posso essere una moglie mediocre, posso essere un'ottima moglie e madre. Devi essere un'ottima moglie e madre. Posso essere un Vescovo alla buona che fa l'amministratore, posso essere uno che si espone. Devi fare, dare di più. Ecco, il "magis" è quando c'è una scelta da compiere si sceglie sempre il bene maggiore, questa è l'evocazione del "magis", cioè qual è il "magis"? Il magis del magis: Dio. Allora in fondo lo traduciamo così , e concludo questa parte: "Se tu conoscessi Dio", se tu conoscessi Dio, tu che vai bevendo a tante fontane, tu che cerchi acqua in tante esperienze, tu che vedi aumentare la tua arsura in una maniera direttamente proporzionale alle acque che bevi, cioè più bevi più hai sete, come certe malattie. Finiamo col diventare idropici (si dice così?), idropici, a furia di bere tutte queste acque che, mentre ci riempiono, quindi ci gonfiamo, non ci dissetano. Ce n'è una sola che ti disseta, e vorrei dirvi, dirti: Arrenditi, arrenditi a questo "magis", arrenditi a questo di più, non è importante quello che hai fatto, come diremo nel prosieguo, no, importante è quello che puoi fare, è importante il tuo futuro, è importante la giornata di domani che puoi vivere in una maniera diversa. Se tu conoscessi il dono di Dio... , Gesù aggiunge, e chi è colui che ti chiede "dammi da bere", tu stessa Gliene avresti chiesta, ed Egli ti avrebbe dato acqua viva.

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Facciamo l'intervallo qualche istante dopo perché, a giudicare da come qualcuno di voi è vestito, presumo che alle nove meno un quarto dobbiate trasferirvi all'Auditorium per Carlo Giuffrè, e quindi vi vengo incontro allungando un po' questa prima parte, in modo tale che non abbiate a perdere molto. Ovviamente non c'è paragone... Dunque, approdiamo in questo nostro primo round alla Parola "Acqua viva", acqua viva. "Acqua viva": annunciare pienezza di felicità che diviene fecondità . Innanzitutto che cosa significa nella esperienza? È un'acqua alla sorgente, un'acqua che scorre, un'acqua che dà vita, un'acqua che canta. Certamente era acqua viva quella di cui, non so,parla Petrarca in "Chiare, fresche e dolci acque…", era acqua viva quella di cui narra Ungaretti quando, nella pausa dal fronte, si è disteso nell'urna d'acqua. La storia della Letteratura è attraversata da versi che cantano l'acqua, umile, casta, preziosa, dice S. Francesco nel Cantico, ma ovviamente qui s'intende molto di più, cioè un'acqua che ti fa vivere, e che, questo passaggio non sempre è messo sufficientemente in luce nell'economia del brano quando lo si spiega , e che, una volta assunta, trasforma chi la beve a sua volta in una sorgente. Non me lo sono inventato, eh, lo ha detto Gesù quando ha affermato: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete, ma chi berrà dell'acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno, anzi, anzi l'acqua che Io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna". C'è una forza in questo versetto enorme, anzi non solo qui abbiamo l'annuncio che ogni tua sete troverà esaudimento, si placherà, in fondo l'acqua placa la sete, ma abbiamo anche un diventare, da parte di questo utente dell'acqua viva, sorgente egli stesso, è sottinteso per chi, per gli altri, cioè chi acquisisce questo bene, chi entra in questa relazione, perché in fondo è una relazione, non è una cosa, non è un'acqua da bere in senso fisico, non è H2O ecco, tanto per intenderci, chi entra in questa relazione non solo trova una pacificazione per sé ma diventa un elemento positivo, creativo, risolutivo per tanti. E non è poco. Ecco, questi due termini sono qui nel capoverso che io vi ho annotato. "Acqua viva": annunciare pienezza di felicità che diviene fecondità. Purtroppo dobbiamo ancora ammettere che l'annuncio del Vangelo non viene presentato, non lo si porge come un annuncio di felicità, come un annuncio di vita vera. Questo è importante, cari fratelli e sorelle, cioè non è, la fede non è solo la croce da portare, non è solo la flagellazione ma è felicità. Gesù è venuto a salvarci. La salvezza significa felicità. E noi ce lo dobbiamo dire più volte, perchè purtroppo ci sono tanti detriti che hanno ostruito l'accesso a questa fonte che è felicità, per cui un giovane, ma anche un adulto, dovrebbe dire: "Ma io voglio essere felice, ma io per essere felice non posso che passare per questa via, non posso che rispondere a questo appello". Per me è una cosa così chiara, ma vedo che anche nella catechesi è così disatteso questo annuncio. Voi avete quest'idea quando andate nelle chiese, no? Che vi viene così, venite inondati da questa marea di felicità, da questo annuncio: guarda che ho qui proprio quello che ti serve, sono qui per dare una risposta alla domanda a cui nessuno fino a oggi è riuscito a risponderti. Il Vangelo è  buona notizia. Buona notizia significa una notizia di felicità, cioè qualcosa che ti mette dentro un che di frizzante, non che ti addormenta. E quindi non è oppio dei popoli. La fede vera è un eccitante, non è un: "mo' ci addormentiamo e ci facciamo un pisolino, perchè siamo stanchi"; è un eccitante nel senso bello del termine, non della droga, ma di chi, come a volte avvertiamo a primavera, sente che gli si rimescola di nuovo il sangue nelle vene, sente di nuovo che è bello vivere. Ecco, l'acqua viva è l'acqua della felicità, non l'acqua di Lourdes, l'acqua della felicità, cioè Gesù è qui per offrire la soluzione al tuo dramma. Questo è importante. E quando una persona, fosse anche una sola fra noi, speriamo tutti, (no?) una persona accede a questa verità, e l'assimila e la rende carne della sua carne, in quello stesso istante questa persona diventa una fontana eccedente, perché quest'acqua zampilla. Se un'acqua zampilla non la posso tenere, insomma, come quando salta il tappo allo spumante, non è che uno può frenarlo, no, zampilla, quindi tu se entri in questa ottica, e spero che tanti di voi siano già in questa dimensione, diventi una persona positiva per tante altre persone perse. Questo è fecondità. Allora è impossibile che una felicità non divenga anche fecondità, per cui la conclusione che mi piace trarre, tanto per farvi svegliare un po', altrimenti vi addormentate anche voi : Se due sono felici, se due persone sono felici, non possono non generare un figlio. È impossibile, è impossibile! Adesso non parlo del figlio generato fisicamente, parlo della produttività della vita, della vita che spumeggia, spumeggia… Ma tutto questo spumeggiare in giro non lo vedete, perché questo accesso alla felicità non è utilizzato. Nessuno passa per questa porta della felicità, tanti invece si avviano in processioni e pellegrinaggi attraverso le porte dell'infelicità, tutti a passare per queste porte strette, mentre c'è una porta come quella... no? Così maestosa, baroccheggiante, enorme, ma nessuno ci passa. È la porta della felicità. Invece tutti a cercare di insinuarsi in questo buco dell'infelicità e a farsi male gli uni con gli altri. Ma smettiamola! Tu hai diritto ad essere felice, e Gesù non viene a tagliare le ali della tua felicità ma a potenziarle. La fede è un potenziamento di felicità, e quando, e chiudo, e quando io accedo, anche solo così come intuizione, a questa verità, io divento un rivoluzionario in senso buono, in senso santo, rivoluziono il condominio, rivoluziono la classe, rivoluziono la parrocchia, rivoluziono il posto di lavoro, perché questa gioia è così eccedente che gli altri vengono a bere. Domanda: È così per voi? È così per noi? Sono così le nostre Parrocchie? Sono così i nostri gruppi, le nostre associazioni? Cioè vedete quest'effervescenza della Ferrarelle o piuttosto l'acqua stagnante di una fogna maleodorante, che sta lì ferma, e marcisce? Anche l'acqua marcisce quando non è viva. Chissà, forse Gesù mi ha convocato qui stasera perché io smetta di voler entrare attraverso questa porta strettissima dell'infelicità, e mi avvii, a larghe falde, larghe tese, verso la porta della felicità, che è Lui, che mi rende anche apostolo di felicità.

 

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Noi riprendiamo alle 20:35 e quindi tra dieci minuti. Quelli che passano da Giuffrè chiedano la bomboniera (ndr.: Il Vescovo intende per bomboniera un dono, donato dallo stesso a tutti i presenti, rappresentato da un libro a colori, bellissimo, sulla VIA CRUCIS, redatto dallo stesso Vescovo) in anticipo a Liberato[2]. C'è una bomboniera, così non ne siete privi anche voi che passate all'Auditorium, gli altri trovatevi un angolino in Episcopio, vi fermate in silenzio, ci vediamo qui tra dieci minuti.

 

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In questa seconda parte, alterniamo riflessioni più brevi a qualche decade del Rosario. Iniziamo con Bach.

 

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Quando la sete scava un pozzo. Vogliamo in questo momento sentire l'importanza della sete, perché non si scavano pozzi senza sete, e forse la sete  come bisogno, la sete come simbolo di ogni bisogno può essere sottovalutata sul piano pedagogico e sul piano della fede, e invece deve essere valorizzata, utilizzata, perchè la sete è perforante. Per scavare un pozzo bisogna trivellare, e ciò che trivella la vita è la sete. E qui la sete è ogni bisogno, cari fratelli e sorelle, non esiste un bisogno, anche il più inconfessabile, che non possa scavare un pozzo, cioè che non possa tornare utile per arrivare a Dio. Il vero male è l'assenza della sete e delle seti, e se ci fate caso noi stiamo procedendo purtroppo verso un azzeramento dei desideri. Il vero dramma dei nostri giovani è che hanno azzerato i desideri, vivono nell'immediato, e non solo loro. Se qualcosa di buono siamo riusciti a realizzare nella vita è perché, da adolescenti, da giovani, abbiamo cercato e non cerca chi non ha sete, quindi la sete è stata il motore, ciò che ci ha fatti cercare, ciò che ci ha messi per strada. Dice il Piccolo Principe, che cerca un pozzo insieme con un aviatore nell'opera che conoscete di Saint Exupèry, ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte ci sia un pozzo. Cioè questo pozzo, che sta da qualche parte che io non vedo e per cui devo camminare a lungo, riverbera, fa riverberare di bellezza l'intero deserto, e forse che tanti nostri bisogni non ci spingono a cercare questo pozzo e a sentirne il profumo, il canto, perché la fontana canta anche da lontano? Allora chiediamo a Gesù in questa decade per intercessione di Maria, gli chiediamo di non aver paura dei nostri bisogni, perché è la sete che scava il pozzo.

 

Padre Nostro...

 

Nuovo Cinema Paradiso(E. Morricone)

 

Non so se qualche volta, vedendo un violinista all'opera, vi siete chiesti: "E se finisse l'archetto?", perchè ci sono dei suoni che finiscono all'ultima punta dell'archetto, è come se quest'arcata fosse utilizzata nell'economia più perfetta in modo tale che possa finire sul finire dell'archetto. Ovviamente è frutto di esercizio, di fatica, di studio. A volte nella nostra vita la musica dovrebbe continuare ma l'archetto è finito, e allora cominciano le stonature. Questa donna, la Samaritana, che è al centro dell'attenzione di Gesù, di stonature, di imperfezioni ne ha vissute tante, e questo è il momento in cui finalmente poterle guardare con occhi riconciliati, perché solo qui Gesù dice: "Va' a chiamare tuo marito". Quando lei Gli ha chiesto "Dammela quest'acqua così non debbo tornare ogni volta al pozzo", Gesù vedendo che è maturata, è maturata nel dialogo con Lui, nel desiderio dell'acqua vera, le dice "Va' a chiamare tuo marito". E qui si aprono i sipari su una situazione drammatica, sul cuore di questa donna che è un deserto, benché l'abbiano attraversato in tanti, perché lei deve confessare "Non ho marito", e Gesù dice: "Sì, hai detto bene non ho marito, perchè ne hai avuti cinque, e l'attuale tuo convivente non è tuo marito". È molto delicato questo passaggio, anche se è essenziale, perché non possiamo sempre, come dire, guardare e non entrare poi nella relazione con quello che siamo, anche con i nostri archetti spezzati, anche con le imperfezioni dello spartito della nostra vita, dell'esecuzione della nostra vita. Ho scritto qui a commento: "Quando si può visitare il passato", perché il passato non si può visitare sempre. Questo è importante. Il passato innanzi tutto non si deve visitare da soli, ma poi ci sono momenti in cui è bene non aprirle certe stanze, viene il momento in cui possiamo aprirle e fare entrare in esse il sole quando siamo radicati in questa relazione con Gesù, e allora possiamo anche ricordare, come dice il Salmo 50, "il mio peccato io lo riconosco, il mio errore mi sta sempre dinanzi", che però, attenti, non è l'aspetto persecutorio del rimorso, che non appartiene alla nostra fede, benché anche certa predicazione abbia insistito molto su questo aspetto, non che il peccato non sia importante e non abbia la sua gravità, ma non può essere la prima nota della fede, non può essere il primo accordo del concerto, non può essere la prima parola della relazione. Tu ad una persona, che conosci appena, ti riveleresti? No, certe cose le diciamo dopo anni, vero? Quando vediamo che un'amicizia ha raggiunto una solidità, allora diciamo: "Adesso posso raccontarti questa cosa". Questo nelle nostre relazioni. Che forse la relazione con Dio non trova nelle nostre relazioni una analogia, non trova delle somiglianze? Certamente, perché noi siamo uomini, Dio ci incontra come uomini, con la nostra umanità, e noi le cose non le diciamo subito. È un dato di fatto. Allora non vi preoccupate, il Vescovo non sta qui ad assolvervi con un'assoluzione generale stasera, però a darvi anche un criterio, non vi preoccupate se bisogna aspettare per dire certe cose, perché certe cose maturano da sé, viene il momento in cui io dico: "Vieni, ti racconto un segreto". E poiché Gesù, conoscitore del cuore, non solo di questa donna ma di ogni uomo, sa che per raccontare un segreto c'è bisogno di scavare, c'è bisogno dell'anticamera, c'è bisogno del corridoio, c'è bisogno della stanza da pranzo, c'è bisogno della cucina, poi... ci sarà anche la stanza da letto, cioè c'è un cammino da fare, c'è un itinerario da compiere, e allora? E allora è possibile anche dire: "Va' a chiamare tuo marito". Poiché questo Vangelo per la prima volta sabato sera l'ho commentato, e forse qualcuno di voi era anche presente, per la presa di possesso di Giadio, nuovo, novello sacerdote che entrava nella sua Parrocchia, nuova, per la prima volta, la prima Parrocchia che gli è affidata, io cercando di , come dire, di concretizzare anche per lui questo Vangelo, ho detto: "Giadio, per fare certe domande aspetta e aspetta e aspetta!". Così si educano anche i preti giovani. A volte una domanda, una domanda acerba, può frenare una relazione. Io potrei interrogarvi, e anche voi che siete qui. "Tu perché non ti confessi, non so, da dieci anni, da venti anni?". Perché un prete mi ha fatto una domanda, che non andava fatta forse, che non era matura. Allora, le persone si allontanano dalla confessione perché qualcuno ha chiesto loro delle cose quando non era maturo il tempo, e allora, magari non ci si confessa per cinquant'anni. Se quel prete avesse avuto un po' più di pazienza, un po' più di tatto, un po' più di dolcezza, di accoglienza, tanti non si sarebbero allontanati. Come vedete questo brano è un trattato di teologia pastorale, ma a voi non è chiesto di confessare, però è chiesto a noi di dover dire, o di poter dire o di poter guardare certi aspetti della nostra vita solo quando è maturato l'aspetto della fede, e quando è maturato l'aspetto della fede, dell'amore, allora sì, non sei tu a chiedermelo, te lo dico io, ti racconto. Allora chiediamo in questa seconda decade di sentire quando è il momento per noi, ma anche di avere tanto rispetto per gli altri, ripeto, voi non siete confessori, però anche nelle relazioni con le persone, anche con il marito e con la moglie bisogna avere questo tatto. Diciamo: "Ma noi siamo sposati dobbiamo sapere tutto". Non è vero, non è vero! Certe domande non vanno fatte. "Va' a chiamare tuo marito": quando si può visitare il passato. E questo passato, Gesù, vogliamo visitarlo solo in Tua compagnia per non scoraggiarci.

 

Padre Nostro...

 

Oblivion(Piazzola)

 

Gli autori, come ho detto altre volte, esprimono l'aria che gira, l'aria che c'è nel secolo. Questo è un autore contemporaneo molto grande, ma che, avete visto, ha momenti di serenità, poi alterna questo accompagnamento movimentato e spesso un po' dissonante, che è l'ultimo accordo, si dice in termini tecnici, in diminuita, cioè non era un accordo pienamente armonico. Anche se forse i musicisti non concorderanno, è l'anima del secolo, è l'anima di questo momento, ed è anche bello aver ascoltato questo brano in margine a "Va' a chiamare tuo marito", dove ci sono sempre questi accordi un po' dissonanti. È la nostra vita. È così. Non ci dobbiamo rassegnare, ma dobbiamo anche riconoscere con molta semplicità. Voglio aggiungere un capoverso che qui non c'è, altrimenti il Rosario lo finiamo prima del tempo, ed è il fatto che la donna, andando a chiamare il marito, e non solo, perché chiamerà tutto il paese, lascia la brocca accanto al pozzo, accanto a Gesù, quella brocca con la quale era venuta abbracciata, quella brocca a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo perché era ciò con cui attingere. Gesù è povero perché non ha la brocca, la donna invece la brocca ce l'ha, adesso l'abbandona. Voi starete pensando: "Eh, avrà pensato: Gesù è educato, non se la ruberà", e invece è un simbolo anche questo. Cioè ci sono dei momenti nella vita in cui quello che abbiamo ritenuto essenziale, importantissimo, diventa secondario. Questo è il frutto dell'incontro autentico con Gesù, cioè un capovolgimento dell'impostazione di vita. Se, come credo, alcuni di voi prima erano lontani e poi si sono avvicinati alla fede han visto cambiare l'ordine delle cose. Ma prima non ritenevi il sabato sera un dogma di fede, per cui se non c'era il sabato sera non esisteva settimana? Poi ne hai fatto a meno, e non perché sei maturato, è cambiato l'ordine, è cambiata la scala di valori, per cui ciò che forse prima non aveva senso, adesso ha senso, e io non posso fare a meno della Eucaristia domenicale, per esempio, ciò che prima era essenziale adesso l'ho abbandonato, le cose di prima le ho abbandonate. Dice Paolo: "Se uno è in Cristo è una creatura nuova, le cose di prima sono passate, ne sono nate di nuove". Ecco, poteva esser il commento a questa brocca lasciata lì abbandonata, non la prenderà più, non tornerà a riprendersela, perché appartiene alla vita di prima, perché è un oggetto transizionale, si sarebbe detto in psicologia, cioè quel bambolotto, quella bambola senza la quale il bambino non si addormenta, quel peluche che bisogna portare anche in vacanza, poi l'oggetto transizionale, come sapete, a un certo punto si abbandona, altrimenti si cade nell'immaturità. Spero non andiate ancora a letto col peluche, per farvi sorridere, c'è questo passaggio, quindi, quando il peluche non ha più quel valore, per cui senza peluche mi vengono gli incubi. Ecco, forse il peluche è quell'aspetto o anche quell'abitudine che per me era vitale, che era ciò senza di cui non potevo vivere, adesso è abbandonato. Chiediamo di poter abbandonare delle cose, ma con la gioia di abbandonarle senza rimpianti.

 

Padre Nostro...

 

Saltiamo Arcangelo Corelli, che ci avrebbe portato in epoca barocca, e per questa giara, lasciata vicino al pozzo, ascoltiamo "Serenata spagnola" di Buzzi - Peccia.

 

Serenata spagnola (Buzzi-Peccia)

 

Come avete sentito, le brocche si lasciano con gioia, se non altro la serenata spagnola vi avrà svegliati casomai qualcuno di voi si fosse nel mentre assopito. Mettiamo insieme gli ultimi due capoversi, così andiamo verso la conclusione, abbiamo già sforato di mezz’ora abbondante, e spero che per voi sia una gioia e non un peso, ed è la confessione della donna, che dice ai suoi compaesani: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto", che non è "mi ha scoperto", cioè non è l'essersi sentita scoperta, colta in flagrante, ma è la gioia di Qualcuno che finalmente le ha detto, le ha raccontato di lei. Com'è bello questo! Cioè Gesù non sta a dirti quello in cui hai sbagliato per colpevolizzarti, il peccato è già di per sé un castigo, ma ti dà la possibilità, forse per la prima volta, di guardarti allo specchio, perché Gesù in questo brano è come se avesse fatto da specchio alla donna, adesso ti dico: "Guardati!", perché gli specchi nei quali ti sei specchiata erano specchi distorcenti, adesso ti do un'immagine autentica di te, ti racconto di te, vieni, ti racconto di te. La donna non sapeva di sé, come tanti di noi non sanno di sé finché non incontrano Dio, che rimette in ordine i tasselli, e quello che a noi sembra uno sgorbio, nelle Sue mani diventa un'opera d'arte. E quindi c'è questa confessione non di chi si è sentita scoperta ma di chi si è sentita letta per la prima volta. "Ha raccontato me a me".

Infine: La fede matura: “noi stessi abbiamo udito", dicono i compaesani che sono un po' messi in subbuglio ovviamente da questa donna focosa, come la danza spagnola che abbiamo ascoltato, movimentata, e tanto più ora che ha incontrato l'Uomo della sua vita, il vero Uomo, l'Unico Uomo che l'ha capita. E quindi li ha messi tutti in fila in processione verso il pozzo, e poi ovviamente ciascuno realizza per sé quello che la donna in anteprima ha vissuto, per cui poi le dicono: Guarda che adesso non abbiamo bisogno di te, non abbiamo più bisogno della tua testimonianza, perché "noi stessi abbiamo udito", non dicono "abbiamo visto", "abbiamo udito", perché il verbo della fede è udire. Sarebbe bello che i vostri parroci si sentissero dire da voi: non è più per le tue prediche, per le tue catechesi, (magari sarebbe bello anche che lo diceste al Vescovo, così la smette di opprimervi in questa maniera) non è più per quello che tu dici, che ci hai raccontato, che noi crediamo, ma perché noi abbiamo udito, cioè il passaggio dalla fede, che si appoggia sul prete, sul Vescovo, alla fede come mia esperienza, e la fede viene dall'ascolto, dice S. Paolo. "Fides ex auditu". La fede non si legge, per la fede non si fa uno spot pubblicitario, come per l'otto per mille, non si divulga così la fede. La fede bisogna ascoltarla, bisogna che qualcuno parli. Purtroppo stasera ho parlato io, la prossima volta parlerete voi, ma la fede ha bisogno di qualcuno che parli, perché bisogna ascoltarla, e per questo motivo qui i compaesani non dicono "perché abbiamo visto", abbiamo visto Gesù, ci siamo convinti perché Lui ha fatto un miracolo, ma perché abbiamo udito. Che cosa hanno udito? Hanno udito la Parola che è Gesù e che Gesù dice. Questa è la fede matura, che chiediamo con questa ultima decade al Signore per intercessione di Maria, cioè una fede in ascolto, una fede, che diventa esperienza, che nessuno mi può rubare più. Pur utilizzando ancora delle mediazioni, so che questa fede è radicata nella mia vita, perché "noi abbiamo udito".

 

Padre Nostro...

Salve, o Regina...

Benedizione del Vescovo

 

Sedetevi per l'ultimo brano. Starete pensando: ma ce lo dovevi dire che non era in punta di piedi in Episcopio, ma la notte intera in Episcopio, perchè siamo arrivati a tre quarti d'ora oltre. Chiedo scusa. Innanzi tutto il prossimo appuntamento è tra quindici giorni, quindi non giovedì prossimo, l'altro, credo che sia il 13, è l'ultimo appuntamento prima di Pasqua alle ore 19:00. Ovviamente diciamo grazie e a conclusione lo direte anche voi personalmente a Gianfranco e a Maria Teresa. Gianfranco uscirà di qui carico di meraviglie, come si dice a Napoli, perché dice: "Mah, dove sono capitato!".

Succede anche questo, che la musica venga utilizzata per finalità e con modalità diverse da quelle per cui normalmente viene fruita. L'ultimo brano è "Topsy" di Billy. Anche qui ci troviamo in un confine di virtuosismo, dopo in silenzio potete ringraziarli per averci aiutato. Liberato vi darà la bomboniera come premio fedeltà per la sopportazione di tutto questo tempo. Ascoltiamo.

 

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

 



[1] Squilla un telefonino

[2] La bomboniera è il testo VIA CRUCIS, Franco Di Mauro Editore, con riflessioni di S.E. Arturo Aiello, pubblicato nel Febbraio 2008 e donato dal Vescovo, in questa occasione, a tutti i presenti.